Democrazia va cercando

atena-pensosaUna lezione sull’attualità della liberaldemocrazia

di Gianfranco Sabattini

abc-guido-calogero-microDi Guido Calogero, Chiarelettere ha ristampato “l’ABC della democrazia”, apparso nel lontano 1944, dopo che Roma era stata liberata dalle truppe tedesche; il volume, introdotto da Maurizio Viroli, è seguito da altri scritti del filosofo, tra i quali “Nota sul concetto dello Stato”, comparso per la prima volta in forma clandestina nel 1940, poi diffuso col titolo “Primo manifesto del liberalsocialismo”.
L’”ABC”, ricorda Viroli, “insegna le regole e i principi per costruire non una democrazia generica, ma una ‘democrazia liberalsocialista’, una democrazia che sapesse tenere saldamente unite la libertà politica e la giustizia sociale”, ribadendo che entrambe queste due dimensioni della democrazia sono nello stesso tempo “fine e mezzo”, in quanto ogni miglioramento dell’una promuove il miglioramento dell’altra. Quella di Calogero, continua Viroli, è l’unica lezione di saggezza politica “che avrebbe potuto ispirare e guidare la nascita di una nuova patria italiana in cui tutti potessero vivere con dignità”.
Questo era sicuramente il migliore auspicio che l’”ABC” di Calogero formulava per l’Italia, a seguito della risorta democrazia e sulla scorta dei valori della Resistenza, dopo la tragedia del fascismo e della guerra. La sua riedizione è oggi opportuna perché, come osserva Viroli, sembra che il pensiero di Calogero sia stato completamente dimenticato e con esso siano divenute irrilevanti le tradizioni ideali e politiche del liberalismo e del socialismo, che nella visione del filosofo “avrebbero dovuto unirsi per costruire una nuova Italia”; ma essa serve anche, da un lato, a ricordare e a dimostrare alle generazioni più giovani quanto deboli e improponibili siano tutte le analisi che portano molti politologi contemporanei a proporre il superamento della democrazia, ritenuta inidonea a risolvere i mali che affliggono il mondo globalizzato attuale, e dall’altro lato, a ribadire che la democrazia, quando si concretizzi nella fusione delle tradizioni ideali e politiche del liberalismo e del socialismo nella liberaldemocrazia, non sia “cosa che possa comunque mutare con la storia, che la storia possa convalidare o infirmare con le vittorie o con le sconfitte”.
Il valore in sé della fusione delle due tradizioni (liberale e socialista) nella liberaldemocrazia – come afferma Calogero – è “vero da sempre e sarà vero per sempre, finché ci saranno uomini sulla terra”; ciò perché “gli uomini possono bene essere giusti o ingiusti, possono anche sopprimere tutti gli uomini giusti”, ma se pensano la giustizia non possono che pensarla nel modo in cui è possibile realizzarla con la liberaldemocrazia. L’insegnamento di Calogero, però, osserva Viroli, pur rappresentando la miglior lezione di saggezza politica, dopo ottant’anni è stato completamente dimenticato, se si considerano le difficoltà che si oppongono all’interno dell’Italia, (ma anche in molti altri Paesi) alla realizzazione della democrazia nella forma e nella sostanza indicate dal filosofo.
Secondo Calogero, la ratio della democrazia socialdemocratica consiste, in primo luogo, nella “volontà di non imporre unilateralmente le proprie opinioni e le proprie preferenze agli altri”; in secondo luogo, occorre anche che gli altri, per poter esprimere la propria opinione, siano messi nella condizione materiale di poterlo realmente fare. E’, questo, afferma Calogero, “il punto cruciale, in cui la pura democrazia politica viene per forza a sfociare in quella che, a contrasto, può e suol dirsi democrazia sociale”.
Tuttavia, la realizzazione di una piena democrazia sociale non deve suggerire l’idea che “i diritti e le libertà giuridiche” siano soltanto delle scatole vuote e che la loro “pienezza di possibilità umane” dipenda solo da a elementi economici; una certa pienezza è espressa anche dai diritti e dalle libertà giuridiche, essendo essi “un bene molto concreto”, quale, per esempio, quello “di non essere costretti a seguire la volontà altrui, senza possibilità di protesta”, o quello “di essere garantiti dal rischio di andare in prigione in caso di compimento di una simile protesta”.
Ciò significa che, pur in presenza di una piena realizzazione di una democrazia socialdemocratica, occorre sempre considerare che “anche le libertà ‘pure’ sono beni che costano”, per cui occorre non dimenticare che, oltre alla sicurezza di non venire ostacolati nell’esercizio delle proprie libertà politiche, è necessario poterle esercitare, senza impedimenti riconducibili a ragioni di insufficiente dotazione economica. Ciò significa allora, afferma Calogero, che la realizzazione della socialdemocrazia implica, non solo la garanzia che tutti possano esercitare le proprie libertà politiche, ma anche quella che tutti siano liberati dal bisogno, ovvero che tutti possano godere di una giusta distribuzione del prodotto sociale.
Ma se la realizzazione di una giusta distribuzione del prodotto sociale è “condizione della libertà politica”, non “bisogna poi credere – continua Calogero – che soltanto in vista della libertà politica” sia da ricercarsi la giustizia sociale. E’ infatti un errore pensare che la socialdemocrazia “non debba valere altro che come mezzo per il raggiungimento dell’eguaglianza sociale”. Ammesso anche che un regime non democratico (e gli esempi ai quali Calogero, al tempo in cui scriveva l’”ABC delle democrazia”, poteva fare riferimento, non gli mancavano) sia ugualmente capace di assicurare una giusta distribuzione del prodotto sociale, il regime illiberale non potrebbe comunque rappresentare un’alternativa alla democrazia.
L’errore di chi accettasse un regime illiberale consisterebbe nel non accorgersi che una presunta democrazia nella quale “ognuno possedesse una giusta quota di ricchezza”, ma non avesse alcuna possibilità di influire sulle decisioni di natura extraeconomica, potrebbe essere vittima di una condizione politico-sociale assai più triste e rovinosa di quella nella quale non possedesse questa possibilità, ma si accontentasse solo della giustizia sociale realizzata. E’ quindi errato, tanto il pensare che la libertà politica sia un semplice strumento per raggiungere il fine della giustizia sociale, quanto il considerare la giustizia sociale come mezzo per “integrare una effettiva libertà politica”.
Nella storia del pensiero politico, ricorda Calogero, tutte le analisi teoriche svolte per sostenere il principio della libertà politica sono state per lo più motivate dall’ideologa del liberalismo, mentre quelle che hanno teso a rimuovere i danni sociali derivanti dalle ineguaglianze distributive dono state ispirate dall’ideologia del socialismo. Un parte importante di coloro che accettavano i valori dell’ideologia del liberalismo, alla luce degli esiti della dinamica socio-economica, si sono resi conto “che se volevano essere veramente liberali, dovevano aprirsi alle istanze dell’ideologia del socialismo”, così come i socialisti, sulla base della stessa esperienza vissuta dai liberali, si sono accorti “che non avrebbero potuto realizzare i loro ideali se non in un’atmosfera di libertà e attraverso le garanzie politiche della libertà”.
Si è trattato di una convergenza, quella dei liberali e dei socialisti, approfonditasi nel tempo e che ha portato “gli uni e gli altri a sentire la complementarietà degli opposti punti di vista”. La democrazia vera, perciò, secondo Calogero, non può che caratterizzarsi come liberaldemocratica, senza essere “soltanto una democrazia liberale”, oppure “soltanto una democrazia socialista”. A fondamento della liberaldemocrazia sta l’“unità e identità della ragione ideale che sorregge tanto il liberalismo nella sua istanza di libertà, quanto il socialismo nella sua istanza di giustizia sociale”.
Nell’ambito di questa universale convergenza, liberalismo e socialismo si distinguono, perciò, solo “come specificazioni concomitanti e complementari”: la prima, il liberalismo, vuole che tutti gli uomini godano di “quel grande bene che è la possibilità di esprimere liberamente la personalità propria, in tutte le concepibili forme di tale espressione”; la seconda, il socialismo, vuole che fra tutti gli uomini “sia equamente distribuito [...] l’altro grande bene che è la possibilità di fruire della ricchezza del mondo, in tutte le legittime forme di tale fruizione”.
Così, nell’ambito di questa generale convergenza, il liberalismo aspira a realizzare il fine che a tutti i componenti della società sia garantito il godimento dell’uguaglianza e della stabilità dei diritti e delle leggi (senza distinzione di razza, casta e censo); che ogni norma giuridica derivi dalla volontà dei cittadini (espressa secondo il principio della maggioranza); che i cittadini partecipino al governo della “cosa pubblica” (attraverso l’istituto della rappresentanza); che sia rispettata la libertà di pensiero, di stampa e di religione (quale fondamento del reciproco controllo).
Parallelamente, il socialismo vuole che, nella coscienza degli uomini, si radichi il principio della giustizia distributiva fondato sull’equa ripartizione del prodotto sociale; che ciascuno sia compensato per il lavoro effettuato, in misura proporzionale al suo contributo produttivo; che sia garantita a tutti la legittimità dell’uso privato del compenso ricevuto per il lavoro svolto; che con la ricchezza di proprietà pubblica sia assicurato ad ognuno il diritto al lavoro e quello ad essere soccorso in caso di necessità; infine, che la società “tenda con la massima intensità possibile [...] ad elaborare ed instaurare tutti quei progressivi assetti politici e giuridici” che appaiono atti a far procedere il progresso del vivere sociale in direzione di una sempre maggiore e più diffusa socialità della ricchezza prodotta.
Attenendosi a queste istanze, sulle forze politiche liberaldemocratiche, responsabili dell’organizzazione sociale del futuro, “pesa” il dovere di “innovare o creare tutta una serie di istituti”, la cui struttura ed il cui ruolo non dovranno essere determinati solo quando si presenterà “l’effettiva situazione storica in cui si tratti di recarli in atto”; esse (le forze politiche liberaldemocratiche), nella progettazione degli assetti istituzionali futuri, dovranno guardarsi dal pericolo dell’utopismo, non meno che dall’attendere che il corso degli eventi storici rechi con sé le soluzioni adatte.
Per evitare il duplice pericolo dell’utopismo astratto e dell’attendismo inerte, le forze politiche liberaldemocratiche non dovranno “aspettare l’avvenire per improvvisare poi le soluzioni in base ad esso”; occorrerà che esse siano sempre impegnate a progettare e a proporre quanto più possibile in concreto le riforme istituzionali che è possibile presumere possano essere le più conformi al governo del risultato, sempre mutevole, del processo storico. Solo così la socialdemocrazia, oltre che legittimarsi solidamente nella coscienza dei cittadini, potrà impedire che la casualità e l’improvvisazione con cui spesso sono affrontati i problemi indotti dalla comparsa del “nuovo”, emergente dal processo storico, possano trasformarsi in motivo per la formulazione di ipotesi per un suo improbabile superamento.
E’interessante ciò che Calogero indicava come principale dovere delle forze politiche che condividono i valori della socialdemocrazia, ovvero quello d’essere sempre impegnate, quasi ad anticipare l’emergere delle nuove situazioni storiche, alla progettazione dei nuovi assetti istituzionali atti a governarle. Quando Calogero scriveva il “Manifesto del liberalismo” (diffuso, come si è detto, clandestinamente col titolo di “Nota sul concetto di Stato”) e successivamente “L’ABC della democrazia” vigevano condizioni economiche e sociali rispetto alle quali potevano essere considerate adatte le soluzioni normative socialdemocratiche da lui indicate; non può dirsi però che quelle stesse soluzioni siano appropriate all’interno delle società capitalisticamente affermate di oggi.
Rispetto alle odierne condizioni economiche e sociali, occorre riconoscere i ritardi e i fallimenti accusati dalle forze socialdemocratiche nella predisposizione degli atti e degli istituti più idonei a governare le problematiche sorte a causa delle modalità di funzionamento del capitalismo neoliberista; ritardi e fallimenti che si sono verificati perché le forze socilademcratiche non si sono attenute ai principi comportamentali indicati da Calogero. E’ questo il motivo per cui esse hanno perso l’affezione della loro base sociale di consenso, costringendole a diventare, a volte, “mosca cocchiera” delle forze conservatrici.
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Nell’illustrazione: Atena pensosa, marmo di Paros 460 a.C (particolare), Museo dell’Acropoli di Atene .

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