PER UN GOVERNO DELLA SOSTENIBILITÀ PER FRONTEGGIARE LE SFIDE SOCIALI, ECONOMICHE, AMBIENTALI

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Aug 24, 2019
Reso noto un appello a tutte le forze politiche perché il futuro governo affronti le questioni vitali del Paese sulla base della sostenibilità come chiave per rispondere alle grandi questioni sociale, economica ed ambientale

”L’alternativa al ricorso anticipato alle urne non può consistere in un governo di breve durata. La situazione richiede un governo di legislatura autorevole e determinato a guidare il Paese sulla giusta rotta nelle acque che si preannunciano burrascose, dei prossimi quattro anni.
Stiamo entrando in una nuova grande recessione globale, aggravata sia dalla guerra commerciale sia dalla crisi della domanda interna conseguente ad una prolungata fase di compressione dei salari. Serve un governo deciso a praticare politiche anticicliche per attutire gli effetti economici e sociali della nuova crisi globale. Capace di risposte tangibili per frenare e invertite la tendenza all’impoverimento della classe media, dei ceti lavoratori e popolari. Un esecutivo che dimostri di cogliere con i fatti la sfida del cambiamento con un progetto di riscatto, di sviluppo, di speranza per il Paese in un quadro di solidarietà e di discussione franca dei problemi in sede europea.
Un governo che sappia ripartire dalla questione sociale nei nuovi e complessi termini in cui essa si presenta ma che sono evidenti nella loro gravità (disuguaglianze, povertà, lavoro). Un governo che sappia fare un forte investimento sul fatto che i rimedi allo stato di disagio profondo e dilagante in cui versa la classe media e
l’agenda dello sviluppo sostenibile non possano che incrociarsi in modo proficuo, contribuendo a definire un piano per il Paese di ampio respiro con adeguati investimenti: dalla messa in sicurezza dei territori e degli edifici dai rischi sismici e idrogeologici alla progettazione di infrastrutture ecosostenibili, dalla transizione energetica al sostegno alla ricerca scientifica e all’innovazione, dalla scuola alla sanità.
Urge un programma di governo che riaffermi, anche attraverso un tangibile allentamento della stretta fiscale secondo il criterio di progressività e con la lotta all’evasione, il primato della crescita sostenibile su quello del contenimento dell’inflazione che in questi anni ha finito per provocare una deflazione permanente – che ha fatto aumentare le disuguaglianze sociali e fra territori, facendo riemergere la questione meridionale – e che si configura come tra le principali cause dell’esplosione dei populismi.
Un governo capace di portare una tale svolta nelle sedi istituzionali dell’Unione Europea, facendo leva sul fatto che l’apertura di un nuovo ciclo economico espansivo costituisce una priorità per tutti i Paesi membri (nessuno è più immune dalla recessione) nonché la condizione imprescindibile per il rilancio del progetto europeo, il quale esige – pena la perdita di credibilità – la definizione di una data certa per la messa in comune del debito, preludio e fondamento dello stato unitario europeo.
Un governo preferibilmente guidato da una figura autorevole di solide relazioni comunitarie e internazionali e allo stesso tempo con profonda conoscenza delle dinamiche sociali ed economiche che percorrono il nostro variegato Paese, e consapevole del ruolo strategico dei corpi intermedi .
Un governo dagli obiettivi ambiziosi destinato a durare per il tempo rimanente della legislatura all’insegna della sostenibilità come chiave per rispondere alle grandi questioni sociale, economica ed ambientale.
L’Appello è promosso da dirigenti del mondo dell’associazionismo, del sindacato, delle professioni, dell’impresa, della pubblica amministrazione, del governo della cosa pubblica a tutti i livelli istituzionali, da docenti universitari, imprenditori e politici. È aperto alla sottoscrizione da parte di tutti coloro che ne condividono gli obiettivi ed è rivolto alle forze politiche impegnate alla ricerca di un accordo per dar vita a un nuovo governo, nei tempi loro accordati dal Capo dello Stato”.

Promotori:
Antonio Ballarin Denti, Dario Balotta, Pietro Barbieri, Leonardo Becchetti, Daniela Becchini, Alessandro Beda, Roberto Bianchini, Simona Bondanza, Alessandra Bonoli, Gianni Borsa, Gianni Bottalico, Annalisa Calvano, Gabriella Calvano, Claudia Caputi, Francesco Coniglione, Isabella Cristina, Alfredo Cucciniello, Arrigo
Dalfovo, Giuseppe Davicino, Annalisa Decarli, Mariapia Garavaglia, Carla Guetti, Enrico Farinone, Marinella Franceschi, Luciano Forlani, Domenico Galbiati, Mimmo Gallo, Raffaele Gazzari, Nicola Graziani, Giancarlo Infante, Arturo Lanzani, Giorgio La Pira, Claudio Leone, Giuseppe Lo Conte, Giulio Lo Iacono, Mauro Magatti,
Nicola Martinelli, Carlo Mattina, Alberto Mattioli, Maria Valeria Mininni, Raffaele Morese, Patricia Navarra, Aldo Novellini, Maurizio Ottolini, Paola Pessina, Michele Petraroia, Marco Pietripaoli, Giuseppe Pirlo, Ruggero Po, Giacomo Porrazzini, Ernesto Preziosi, Rossana Revello, Alessandro Risso, Carlo Stelluti, Giorgio Santini, Elvira Tarsitano, Angelo Trezzi, Monica Van Dyke, Rodolfo Vialba, Marco Viganò, Alessandro Volpone, Silvia Wu, Alessandro Zingaro.
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COMMENTI
Un governo per difendere la Costituzione
M5S-Lega. Il dovere delle forze democratiche è quello di dar vita a un governo che ripari i guasti prodotti proprio da chi quelle politiche velenose contro la vita e la dignità delle persone ha praticato e intende riproporre con più forza ove vincesse le elezioni

Luigi Ferrajoli, su il manifesto

(EDIZIONE DEL 25.08.2019, PUBBLICATO 24.8.2019, 23:59)

C’è una ragione di fondo che impone alla sinistra la formazione di un governo giallo-rosso: la necessità, prima di porre termine alla legislatura, di disintossicare la società italiana dai veleni in essa immessi da oltre un anno di politiche ferocemente disumane contro i migranti. La Lega di Salvini intende «capitalizzare il consenso» ottenuto a tali politiche pretendendo nuove elezioni e chiedendo al popolo «pieni poteri».

L’idea elementare della democrazia sottostante a questa pretesa – poco importa se per analfabetismo istituzionale o per programmatico disprezzo delle regole – è la concezione anticostituzionale dell’assenza di limiti alla volontà popolare incarnata dalla maggioranza e, di fatto, dal suo capo: dunque, l’esatto contrario di quanto voluto dalla Costituzione, cioè la negazione del sistema di vincoli, di controlli e contrappesi da essa istituito a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e contro il pericolo di poteri assoluti e selvaggi.

Non dimentichiamo quanto scrisse Hans Kelsen contro questa tentazione del governo degli uomini, e di fatto di un capo, in alternativa al governo delle leggi: «la democrazia», egli scrisse, «è un regime senza capi», essendo l’idea del capo al tempo stesso non rappresentativa della complessità sociale e del pluralismo politico, e anti-costituzionale perché in contrasto con la soggezione alla legge e alla Costituzione di qualunque titolare di pubblici poteri.

Di fronte a queste pretese, il dovere delle forze democratiche – di tutte quelle che si riconoscono non già nell’idea dell’onnipotenza delle maggioranze ma in quella dei limiti e dei vincoli ad esse imposte dalla Costituzione – è quello di dar vita a un governo che ripari i guasti prodotti proprio da chi quelle politiche velenose contro la vita e la dignità delle persone ha praticato e intende riproporre con più forza ove vincesse le elezioni.

Dunque un governo di disintossicazione dall’immoralità di massa generata dalla paura, dal rancore e dall’accanimento – esibito, ostentato – contro i più deboli e indifesi.

Non un governo istituzionale o di transizione, che si presterebbe all’accusa di essere un governo delle poltrone, ma al contrario un governo di esplicita e dichiarata difesa della Costituzione che ristabilisca i fondamenti elementari della nostra democrazia costituzionale: la pari dignità delle persone, senza differenze di etnia o di nazionalità o di religione, il diritto alla vita, il rispetto delle regole del diritto internazionale, prima tra tutte il dovere di salvare le vite umane in mare, il valore dei diritti umani e della solidarietà, il rifiuto della logica del nemico, come sempre identificato con i diversi e i dissenzienti e immancabilmente accompagnato dal fastidio per la libera stampa e per i controlli della magistratura sull’esercizio illegale dei poteri.

Su questa base non ha nessun senso condizionare il governo di svolta a un no a un Conte-bis o alla riduzione del numero dei parlamentari.

L’alternativa possibile è un governo Salvini, preceduta dalla riduzione dei parlamentari ad opera di una rinnovata alleanza giallo-verde, e poi chissà quante altre e ben più gravi riforme in tema di giustizia, di diritti e di assetto costituzionale.

Una probabile maggioranza verde-nera eleggerebbe il proprio capo dello Stato e magari promuoverebbe la riforma della nostra repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale. Di fronte a questi pericoli non c’è spazio per calcoli o interessi di partito.
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Newsletter n. 160 del 25 agosto 2019
CHE COSA BACIARE
Care Amiche ed Amici,
tra il 7 e il 20 agosto si è consumata la sconfitta di Salvini già annunciata un anno fa in una nostra newsletter del 18 luglio 2018 (che ora si trova in: lettere-in-bottigliaRaniero La Valle, Lettere in bottiglia, Gabrielli editore, pag. 176). Questo ultimo tempo del film della sconfitta si è andato svolgendo nello stesso tempo della tragedia dei naufraghi della Open Arms, non a caso conclusasi con lo sbarco a Lampedusa la sera stessa della caduta del governo.
Anche il simbolo conferma perciò che la causa della sconfitta è stata la spietatezza. Il sistema non l’ha retta, esso ha ancora (non per sempre) le risorse per farlo, e l’ha rigettata. La spietatezza della cultura e della politica di Salvini e della Lega non era solo nei confronti dei profughi, degli stranieri, degli immigrati, dei piagati, dei sommersi. Stava nell’idea stessa che c’è chi è prima e chi è dopo nella spartizione non solo delle ricchezze, ma del minimo vitale, della dignità umana, della vita stessa. E non c’era pietà nemmeno verso gli Italiani, che per un proprio interesse di parte si voleva gettare nell’avventura di restare soli ed invisi nell’Europa e nel mondo, sovrani solo nell’arroganza e nella loro procurata miseria. Non c’era pietà verso l’Europa che con tutte le sue storture e ingiustizie è pur sempre la nostra madre, la storia da cui veniamo e che siamo. Non c’era pietà verso istituzioni di democrazia e di diritto che sono costate secoli di lotte e sangue di martiri; non pietà verso gli investiti di cariche pubbliche, tutti degradati alla simbiosi di culo e poltrona; non pietà verso i senatori, insultati come non liberi, di contro all’unico “libero” di quell’aula che voleva intestarsi pieni poteri; e non c’era pietas verso il crocefisso e il rosario sbaciucchiati ad uso di telecamere sui banchi del governo.
Occorre fermarsi ancora un momento, prima di voltare pagina su questa crisi, sulla controversia intorno all’uso dei simboli religiosi esplosa sui giornali e in Parlamento. Si è già detto che quest’uso politico dei segni della devozione cristiana offende il sentire religioso dei credenti e la laicità dello Stato. Il presidente Conte ha aggiunto che è una forma di “incoscienza religiosa” e padre Spadaro, direttore della “Civiltà Cattolica”, è rimasto impressionato della forza di questa espressione. Si potrebbe chiudere qui, ma c’è un’insidia nascosta in quanto è avvenuto, c’è un pericolo ancora maggiore e rischi imprevisti che vanno identificati, per l’impatto devastante che potrebbero avere in futuro.
Deve essere chiaro che la controversia non è sulla fede e nemmeno sulla religione, ma su gesti e simboli devozionali della religione e della fede che sono del tutto legittimi e anzi spesso hanno radici profonde nelle tradizioni dei credenti e nell’immaginario popolare, ma che possono essere deviati, distorti, banalizzati e perfino rovesciati nel loro significato. Ne ha offerto una preziosa traccia nella discussione al Senato il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, quando ha detto che in Calabria la ndrangheta ha deciso di “consegnarsi” a un santuario della Madonna, di farlo suo, e perciò l’uso politico di rosari e madonne può lì trasmettere messaggi in codice. Ma al di là di questi casi limite c’è il rischio di un uso e di un’esibizione in chiave superstiziosa magica e scaramantica dei segni religiosi, che immessi nel circuito sociale possono deturpare e intercettare la fede, funzionando da dissuasori, vaccini e anticorpi all’aprirsi al rapporto con Dio.
Il caso del calciatore di riserva mandato in campo dalla panchina che si fa il segno della croce e manda un bacio a Dio un po’ per grazia ricevuta un po’ per procacciarsi il miracolo di un goal, non è diverso dal caso di Salvini che bacia il rosario in piazza per aver vinto le elezioni e si appella all’Immacolata in Senato per esorcizzare la fine della sua ascesa politica. Con una certa inclemenza sono chiamati baciapile quelli che baciano le acquasantiere invece che praticare la misericordia. Il bacio è un evento umano sublime e un gesto religioso potente, non si può buttar via. Nella liturgia il bacio si dà prima della comunione per consegnarsi la pace, è il bacio che si depone il venerdì santo sulla croce di Gesù; c’è stato il bacio della Maddalena al Signore nel giardino della resurrezione; Dio stesso è un bacio, diceva il camaldolese Benedetto Calati e al bacio sono dedicati i nove sermoni di san Bernardo da Chiaravalle sul “Cantico dei Cantici” in cui, chiosava lo stesso padre Benedetto, “questo grande monaco nel gesto più naturale dell’amore ha saputo riassumere il segreto mistico della vita divina ed umana”.
Ed allora il rischio qual è? È che per mettere al riparo la politica dalle incursioni del sacro, sia pure nelle forme del devozionismo magico e incosciente alla Salvini, per prevenire ricadute identitarie in politiche “cristiane” e magari democristiane, si ritorni alle care vecchie battaglie laiciste, si torni ad erigere muri invalicabili tra fede e politica, si professi l’illegittimità di ogni ispirazione religiosa dell’azione laica in politica. Si tornerebbe all’idea della religione come oppio, dell’ateismo come sinonimo della modernità e del sapere, della fede come negatrice del pluralismo e fattore di esclusione; si tornerebbe a prima del Vaticano II, a prima dell’incontro fraterno tra le religioni e delle religioni col mondo, a prima dell’ascolto prestato a papa Francesco, a prima dei suoi dialoghi “politici” coi movimenti popolari e della sua critica all’economia che scarta e che uccide, a prima della “Laudato Sì’” per la salvezza della terra. E poiché la salvezza della terra, problema del tutto rimosso dalla politica attuale, può farsi solo attraverso un grande cambiamento dell’animo umano e del sentire dei popoli che si rifletta poi nell’azione politica, questa ricaduta negli storici steccati del passato la renderebbe impossibile.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it

2 Responses to PER UN GOVERNO DELLA SOSTENIBILITÀ PER FRONTEGGIARE LE SFIDE SOCIALI, ECONOMICHE, AMBIENTALI

  1. […] la dignità delle persone ha praticato e intende riproporre con più forza ove vincesse le elezioni Luigi Ferrajoli, su il manifesto (riferimento su Aladinpensiero online) (EDIZIONE DEL 25.08.2019, PUBBLICATO 24.8.2019, […]

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