Risultato della ricerca: stati uniti d'europa

Europa, Europa…

poveraEuropa filo_spinato europesedia di VannitolaRilanciare il processo di costruzione dell’Europa politica con un piano unitario per l’accoglienza dei migranti.
di Vanni Tola

La giornata di martedì, 15 settembre, ha un significato particolare nel panorama politico europeo. Ha sancito l’inconsistenza o, se preferite, l’inesistenza dell’Europa politica, la mancanza di obiettivi politici unificanti intorno ai quali realizzare e concretizzare l’idea stessa di Unione Europea teorizzata dai padri dell’europeismo. L’Europa, molti lo denunciano da tempo, al momento è soltanto una entità economico-finanziaria creata intorno alla moneta unica euro e tenuta insieme dalle scelte della Banca Centrale Europea. Al di fuori da tale ambito l’Unione non esiste, non decolla un progetto di unione politica, di scelte condivise, di stati uniti d’Europa. In sole tre settimane si sono registrate una serie infinita di cambiamenti di fronte che, se pure aprono qualche spiraglio di ottimismo, evidenziano la inconsistenza del progetto unitario del vecchio continente. La questione del profughi, dopo essere stata confinata a problema geopolitico limitato alla sola Europa mediterranea, si è manifestato in tutta la sua portata come fenomeno straordinario e duraturo che coinvolge l’intero continente. La Germania della Merkel, con un incredibile cambiamento di rotta, ha mostrato per prima di aver colto la complessità del problema e ha risposto dichiarando e mettendo in pratica delle scelte di grande apertura in termini di accoglienza. Per conseguenza si sono intensificati gli arrivi di profughi che ormai non arrivano più e soltanto dal mare ma anche attraverso altre vie, attraversando diversi paesi dell’est europeo. E’ a questo punto che esplodono le contraddizioni finora dormienti. Una consistente parte dell’Unione dichiara esplicitamente che non intende accogliere profughi e neppure consentirne il transito verso altri paesi. Ricompaiono i confini chiusi da filo spinato e sorvegliati dall’esercito che ricordano ai meno giovani un triste passato fatto di divisioni, guerre, muri. Un’altra parte dell’Europa invece si mobilita con slancio per realizzare la migliore accoglienza possibile dei profughi. La gente in particolare, superando i ritardi dei politici, si mobilita con entusiasmo, accoglie i profughi con affetto e simpatia, offre ospitalità nelle case. Due realtà diverse e contrapposte che andrebbero raccordate. Si propone di formalizzare e applicare il criterio della cittadinanza europea superando i vecchi trattati che, nei fatti, confinavano i migranti nel paese di prima accoglienza limitandone la circolazione in Europa. Si ripropone il criterio della ripartizione dei migranti fra i diversi paesi dell’Unione sulla base di quote obbligatorie di accoglienza. E arriviamo alla giornata di ieri, agli incontri tra i paesi dell’Unione durante i quali diversi paesi dell’est Europa ripropongono con forza la loro scelta di non accogliere migranti rendendo irrealizzabile il progetto unitario di accoglienza che si andava delineando. L’Unione europea, sulla questione dei migranti mostra cosi il nanismo politico del gigante economico realizzato intorno all’euro. Ora l’intera vicenda della accoglienza è demandata alla riunione urgente dei capi di governo che si terrà la prossima settimana nel tentativo di produrre una qualche scelta umanitaria mentre l’Ungheria e altri paesi blindano i loro confini e arrestano i migranti che li violano, mentre continuano gli sbarchi, le drammatiche vicende di uomini, donne e bambini sempre più disperati e mentre paesi quali l’Austria, alcuni paesi del nord Europa e perfino la Svizzera ribadiscono volontà e disponibilità ad accogliere di più e meglio. L’Italia fa la sua parte in termini di accoglienza in tutte le regioni, comprese quelle controllate dalla Lega ma continuano le provocazioni delle forze politiche razziste e xenofobe locali alla disperata ricerca di consensi elettorali fondati su disinformazione e paure della gente. L’ultima in ordine di tempo la scelta di togliere i finanziamenti della regione Lombardia a quelle strutture alberghiere che, rispondendo all’appello del Ministero dell’Interno, dovessero concedere ospitalità ai migranti.
Commentando il fallimento della riunione europea del 15 settembre, che avrebbe dovuto definire il progetto delle quote di accoglienza dei profughi, il vice cancelliere tedesco ha dichiarato che con tale fallimento l’Unione europea si è coperta di ridicolo dando un’immagine negativa dell’Europa e generando in alcuni paesi dell’Unione leggi restrittive della libera circolazione degli individui che fanno arrossire e delle quali ci si dovrebbe vergognare. Questa la situazione a tutt’oggi, ora non resta che attendere nuovi sviluppi dal prossimo incontro straordinario dei paesi dell’Unione sperando che la logica, la ragione e l’idea di costruire un’Europa politica si concretizzino attraverso scelte politiche illuminate.
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Giulio Sapelli su Il Messaggero. Tra euro e profughi. L’agonia dell’Europa che ha perso i suoi valori

L’esclusivismo etnico e la storia che ci sorpassa
di Nicolò Migheli

By sardegnasoprattutto/ 14 settembre 2015/ Società & Politica/

“Il faut réfléchir comment l’histoire nous dépasse“. Lo scriveva un mio amico sulla sua bacheca di Fb raccontando lo sconcerto di una funzionaria greca della Commissione Europea davanti alla tragedia dei rifugiati-migranti. Centinaia di migliaia di persone che premono alle nostre frontiere. La fotografia del bambino curdo in una spiaggia turca commuove il continente e costringe frau Merkel ad aprire le frontiere tedesche ai rifugiati siriani. Qualsiasi interpretazione si voglia dare, quel gesto politico cambia l’Europa e ne mostra il limite. Eravamo rimasti alla divisione Nord Sud sull’economia, ed ora ci ritroviamo anche con quella Ovest Est sui valori.

La vecchia e nuova Europa, come ai tempi della guerra contro Saddam Hussein. Da una parte la Germania, Austria, Svezia, Francia, Italia, Spagna e Grecia e dall’altra Polonia, Cechia, Slovacchia ed Ungheria che chiudono le frontiere, dichiarano che non accoglieranno nessuno. In Polonia si manifesta nelle piazze contro l’accoglienza. L’Ungheria accusata di pratiche neonaziste per il muro al confine, i treni blindati, i campi di concentramento, l’uso dei reparti anti sommossa, i lanci di panini e bottiglie d’acqua sugli stranieri chiusi in gabbia. Un’apocalisse della nostra umanità. Quei paesi sono entrati frettolosamente nella Ue senza avere riflettuto seriamente sulla loro storia. Vittime degli espansionismi tedeschi e russi degli ultimi due secoli, ora sono diventati gelosi della loro etnicità esclusiva. Si sentono difensori di una identità omologante, incapaci di dialogare con il diverso.

L’Ungheria in più distribuisce passaporti agli ungheresi cittadini dei paesi limitrofi, nel sogno di poter rimettere in discussione i confini stabiliti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il Governo di Orbán si erge a difensore della civiltà cristiana immaginaria. Un’apocalisse come rivelazione della realtà che tocca noi sardi nel profondo. Occorrerebbe riflettere per l’irruzione della Storia e del mutamento in noi e nei nostri parametri di giudizio.

Occorrerebbe riflettere come i soliti cinici per calcoli di bottega politica usino questi drammi per instillare paure, mettendo contro bisogni legittimi della povertà dei locali e il dovere umano di aiutare chi fugge dalla morte. Perché anche da noi si notano segni pesanti di rifiuto della realtà. Nascono movimenti che usano la retorica identitaria per marcare confini.

Un’identità che si immagina ferma ed immutabile, il sogno di un comunitarismo cerchio caldo, per usare la brillante definizione di Göran Rosemberg. Una concezione dell’identità simile a quella dei teorici waabiti dell’Isis. Saremo salvi se non ci saranno contaminazioni, se tutti si riconosceranno come i-dentici. Perché ciò avvenga è necessario costruirsi sempre è comunque come vittime – il collettivo Wu Ming, ha scritto un articolo illuminante a proposito- di un presente che non si riesce a capire e di un passato raccontato sempre con il mito della perdita. Perché l’oggi, grazie a Tv e reti sociali, induce un tempo schiacciato sul presente, una rimozione della memoria che impedisce ogni elaborazione che sia riflessione, che sia razionalità e non semplice razionalizzazione.

Ad esempio, ogni fatto terroristico viene sottolineato con un “Da oggi siamo in guerra”. Il conflitto permanente come instrumentum regni. Ogni sbarco vissuto come invasione. Una forma sofisticata di controllo sociale che comincia con l’essere sottoposti continuamente a narrazioni manipolate, ad una incessante riproposizione di video e messaggi violenti che oltre a indurre assuefazione abbassano pericolosamente il confine della percezione dell’orrore, fino ad essere il rumore di fondo della nostra psiche. L’indignazione come corollario, il sentimentalismo e non il sentimento. Le passioni fredde che uccidono l’empatia. Tv e reti sociali il luogo eletto per un continuo lavaggio del cervello che si traduce in senso comune di ostilità nei confronti di chi è diverso, povero, fugge.

Un bisogno di ordine che somiglia molto al ritorno nel grembo materno. La sindrome del ritiro, la chiama così lo psicanalista Luigi Zoia. Una realtà che mi preoccupa molto come sardo; come la nostra nazione ad identità debole si lascia traviare in una deriva etnica esclusiva, che immagini l’appartenenza solo legata a sangue e terra, con il corollario della folklorizzazione incessante. Questo governo regionale, bloccando ogni intervento per la crescita del sardo come lingua normale, ha creato uno degli elementi che accentuano l’identità labile dei sardi. Le azioni di governo che non difendono la nostra terra dal Land Grabbing, sono ulteriori fatti che inducono il senso della perdita. Su quello i teorici dello scontento potranno costruire il rifiuto dell’altro indicato come causa di tutti i mali. Da quella rabbia il nostro inconscio collettivo potrà produrre il mostro.

L’Orbán in vellutino aspetta solo l’occasione giusta per manifestarsi. Occorre riflettere su come la Storia ci sorpassi. Non siamo riusciti a prevederla, ma almeno cerchiamo di fare in modo che non ci travolga e ci muti in peggio per sempre.
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lanzicchnecchi
Ben vengano i “barbari”
di Umberto Cocco

By sardegnasoprattutto / 15 settembre 2015/ Società & Politica/

Tutto accade troppo tardi, chi non lo vede? Arriva tardi la coscienza dell’Europa, o di una sua parte, davanti alle migrazioni che la penetrano. Anche l’articolo di Nicolò Migheli arriva tardi… Ma è il primo che proviene da quel mondo, è così sincero e così sinceramente autocritico, che il riferimento alle colpe altrui, il Land Grabbing, etc., sembra un inciampo nel ragionamento, forse un riflesso condizionato.

Tutte le versioni dell’indipendentismo, del sovranismo, del sardismo, sembrano così fuori tempo in queste settimane. I nazionalismi che rialzano la testa in Europa come vede bene Migheli hanno un inquietante profilo, salvo forse che in Scozia. Ma tutti sembrano ideologie obsolete, con le quali ora è pericoloso baloccarsi, alla vigilia di uno sconvolgimento delle nostre società dove il peggio può venire dal confronto-scontro di identità, le nostre e le loro.

Si vedeva da lontano che la moltiplicazione dei movimenti indipendentisti e sovranisti coincideva con la caduta della presa reale di quella prospettiva sulla società sarda. Secolarizzata, smagata, subalterna a modelli culturali e sottoculturali prodotti altrove, e che mentre distrugge ogni tratto di autonomia propria anche personale e comunitaria (le case, la lingua, il paesaggio, i beni culturali) e non produce nemmeno più beni per il proprio autoconsumo, si ubriaca di retorica, di folclore, costumi sardi a processioni dal Redentore a piazza San Pietro (gli insegnanti dal Papa), all’Expo dove molti sardi si sono vergognati di essere rappresentati così, e io con loro.

Poca e nessuna autonomia e figurarsi indipendentismo, ma il petto gonfio di aria, ogni segno identitario volgarizzato e pompato con un autocompiacimento che fa tristezza e non credo si ricordi a questi livelli di pervasività nei 50 anni passati. (Che ci fa l’assessore Morandi nelle foto sui giornali affiancato a donne in costume e maschere di carnevale fuori contesto? Che sorriso si mette in faccia, perché?

A nessuno della giunta regionale o comunale è venuto in mente di farsi fotografare con Francesco Cucca? Leggete la Repubblica di oggi, ne scrive Elena Cattaneo, nientemeno).

Scusate lo sfogo. E’ anche perché non si sta meglio a sinistra. E’ una democristiana tedesca la leader più coraggiosa di questa fase, dopo il Papa cattolico. Tutte le altre posizioni, le cautele, le chiacchiere di Renzi, saranno spazzate via, e le velleità alla Syriza, ahimè, pure, e speriamo non anche Corbyn.

Anche per cambiare questa esausta società sarda, le stanche società europee, ben vengano i barbari, si potrebbe dire con il poeta.
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bandieraUE
Ludwing Van Beethoven InnoGioiaBeethoven, Inno alla Gioia
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ape-innovativa Europa, Europa… Una piccola proposta di grande significato simbolico: dovunque possibile, insieme agli inni sardo e italiano, sia eseguito l’inno europeo, l’inno alla gioia!
A proposito di Inno alla Gioia, inno europeo, ricordiamo quanto detto in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università della Sardegna-Università di Sassari: (…) – Benissimo l’inno sardo “Procurade ‘e moderare” eseguito dopo quello italiano. Annotiamo che ci sarebbe stato bene anche l’Inno alla gioia di Beethoven, che, come è noto, è l’inno dell’Unione Europea, sebbene forse non ufficiale, come peraltro non è ufficiale l’inno sardo.
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tramonto notte ricercatoricagliari
Il ruolo di Cagliari per l’Europa che vogliamo
di Franco Meloni

Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando all’esperienza amministrativa del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e della sua Giunta. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco ha cercato di fare ha aspetti positivi a vantaggio dei cittadini cagliaritani. E di questo occorre dare atto, come abbiamo fatto in diverse circostanze. Ma certamente non basta. L’amministrazione Zedda ha finito per rinchiudersi nell’ambito dell’ordinario, senza azzardare progetti strategici di lungo respiro dei quali la città ha invece ineludibile bisogno, pena l’acuirsi di processi di decadenza e marginalità. Ecco perché si avverte l’inadeguatezza degli attuali amministratori unita alla non credibilità che siano in grado di prospettare esiti diversi per il futuro. Cagliari non ha finora saputo esercitare quel ruolo decisivo che le compete: di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone (e dovrebbe poter disporre in misura maggiore) di risorse specifiche, che, al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate, cioè a tutti i sardi. In Sardegna abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase, come necessità, non certo, purtroppo, come visioni politiche egemoni e concrete realizzazioni e come attuale classe dirigente in grado di farsene carico. Al riguardo è richiesto soprattutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade debba essere l’Europa, non certo l’attuale Europa, che in questa fase storica sta dimostrando la sua inadeguatezza, proprio perché chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli, capace di accogliere nuove genti e con esse rigenerarsi. In questo recuperando i valori delle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione o Federazione di Stati è solo ancora un sogno, e l’integrazione politica rischia di arretrare anche rispetto agli scarsi attuali livelli.
Allora Cagliari deve conquistare sul campo il ruolo di “città capitale”, sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa, della quale può rappresentare in certa parte le politiche per il Mediterraneo (soprattutto della sua sponda sud). Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro la stessa “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
bandieraUE
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Europa, Europa…

filo_spinato europesedia di VannitolaRilanciare il processo di costruzione dell’Europa politica con un piano unitario per l’accoglienza dei migranti.
di Vanni Tola
La giornata di ieri, 15 settembre, ha un significato particolare nel panorama politico europeo. Ha sancito l’inconsistenza o, se preferite, l’inesistenza dell’Europa politica, la mancanza di obiettivi politici unificanti intorno ai quali realizzare e concretizzare l’idea stessa di Unione Europea teorizzata dai padri dell’europeismo. L’Europa, molti lo denunciano da tempo, al momento è soltanto una entità economico-finanziaria creata intorno alla moneta unica euro e tenuta insieme dalle scelte della Banca Centrale Europea. Al di fuori da tale ambito l’Unione non esiste, non decolla un progetto di unione politica, di scelte condivise, di stati uniti d’Europa. In sole tre settimane si sono registrate una serie infinita di cambiamenti di fronte che, se pure aprono qualche spiraglio di ottimismo, evidenziano la inconsistenza del progetto unitario del vecchio continente. La questione del profughi, dopo essere stata confinata a problema geopolitico limitato alla sola Europa mediterranea, si è manifestato in tutta la sua portata come fenomeno straordinario e duraturo che coinvolge l’intero continente. La Germania della Merkel, con un incredibile cambiamento di rotta, ha mostrato per prima di aver colto la complessità del problema e ha risposto dichiarando e mettendo in pratica delle scelte di grande apertura in termini di accoglienza. Per conseguenza si sono intensificati gli arrivi di profughi che ormai non arrivano più e soltanto dal mare ma anche attraverso altre vie, attraversando diversi paesi dell’est europeo. E’ a questo punto che esplodono le contraddizioni finora dormienti. Una consistente parte dell’Unione dichiara esplicitamente che non intende accogliere profughi e neppure consentirne il transito verso altri paesi. Ricompaiono i confini chiusi da filo spinato e sorvegliati dall’esercito che ricordano ai meno giovani un triste passato fatto di divisioni, guerre, muri. Un’altra parte dell’Europa invece si mobilita con slancio per realizzare la migliore accoglienza possibile dei profughi. La gente in particolare, superando i ritardi dei politici, si mobilita con entusiasmo, accoglie i profughi con affetto e simpatia, offre ospitalità nelle case. Due realtà diverse e contrapposte che andrebbero raccordate. Si propone di formalizzare e applicare il criterio della cittadinanza europea superando i vecchi trattati che, nei fatti, confinavano i migranti nel paese di prima accoglienza limitandone la circolazione in Europa. Si ripropone il criterio della ripartizione dei migranti fra i diversi paesi dell’Unione sulla base di quote obbligatorie di accoglienza. E arriviamo alla giornata di ieri, agli incontri tra i paesi dell’Unione durante i quali diversi paesi dell’est Europa ripropongono con forza la loro scelta di non accogliere migranti rendendo irrealizzabile il progetto unitario di accoglienza che si andava delineando. L’Unione europea, sulla questione dei migranti mostra cosi il nanismo politico del gigante economico realizzato intorno all’euro. Ora l’intera vicenda della accoglienza è demandata alla riunione urgente dei capi di governo che si terrà la prossima settimana nel tentativo di produrre una qualche scelta umanitaria mentre l’Ungheria e altri paesi blindano i loro confini e arrestano i migranti che li violano, mentre continuano gli sbarchi, le drammatiche vicende di uomini, donne e bambini sempre più disperati e mentre paesi quali l’Austria, alcuni paesi del nord Europa e perfino la Svizzera ribadiscono volontà e disponibilità ad accogliere di più e meglio. L’Italia fa la sua parte in termini di accoglienza in tutte le regioni, comprese quelle controllate dalla Lega ma continuano le provocazioni delle forze politiche razziste e xenofobe locali alla disperata ricerca di consensi elettorali fondati su disinformazione e paure della gente. L’ultima in ordine di tempo la scelta di togliere i finanziamenti della regione Lombardia a quelle strutture alberghiere che, rispondendo all’appello del Ministero dell’Interno, dovessero concedere ospitalità ai migranti. Commentando il fallimento della riunione europea del 15 settembre, che avrebbe dovuto definire il progetto delle quote di accoglienza dei profughi, il vice cancelliere tedesco ha dichiarato che con tale fallimento l’Unione europea si è coperta di ridicolo dando un’immagine negativa dell’Europa e generando in alcuni paesi dell’Unione leggi restrittive della libera circolazione degli individui che fanno arrossire e delle quali ci si dovrebbe vergognare. Questa la situazione a tutt’oggi, ora non resta che attendere nuovi sviluppi dal prossimo incontro straordinario dei paesi dell’Unione sperando che la logica, la ragione e l’idea di costruire un’Europa politica si concretizzino attraverso scelte politiche illuminate.
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Giulio Sapelli su Il Messaggero. Tra euro e profughi. L’agonia dell’Europa che ha perso i suoi valori

Oggi 16 gennaio 2015 venerdì

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: sabato 17 a Cagliari Corradino Mineo.
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ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413

Settimana di ordinaria servitù

miliziani-1-5-14-300x214di Salvatore Cubeddu *
Cagliari, sabato 18 ottobre 2014
Si fa in fretta a fare il collegamento: mentre la Banca Popolare dell’Emilia Romagna va completando la sua definitiva presa di possesso delle banche sarde (Banco di Sardegna e Banca di Sassari), ora una cooperativa emiliana andrà a scavare il monumento più vissuto della storia dei Sardi, i giganti di Mont’e Prama: la scoperta archeologica dell’area mediterranea più importante negli ultimi cinquant’anni, nel cuore della civiltà occidentale. Aggiungiamoci il cedimento della giunta Pigliaru agli italo-cinesi di Narbolia nel fotovoltaico, il consenso del tribunale italiano in Sardegna alle esigenze dei militari (italiani) in barba a Pigliaru: avremo così una normale settimana di servitù della Sardegna agli organismi dello stato italiano. (Una parentesi: non è però da considerare un torto fatto ai Sardi la scelta di Matera rispetto a Cagliari. Dei limiti dell’amministrazione di questa nostra città nel campo culturale sarà bene iniziare a porci le domande che urgono da tempo, a costo di affermare delle verità non proprio piacevoli).
Siamo da mesi (anni?) in costante mobilitazione anti/servitù: militare (Capo Frasca, e via elencando); industriale (Matrica e gli emuli di Macchiareddu, P. Vesme, Chilivani e per la chimica verde), energetica (i precedenti, più le incursioni fotovoltaiche promosse e protette dai ministeri romani), territoriale (l’acquisto in corso dei terreni agricoli delle pianure con l’appoggio della Coldiretti), bancaria e culturale (i giganti ‘romagnoli’, non a caso promossi dalla sinistra in entrambi i casi).
C’è la generazione dei post-sessantenni, ormai quasi tutta pensionata, che continua nei modelli comportamentali della sua militanza giovanile e si sposta di qua e di là per l’Isola, accompagnata da non molti giovani volenterosi, senza che la difesa dei diritti dell’oggi diventi una sicura conquista per il domani.
Ma: come ci si muove allorchè un provvisorio armistizio sui poligoni concesso al presidente Pigliaru diventa decisione a favore dei militari da parte del tribunale della stessa Repubblica? E’ possibile andare avanti senza che le nostre conquiste vengano difese da nostre leggi, ad iniziare da quella fondamentale dello Statuto-costituzione della Sardegna?
Dobbiamo approvare una legge dove si dica che sui beni archeologici della Sardegna decidono i sardi, che le terre sarde non si vendono perché sono un bene identitario destinato a restare disponibili per noi, che all’Eni non si concede alcuna fiducia finchè non risana le terre che già ha rovinato, che le banche devono ritornare a essere gestite da e per la Sardegna, che l’energia la produciamo noi e per i nostri interessi. Con tutto il resto che si scrive nelle costituzioni dei popoli.
Il Consiglio regionale, nella sessione estiva dedicata alle riforme istituzionali, ha invece deciso di rimandare tutto. In realtà non ha deciso niente in maniera chiara. Quello che è successo va interpretato. Alla sarda. Perché da noi si parla ancora soprattutto con il silenzio o in suspu, direbbero i barbaricini.
Il Partito Democratico ‘in Sardegna’ (non esistono i ‘democratici sardi’) attenderà le decisioni di Renzi dopo l’approvazione in parlamento delle riforme istituzionali. Allora dovremo adeguarci alle decisioni assunte a Roma. Perché qui la dirigenza del Partito Democratico tende a rappresentare (ed a rappresentarsi in) Roma e non mostra di avere una propria idea del futuro dell’Isola. Se l’avesse, si metterebbe all’opera per formalizzare un proprio progetto sul nostro futuro in un testo a valore costituzionale che, ad iniziare dallo Stato italiano, tutti dovrebbero rispettare.
Questa settimana di ordinaria servitù è stata preceduta da tante altre, e ad essa ne seguiranno sempre di nuove, finchè … Finchè non ci lasceremo guidare come servi?

P.S. Cosa c’entra tutto questo con la nuova Carta di sovranità argomentata recentemente da Franciscu Sedda, segretario del partito dei sardi? C’entra. Ha a che vedere con la questione di fondo: se esistano per i sovranisti/indipendentisti dei punti programmatici irrinunciabili e se il nuovo statuto sia tra di essi. Dovremo tornare su questo punto.

* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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Cagllari corrre maratona-6apr14ape-innovativa2

A cura di Aladin

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Hanno ragione quanti, pur dispiaciuti per la mancata nomina di Cagliari a “Capitale europea della cultura per il 2019″, apprezzano il lavoro che ha condotto l’amministrazione comunale, sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa, insieme con molti altri, a ottenere comunque un ottimo risultato (essere tra le sei finaliste) e ritengono che occorra ripartire da qui, intanto per cercare di fare quanto ci si era proposti in caso di vittoria, certo con minori mezzi a disposizione; poi si tratta di migliorare il programma da attuare, correggendo gli errori, modificando impostazioni sbagliate o ricercando altre iniziative. A questo punto occorre avviare (anzi riprendere con più vigore) un grande dibattito che, a nostro parere, non può che muoversi per rispondere a questo interrogativo: “Quale è il ruolo di Cagliari rispetto alla Sardegna e, insieme ad essa, all’Europa?” Questo dibattito non può che svilupparsi nella logica del cambiamento. Cioè: “Come deve cambiare Cagliari per giocare un ruolo in e per una Sardegna che deve cambiare per rispondere agli interessi dei sardi. Noi diciamo che questa Sardegna nuova e possibile non possa che realizzarsi come regione d’Europa, di un’Europa che noi vogliamo evidentemente diversa e che pertanto ci impegniamo a cambiare.
Ecco allora una serie di (pochi) appunti per continuare a riflettere e, speriamo, che le idee, le buone idee, si trasformino almeno in buona parte in opere.
cagliari acq
Appunti
Il ruolo di Cagliari per una possibile nuova Europa*
Cagliari ha in Sardegna un ruolo decisivo, una funzione fondamentale di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone di risorse specifiche, che al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate. Nel caso di Cagliari a tutti i sardi. La Sardegna e i sardi abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase. Al riguardo è richiesto sopratutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali, in modo speciale insieme alle altre città della Sardegna e, pertanto, in primo luogo ai Sindaci di queste città – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo concretamente. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade sia l’Europa. Certo non si tratta di accontentarsi dell’attuale Europa, peraltro in crisi perchè troppo chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece di una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli. In questo ritornando al passato, alle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione di Stati è solo un sogno, e l’integrazione politica è attuata solo in piccola parte, carenza che costituisce la principale causa dei guai attuali dell’Unione Europea.
Allora Cagliari deve essere città sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa. Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro, appena delineato, la stesse “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito europeo, nella costruzione della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
* Tratto da un editoriale di Aladinews del 12 marzo 2012
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Matera 2019
Tonino Dessì su fb
Diciamoci la verità. Era, quella di Cagliari, un’impresa improvvisata, nella quale pochi cagliaritani sono stati coinvolti e della quale alla più parte dei sardi poco importava. Ora non cominciamo col vittimismo. In un largo immaginario mediatico (e non solo) certi riconoscimenti si conquistano se si è, per storia passata o almeno per vicende recenti, assunti come un simbolo, come qualcosa di emblematico. Piaccia o meno, Matera e i suoi Sassi sono uno degli emblemi del passato dolente del Sud Italia intero e ogni suo progresso un simbolo di un possibile futuro per l’Italia suo insieme. Non possiamo coltivare differenza e alterità senza sapere che si paga un prezzo.
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Nicolò Migheli su fb
Matera ha vinto perché è da anni che lavora per questo risultato. Ha avuto come sponsor Radio 3 con una trasmissione dedicata come Materadio. Ha vinto perché evidentemente aveva il miglior progetto. Cerchiamo di essere un po’ sportivi, non guasta.
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Ferdinando Secchi su fb
A mente fredda, abbiamo partecipato ad una competizione di straordinaria importanza e siamo arrivati ad un passo dalla vittoria. Abbiamo iniziato per ultimi questo percorso mentre Matera ha programmato la sfida nel 2007. Nella prima fase la nostra idea ha battuto cittá di cultura come Aosta, Bergamo, Caserta, Valle di Diano e Cilento con la Campania e il Mezzogiorno, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Mantova, Palermo, Pisa, Reggio Calabria, Siracusa, Taranto-Sudest, Urbino e Venezia-Nordest. “La cosa più importante della sfida vinta da Matera è la straordinaria capacità progettuale d’insieme che hanno messo in campo le 6 città della short list. Il presidente della Commissione Green ieri ha affermato che nessun’altra competizione è mai stata di questo livello qualitativo”. Il ministro dei beni e delle attività culturale e del turismo, Dario Franceschini. Ha dichiarato “Per questo sono importantissime le due norme approvate dal parlamento con decreto Art Bonus. La prima è il programma Europa 2019 che prevede di sostenere la realizzazione del lavoro progettuale anche delle città che non hanno vinto. La seconda è l’introduzione dal 2015 della Capitale Italiana della cultura e sará una opportunità di competizione virtuosa a tutte le città italiane grandi e piccole, in grado di far scattare gli stessi meccanismi positivi e straordinari in termine di progettazione unitaria e creatività che abbiamo visto ora tra le sei città finaliste”. Mi dispiace per le cugurre e i detrattori ad ogni costo, ma Cagliari ha fatto un lavoro stupendo e otterrà lo stesso grandi risultati e poi come dice Francesco Frisco Abate siamo sempre, ogni anno, la Capitale del Piricocco!
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Cagliari2019 continua
Francesca Ghirra su fb
È stata una sfida bella ed emozionante che ci ha restituito la fiducia e la possibilità di sognare. Sappiamo che uniti siamo capaci di grandi cose. Continuiamo a costruire insieme un futuro migliore per noi e la nostra città. Ce lo meritiamo! ‪#‎cicreu‬ ‪#‎Cagliari2019‬
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L'UnioneSarda testata
- Rimane da vincere la sfida di sempre. Leader vera della Sardegna.. Gianni Filippini su L’Unione Sarda.

Peccato, peccato davvero! Sarebbe stata una gran bella occasione per tirar su la testa e mostrare quell’orgoglio di appartenenza che troppo spesso affoga nel grigiore della quotidianità. Avere il titolo di “Capitale europea della cultura”, poterlo vantare davanti al mondo, sarebbe stata infatti una carta con buone probabilità di essere vincente. E anche un irresistibile e vantaggioso richiamo per milioni di turisti. Di certo avrebbe funzionato da frustino per confermati impegni, rinnovate energie e coinvolgimenti convinti. E più nitida e stimolante sarebbe stata l’apertura di prospettive esaltanti per una crescita socioeconomica promossa e trainata dalla cultura, il potente motore così spesso maltrattato, in generale, da guidatori miopi e da meccanici impreparati. Anche senza il riconoscimento ufficiale, Cagliari può però proporsi – a buon diritto – come città dalle molte, singolari bellezze. Tutte caratteristiche, fra l’altro, che un clima di invidiata mitezza sa esaltare e tradurre in forte attrazione.
I progetti ci sono, bisogna comunque attuarli. Per tentare di vincere la difficile sfida, le cose, bisogna dire, erano state fatte con appassionata determinazione. Le carte presentate dal Comune restano di ottimo livello. Pur con qualche colpevole esclusione, una pattuglia politica e amministrativa ( sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa) – con il contributo di qualificati esperti – aveva sottoposto all’esame della giuria un robusto e articolato dossier di idee creative, di buoni programmi, persino di qualche sogno. Insomma, poco o nulla era stato tralasciato per ottenere il prestigioso titolo. Quindi, il verdetto che nega a Cagliari la particolarissima chance non è il frutto di un impegno inadeguato. Perciò, un condivisibile filo di delusione non può prevalere sulla consapevolezza di aver fatto – persino con risorse limitate – il possibile.
Grave e imperdonabile errore sarebbe adesso il progressivo affievolirsi dell’apprezzato entusiasmo. Senza prospettive Cagliari ripiomberebbe nella fastidiosa routine di città che volta le spalle alla propria straordinaria ricchezza per vivere la soffocante normalità di tante piccole e grandi emergenze. La tensione deve invece restare alta, ogni energia va trasferita sulla sfida di sempre: saper essere veramente la capitale della Sardegna.
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Chiasteddu Onlài
17/10/14
chiasteddu onlai logo nuovo
La Chiapitale della Cultura è Mattera: ma noi tanto ci riproviamo l’anno prossimo

Alla fine no ce l’abbiamo fatta, nonostante ghe no c’è più Ciellino ma Giuliano alla fine il Chiagliari non è la capitale Europea della cultura. Stitzia si coddidi.
Alla fine su youtub hanno deciso ched’è Mattera, sempre ched’esiste e molti già urlano al gomblotto.

Cosa c’è a Mattera alla fine? I sassi, ma là ghe forse non hanno capito che di perdigoni ce n’abbiamo talmente tanti anche noi ghe Calamosca e Calafighera Massi li aveva chiusi a marolla appunto ghe erano fisso arrumbullonando perdigoni sopra la gente.

Dispiaciutissimo Massi ghe però assicura ghe anche se il Cagliari non è diventato Capitale Europea della Cultura gli aperitivini tattici promessi già si faranno l’ostesso, tanto l’ordinanza anticasini della Marina è finita e quindi Mattera ghe la marina manco cel’ha può tranquillamente cagarsi in mano e prendersi a schchiaffi.

Alla fine l’occhialino tattico di Massi non è bastato ad arrettare i livelli di cultura a Chiagliari, ghe comunque rimane sempre la Chiapittale del Mediterranio e quindi tutte le altre possono tranquille tirare in casino.

Ma poi, la verità? La-verità-la-verità? A sfreggio noi ci ritentiamo l’anno prossimo!
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- Per correlazione. Intervento di Franco Meloni su Cagliari e nuove strategie di sviluppo

APPUNTI. Dalla sfida perduta un grande stimolo per ripensare Cagliari e il suo ruolo nella Sardegna e in Europa

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A cura di Aladin

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Hanno ragione quanti, pur dispiaciuti per la mancata nomina di Cagliari a “Capitale europea della cultura per il 2019″, apprezzano il lavoro che ha condotto l’amministrazione comunale, sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa, insieme con molti altri, a ottenere comunque un ottimo risultato (essere tra le sei finaliste) e ritengono che occorra ripartire da qui, intanto per cercare di fare quanto ci si era proposti in caso di vittoria, certo con minori mezzi a disposizione; poi si tratta di migliorare il programma da attuare, correggendo gli errori, modificando impostazioni sbagliate o ricercando altre iniziative. A questo punto occorre avviare (anzi riprendere con più vigore) un grande dibattito che, a nostro parere, non può che muoversi per rispondere a questo interrogativo: “Quale è il ruolo di Cagliari rispetto alla Sardegna e, insieme ad essa, all’Europa?” Questo dibattito non può che svilupparsi nella logica del cambiamento. Cioè: “Come deve cambiare Cagliari per giocare un ruolo in e per una Sardegna che deve cambiare per rispondere agli interessi dei sardi. Noi diciamo che questa Sardegna nuova e possibile non possa che realizzarsi come regione d’Europa, di un’Europa che noi vogliamo evidentemente diversa e che pertanto ci impegniamo a cambiare.
Ecco allora una serie di (pochi) appunti per continuare a riflettere e, speriamo, che le idee, le buone idee, si trasformino almeno in buona parte in opere.
cagliari acq
Appunti
Il ruolo di Cagliari per una possibile nuova Europa*
Cagliari ha in Sardegna un ruolo decisivo, una funzione fondamentale di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone di risorse specifiche, che al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate. Nel caso di Cagliari a tutti i sardi. La Sardegna e i sardi abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase. Al riguardo è richiesto sopratutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali, in modo speciale insieme alle altre città della Sardegna e, pertanto, in primo luogo ai Sindaci di queste città – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo concretamente. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade sia l’Europa. Certo non si tratta di accontentarsi dell’attuale Europa, peraltro in crisi perchè troppo chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece di una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli. In questo ritornando al passato, alle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione di Stati è solo un sogno, e l’integrazione politica è attuata solo in piccola parte, carenza che costituisce la principale causa dei guai attuali dell’Unione Europea.
Allora Cagliari deve essere città sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa. Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro, appena delineato, la stesse “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito europeo, nella costruzione della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
* Tratto da un editoriale di Aladinews del 12 marzo 2012
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Matera 2019
Tonino Dessì su fb
Diciamoci la verità. Era, quella di Cagliari, un’impresa improvvisata, nella quale pochi cagliaritani sono stati coinvolti e della quale alla più parte dei sardi poco importava. Ora non cominciamo col vittimismo. In un largo immaginario mediatico (e non solo) certi riconoscimenti si conquistano se si è, per storia passata o almeno per vicende recenti, assunti come un simbolo, come qualcosa di emblematico. Piaccia o meno, Matera e i suoi Sassi sono uno degli emblemi del passato dolente del Sud Italia intero e ogni suo progresso un simbolo di un possibile futuro per l’Italia suo insieme. Non possiamo coltivare differenza e alterità senza sapere che si paga un prezzo.
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Nicolò Migheli su fb
Matera ha vinto perché è da anni che lavora per questo risultato. Ha avuto come sponsor Radio 3 con una trasmissione dedicata come Materadio. Ha vinto perché evidentemente aveva il miglior progetto. Cerchiamo di essere un po’ sportivi, non guasta.
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Ferdinando Secchi su fb
A mente fredda, abbiamo partecipato ad una competizione di straordinaria importanza e siamo arrivati ad un passo dalla vittoria. Abbiamo iniziato per ultimi questo percorso mentre Matera ha programmato la sfida nel 2007. Nella prima fase la nostra idea ha battuto cittá di cultura come Aosta, Bergamo, Caserta, Valle di Diano e Cilento con la Campania e il Mezzogiorno, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Mantova, Palermo, Pisa, Reggio Calabria, Siracusa, Taranto-Sudest, Urbino e Venezia-Nordest. “La cosa più importante della sfida vinta da Matera è la straordinaria capacità progettuale d’insieme che hanno messo in campo le 6 città della short list. Il presidente della Commissione Green ieri ha affermato che nessun’altra competizione è mai stata di questo livello qualitativo”. Il ministro dei beni e delle attività culturale e del turismo, Dario Franceschini. Ha dichiarato “Per questo sono importantissime le due norme approvate dal parlamento con decreto Art Bonus. La prima è il programma Europa 2019 che prevede di sostenere la realizzazione del lavoro progettuale anche delle città che non hanno vinto. La seconda è l’introduzione dal 2015 della Capitale Italiana della cultura e sará una opportunità di competizione virtuosa a tutte le città italiane grandi e piccole, in grado di far scattare gli stessi meccanismi positivi e straordinari in termine di progettazione unitaria e creatività che abbiamo visto ora tra le sei città finaliste”. Mi dispiace per le cugurre e i detrattori ad ogni costo, ma Cagliari ha fatto un lavoro stupendo e otterrà lo stesso grandi risultati e poi come dice Francesco Frisco Abate siamo sempre, ogni anno, la Capitale del Piricocco!
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Cagliari2019 continua
Francesca Ghirra su fb
È stata una sfida bella ed emozionante che ci ha restituito la fiducia e la possibilità di sognare. Sappiamo che uniti siamo capaci di grandi cose. Continuiamo a costruire insieme un futuro migliore per noi e la nostra città. Ce lo meritiamo! ‪#‎cicreu‬ ‪#‎Cagliari2019‬
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L'UnioneSarda testata
- Rimane da vincere la sfida di sempre. Leader vera della Sardegna.. Gianni Filippini su L’Unione Sarda.

Peccato, peccato davvero! Sarebbe stata una gran bella occasione per tirar su la testa e mostrare quell’orgoglio di appartenenza che troppo spesso affoga nel grigiore della quotidianità. Avere il titolo di “Capitale europea della cultura”, poterlo vantare davanti al mondo, sarebbe stata infatti una carta con buone probabilità di essere vincente. E anche un irresistibile e vantaggioso richiamo per milioni di turisti. Di certo avrebbe funzionato da frustino per confermati impegni, rinnovate energie e coinvolgimenti convinti. E più nitida e stimolante sarebbe stata l’apertura di prospettive esaltanti per una crescita socioeconomica promossa e trainata dalla cultura, il potente motore così spesso maltrattato, in generale, da guidatori miopi e da meccanici impreparati. Anche senza il riconoscimento ufficiale, Cagliari può però proporsi – a buon diritto – come città dalle molte, singolari bellezze. Tutte caratteristiche, fra l’altro, che un clima di invidiata mitezza sa esaltare e tradurre in forte attrazione.
I progetti ci sono, bisogna comunque attuarli. Per tentare di vincere la difficile sfida, le cose, bisogna dire, erano state fatte con appassionata determinazione. Le carte presentate dal Comune restano di ottimo livello. Pur con qualche colpevole esclusione, una pattuglia politica e amministrativa ( sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa) – con il contributo di qualificati esperti – aveva sottoposto all’esame della giuria un robusto e articolato dossier di idee creative, di buoni programmi, persino di qualche sogno. Insomma, poco o nulla era stato tralasciato per ottenere il prestigioso titolo. Quindi, il verdetto che nega a Cagliari la particolarissima chance non è il frutto di un impegno inadeguato. Perciò, un condivisibile filo di delusione non può prevalere sulla consapevolezza di aver fatto – persino con risorse limitate – il possibile.
Grave e imperdonabile errore sarebbe adesso il progressivo affievolirsi dell’apprezzato entusiasmo. Senza prospettive Cagliari ripiomberebbe nella fastidiosa routine di città che volta le spalle alla propria straordinaria ricchezza per vivere la soffocante normalità di tante piccole e grandi emergenze. La tensione deve invece restare alta, ogni energia va trasferita sulla sfida di sempre: saper essere veramente la capitale della Sardegna.
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Chiasteddu Onlài
17/10/14
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La Chiapitale della Cultura è Mattera: ma noi tanto ci riproviamo l’anno prossimo

Alla fine no ce l’abbiamo fatta, nonostante ghe no c’è più Ciellino ma Giuliano alla fine il Chiagliari non è la capitale Europea della cultura. Stitzia si coddidi.
Alla fine su youtub hanno deciso ched’è Mattera, sempre ched’esiste e molti già urlano al gomblotto.

Cosa c’è a Mattera alla fine? I sassi, ma là ghe forse non hanno capito che di perdigoni ce n’abbiamo talmente tanti anche noi ghe Calamosca e Calafighera Massi li aveva chiusi a marolla appunto ghe erano fisso arrumbullonando perdigoni sopra la gente.

Dispiaciutissimo Massi ghe però assicura ghe anche se il Cagliari non è diventato Capitale Europea della Cultura gli aperitivini tattici promessi già si faranno l’ostesso, tanto l’ordinanza anticasini della Marina è finita e quindi Mattera ghe la marina manco cel’ha può tranquillamente cagarsi in mano e prendersi a schchiaffi.

Alla fine l’occhialino tattico di Massi non è bastato ad arrettare i livelli di cultura a Chiagliari, ghe comunque rimane sempre la Chiapittale del Mediterranio e quindi tutte le altre possono tranquille tirare in casino.

Ma poi, la verità? La-verità-la-verità? A sfreggio noi ci ritentiamo l’anno prossimo!
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- Per correlazione. Intervento di Franco Meloni su Cagliari e nuove strategie di sviluppo

DRITTO&ROVESCIO. in giro con la lampada di aladin sulle Nazioni senza Stato…

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DRITTO E ROVESCIO MARIA LAIbandiera-scozzese-band 4 mori
- Referendum sull’indipendenza: quel no che accomuna la Scozia al Québec. ADRIANO BOMBOI su SardegnaSoprattutto .
- LA VERA AUTONOMIA È QUELLA ECONOMICA . ANDREA SABA su La Nuova Sardegna
Mentre procede, fra spinte ed ostacoli, il processo di unificazione europea, un secondo movimento simultaneo spinge verso la ricerca di una indipendenza nazionale. Al contrario di Catalogna e Scozia, non possiamo rivendicare ricompense per la ricchezza prodotta.
- UNA STAGIONE NUOVA DOVE SI PUÒ SCEGLIERE. FRANCISCU SEDDA su La Nuova Sardegna.
La storia è in cammino. In Scozia come altrove. Con buona pace dei conservatori di ogni parte e colore. Di coloro che vorrebbero ibernare il mondo.
UNA GRANDE LEZIONE Come si è arrivati a tanto? Rafforzando la coscienza storica nazionale e investendo in istruzione.

Referendum per l’indipendenza della Scozia. Vincono i no (55 % contro il 45% dei si). Una grande prova di democrazia che rilancia l’unità politica per un’Europa confederata

L’affluenza è stato un record assoluto, nei seggi si è recato oltre l’85 per cento degli scozzesi
Scozia bandiera
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Sardos-po-sIscozia-300x224Care sorelle e cari fratelli scozzesi,
la nostra presenza in Scozia in questo tempo cruciale per la vostra storia e per la storia d’Europa, la storia di tutti noi, vuole essere un sincero atto di vicinanza e ammirazione per quello che avete fatto e state facendo: arrivare pacificamente a sancire il diritto all’autodeterminazione coinvolgendo un’intera nazione in un grande momento di responsabilità collettiva e di sovranità popolare.

Ciò che risalta e conforta, l’insegnamento che cogliamo dalla vostra esperienza, è che questa libertà di decidere, questa possibilità di scegliere se divenire Stato indipendente, voi l’avete conquistata con un lavoro di anni, giorno per giorno, con tenacia e pazienza, tanto nutrendo la vostra coscienza storica nazionale quanto governando attraverso il vostro Parlamento la vostra società, rendendola più prospera e più giusta.

Voi ci avete mostrato che il referendum di autodeterminazione non è l’inizio di una storia ma il segno che una storia nuova è già iniziata. Una storia costruita attraverso il concorso e la partecipazione di ogni singola donna e uomo di Scozia, capaci di elevarsi al ruolo di quotidiani eredi della vostra splendida Dichiarazione di Arbroath:

In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà… per quella sola, a cui nessun uomo retto rinuncerebbe, anche a prezzo della vita stessa.

Per questo, qualunque sarà il risultato del referendum, noi sappiamo che voi avete già vinto: il cammino per rimettere il futuro della Scozia nelle mani degli scozzesi, come avete efficacemente scritto, è tracciato.

Noi siamo qui in rappresentanza di tanta parte della gente sarda, dei nostri partiti e del nostro Parlamento per tessere un legame che vorremmo che si facesse sempre più profondo. Ma soprattutto siamo qui a rappresentare il sentimento crescente del nostro popolo, un popolo che sempre più anela a riprendersi la sua sovranità e tornare a prendere in mano le redini della propria storia. Un popolo che ambisce a scrivere la sua costituzione, rinverdendo i fasti di quella Carta de logu che, come la vostra Dichiarazione di Arbroath, dalle profondità del medioevo ci chiede di continuare a lavorare per il bene “dessa republica sardisca”.

Il vostro esempio ci sarà d’aiuto e di conforto nei momenti difficili. I vostri successi saranno motivo di entusiasmo come fossero i nostri.

Viva la Scozia! Viva la Sardegna!

Cagliari, 15 settembre 2014

Scozia bandiera
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“Messaggio alle donne e agli uomini di Sardegna al popolo della Scozia”
Il messaggio, promosso dalla Fondazione Sardinia, è stato discusso e fatto proprio dalle organizzazioni Irs, Partito dei Sardi, Progres, Rossomori, Sardigna Libera, Sardigna Natzione, Sel, Unidos, Confederazione Sindacale sarda, Confederazione dei Verdi, Sardegna Sostenibile e Sovrana ed è stato letto e condiviso nel convegno tenutosi lunedì 15 settembre a Cagliari.
Nei prossimi giorni il messaggio verrà consegnato al comitato per il sì all’indipendenza della Scozia da una delegazione composta da rappresentanti dei partiti e movimenti che l’hanno sottoscritto e da altri che si recherà ad Edimburgo in occasione del referendum, previsto per giovedì 18 settembre.

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Pusticras, zoja su 18 de cabidanni, in Iscòtzia sa zente at a botare “Eja” o “Nono” a su naschimentu de unu Istadu iscotzesu nou indipendente dae su Rènniu Unidu.
Custu messazu ki publicamus (bortadu in sardu) inoghe a suta est istadu promòvidu dae sa Fondazione Sardinia e a pustis firmadu dae iRS, Partito dei Sardi, ProgReS, Rossomori, Sardigna Libera, Sardigna Natzione, Sel, Unidos, Confederazione Sindacale sarda, Confederazione dei Verdi e Sardegna Sostenibile e Sovrana.
At a esser batidu, in Edimburgu, a su comitadu pro su “Eja” dae unu cant’e delegados sardo
s.

Messazu de sas fèminas e de sos òmines de Sardìnnia a su pòpulu de Iscòtzia

Sorres e frades iscotzesos keridos,
su de esser presentes in Iscòtzia in custu tempus importante meda pro s’istòria bostra e d’Europa, s’ìstoria de nois totus, keret esser unu atu sintzillu de acostazadura e ammiru pro su ki azis fatu e sezis faghinde: arribare, de manera paghiosa, a santzire su deretu a s’autodeterminatzione, faghinde mòvere a una natzione intrea in d’unu momentu mannu de responsabilidade colletiva e de soberania populare.

Su ki bessit a pizu e allèbiat, s’amparu ca nde leamus dae s’esperièntzia bostra, est ca custa libertade de detzìdere, custa possibilidade de seberare si divenner Istadu indipendente, bois dd’azis conkistada cun d’unu tribàlliu de annos, die pro die, cun aguantu e passèntzia, dande alimentu a sa cussèntzia natzionale bostra e fintzas gubernande a sa sotziedade a mèdiu de su Parlamentu bostru, bortandedda in prus rica e prus zusta.

Bois nos azis mustradu ca su referendum de autodeterminatzione no est s’incumintzu de una istòria ma su sìnniu ca una istòria noa est incumintzada zae. Una istòria fraigada cun s’azudu e sa partetzipadura de dònnia fèmina e òmine de Iscòtzia, àbiles a si nde pesare a rolu de erederos cotidianos de sa bostra galana Declara de Arbroat:
pro narrer su beru no est pro sa glòria, no pro sas rikesas, no pro sos onores ca nois cumbatimus, ma pro sa libertade… pro cussa ibia, ca niunu òmine balente diat lassare, puru a prètziu de sa pròpria vida.

Pro custu, cale siat su resultadu de su referendum, nois ischimus ca bois zae azis bintu: su caminu pro torrare a ponner su benidore de s’Iscòtzia in sas manos de sos iscotzesos, comente azis iscritu de manera potentiva, est sinniadu.

Nois semus inoghe rapresentande a un’ala manna de sa zente sarda, de sos partidos nostros e de su Parlamentu nostru pro intramare unu liamu ki diamus a kerrer semper prus fundudu. Ma semus inoghe mescas pro rapresentare a su sentidu semper prus mannu de su pòpulu nostru, unu pòpulu ki semper prus disizat de si torrare a pigare sa soberania sua e de si pigare in sas manos s’istòria sua. Unu pòpulu ki ambitzionat de iscrier sa costitutzione sua, imbirdinde a sos isciòrios de sa Carta de logu ki, ke a sa bostra Declara de Arbroat, dae sos fùndigos de s’Època de Mesu nos priguntat de sighire a triballiare pro su bene “dessa Republica Sardisca”.

S’assempru bostru nos at a esser de azudu e de cufortu in sos mementos difìtziles. Sas vitòrias bostras ant a esser càusa de cuntentesa comente ki fuint nostras.

Bivat s’Iscòtzia! Bivat sa Sardìnnia!

Casteddu, 15 de cabidanni 2014
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Il Consiglio regionale sul percorso delle riforme (nuovo Statuto e dintorni): prevale un’eccessiva prudenza e la maggioranza va da sola

stemma_regione_sardegnacancellCONSIGLIO REGIONALE DELLA REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Seduta n.23 del 23/07/2014 – XXIII Seduta
Mercoledì 23 luglio 2014
Presidenza del Presidente Gianfranco GANAU
La seduta è aperta alle ore 16 e 16.(OMISSIS)
Discussione e approvazione della risoluzione sul percorso delle riforme. (N. 3 (3 com)). - segue -

Riflessioni a margine del Convegno Corsica oggi. Per la costituzione dell’euroregione delle Isole del Mediterraneo

Mediterraneo

Corsicaoggi
di Aladin
Ci saranno altre sedi e nuovi spazi per parlare a fondo di quanto abbiamo discusso nell’ottima iniziativa di Vito Biolchini sulla “Corsica oggi”, promossa in collaborazione con l’associazione Sardegna Sostenibile e Sovrana, la Fondazione Sardinia e il sito Sardegna Soprattutto, e tenutasi lunedì 26 maggio, con relatori i giornalisti di “Radio Corse Frequenza” Mora Petru Mari e Petruluigi Alessandri, intervistati da Vito Biolchini e Salvatore Cusimano, quest’ultimo direttore della sede Rai della Sicilia. Aladinews riporterà informazioni e riflessioni scaturite nell’evento, anche riprendendole da altri siti/blog. Qui scegliamo di rilanciare una importante proposta presente nel dibattito, la cui realizzazione darebbe corposo seguito all’iniziativa dei giornalisti delle tre isole coinvolte (Corsica, Sicilia e Sardegna). Si tratta della costituzione di un’euroregione che potrebbe coinvolgere tutte o gran parte delle isole del Mediterraneo, appartenenti, allo stato, ad almeno sei paesi europei: Italia (Sicilia e Sardegna), Francia (Corsica), Baleari (Spagna), Malta, Grecia, Cipro. Seguendo al riguardo le indicazioni dell’Unione Europea, che pone la costituzione delle euroregioni tra gli obiettivi delle politiche comunitarie (programmazione 2014-2020), incentivandole con specifiche risorse finanziare. Sulle euroregioni Aladin è intervenuta diverse volte, anche dando conto di interessanti iniziative in corso. Per brevità rimandiamo a quei contributi. Riprenderemo comunque il discorso. Qui ci piace proporre un’opinione del giornalista corso Petruluigi Alessandri, secondo cui oggi gli indipendentisti e i nazionalisti corsi guardano con favore all’Europa, per la ragione che è credibile, realistico e in certa misura agevole, perseguire l’indipendenza iscrivendola nella cornice dell’Europa, meglio: degli Stati Uniti d’Europa. Vale per molti movimenti indipendentisti corsi, ma, crediamo, anche per molti movimenti indipendentisti e sovranisti sardi, come pure di altri paesi europei. Il suggestivo concetto è stato così espresso da Alessandri “si tratta di consentire che le nazioni senza stato possano costruirlo nella Confederazione degli Stati Uniti d’Europa”. Concordiamo, pensando ovviamente anche alla Sardegna. Sì, va bene: è un discorso complesso, che necessità di molte puntualizzazioni e approfondimenti. Lo faremo. Per ora ci piace segnalarlo comunque, con la dovuta urgenza, come “Punta ‘e billettu”.
cordicaoggi2corsicaoggi3corsicaoggi4
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Le foto sono di Piero Marcialis
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corsica oggi

L’Europa che vogliamo

Il ratto di Europa Mosaico  III sec. d.C BeirutIL CATALOGO “EUROPA”
di Aladin
Oggi, con la guida esperta e sapiente di Licia, iniziamo a pubblicare foto di opere artistiche che hanno come tema l’Europa, progetto che abbiamo chiamato IL CATALOGO “EUROPA”. Per noi è un modo, tra i tanti possibili e praticabili, di partecipare alla campagna elettorale per l’elezione del Parlamento europeo, del 25 maggio prossimo. L’arte ci parla, si dice che l’Europa non è un’invenzione, Viene da lontano e anche per il suo consolidarsi nella storia deve continuare a proporsi. Oggi l’Europa che è stata costruita nei secoli è comunque un’entità identitaria che, solo per riferirci ai tempi più vicini, è passata da terra di guerre a terra di pace, di assenza di conflitti cruenti, sebbene non in toto, se solo pensiamo ai conflitti balcanici e ai più recenti avvenimenti ukrainici. Tuttavia, anche considerate tali situazioni, l’Europa costruita dopo la seconda guerra mondiale ha consentito sostanzialmente 70 anni di apprezzabile pace e relativa prosperità. Oggi quest’Europa, concretizzatasi istituzionalmente nell’Unione Europea, è sì una grande potenza economica mondiale, ma una piccola entità politica, di scarso peso politico nello scenario mondiale, proprio perchè non compiuta rispetto alle indicazioni dei suoi padri fondatori e, diciamo noi, alle esigenze di una grande entità democratica, anzi negli ultimi anni è preda di una crescente crisi di coesione, oltre che economica. Delle quali crisi fanno le spese soprattutto i ceti popolari, compresi i ceti medi in via di crescente impoverimento. Le rilevazioni dell’Eurobarometro ci dicono che viene progressivamente meno il consenso popolare alle politiche dell’Unione Europea, appunto dominate da scelte di austerità a carico dei ceti meno abbienti. Pur tuttavia le stesse rilevazioni registrano un perdurante nonchè cospicuo consenso all’idea e alla necessità dell’Europa. Dunque gli europei dicono che non dobbiamo disfare l’Europa, quanto invece cambiarla correggendone radicalmente le politiche in favore dei ceti popolari e pertanto aumentare democrazia e benessere diffuso. Per queste finalità, diciamo noi, occorre ripensare l’Europa come Europa dei popoli, attraverso realizzazioni federali, nelle quali siano previste e rispettate le diversità come ricchezza. Quella ricchezza che, fatta convivere e sviluppare in una casa comune, costituisce l’originalità di un’organizzazione sociale nella quale vale la pena vivere con civiltà. Per tutto questo anche l’Arte ci aiuta e costituisce un potente strumento salvifico.
Aladin
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L’Europa che vogliamo. Un quasi resoconto di un dibattito e una dichiarazione
Félix Vallotton (Losanna 1865-1925) il ratto d' Europaape-innovativadi Franco Meloni
Pochi giorni fa in un interessante dibattito su “l’Europa: il suo futuro e le elezioni del 25 maggio”, organizzato dalla “Fondazione Solidarietà e Diritti Luca Raggio”, Marco Pignotti, docente universitario di storia contemporanea, ha affermato che in fondo dobbiamo essere grati ai movimenti populisti, notoriamente su posizioni euroscettiche, quandanche decisamente avversari dell’Unione Europea e contrari all’euro, nella misura in cui hanno portato l’Europa e le sue problematiche all’attenzione dell’opinione pubblica europea. Il professore, convinto europeista e decisamente critico rispetto alle posizioni di detti movimenti (fortemente eterogenei e complessivamente minoritari ma consistenti, tanto che a detta di autorevoli politologi conquisteranno intorno ai 200 seggi del Parlamento europeo), ha espresso forti critiche anche sulle politiche dei partiti maggioritari europeisti, particolarmente dei partiti di sinistra, a cui peraltro si è dichiarato vicino. All’osservazione di una partecipante secondo cui in Italia il dibattito sulle imminenti elezioni europee ha valenza prevalentemente interna, Pignotti ha ribadito che quelle del 25 maggio sono comunque le elezioni europee tra tutte quelle finora indette nelle quali si parla maggiormente di Europa, con una vivace campagna elettorale caratterizzata da giudizi in prevalenza negativi sull’Unione Europea, tanto da oscurare quanto di buono la stessa ha comunque fatto, che in un onesto bilanciamento tra i diversi aspetti è decisamente preponderante. C’è molta timidezza e scarso convincimento nel riproporre la bontà delle scelte europeiste, evidentemente superando le impostazioni economiciste che hanno caratterizzato le politiche europee degli ultimi decenni, nei quali il processo di integrazione politica ha subito battute d’arresto e sostanziali indietreggiamenti rispetto alle indicazioni e alle speranze originarie dei padri europeisti e del Manifesto di Altiero Spinelli. Sugli aspetti economici si è soffermato Stefano Usai, docente universitario di economia internazionale, che ha giudicato come disastrosa per l’Italia l’eventuale fuoriuscita dalla moneta unica, argomentando, dati alla mano, come i costi di tale decisione sarebbero decisamente superiori ai benefici, soprattutto nel medio e lungo termine. Le superpotenze attuali ed emergenti, Stati Uniti e Cina in primis, hanno interesse che l’Europa torni a frazionarsi e a costituire un mercato più docile rispetto alle loro esportazioni. Si tratta invece di correggere le politiche economiche europee orientandole verso una maggiore integrazione e salvaguardia delle fasce deboli delle popolazioni e soprattutto spingere verso una effettiva integrazione politica. Usai ha rammentato come le indagini dell’Eurobarometro segnalino da una parte un preoccupante forte calo di fiducia nelle istituzioni europee, dall’altra in misura decisamente maggioritaria il convincimento che non bisogna uscire dall’Europa, quanto di costruirla in modo diverso. Francesco Sitzia, docente universitario di diritto romano e politico fortemente impegnato nella società civile specie sul versante formativo, ha lamentato il fatto che nel dibattito sull’Europa, comunque insufficiente, prevalgano posizioni manichee: o sì o no. Mentre c’è bisogno di affrontare le tematiche in modo ragionato, tenendo conto di tutte le possibili sfaccetature. Problemi complessi sono invece banalizzati e ridotti appunto a quesiti riduttivi. In questo modo oltre che favorire il disimpegno e la deresponsabilizzazione, si perpetua un sostanziale qualunquismo sia quando prevalgono i consensi europeisti (come in passato), sia quando prevalgono gli antieuropeisti o comunque gli euroscettici (come nella fase attuale). Non bisogna certo scoraggiarsi, ha ripetuto più volte Francesco Sitzia, ma, citando il cardinale Martini: prendiamo atto che le persone al mondo vanno dividendosi tra “i pensanti e i non pensanti”, con una tendenziale prevalenza di questi ultimi. E allora, data questa situazione: dove andrà a finire la democrazia? Noi dobbiamo contrastare questa deriva.
Le relazioni e il dibattito hanno espresso una quantità di altri contributi. Di questi solo alcuni sono riportati in questa sintesi. Il coordinatore del Seminario Gianluca Scroccu, presidente della Fondazione Solidarietà e Diritti Luca Raggio, ha annunciato che i contributi completi dei tre relatori saranno contenuti in una pubblicazione della Fondazione, di prossima ravvicinata uscita e ha comunque annunciato ulteriori iniziative di dibattito sull’Europa, tra le quali la prossima sulla figura di Andrea Raggio, eminente politico sardo, recentemente scomparso, anche in relazione al ruolo da lui svolto in qualità di parlamentare europeo rappresentante della Sardegna.
Molti sono dunque i temi da approfondire. Le elezioni del 25 maggio sulle quali pesa come un macigno la mancanza dell’autonoma circoscrizione elettorale sarda, presenteranno altre occasioni di confronto. Ma certo il bello verrà dopo il 25 maggio.
Per quanto ci riguarda come Aladinews siamo rispettosi di tutte le posizioni politiche, comprese quelle dell’astensione, e siamo disponibili ad ospitare le ragioni di tutti.
Rispetto alla contingenza elettorale, differenziandoci dalle scelte di schieramento a cui propendono i relatori del Seminario, dichiariamo che la Lista Tsipras appare a noi della Redazione come quella più coerente con una nostra posizione critica sulle attuali politiche dominanti dell’Unione Europea, ma fortemente europeista che vuole la costruzione di un’Europa diversa e migliore, l’Europa dei popoli, integrata politicamente in una vera federazione rispettosa delle diversità, come quella della Sardegna, che ne costituiscono fondamentale ricchezza.
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Nel riquadro Il ratto d’Europa, Felix Vallotton
Félix Vallotton (Losanna 1865-1925) il ratto d' Europa
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Bomeluzo Festa Europa 2014
Il 9 maggio Festa dell’Europa
Il sito fb dell’evento a cura della RAS
Festa Eu2014 RAS
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Europa e ToroZeus

L’Europa che vogliamo. Un quasi resoconto di un dibattito e una dichiarazione

Félix Vallotton (Losanna 1865-1925) il ratto d' Europaape-innovativadi Franco Meloni
Pochi giorni fa in un interessante dibattito su “l’Europa: il suo futuro e le elezioni del 25 maggio”, organizzato dalla “Fondazione Solidarietà e Diritti Luca Raggio”, Marco Pignotti, docente universitario di storia contemporanea, ha affermato che in fondo dobbiamo essere grati ai movimenti populisti, notoriamente su posizioni euroscettiche, quandanche decisamente avversari dell’Unione Europea e contrari all’euro, nella misura in cui hanno portato l’Europa e le sue problematiche all’attenzione dell’opinione pubblica europea. Il professore, convinto europeista e decisamente critico rispetto alle posizioni di detti movimenti (fortemente eterogenei e complessivamente minoritari ma consistenti, tanto che a detta di autorevoli politologi conquisteranno intorno ai 200 seggi del Parlamento europeo), ha espresso forti critiche anche sulle politiche dei partiti maggioritari europeisti, particolarmente dei partiti di sinistra, a cui peraltro si è dichiarato vicino. All’osservazione di una partecipante secondo cui in Italia il dibattito sulle imminenti elezioni europee ha valenza prevalentemente interna, Pignotti ha ribadito che quelle del 25 maggio sono comunque le elezioni europee tra tutte quelle finora indette nelle quali si parla maggiormente di Europa, con una vivace campagna elettorale caratterizzata da giudizi in prevalenza negativi sull’Unione Europea, tanto da oscurare quanto di buono la stessa ha comunque fatto, che in un onesto bilanciamento tra i diversi aspetti è decisamente preponderante. C’è molta timidezza e scarso convincimento nel riproporre la bontà delle scelte europeiste, evidentemente superando le impostazioni economiciste che hanno caratterizzato le politiche europee degli ultimi decenni, nei quali il processo di integrazione politica ha subito battute d’arresto e sostanziali indietreggiamenti rispetto alle indicazioni e alle speranze originarie dei padri europeisti e del Manifesto di Altiero Spinelli. Sugli aspetti economici si è soffermato Stefano Usai, docente universitario di economia internazionale, che ha giudicato come disastrosa per l’Italia l’eventuale fuoriuscita dalla moneta unica, argomentando, dati alla mano, come i costi di tale decisione sarebbero decisamente superiori ai benefici, soprattutto nel medio e lungo termine. Le superpotenze attuali ed emergenti, Stati Uniti e Cina in primis, hanno interesse che l’Europa torni a frazionarsi e a costituire un mercato più docile rispetto alle loro esportazioni. Si tratta invece di correggere le politiche economiche europee orientandole verso una maggiore integrazione e salvaguardia delle fasce deboli delle popolazioni e soprattutto spingere verso una effettiva integrazione politica. Usai ha rammentato come le indagini dell’Eurobarometro segnalino da una parte un preoccupante forte calo di fiducia nelle istituzioni europee, dall’altra in misura decisamente maggioritaria il convincimento che non bisogna uscire dall’Europa, quanto di costruirla in modo diverso. Francesco Sitzia, docente universitario di diritto romano e politico fortemente impegnato nella società civile specie sul versante formativo, ha lamentato il fatto che nel dibattito sull’Europa, comunque insufficiente, prevalgano posizioni manichee: o sì o no. Mentre c’è bisogno di affrontare le tematiche in modo ragionato, tenendo conto di tutte le possibili sfaccetature. Problemi complessi sono invece banalizzati e ridotti appunto a quesiti riduttivi. In questo modo oltre che favorire il disimpegno e la deresponsabilizzazione, si perpetua un sostanziale qualunquismo sia quando prevalgono i consensi europeisti (come in passato), sia quando prevalgono gli antieuropeisti o comunque gli euroscettici (come nella fase attuale). Non bisogna certo scoraggiarsi, ha ripetuto più volte Francesco Sitzia, ma, citando il cardinale Martini: prendiamo atto che le persone al mondo vanno dividendosi tra “i pensanti e i non pensanti”, con una tendenziale prevalenza di questi ultimi. E allora, data questa situazione: dove andrà a finire la democrazia? Noi dobbiamo contrastare questa deriva.
Le relazioni e il dibattito hanno espresso una quantità di altri contributi. Di questi solo alcuni sono riportati in questa sintesi. Il coordinatore del Seminario Gianluca Scroccu, presidente della Fondazione Solidarietà e Diritti Luca Raggio, ha annunciato che i contributi completi dei tre relatori saranno contenuti in una pubblicazione della Fondazione, di prossima ravvicinata uscita e ha comunque annunciato ulteriori iniziative di dibattito sull’Europa, tra le quali la prossima sulla figura di Andrea Raggio, eminente politico sardo, recentemente scomparso, anche in relazione al ruolo da lui svolto in qualità di parlamentare europeo rappresentante della Sardegna.
Molti sono dunque i temi da approfondire. Le elezioni del 25 maggio sulle quali pesa come un macigno la mancanza dell’autonoma circoscrizione elettorale sarda, presenteranno altre occasioni di confronto. Ma certo il bello verrà dopo il 25 maggio.
Per quanto ci riguarda come Aladinews siamo rispettosi di tutte le posizioni politiche, comprese quelle dell’astensione, e siamo disponibili ad ospitare le ragioni di tutti.
Rispetto alla contingenza elettorale, differenziandoci dalle scelte di schieramento a cui propendono i relatori del Seminario, dichiariamo che la Lista Tsipras appare a noi della Redazione come quella più coerente con una nostra posizione critica sulle attuali politiche dominanti dell’Unione Europea, ma fortemente europeista che vuole la costruzione di un’Europa diversa e migliore, l’Europa dei popoli, integrata politicamente in una vera federazione rispettosa delle diversità, come quella della Sardegna, che ne costituiscono fondamentale ricchezza.
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Nel riquadro Il ratto d’Europa, Felix Vallotton
Félix Vallotton (Losanna 1865-1925) il ratto d' Europa
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Europa e ToroZeus

Per un nuovo ruolo di Cagliari

Cagliari da Bonaria
ape-innovativaPubblichiamo un articolo di Francesco Cocco, illustre intellettuale e politico della sinistra, che in passato nella regione e nella nostra città ha ricoperto importanti ruoli istituzionali. Soprattutto è un nostro amico. Il suo intervento è stato scritto alcuni anni fa e dunque non tiene conto di recentissime novità quali, ad esempio, la candidatura di Cagliari a “capitale europea della cultura per il 2019″ o la prossima definizione della città metropolitana per effetto dell’ultima legge che istituisce appunto le città metropolitane nel territorio italiano, con l’eccezione delle regioni a statuto speciali, nelle quali l’istituzione è prevista attraverso apposite leggi regionali. Ma i concetti espressi da Francesco sono di grande attualità e contribuiscono a riproporre un dibattito su Cagliari e sul suo ruolo in Sardegna, nel Mediterraneo e in Europa. Tale dibattito, a noi molto caro, allo stato attuale è “sottotraccia” ed è nostro impegno farlo riemergere in tutte le sedi e con tutte le modalità che assicurino ampia diffusione e partecipazione popolare. Ne abbiamo davvero bisogno! Nella circostanza vogliamo richiamare sia le elaborazioni contenute nella nostra news Aladinpensiero, sia l’impegno di altri amici partecipanti a vivaci circoli politici e intellettuali. Al riguardo tra questi ci piace segnalare l’impegno di Enrico Lobina e dei blogger che si riuniscono ogni lunedì con la (e nella sede della) Fondazione Sardinia (f.m.).
Per un nuovo ruolo di Cagliari
di Francesco Cocco
Cagliari è capoluogo dell’Isola per qualcosa che va al di là di uno stretto rapporto col territorio. Se a legittimare il ruolo di capoluogo fosse soltanto un legame territoriale, Cagliari non dovrebbe avere un tale ruolo. I Sardi del sud dell’ Isola, dovrebbero avere l’onestà intellettuale di riconoscere questo fatto. Per capirlo basta dare uno sguardo alla carta geografica. E’ il capoluogo di regione più decentrato. Milano è al centro della Lombardia, Palermo rispetto alla Sicilia è nella stessa posizione di Oristano rispetto alla Sardegna. E così per le altre regioni.
Questa accentuata perifericità è sofferta da oltre metà del territorio dell’Isola. Andate in Gallura, chiedete e capirete quali fastidi essa genera. Per non parlare di Sassari, della sua secolare contestazione nei confronti di Cagliari.
Sino ai primi del Novecento (e vedremo perché ai primi del Novecento il rapporto in qualche modo comincia a cambiare) è vero che Cagliari è stata “Sardegna altra”, cioè separata in quasi tutto dal resto dell’Isola. Era capitale non per i servizi che poteva rendere alla Sardegna ma essenzialmente per ragioni di alta strategia militare, connaturate a ruoli di politica internazionale e molto limitatamente ai legami col territorio.
Risparmio i precedenti storici, ma un interrogativo che si pose dopo il passaggio della Sardegna ai Savoia dobbiamo porcelo ancora oggi. Questo perché ne derivano conseguenze politiche attuali. Quindi chiediamoci: “Perché i Savoia confermarono il ruolo di Cagliari capitale quando Sassari era enormente più vicina alla “capitale degli Stati di Terraferma” (secondo la locuzione del tempo), cioè Torino, ed alla seconda città degli stessi Stati, cioè Genova ?”.
I Savoia erano diventati re di Sardegna per la loro capacità di alleanza ed intermediazione con le grandi potenze. Possedere la rocca di Cagliari significava disporre di una piazzaforte militare di “prima grandezza” che poteva consentire un ruolo di politica militare internazionale. Oltretutto era in piedi una minaccia militare dei regni del Nord-Africa, ad Est l’Impero asburgico era in una posizione di permanente guerra guerreggiata con l’ Impero ottomano. Solo qualche decennio prima i Turchi avevano assediato Vienna. Ecco perché la prima preoccupazione dei Savoia fu di rafforzare il ruolo di piazzaforte militare della città.
Spesso si dice che tanto interesse per l’architettura militare era in funzione antispagnola. Certo era anche questo, ma non è sufficiente a spiegare la costruzione di una serie di manufatti militari che durò decenni. Né serve a giustificare l’esborso finanziario che un tale lavoro comportò. Realizzare una grande piazzaforte militare, nella politica del tempo significava, per un piccolo Stato, esser presente sulla scena internazionale. Ed è ciò che volevano i Savoia.
Il ruolo di piazzaforte militare permane, ma solo formalmente sino al 1867, quando Cagliari viene tolta dall’elenco ufficiale delle piazzeforti militari. La data è importante in quanto consente di dare attuazione al primo piano regolatore della città, elaborato da Gaetano Cima. Da notare che era in ordine cronologico, il secondo piano regolatore dopo l’Unità d’Italia. Importante anche perché la città comincia a darsi un nuovo assetto di città d’industrie e di commerci.
Si compie una vera rivoluzione antropologica. Nasce una borghesia non solo mercantile ma anche industriale. E’ la Cagliari di Salvatore Rossi, impegnato negli interventi edilizi ma anche iniziatore delle prime industrie tessili, e fondatore di istituti di credito. E’ la Cagliari dove s’impiantano le prime aziende metallurgiche: le fonderie dei Chicca-Savolini, dei Doglio che consentono di soddisfare pienamente il mercato isolano. In questo periodo nasce l’industria molitoria con la filiera dei pastifici che producono sia per il mercato isolano che per l’esportazione. Sono le industrie molitorie dei Merello, dei Costa, dei Fagioli.
Cognomi non sardi: è una borghesia in gran parte d’importazione. Ma questo non significa che nella seconda metà dell’Ottocento manchi in Sardegna un’intraprendente borghesia d’origine sarda. La grande industria isolana del tempo è quella estrattiva, soprattutto l’industria mineraria del piombo e dello zinco, dominata da quella singolare figura d’industriale, politico e in qualche modo editore, in quanto proprietario e fondatore di giornali, che fu Giovanni Antonio Sanna, il dominatore del panorama economico sardo nella seconda metà dell’Ottocento. Di fatto riuscì a controllare in campo nazionale l’allora strategico mercato del piombo e dello zinco.
La borghesia a cavallo tra Ottocento e Novecento si era posta il problema del ruolo della città che si proietta verso l’ Africa con una forte presenza sarda in Tunisia ed Algeria. E’ significativo che a Cagliari, agli inizi del Novecento, si pubblichi un periodico in lingua araba. Anche la forma urbana della città è nelle preoccupazioni della borghesia cagliaritana. Ottone Bacaredda, al di là di certa vulgata che schematicamente lo pone su posizioni antipopolari, proietta la città verso il mare (nuovo municipio), le dà decoro urbano (la Cagliari monumentale del centro storico), pensa a soluzioni allora avveniristiche (il tunnel sotto Castello).
I moti del maggio 1906, di cui la sinistra sarda dovrebbe ricordarsi adeguatamente, sono il fatto storico che, per un altro verso (accanto al conquistato ruolo mercantile ed industriale), sanziona la funziona guida di Cagliari agli inizi del secolo. La città è diventata un centro urbano con una forte presenza operaia, soprattutto nel settore metalmeccanico con oltre 500 addetti. Al censimento del 1911, oltre il 25% della popolazione attiva risulta addetto ad attività industriali. Stiamo parlando di una popolazione complessiva di 40.000 abitanti.
Al ruolo egemone che la città va conquistando in campo isolano contribuisce il fatto che la grande industria sarda (quella mineraria con migliaia di addetti) è concentrata in gran parte nel sud dell’Isola (bacino minerario dell’Iglesiente, del Sulcis, della zona di Guspini e Arbus) . Di qui un ruolo economico trainante che entra in profonda crisi negli anni ’60 del Novecento con la crisi dell’industria mineraria.
Questi brevi cenni ci aiutano a comprendere come i moti di Cagliari del 1906 si estendono a tutta la provincia (da Gonnesa a Villasalto) ed a molti paesi del centro e nord Sardegna. Anche grazie al sorgere dei partiti moderni, la città si salda al resto dell’Isola, cessa di essere quella “Sardegna altra” alla quale facevo prima riferimento.
Nel Secondo dopoguerra muta profondamente ildna della borghesia cagliaritana. Sbaglieremmo a pensare semplicisticamente che il degrado della classe economica e politica cagliaritana cambi per un fatto meramente di ordine politico e culturale. Certo c’è anche questo, ma soprattutto agisce il nascere della grande industria che azzera lentamente i possibili e talvolta floridi mercati regionali.
Le nuove strutture produttive appartengono a poteri pubblici o a soggetti privati forti (Rovelli, Moratti, ENI, tanto per citarne alcuni) che sono estranei alla città ed introducono elementi di dominio esterno e quindi di oggettivo corrompimento. Si pensi a quanto a suo tempo agì in negativo sulle istituzioni autonomistiche la presenza nel panorama sardo di Nino Rovelli. L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna erano sotto il suo diretto controllo.
Tutto questo non faceva che accentuare la crisi della città in atto dalla metà degli anni Quaranta. Una crisi collegata alla perdita del vecchio ruolo. Quando poi la città divenne il capoluogo amministrativo della regione, questo fatto finì per accentuare l’avversione di non piccola parte dei Sardi verso la nuova sede di un potere sempre più costruito con logiche centralistiche. L’autonomismo centralistico su cui è andato modellandosi l’apparato amministrativo regionale.
Cagliari era uscita dalla seconda guerra distrutta non solo nel tessuto edilizio ma in quel ruolo di guida della Sardegna che aveva continuato ad esercitare sino alla vigilia della guerra. E’ significativo che nell’agosto del 43 sulle pagine del quotidiano sassarese L’Isola, l’avv. Giuseppe Musio, autorevole esponente del PSI, e soprattutto futuro direttore dell’Unione Sarda dal marzo del 44 su incarico dei partiti antifascisti, lanciasse la proposta di trasferire a Sassari il capoluogo dell’Isola. La distruzione della città era tale da dare l’impressione di non potersi risollevare in tempi rapidi. Di fatto l’articolo di Musio ebbe una funzione d’incitamento alla ricostruzione e così nel febbraio del 44 il generale Pinna, nominato alto commissario per la Sardegna, fissò a Cagliari la sede del suo ufficio.
Non dobbiamo però nasconderci che ciò che allora salvò il ruolo di Cagliari capitale fu soprattutto il grande sacrificio dei suoi abitanti durante la guerra. Il sacrificio delle migliaia di morti e dell’intera popolazione che dovette evacuare la città e subire la fame e gli stenti conseguenti allo sfollamento. Sfollamento che però fu anche occasione per rinsaldare un nuovo rapporto con le popolazioni dell’Isola.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra, si sviluppò nella Consulta regionale un appassionato dibattito su quale città dovesse essere il nuovo capoluogo della Regione. Riporto qualcuno degli interventi più significativi. Nella seduta del 9 gennaio 47 (la città stava risorgendo dalle macerie) il consultore sassarese Giovanni Scano: “…non è vero che noi di Sassari abbiamo paura che Cagliari possa diventare la capitale dell’isola. Onestamente riconosciamo che Cagliari, anche per ragioni storiche deve essere la capitale della Regione. Noi vogliamo che essa sia sempre la capitale perché ci sono delle ragioni alle quali non ci si può opporre. Noi siamo per Cagliari perché rimanga qual è effettivamente, la città più grande, più moderna, più bella; e non dimentichiamo che è stata la più martoriata della nostra regione”.
Nel marzo 47, il consultore Nino Campus (bossiano ante-litteram) disse: ” …in Sardegna abbiamo due mondi economici e geografici diversi. Passando nella strada da Cagliari a Sassari, non vi siete accorti come tutto, anche il clima, abbia dei segni di distinzione? … Anche nel campo spirituale, tradizionalmente, non vi è stata questa unità spirituale che oggi si vorrebbe tirare fuori…”-
Oggi si parla molto di frequente di “Cagliari capitale”. Qualcuno con molta fantasia ma poco senso della realtà lancia lo slogam “Cagliari capitale del Mediterraneo”. Qualche altro, prendendo atto che nel Mediterraneo ci sono capitali vere ed altre in grado di esercitare un tale ruolo, parla di “una delle tante capitali” del Mediterraneo. Credo occorra fare un po’ d’ordine terminologico e quindi concettuale.
Occorre preliminarmente da chiedersi: “Il fatto di essere oggi il capoluogo della Regione fa di Cagliari una capitale?” La risposta mi pare debba essere negativa. Anche perché il termine “capitale” va assumendo significati non identificabili col ruolo puramente politico-amministrativo ma piuttosto con funzioni egemoni che possono essere esercitate in uno o più settori. Certamente Roma è capitale d’Italia sul piano politico- amministrativo. Ma diciamo, e correttamente, che Milano è la capitale finanziaria. Qualche anno fa Genova è stata, per atto formale dell’Unione Europea, capitale culturale d’Europa. Quindi la parola capitale non è termine univoco.
Tanti altri esempi potrebbero essere richiamati, ma ora quel che ci interessa è se possiamo correttamente parlare di Cagliari capitale. Soprattutto se possiamo pensare ad un ruolo di Cagliari in cui essa è chiamata ad esercitare funzioni che
riguardano innanzitutto il territorio regionale e sanno andare oltre la dimensione regionale.
Se dovessimo verificare che manca questa capacità di andare oltre tale dimensione regionale, di farsi ponte tra interessi europei ed interessi nord-africani, avrebbe ragione chi in passato ha proposto di istituire una sorta di capoluogo regionale ad Abbasanta, o una sorta di capitale itinerante di cui qualcuno parlò nel 1989 in occasione del nuovo regolamento del Consiglio regionale. Se dovessimo guardare solo al nostro retroterra, che è l’Europa, magari a quell’altra regione europea transfrontaliera che è la Corsica, onestamente dovremmo pensare a soluzioni diverse da Cagliari.
Essere capitale (uso il termine in quell’ampia accezione alla quale facevo riferimento) vuol dire esercitare un ruolo che sappia guardare oltre i propri orizzonti territoriali. Credo che Cagliari possa essere una capitale nel Mediterraneo (e sottolineo “una capitale”) se saprà esercitare funzioni che vanno oltre i propri confini strettamente regionali. Se saprà guardare davanti a sé.
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Cagliari ha esercitato nei secoli passati un ruolo mediterraneo in funzione militare. Si tratta di rovesciare il rapporto. Rovesciare il rapporto in qualche modo riprendendo le linee della nostra storia, e di dare alla città una nuova funzione mediterranea facendone un baluardo di pace. Da baluardo di guerra, quindi, a baluardo di pace.
Cosa significa questo? Baluardo di pace inteso in una dimensione che va oltre il semplice centro d’iniziative politiche per la pace. Certo anche questo, e forse in una fase preparatoria soprattutto questo. Ma alla lunga sarebbe poca cosa. Occorre pensare alle possibili iniziative di politica economica, sociale, culturale, scientifica che si devono e si possono realizzare.
Dobbiamo aver chiaro che un tale ruolo appartiene non solo alla città ma più complessivamente alla regione nella sua totalità. In tale ottica Cagliari si pone come capitale in quanto strumento di più ampie potenzialità regionali. A mo’ d’esempio indico possibili linee d’intervento. Necessariamente lo faccio in modo schematico, anche perché poi saranno oggetto di specifici interventi.
- A) Viene naturale pensare ad una città con una vocazione mediterranea nell’organizzazione degli studi. Non sono mancati in passato interventi con un tale respiro. In tale ottica era la partecipazione al “Collegio dei mondi uniti” con una borsa di studio finalizzata all’acquisizione di un’esperienza. Ed anche le borse di studio nella prospettiva di una “Casa mediterranea degli studi”, segnatamente per le materie scientifiche.
- B) Si pensi a quanto in prospettiva può venirci dall’emigrazione nord-africana, ed in particolare magrebina, per la creazione di un tessuto di comuni intraprese economiche. Il metanodotto dall’Algeria può essere in tale prospettiva un’ occasione unica.
- Vi sono poi le potenzialità di una politica dei trasporti per ben finalizzate linee aeree e navali. Cagliari è il naturale approdo delle autostrade del mare che collegheranno l’Africa Occidentale a Genova, a Marsiglia, a Tolone.
- Cagliari ha ormai le tecnologie per porsi come snodo di sistemi di collegamento informatico tra Europa e Africa del Nord. Di qui anche un aumento delle possibilità per divenire sede di una banca del Mediterraneo occidentale.
Sono spunti di un progetto programmatico certamente collimante con lo schieramento delle forze della sinistra. Per approfondirlo e poi dargli gambe che consentano di marciare nella dialettica politica ed istituzionale occorre che la sinistra riprenda a pensare con quella progettualità che l’ha caratterizzata in passato. E’ un compito che riguarda i partiti nel loro complesso e che non può essere delegato ai gruppi consiliari. Ciò non significa che i gruppi non siano chiamati a compiti specifici, anche nel momento del progetto, ma i gruppi consiliari né devono essere lasciati soli né devono isolarsi. La conseguenza sarebbe il fallimento.
Penso alle battaglie combattute dalla sinistra negli anni ’70 per il decentramento. Grazie all’impegno nell’aula consiliare del Comune e soprattutto nella società cagliaritana, portato avanti con i comitati di quartiere, fu possibile porre un argine alla cementificazione di talune aree. Una grande pagina di storia civile cittadina che impedì la lottizzazione della “Vigna” nel quartire Fonsarda. Poi con la destra ha ripreso a soffiare il vento della centralizzazione. Ed oggi le circoscrizioni cittadine sono prive di qualsiasi reale potere d’intervento.
Alla fine degli anni 80 la sinistra ha portato avanti il disegno per la creazione dell’area metropolitana. Anche a questo progetto non è stato consentito di andare avanti dal neo centralismo delle forze di governo della destra cagliaritana. Questo ha impedito di mettere insieme tutte le potenzialità dell’area urbana, e che avrebbe salvaguardato meglio i valori delle singole municipalità, che possono concorrere, ciascuna con la propria identità, a creare un ricco e variegato soggetto non solo amministrativo ma più complessivamente storico-culturale.
Cagliari non può marciare staccata dal territorio regionale. Di qui la necessità di un rinnovato rapporto col territorio isolano. La sinistra cagliaritana deve sentirsi più legata alla nostra storia autonomistica. E’ significativo che non vi sia una sola sezione di un partito della sinistra che si richiami alla storia sarda. Dobbiamo riconoscere che certi modi di procedere sono stati in passato espressione di un “internazionalismo di maniera”.
Dobbiamo comprendere che l’impegno della sinistra per il ruolo di Cagliari in questo inizio del nuovo secolo s’identifica con la battaglia per la funzione complessiva della Sardegna. Ed è battaglia che non può essere combattuta da gruppi ristretti, e meno ancora da singoli protagonisti della vita politica ed istituzionale.
Occorre ritrovare il senso della coralità dell’impegno politico e sociale. Dobbiamo nutrire la convinzione che la salvezza non viene da singole personalità. Naturalmente anche i partiti devono cambiare profondamente, non possono restare ancorati a vecchi modelli. Solo così sarà possibile arrestare il degrado nella vita istituzionale ed aprire nuove prospettive alla nostra città, alla nostra regione ed alla sinistra sarda.
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Cagliari malata di “sviluppite”
— Giorgio Todde, 16.4.2014
Da il manifesto
La città è cresciuta, negli ultimi sessant’anni, senza una filosofia del costruire. Amnesia del passato. Ha ricoperto di asfalto e cemento il suo contado agricolo e lo chiama hinterland. Deturpato la sua spiaggia abbagliante. Violato con bitume, palazzi e fabbriche gli stagni sconfinati a est e a ovest. E tutto questo lo chiama «sviluppo»
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Cagliari, il quartiere Sant’Elia

Cagliari ha tre­mila anni. Qua, a novanta miglia dall’Africa, i fon­da­tori tro­va­rono un golfo sul palmo di un dio, pro­mon­tori e colli di roc­cia bianca dove vivere era facile.
I nura­gici erme­tici. Poi i Fenici trac­ciano le rotte. Poi la città diventa Punica e poi romana per molti secoli. Poi i Van­dali. Poi Bisan­zio e i due evi medi. L’epoca dei Giu­di­cati, le inva­sioni more­sche, i Pisani e i Geno­vesi. Eleo­nora d’Arborea e il suo nuovo ordi­na­mento, la Carta de Logu. Poi, a lungo, gli spa­gnoli e la deca­denza. Il Set­te­cento, i Savoia, il Regno di Sar­de­gna la rivo­lu­zione poi e la moder­niz­za­zione otto­cen­te­sca. Gli echi del Risorgimento.
Poi il XX secolo. Anto­nio Gram­sci fa il suo liceo a Cagliari. La car­ne­fi­cina della Grande Guerra. Pastori e con­ta­dini, riu­niti nella Bri­gata Sas­sari man­dati a morire sul Carso e Emi­lio Lussu. Poi il fasci­smo, la seconda guerra, l’occupazione tede­sca senza san­gue, i bom­bar­da­menti anglo-americani del ‘43. La città ini­zia la sua rico­stru­zione e l’inurbamento è feroce. Nasce una nuova classe diri­gente insieme ai nuovi brutti quar­tieri, anni 50 e 60, che la raf­fi­gu­rano. L’edilizia cac­cia via l’architettura. Impre­sari e com­mer­cianti dise­gnano la città sulla pro­pria imma­gine e pro­du­cono una gene­ra­zione poli­tica con­for­mata, come un calco di gesso, alla loro visione mate­riale delle cose. I cosid­detti intel­let­tuali si rifu­giano in un mondo sognante vicino all’infanzia, lon­tano dalle azioni.
Ma qual­cosa cam­bia negli ultimi decenni. Si smette di masti­care i fiori di loto e la memo­ria ritorna nella testa di alcuni. La città si guarda, si rico­no­sce. Si risve­glia un’anima cri­tica che comu­nica, osserva ed è inte­res­sata alle pro­prie ori­gini. E ricava ener­gia dal pas­sato senza essere pas­sa­ti­sta. Guarda indie­tro per essere moderna per­ché quando uno sa da dove viene non ha biso­gno di altro. E si oppone alla fre­ne­sia del fare a tutti i costi. Però l’altra anima, quella mer­can­tile, resta forte.
La città è cre­sciuta, negli ultimi sessant’anni, senza una filo­so­fia del costruire. Amne­sia del pas­sato. Ha rico­perto di asfalto e cemento il suo con­tado agri­colo e lo chiama hin­ter­land. Detur­pato la sua spiag­gia abba­gliante. Vio­lato con bitume, palazzi e fab­bri­che gli sta­gni scon­fi­nati a est e a ovest. E tutto que­sto lo chiama «svi­luppo» men­tre dimo­stra che quando la poli­tica si con­fonde con l’impresa ci si ammala di un morbo che si chiama sviluppite.
Cagliari è un’incubatrice di que­sta malat­tia. Però la sto­ria è incan­cel­la­bile. I luo­ghi resi­stono e met­tono in movi­mento gli avve­ni­menti. I morti della necro­poli di Tuvi­xeddu pos­sie­dono la forza dell’assoluto e ancora deter­mi­nano con­se­guenze. La rocca medie­vale resi­ste ai ten­ta­tivi di ren­derla «pro­gre­dita» con scale mobili e fer­ra­glia. Il pro­mon­to­rio sacro della Sella del Dia­volo resterà intatto anche se la città fame­lica gli gira intorno. E l’acropoli di Castello resi­sterà ai nuovi asse­dianti che oggi vogliono un vol­gare garage den­tro le sue mura.
Nel 1956 avevo cin­que anni. Il brac­cio quasi lus­sato quando pas­seg­giavo a traino delle mani inac­ces­si­bili di mio padre, il lun­go­mare, il mer­cato al cen­tro della città, le bar­che che tor­na­vano tanto cari­che che i pesca­tori sta­vano in piedi sui cumuli di pescato, allora i polpi sem­bra­vano pio­vre, le anguille scap­pa­vano dalle cesti nelle cor­sie del mer­cato, i pesci boc­cheg­gia­vano. Era bello e sarebbe stato più bello ancora se fosse durato.
Ma i fat­ti si muo­ve­vano per neces­sità che non com­pren­devo. E non obbe­di­vano a nessuno.
Ero troppo pic­colo per capire cosa acca­deva alla mia città, troppo basso per vedere le prime gru. Oppure, sem­pli­ce­mente, non guar­davo per­ché, appeso alla mano di mio padre, osser­vavo solo le cose vicine oppure l’orizzonte marino, l’unico oriz­zonte per me.
So che i monti che vedevo a meri­dione erano il pro­filo dei monti del golfo, ma allora cre­devo che fosse l’Africa per­ché sen­tivo ripe­tere che la città più vicina alla mia era Tunisi. Poche ore di traversata.
Dalle mie rive, certo, non si vedeva l’Africa. Fu una delu­sione. Però con­ti­nuai a crederci.
Un giorno mamma ci portò a vedere una nuova mera­vi­glia che il mae­stro, ammi­rato dal pro­gresso ben­ché con­ser­vasse la sua casa come un salotto di Nonna Spe­ranza, ci aveva già annun­ciato a scuola.
Il grat­ta­cielo.
Be’, era solo un brutto palazzo di dodici piani. Ma era il nuovo pre­sente e tutti vole­vano solo pre­sente e futuro.
Mai visto dal vero un palazzo così alto. Non fu stu­pore quello che pro­vai vedendo quel lungo paral­le­le­pi­pedo gri­gio con decine e decine di fine­stre fune­ra­rie. Ancora oggi ricordo la sen­sa­zione di per­dita che pro­vai e ricordo che non com­presi, ero troppo bam­bino, quel sentimento.
Quella costru­zione infan­til­mente chia­mata grat­ta­cielo, che ancora esi­ste, ha segnato la nascita in città dell’eternamente brutto. Sì, quel palazzo era brutto dalla nascita, tal­mente brutto che diventò proverbiale.
Però il brutto è epi­de­mico e quando ini­zia si mol­ti­plica con enig­ma­tica testar­dag­gine. Non lo fermi più. Deve, si vede, neces­sa­ria­mente tra­scor­rere e con­clu­dersi un’epoca.
Eppure tutti vedevano.
Fu un’amnesia di massa che non è mai ces­sata da allora. E chissà se riac­qui­ste­remo mai la memoria.
Ma, l’ho detto, tutti vole­vano abban­do­nare il pas­sato, anche quello buono.
Mia nonna, men­tre pas­seg­giavo e gio­cavo in un ter­ra­pieno da dove si vedeva la città in basso, mi disse un giorno che comin­ciava a esserci troppo cemento e che tutti que­sti nuovi arri­vati dal con­tado — così chia­mava gli inur­bati che arri­va­vano da ogni parte dell’isola — sta­vano ren­dendo deforme la città. Che lei era comu­ni­sta, ma que­sto non le impe­diva di capire che c’erano per­sone rese feroci pro­prio dall’arrivo in città e che ave­vano l’urgenza di far vedere chi erano. Che costruire un muro, una casa, un palazzo era il modo più facile di far vedere quello che si vale. E che un igno­rante non sa mai di essere ignorante.
Appena tirano su un muro si fanno chia­mare cava­lieri e com­men­da­tori, ripeteva.
D’altronde il cemento aveva reso facile e pos­si­bile a tutti l’azione di costruire. L’intera nazione ribol­liva di cemento, ma io non lo sapevo. E nep­pure nonna. Però osser­vava la sua città.
Lei vedeva la brut­tezza del cemento, capiva che non si può met­tere insieme cemento e pie­tra per­ché invec­chiano in modo diverso, che la pie­tra si smussa e che il cemento faceva solo angoli.
Il cemento è un mate­riale che non sa invec­chiare. La pie­tra, invece, è già vec­chia, esi­ste da milioni di anni. Il cemento costringe chi lo usa a dise­gnare forme squallide.
Era squal­lido anche il bar aperto al piano terra nel «grat­ta­cielo», cat­tive le brio­che, il caffè puz­zava di bru­ciato e un moscone gia­ceva a pan­cia all’insù, mum­mi­fi­cato per sem­pre in un angolo della vetrina pretenziosa.
Den­tro quel palaz­zone c’erano però alcuni segnali impor­tanti del pre­sente che sedu­ceva la comu­nità e la con­vin­ceva che il pas­sato era vergognoso.
Però è vero che nella mia città una luce che non finiva nep­pure la notte e un sole felice anche d’inverno mi face­vano sen­tire for­tu­nato e lon­tano da ogni pericolo.
Tra­slo­cammo nel 1962 in una nuova casa.
E tutto mutò.
La nostal­gia è un sen­ti­mento indi­spen­sa­bile, ma deve essere orga­niz­zato. Sennò si sof­fre. Oltre­tutto distorce, nelle sua forma malata, la realtà, i ricordi e l’interpretazione del presente.
Tra­slo­cammo, dicevo, che avevo dodici anni. Una casa lumi­nosa, moderna, con due bagni, con davan­zali, una por­ti­ne­ria, l’ascensore e vicina all’orto botanico.
Quel quar­tiere era il con­fine della città sto­rica, però mi sem­brava un salto nel futuro. E ogni volta che pas­sa­vamo vicino alla vec­chia casa tra­sci­navo la mano che mi con­du­ceva per entrare den­tro il por­tone. Come quei cani che tirano quando sono vicini alla casa del padrone morto.
Il tra­sloco cam­biò i giorni e le ore della fami­glia, cam­biò per­fino l’espressione dei geni­tori, il lin­guag­gio, i vestiti, le abi­tu­dini a tavola, la puli­zia dome­stica e per­fino l’igiene del corpo, gli odori e la memo­ria degli odori​. Il tra­sloco è l’allegoria del cam­bia­mento ine­vi­ta­bile, ma non necessario.
Con il camion carico di mobili apparve la dif­fe­renza tra pre­sente e pas­sato, tra una fine e un inizio.
Babbo aveva bat­tuto a mac­china il suo nome su un foglio, rita­gliato la stri­scia di carta e l’aveva infi­lato nella fes­sura del nuovo cam­pa­nello. Poi aveva letto a voce alta il pro­prio nome e schiac­ciato il pul­sante. Quel trillo era il segnale della città nuova.
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Il Largo ai tempi del tram - Peppino Spanu
Peppino Spanu: Il Largo ai tempi del tram, 2010

Gli OCCHIALI di PIERO. L’Islanda, Patrick Samson, Watergate, tre casi…

Messico. 17 giugno 1970. Italia Germania 4-3. La più bella partita di calcio di tutti i tempi.

REPUBBLICA DI ISLANDA Il 17 giugno del 1944 l’Islanda, prima legata alla Danimarca, diventa indipendente. Ha 320mila abitanti, lo Stato meno popolato d’Europa (poi dicono che i sardi sono pochi per fare uno Stato). Fa parte della Nato a condizione di non dover partecipare a conflitti armati. Vive di pesca. Attraverso due referendum, nel 2010 e 2011, la maggioranza dei cittadini ha rifiutato il rimborso a Olanda e Gran Bretagna, al debito di una Banca fallita (3,4 miliardi di euro). Il Governo ha disposto un’inchiesta per accertare le responsabilità civili e penali della crisi. Arrestati diversi banchieri e membri dell’esecutivo. I banchieri implicati sono scappati.

La Sardegna e l’Europa si salvano insieme

Si ripropone con urgenza la modifica della legge elettorale per consentire ai sardi di eleggere propri rappresentanti nel parlamento europeo

di Franco Meloni

La scadenza delle elezioni politiche tedesche del prossimo settembre è dai più considerata come vero e proprio spartiacque rispetto ai destini dell’unione europea. I nuovi equilibri politici della Germania, attuale stato guida europeo, determineranno in sostanza quale di due opposte strade si dovrà percorrere, basate: la prima sull’ipotesi di un processo di maggiore integrazione politica fino alla costituzione di una nuova entità statuaria (Confederazione, Federazione?); la seconda sulla presa d’atto dell’attuale crisi con la probabile costituzione di almeno due gruppi di paesi selezionati per omogenei gradi di integrazione, che darebbero origine a due “aree euro”. Tutti iscritti entro una labile cornice che di Europa avrebbe soltanto il nome. In questo caso si tornerebbe clamorosamente indietro tutta! Ovviamente questa è una rappresentazione schematica che non da conto di possibili sfumature di scenari, che potranno essere prossimi alla prima piuttosto che alla seconda ipotesi. Gli altri paesi che fanno? Beh, a di là delle dichiarazioni (per rimanere alla Francia e all’Italia: svolta, a parole, verso gli stati uniti d’Europa di Hollande e rituale giuramento europeista di Letta, nonostante Berlusconi) più o meno si aspetta tutti la scadenza tedesca. Nelle ipotesi prospettate io sto sulla prima, nella consapevolezza che tutto potrà accadere. Non c’è certo da stare allegri: sempre meno peraltro ci si può fidare dei governi. Speriamo che infine prevalga la saggezza degli elettori. Cosa anch’essa abbastanza problematica. Ma, fatta questa premessa e soprattutto fatta, nonostante tutto,  la scelta più autenticamente europeista, dobbiamo chiederci dal nostro punto di vista di sardi: che fare, oggi, nella prospettiva di breve, medio e lungo periodo?   Ebbene, per quanto mi riguarda esplicito e propongo una risposta, che spero convincente, nel seguente modo: dobbiamo impegnarci a costruire una Sardegna indipendente e sovrana, radicata nell’appartenenza europea, di un’Europa che evidentemente vogliamo diversa, per missione e contenuti (l’Europa dei popoli) e per gli aspetti istituzionali, attraverso la realizzazione degli “stati uniti d’Europa”, con un modello originale che faccia tesoro delle migliori esperienze storicamente attuate e/o in atto. Quest’Europa e questa Sardegna, nella visione delineata – che richiede studio, negoziazioni, sperimentazioni, correzioni in itinere, etc. e soprattutto partecipazione dei cittadini europei (per quanto ci riguarda sardo-europei) e dunque, appunto per queste ragioni, impegno di lunga lena – vanno costruite da subito. Con questo faro d’orientamento, con questa certezza di prospettiva (di medio e lungo periodo), partiamo pure dal contingente. E il contingente è costituito in primo luogo dalle due scadenze elettorali, quasi contemporanee, quella sarda (elezione del consiglio regionale e del presidente della regione), presumibilmente nel febbraio 2014 e quella europea (elezione del parlamento europeo e, forse, designazione del commissario europeo) sicuramente nel maggio 2014. Dobbiamo nel dibattito per la costruzione dei programmi e per la designazione dei candidati intrecciare fortemente queste due tematiche, che sintetizziamo nello slogan: Sardegna e Europa si salvano insieme. Dico a tutti noi e soprattutto alla sinistra e al mondo indipendentista che non è consentito avere sull’Europa “riserve mentali”, cioè dobbiamo dichiararci ed essere profondamente europeisti (e agire di conseguenza), in questo riallacciandoci al miglior pensiero federalista dei pensatori universali e, tra questi, particolarmente dei pensatori sardi e, se vogliamo come io propongo, riferendoci esplicitamente al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, più che mai attuale nella visione europeista. Voglio rimarcare che proprio nell’attuale situazione di incertezza e di diffusa sfiducia verso la concreta realizzazione dell’unione europea è necessario avere e proporre una prospettiva certa. Considerato che tale situazione di sfiducia non riguarda il concetto di Europa e neppure la necessità di integrazione europea, ma piuttosto la sua deludente realizzazione storica. Mi chiedo infatti, con un esempio riduttivo ma significativo: come potrebbero non essere europeisti i giovani sardi che hanno fatto l’Erasmus, che si sentono cittadini sardi ed europei, che vedono nella virtuosa costruzione dell’Europa il superamento dell’assurdo impasse in cui si è cacciata l’Italia soprattutto (ma non solo) nell’orrendo ventennio berlusconiano. Analoghe considerazioni, mutatis mutandis,  possono essere fatte con riferimento alla crisi dell’autonomismo e all’attuale condizione della Sardegna, che i giovani sardi (e non solo) vogliono diversa. Dobbiamo approfondire. Tuttavia in questo quadro azzardo un pensiero (forse illusorio): possiamo ritrovare un senso del nostro essere sardi ed europei in un rinnovato coerente impegno nella direzione indicata? E, con una buona dose di “ottimismo della volontà”, in certa parte tale impegno può fare da contraltare alle ragioni del “pessimismo della ragione”, spietatamente presenti nel primo intervento di Salvatore Cubeddu? Tornando al contingente, è evidente che in tema di elezioni europee non possiamo non batterci per la modifica dell’attuale legge elettorale (italiana) per l’elezione del parlamento europeo che penalizza la Sardegna, al fine di consentire l’elezione di almeno due parlamentari nell’unico collegio sardo. L’altro aspetto contingente -ma meglio sarebbe dire di breve e medio termine – è la programmazione dei consistenti fondi europei del periodo 2014-2020, che per i meccanismi di spendita si protrarrà al 2023 (proprio la data che indicava Nicolò Migheli come orizzonte temporale per il nostro impegno programmatico). Al riguardo occorre rimuovere l’attuale monopolio decisionale che nella crisi della rappresentanza politica di fatto esercitano burocrati, assessori di turno e altri “addetti ai lavori” per consegnare la competenza a una nuova classe politica (rappresentata in primis dal Consiglio regionale e dai nostri rappresentanti a Bruxelles).  Ad essa spetta coinvolgere i sardi, nella misura maggiore possibile (e a questo fine anche noi siamo impegnati), unendo e finalizzando la materialità dei finanziamenti europei, governativi e di bilancio alle cose da fare su tutte le tematiche note (già elencate da Nicolò): la lingua, i beni culturali, le entrate, l’istruzione, le servitù militari, il sistema carcerario, l’agricoltura, i trasporti, il welfare… Per fare questo non fidiamoci dei partiti, senza peraltro demonizzarne nessuno, ma lavoriamo per creare molte occasioni di dibattito e di tavoli di lavoro, con tutti i mezzi disponibili (quelli tradizionali, fatti di assemblee e incontri, e quelli che ci forniscono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Un po’ come stiamo già facendo, anche con i nostri blog, ma con maggiore spirito unitario e coinvolgimento di persone e organizzazioni e, ancora, con maggiore impegno per fare a scadenze programmate sintesi e rilancio di proposte condivise e  concretamente attuabili, dandoci pertanto per ciascuna delle grandi tematiche obbiettivi chiari e misurabili, entro il quadro di riferimento temporale al 2023. Solo pochi esempi: “Di quanto riteniamo essere in grado di ridurre la dispersione scolastica? Di quanto ci riteniamo capaci di incrementare l’occupazione e ridurre la disoccupazione? Di quanto riteniamo possibile ridurre il gap infrastrutturale tra la Sardegna e le regioni europee più dotate? E così via. Per tutte queste questioni si tratta ovviamente di partire dalla situazione odierna e dallo “stato dell’arte”, tenendo prioritariamente in conto le “emergenze”, quali quelle ben segnalate dall’intervento di Vito Biolchini. Evidentemente anche per contribuire a cambiare impostazioni e ricercare diverse soluzioni, attraverso piani e programmi costruiti con l’ausilio dei migliori esperti e con la più diffusa partecipazione e ricerca del consenso delle popolazioni interessate.

Non vado oltre su queste ed altre questioni, che saranno oggetto di prossimi interventi anche con opportune ricognizioni di dibattiti avviati in altre sedi.

Mi piace invece chiudere con una sintetica considerazione sul problema dei problemi, cioè sulla classe dirigente (non solo politica, ma in tutti i settori e livelli della società): dentro una virtuosa alleanza generazionale, che riconosca il diritto dei giovani di essere protagonisti e decisivi nei posti di comando, occorre individuare e far emergere le persone dotate di idee ed energie nuove (che senz’altro ci sono in Sardegna in tutti i campi e che sono spesso sconosciute, come ben rilevato nell’intervento di Fabrizio Palazzari) per affidare loro i destini della nostra Isola, sostituendo le persone obsolete e inadeguate, perché come sosteneva Albert Einstein: Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha creato il problema!

Franco Meloni

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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.

Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :

aladinews

vitobiolchiniblog

Fondazione Sardinia

Tramas de amistade

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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu

Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari

Il terzo intervento di Nicolò Migheli

Il quarto intervento di Vito Biolchini

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La LAMPADA di ALADIN: dibattito SARDEGNA EUROPA

 

Si parla troppo poco delle elezioni sarde del 2014 e addiritura per niente delle elezioni europee del maggio 2014. Invece dobbiamo discutere molto con riferimento ad entrambe le scadenze, intrecciando il dibattito rispetto alle loro specificità. La Sardegna ha grande interesse alla costruzione di un’Europa, che superi positivamente l’attuale concezione (e relative politiche restrittive) dell’europa dei mercati. Vogliamo costruire l’Europa dei popoli, che istituzionalmente si realizzi attraverso la Confederazione degli Stati Uniti d’Europa, nella quale si esprima anche la sovranità della Sardegna! Ecco due spunti di carattere generale per inserirci nel dibattito sulla scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo (ripresi dall’agenzia presseurop):
- Martin Schulz, l’altro tedesco
- Politicizzare la scadenza elettorale del parlamento europeo