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Costituente Terra

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Notiziario n. 45 del 9 settembre 2021

Dal fallimento al progetto

Cari Amici,
come abbiamo scritto nella nostra ultima newsletter del 30 agosto la caduta di Kabul e la rotta degli Stati Uniti e dei loro alleati dall’Afghanistan, è un evento che ha un valore simbolico epocale, paragonabile al crollo del muro di Berlino del 9 novembre 1989. Quell’evento segnò la fine di un’epoca, la fine del mondo bipolare, del confronto politico, strategico e militare fra le due superpotenze uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale, un conflitto. che aveva congelato le nazioni nella morsa della guerra fredda; l’abbandono dell’Afghanistan rappresenta per contro il fallimento della risposta dell’Occidente a quella crisi e segna la fine dell’ordine globale instaurato dopo la caduta del comunismo e dell’ordine bipolare. Ne esce sconfitta la pretesa dell’Occidente di sostituirsi al socialismo scomparso instaurando un unico dominio su un mondo ridotto alla propria misura e finisce il sogno degli Stati Uniti di dar corso a un nuovo secolo americano.
Questa analisi, poi ripresa da Domenico Gallo e largamente circolata sui social, suggerisce una lettura di largo respiro degli eventi in corso ai fini di non farne andare perduta la lezione. Un tentativo analogo di interpretazione del ferragosto afghano all’altezza della portata dell’evento è stato compiuto, in un’intervista all’agenzia RIA Novosti, da Mikail Gorbaciov, che era stato a suo tempo protagonista di un’analoga esperienza, avendo nel 1989 ordinato il ritiro delle truppe sovietiche dall’Afghanistan. L’autocritica di Gorbaciov sull’errore sovietico di voler trapiantare il comunismo in Afghanistan è diventata così la critica agli Stati Uniti e alla loro pretesa di volervi impiantare la democrazia: “era fin dall’inizio un’impresa fallita – ha detto il leder della perestroika – anche se nella prima fase la Russia l’ha sostenuta. Come molti progetti simili, si basava su un’esagerazione della minaccia e su concetti geopolitici poco chiari”, ciò a cui si erano aggiunti “tentativi irrealistici di democratizzare una società multi-tribale”.
Il giudizio di Gorbaciov è tanto più significativo perché la sua decisione di porre termine all’avventura sovietica in Afghanistan si inseriva allora in un grande progetto volto a instaurare con l’Occidente un nuovo ordine mondiale basato sulla rinuncia alle armi nucleari e sulla nonviolenza, progetto che aveva trovato espressione nella dichiarazione di Nuova Delhi che il capo dell’URSS aveva firmato il 26 novembre 1986 con il leader indiano Rajiv Gandhi, tre anni prima della rimozione del muro di Berlino. Si trattava, come recitava quel testo, di costruire un mondo fondato sul diritto, sulla coesistenza pacifica e sulla considerazione della “vita umana come valore supremo”, Quella proposta , avanzata a nome di un miliardo di persone, un quinto dell’umanità, tale essendo allora l’entità dei popoli dell’URSS e dell’India messi insieme, fu del tutto ignorata dall’Occidente che puntava invece alla sconfitta della Russia sovietica e a dar vita a quel bel mondo unipolare che poi è riuscito a costruire. Tuttavia la rilettura della dichiarazione di Nuova Delhi è quanto mai utile perché mostra che un mondo diverso può essere concepito. e perché il fallimento della politica di dominio di una grande Potenza – ieri l’Unione Sovietica, oggi gli Stati Uniti – invece che condurre a scelte ancora più nefaste può essere l’occasione, come fu sperato allora, per mettere in cantiere un ordine mondiale di pace, di giustizia economica e di salvaguardia e risanamento dell’ambiente, al fine di garantire la sopravvivenza dell’umanità: che è appunto ciò che oggi siamo chiamati a fare. Perciò la dichiarazione di Nuova Delhi, che fu pubblicata in Italia solo dalla rivista “Bozze 87”, si può considerare un precedente dell’attuale movimento per instaurare una Costituzione della Terra.
Una valutazione negativa delle politiche di ingerenza delle grandi Potenze in contesti politici e culturali diversi per imporvi i propri modelli è stata espressa anche dal papa nella sua intervista alla radio spagnola Cope, sulla scia di un giudizio formulato in un incontro a Mosca tra Angela Merkel e Vladimir Putin: “Bisogna porre fine alla politica irresponsabile di intervenire dall’esterno e costruire la democrazia in altri Paesi, ignorando le tradizioni dei popoli” ha detto il papa citando Putin e la Merkel. Questo vuol dire che la democrazia non può varcare i confini dei Paesi in cui è già istituita? Se così fosse nemmeno una Costituzione mondiale potrebbe essere pensata. Però la via è un’altra: occorre diffondere nel mondo la cultura della democrazia e renderla effettiva dove almeno formalmente esiste. La democrazia è infatti la condizione indispensabile per dar vita a istituzioni che realizzino e garantiscano i grandi valori costituzionali della pace, del diritto, della pari dignità di uomini e donne, della libertà di pensiero e di religione, della giustizia sociale: e proprio la tragedia che si sta consumando in Afghanistan nella transizione dagli occupanti pseudoliberali d’Occidente ai talebani integralisti delle scuole coraniche intransigenti ne rivela la necessità e l’urgenza. Nell’ “Angelus” del 5 settembre il papa ne ha indicato lo strumento, che è quello dell’educazione, che è anche educazione alla democrazia, a cominciare dai giovani: “Possano i giovani afghani – ha detto Francesco – ricevere l’istruzione, bene essenziale per lo sviluppo umano. E possano tutti gli afghani, sia in patria, sia in transito, sia nei Paesi di accoglienza vivere con dignità, in pace e fraternità coi loro vicini”.
Dalle armi alla cultura, dal dominio all’educazione reciproca, all’ascolto e al dialogo: non è questa la grande rivoluzione da fare?
Nel sito potete trovare l’articolo di Domenico Gallo e un’opinione di Paula Guerra Cáceres sull’arroganza della cultura dell’Occidente sia riguardo a ciò che accade in Afghanistan che riguardo alle culture e alle storie “altre”; nel sito “Biblioteca di Alessandria” potete trovare la dichiarazione di nuova Delhi del 1986, richiamata in questa lettera.

Con i più cordiali saluti

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Il pensiero che aprì il Muro
LA DICHIARAZIONE DI NUOVA DELHI DEL 27 NOVEMBRE 1986

Tre anni prima della rimozione del muro di Berlino Mikhail Gorbaciov e Rajiv Gandhi a nome dell’URSS e dell’India, un quinto dell’umanità, chiedevano un totale rovesciamento della politica di dominio e di guerra e proponevano di costruire un mondo libero dalle armi nucleari e non violento in cui la vita umana fosse considerata il valore supremo. Il messaggio fu del tutto ignorato in Occidente

Il testo del documento firmato a Nuova Delhi dai leaders sovietico e indiano

L’umanità si trova oggi ad una decisiva fase di svolta della propria storia. L’arma nucleare minaccia di distruggere non solo quanto l’uomo ha realizzato nei secoli, ma anche lo stesso genere umano e persino la vita sulla Terra. Nell’era nucleare gli uomini debbono elaborare una nuova mentalità politica, una nuova concezione della pace, che sia una garanzia certa di sopravvivenza dell’umanità. La gente vuole vivere in un mondo più sicuro e più giusto. L’umanità merita un destino migliore, non deve essere ostaggio del terrore nucleare e della disperazione. Occorre cambiare la situazione internazionale venutasi a determinare e costruire un mondo libero dall’ordigno nucleare, libero dalla violenza e dall’odio, dal terrore e dal sospetto.
Il mondo che abbiamo ereditato appartiene alle generazioni presenti e future, il che impone di dare priorità ai valori universali. Occorre riconoscere il diritto di ogni popolo e di ogni persona alla vita, alla libertà, alla pace ed alla ricerca della felicità. E’ necessario rinunciare all’uso della forza e alla minaccia del suo impiego. Dev’essere rispettato il diritto di ogni popolo ad una scelta propria: sociale, politica e ideologica. Dev’essere respinta la politica volta ad affermare la supremazia di alcuni su altri. La crescita degli arsenali nucleari, la messa a punto delle armi spaziali minano la convinzione unanimemente riconosciuta, secondo cui la guerra nucleare non deve essere mai scatenata e non può essere vinta da nessuno.
A nome di oltre un miliardo di uomini, donne e bambini dei nostri due paesi amici, che insieme fanno un quinto dell’umanità intera, rivolgiamo ai popoli ed ai dirigenti di tutti i paesi l’appello ad intraprendere azioni immediate, che debbono portarci verso un mondo senz’armi di sterminio di massa, senza guerre.
Pienamente consapevoli della nostra comune responsabilità per le sorti dei nostri paesi e dell’umanità intera, noi proponiamo i seguenti princìpi per la costruzione di un mondo libero dagli armamenti nucleari e dalla violenza:

1. La coesistenza pacifica deve diventare una norma universale dei rapporti internazionali:
nell’era nucleare è indispensabile ristrutturare le relazioni internazionali, affinché il confronto sia soppiantato dalla cooperazione e le situazioni di conflitto siano risolte con mezzi politici pacifici e senza ricorrere alle armi.

2. La vita umana dev’essere considerata il valore supremo:
il progresso e lo sviluppo della civiltà umana possono essere assicurati in condizioni di pace e soltanto dal genio creativo dell’uomo.

3. La nonviolenza dev’essere alla base della vita della comunità umana:
la filosofia e la politica fondate sulla violenza e sull’intimidazione, sulla disuguaglianza e sull’oppressione, sulla discriminazione di razza, di fede religiosa o di colore della pelle sono immorali e inammissibili. Esse sprigionano uno spirito di intolleranza, sono deleterie per le nobili aspirazioni dell’uomo e negano tutti i valori umani.

4. La comprensione reciproca e la fiducia devono sostituire la paura e il sospetto:
la sfiducia, la paura e il sospetto fra i paesi e i popoli alterano la percezione del mondo reale. Generano tensione e, in ultima analisi, arrecano danno a tutta la comunità internazionale.

5. Deve essere riconosciuto e rispettato il diritto di ogni Stato all’indipendenza politica ed economica:
è necessario instaurare un nuovo ordine mondiale per garantire giustizia economica e uguale sicurezza politica per tutti gli Stati. La cessazione della corsa agli armamenti è il presupposto necessario per l’instaurazione di un simile ordine.

6. Le risorse impiegate per gli armamenti devono essere volte ad assicurare lo sviluppo sociale ed economico:
soltanto con il disarmo si possono disimpegnare ingenti risorse supplementari, necessarie alla lotta contro l’arretratezza economica e la miseria.

7. Devono essere garantite le condizioni necessarie per uno sviluppo armonioso della personalità:
tutti i paesi devono operare insieme per risolvere i problemi umanitari maturi e cooperare nel campo della cultura, dell’arte, della scienza, dell’istruzione e della medicina, per uno sviluppo completo della personalità. Un mondo senza armi nucleari e senza violenza aprirà grandiose prospettive a questo riguardo.

8. Il potenziale materiale e intellettuale dell’umanità deve essere utilizzato per risolvere i problemi globali:
è necessario trovare la soluzione di problemi globali quali il problema alimentare e quello demografico, la liquidazione dell’analfabetismo, la tutela dell’ambiente circostante attraverso un impiego razionale delle risorse della terra. Gli Oceani, il fondo marino e lo spazio cosmico sono patrimonio comune dell’umanità. La cessazione della corsa agli armamenti creerà le migliori condizioni per raggiungere tale obiettivo.

9. La sicurezza internazionale globale deve prendere il posto dell’«equilibrio del terrore»:
il mondo è uno e la sua sicurezza è indivisibile. Est e Ovest, Nord e Sud, indipendentemente dai sistemi sociali, dalle ideologie, dalle religioni e dalle razze, devono essere uniti nella fedeltà al disarmo e allo sviluppo;
la sicurezza internazionale può essere garantita con l’adozione di misure globali nel campo del disarmo nucleare, mediante tutti i mezzi accessibili e concordati di controllo, nonché con l’adozione di misure di fiducia e con una giusta composizione politica dei conflitti regionali attraverso trattative pacifiche e con la cooperazione nei campi politico, economico e umanitario.

10. Un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento richiede misure concrete e urgenti volte al disarmo:
Ci si può arrivare attraverso la stipulazione di accordi concernenti:
– la totale eliminazione degli arsenali nucleari entro la fine di questo secolo;
– l’inammissibilità della dislocazione di armi di qualsiasi tipo nello spazio, che è patrimonio comune dell’umanità;
– la totale interdizione degli esperimenti dell’arma nucleare;
– il divieto di creare nuovi tipi di armi di sterminio di massa;
– la messa al bando delle armi chimiche e l’eliminazione delle loro scorte;
– l’abbassamento dei livelli degli armamenti convenzionali e delle forze armate.

Finché le armi nucleari non saranno liquidate, l’Unione Sovietica e l’India propongono di stipulare immediatamente una convenzione internazionale che vieti l’uso delle armi nucleari o la minaccia di esso. Ciò rappresenterebbe un grosso passo concreto sulla via del disarmo nucleare totale.
La costruzione di un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento esige una trasformazione rivoluzionaria della mentalità degli uomini, l’educazione dei popoli nello spirito della pace, il rispetto reciproco e la tolleranza. Occorre vietare la propaganda della guerra, dell’odio e della violenza e rinunciare agli stereotipi della mentalità di chi vede un nemico in altri paesi e popoli.
La saggezza consiste nel non permettere che si accumulino e si aggravino i problemi globali, poiché evitare di risolverli oggi richiederà domani maggiori sacrifici.
Grande è il pericolo che incombe sull’umanità. Ma quest’ultima dispone di ingenti forze per scongiurare la catastrofe e aprire la strada che conduce ad una civiltà senza armi nucleari. La coalizione della pace, che sta accumulando le forze e che unisce gli sforzi del movimento dei non allineati, del gruppo dei «Sei», di tutti i paesi, partiti politici e organizzazioni sociali amanti della pace, ci dà motivo di speranza e di ottimismo. E’ arrivato il momento di azioni decisive e improrogabili.

Dalla rivista “Bozze 87”, gennaio/febbraio 1987, anno decimo, numero 1, pp. 17-21
Questa dichiarazione non fu pubblicata in Occidente.