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Le diseguaglianze sociali causa dell’insostenibilità ecologica

Se chi dispone di maggiori redditi, sprecasse meno risorse, avremmo più risorse anche per chi ha di meno, senza bisogno di aumentare i nuovi prelievi. Prendersela solo con l’aumento della popolazione come causa di insostenibilità ecologica, visto anche che la popolazione che più aumenta è quella più povera, mi pare oltre che sbagliato, ingiusto.
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Contro il malthusianesimo
edo-ronchidi Edo Ronchi Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, su huffingtonpost.it.

Thomas Robert Malthus con il suo Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società del 1798 argomenta come la crescita della popolazione sia limitata dai mezzi di sussistenza e che, quando i mezzi di sussistenza lo permettono, la popolazione tende a crescere in maniera esponenziale perché le famiglie popolari disponendo di mezzi oltre la sussistenza,fanno più figli.

La disponibilità di cibo tenderebbe ad avere una crescita solo lineare perché, aumentando fortemente la popolazione, aumenta fortemente anche la domanda di cibo e quindi si coltivano terre marginali, meno produttive e si sfruttano in modo eccessivo anche le altre determinando incrementi marginali più bassi della produzione di cibo.

Data questa asimmetria – sosteneva Malthus – la crescita della popolazione sarebbe stata comunque limitata dalla futura ridotta disponibilità di cibo. La crescita della popolazione francese, che passò da 20 milioni all’inizio del 1700 a 30 milioni nel 1780, si riteneva che avesse contribuito alla stagnazione dei salari agricoli e alla rivoluzione.

Malthus, da pastore anglicano conservatore, scrive dopo la Rivoluzione francese e non è preoccupato che possa mancare il cibo per una popolazione in crescita, ma che l’incremento demografico possa estendere la rivoluzione anche all’Inghilterra. Per limitare i tassi di natalità, sostiene, infatti, che sia soppresso ogni sistema di assistenza ai poveri.

È facile confutare l’asimmetria malthusiana: la produttività dell’agricoltura per molte ragioni è aumentata enormemente e la produzione di cibo, se fosse equamente accessibile e meglio utilizzata, sarebbe più che sufficiente a nutrire la popolazione mondiale attuale e quella prevedibile per il futuro.

L’asimmetria insostenibile non è quella fra la crescita della popolazione e produzione agricola, ma fra prelievo di risorse naturali (che per i modelli di produzione e di consumo ha un ritmo almeno triplo rispetto alla crescita della popolazione), emissioni di gas serra e altri inquinanti, da una parte, e capacità di carico del nostro Pianeta, del suo clima e della sua biosfera, dall’altra.

Allora perché prendersela oggi col malthusianesimo? Non solo per ragioni storiche, perché ha influenzato il darwinismo sociale di Spencer – il teorico della sopravvivenza del più adatto e del carattere scientifico della teoria economica che cancellerebbe qualsiasi senso di obbligo morale o sociale – o le teorie sulla popolazione di Ricardo e la sua “legge bronzea” sui salari. Ma perché in un’epoca di egoismi diffusi non vorrei che, sotto sotto, ci fosse anche chi pensasse di utilizzare il limite ecologico per sostenere, date le risorse naturali limitate, la sopravvivenza del più forte a scapito dei più deboli, meglio se sono immigrati da altri Paesi.

Una simile tesi, come quella di Malthus, non avrebbe alcun valore ecologico, ma finalità ben poco nobili.
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Portrait of Thomas Robert MalthusIl malthusianesimo e l’aumento della popolazione .
Alcuni commenti al post “Contro il malthusianesimo”, pubblicato la settimana scorsa [vedi sopra], mi hanno rimproverato di non aver tenuto conto del peso ecologico dell’aumento della popolazione. A me non pare, ma nel dubbio di aver espresso male, anche per esigenza di sintesi, come la penso sull’argomento, provo a precisare meglio.

L’enorme crescita della popolazione, passata in poco più di un secolo dai circa un miliardo e 600 milioni all’inizio del novecento agli attuali 7,6 miliardi destinati, secondo le previsioni ONU a crescere ulteriormente fino a circa 9 miliardi, genera certamente una rilevante impronta ecologica sul nostro Pianeta.

Ma va tenuto ben presente che il consumo di energia nel secolo scorso è aumentato di oltre 8 volte, circa il doppio del tasso di aumento della popolazione e il consumo di risorse – misurato in quantità di minerali, combustibili fossili e materiali biologici – è cresciuto oltre 12 volte, circa 3 volte di più della popolazione.

La dimensione dell’impronta ecologica prodotta sul nostro pianeta è determinata sì dall’aumento della popolazione, ma molto di più dal nostro modello di produzione e di consumo, ad alto impiego di energia fossile e di materiali.

Questo significa che potremmo ridurre notevolmente la nostra impronta ecologica, per esempio sul clima, tagliando drasticamente le emissioni di gas serra, senza diminuire la popolazione, con misure fattibili di risparmio, efficienza energetica e sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e tagliare il consumo di risorse naturali, con un modello di economia circolare che riduce la produzione di rifiuti e massimizza il loro riciclo.

Né si deve dimenticare che il consumo di risorse è distribuito in maniera fortemente diseguale: il cittadino europeo in media ne consuma circa 19 tonnellate l’anno, il cittadino indiano 4 tonnellate e quello africano 3 tonnellate (UNEP 2011).

Se guardiamo all’interno dei singoli Paesi vediamo ulteriori articolazioni di questa ineguale utilizzo delle risorse: la quota della popolazione a maggiore reddito consuma molta più energia, possiede più auto e le usa molto di più -per esempio- della parte a reddito più basso.

Se chi dispone di maggiori redditi, sprecasse meno risorse, avremmo più risorse anche per chi ha di meno, senza bisogno di aumentare i nuovi prelievi. Prendersela solo con l’aumento della popolazione come causa di insostenibilità ecologica, visto anche che la popolazione che più aumenta è quella più povera, mi pare oltre che sbagliato, ingiusto.
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