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I Centri di aggregazione sociale peseranno nelle contese elettorali municipali, soprattutto nelle elezioni per il comune di Cagliari

scuolpolarape-innovativa2Come anticipato in un precedente intervento (Aladinews del maggio 2015) pubblichiamo le note di accompagnamento alla proposta di legge regionale sui Centri sociali (che oggi chiamiamo più opportunamente “Centri di aggregazione sociale”, formulata negli anni 80 da Democrazia Proletaria Sarda. Il testo della proposta di legge oggi va attualizzato e riproposto, in quanto l’esigenza di disporre di dette strutture resta ed anzi è cresciuta in questi anni. Dunque proponiamo che questo si faccia subito e bene. In questa direzione impegniamo la nostra news per quanto possiamo fare. A cominciare dalla “vertenza della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis”. In quel quartiere, il più popoloso di Cagliari, sono assolutamente carenti le strutture di aggregazione sociale, necessarie per affrontare concretamente i problemi della disgregazione sociale (e quello strettamente correlato della dispersione scolastica) che lo affliggono in misura maggiore rispetto ad altre aree cittadine, certo congiuntamente con altre misure [a tal proposito non possiamo esimerci di citare le opportunità del programma ITI finanziato dall'Unione Europea con i fondi strutturali, che riguarda Olbia, Sassari (San Donato) e Cagliari (Is Mirrionis)]. A parole quasi tutti sono d’accordo, nei fatti le scelte delle amministrazioni locali, a cui compete la titolarità degli interventi in argomento, vanno in direzione contraria. Il direttore dell’Azienda Area, in un recente incontro, di cui abbiamo dato ampio resoconto, ha sostenuto che il Comune di Cagliari, così come tanti altri Comuni italiani, sta adottando una politica di dismissione dei centri sociali come di altre strutture consimili, nella logica dello spending review. Ha sostenuto, infatti, che l’Azienda Area può costruire bellissimi centri, ma poi i Comuni (non solo quello di Cagliari) non li prendono in carica, seppure ceduti ad essi gratuitamente, perché non hanno soldi per poterli gestire in proprio e non trovano chi lo possa fare a titolo oneroso, tanto da non creare ulteriori costi per le finanze comunali. Le eccezioni di cui ogni Comune può fare vanto non spostano la realtà della inadeguatezza degli interventi rispetto alle esigenze richiamate. Al riguardo è lecito pensare che le descritte politiche municipali non rispondano solo a logiche di risparmio quanto a un’impostazione antidemocratica che vede con fastidio la partecipazione popolare, considerata una minaccia alla stabilità del potere nelle mani degli attuali suoi gestori. Vale per la destra e purtroppo in misura eguale per la sinistra al governo, a tutti i livelli. Non disturbate il manovratore: questa è la regola prevalentemente adottata, a cui dobbiamo opporci senza alcuna esitazione. Contrastiamo pertanto le decisioni comunali di dismettere scuole e centri sociali magari per costruirvi al loro posto case popolari, nonostante esista un vasto patrimonio abitativo inutilizzato e aree già nella disponibilità pubblica per costruire abitazioni ex novo. La scelta politica impostata dalla destra e continuata dalla sinistra di contrapposizione tra le due esigenze primarie del diritto alla casa e del diritto ai centri di socialità porta solo ad accentuare i problemi di disgregazione sociale e accentua la carenza di qualità della vita soprattutto delle periferie urbane. Noi vogliamo invertire questa impostazione sbagliata.
Torneremo presto su questa questione, cercando di affrontarla nei diversi aspetti, segnatamente di carattere politico, compresi quelli che hanno e avranno peso nelle scadenze elettorali, Cagliari in primis.

cq sui centri socialiIL MUNICIPIO NON VUOL SAPERE QUANTO E’ BELLO IL CENTRO DI QUARTIERE

di Giorgio Giovannini e Ignazio Trudu

Tempo fa un gruppo di compagni di D.P. Sarda, constatata la mancanza assoluta di spazi aggregativi a Cagliari (e non solo a Cagliari), lanciava una proposta di legge regionale di iniziativa popolare per l’istituzione di Centri sociali e per agevolare l’informazione di base.
L’idea dei compagni di D.P. Sarda era di raccogliere le firme (ne occorrono 10 mila) per la presentazione della proposta di legge al Consiglio Regionale, così come prevede lo Statuto sardo, coinvolgendo attivamente in tal modo molte persone.
Ma le difficoltà incontrate solamente per iniziare l’iter di presentazione apparvero subito insormontabili, per questa ragione il progetto fu accantonato.
D’accordo con i compagni di D.P. Sarda, questo nostro giornale rilancia la proposta, in modo del tutto aperto, sia riguardo a un miglioramento del contenuto, sia ai mezzi più opportuni per coinvolgere nell’iniziativa quanti (gruppi o singoli) siano interessati, e per investire della proposta il Consiglio regionale (raccolta di firme in modo formale, petizione, presentazione alle forze politiche, etc.). Sarà comunque opportuno creare un Comitato che gestisca questa proposta, di cui facciano parte soprattutto rappresentanti dei gruppi di base.
Un primo momento di confronto sarà l’Assemblea-dibattito del 17 maggio alla libreria “Sardegna-libri”, di cui daremo resoconto sul prossimo numero di Cittàquartiere. (1)
Questa proposta di legge nasce dall’esigenza di portare un contributo, sia pure parziale, alla soluzione di uno dei problemi più gravi della nostra società: il disagio sociale.
L’isolamento dell’individuo nella nostra società è accentuato dalla mancanza di spazi aggregativi che favoriscano la vita collettiva nei suoi diversi aspetti, dallo scambio culturale, all’attività sportiva o politica, al semplice divertimento.
Alcune fasce sociali, le più deboli, come bambini, giovani e anziani, maggiormente penalizzate dalle carenze strutturali proprie di questa società devono avere l’opportunità di superare l’isolamento nel quale sono attualmente confinate.
La scuola, unico momento aggregativo per le fasce giovanili, non offre nessuna opportunità di sviluppo della personalità individuale. Se si escludono le strutture confessionali o private (alle quali non andrebbe delegata la gestione di queste iniziative) non resta che constatare l’assoluta mancanza di strutture pubbliche.
Non è lecito meravigliarsi se realtà disagiate, esasperate anche dalla mancanza di spazi, alternativi alla strada, si manifestino talvolta in forme di “devianza”, quali droga, delinquenza, ecc.
Ma anche quando il malessere non degenera nella “devianza” è ugualmente presente e on si può continuare ad ignorarlo.
Pensiamo all’attività sportiva: laddove esistono le strutture sono per lo più private, il che comporta l’esclusione dalle stesse di tutte le persone appartenenti alle classi meno abbienti.
Stesso discorso per i gruppi che vorrebbero impegnarsi in attività artigianali, artistiche o politiche: sono costretti ad abbandonare ogni progetto per mancanza di mezzi e spazi.
In questo contesto sociale, di disagi ed emarginazione, non può essere tralasciata la grave realtà degli anziani.
Forse più di ogni altra fascia sociale essi risentono della mancanza di strutture e dell’isolamento che ne deriva.
Anche se il problema degli anziani è molto più complesso e richiede misure più ampie di intervento pensiamo che il problema della difficoltà della vita aggregativa non debba essere trascurato.
I Centri sociali, strutture pubbliche, autogestite e programmate, capaci di stimolare e permettere l’espressione delle diverse realtà, rappresentano a nostro parere un importante strumento di intervento realistico e concreto del malessere sociale.
Il progetto sui Centri sociali non è utopistico ma dovrebbe diventare realtà operante in Sardegna come lo è già in tante altre città italiane ed europee per sostenere la stampa di base.
Un ruolo importante è attribuito all’informazione; attualmente la maggior parte dei canali informativi è gestito e monopolizzato dalle grosse testate e dai gruppi di potere. E’ importante per il pluralismo dell’informazione tutelare e finanziare l’informazione di base, che per ora, quando c’è, si affida all’autofinanziamento (vedi Cittàquartiere), il che comporta precarietà e conduce in molti casi alla breve durata delle pubblicazioni.
Accogliendo l’appello dei promotori pubblichiamo il testo della proposta di legge e invitiamo tutti gli interessati a mettersi in contatto con queste pagine.
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(1) Cittàquartiere non ha mai pubblicato il resoconto dell’iniziativa, regolarmente tenutasi sabato 17 maggio 1986. Tuttavia gli organizzatori della rivista del Coordinamento dei comitati e circoli di quartiere, fecero un comunicato stampa di sintetico resoconto dell’incontro, presieduto dalla compianta Elisa Spanu Nivola, che sotto riportiamo integralmente.

“Sabato 17 maggio si è svolto presso la Libreria “Sardegnalibri” un dibattito pubblico sul tema “C’è un futuro per i gruppi di base e per la loro stampa?, organizzato dal periodico Cittàquartiere.
Dal dibattito, introdotto da una comunicazione della prof. Elisa Spanu Nivola, è emersa la necessità di un rilancio dell’iniziativa dei gruppi di base, non in contrapposizione alle istituzioni ma in funzione di stimolo, critica alle stesse, sviluppando una capacità di autonoma produzione culturale.
Le istituzioni, soprattutto la Regione, il Comune e le Circoscrizioni devono impegnarsi a sostenere le iniziative di base, evitando i condizionamenti e fornendo loro aiuti soprattutto di strutture e finanziamenti per l’attività. In questa direzione va la legge regionale proposta durante l’incontro.
Tale proposta sarà oggetto di una campagna di informazione dell’opinione pubblica e, corredata da un buon numero di firme dei cittadini, verrà presentata alle orze politiche presenti in Consiglio regionale.
A questo scopo durante l’assemblea si è deciso di dar vita a un Comitato di rappresentanti dei gruppi di base e dei giornali di base che gestisca la proposta, apportanto tutti i possibili miglioramenti.
Cagliari, 22/5/1986″
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coord cdq cagliari manifestazione

La “meglio gioventù” della Scuola Popolare di Is Mirrionis

SP
ape-innovativaMercoledì 3 dicembre promossa dal Circolo culturale Antonio Gramsci e dalla Biblioteca l’Albero del riccio, con la nostra collaborazione, si terrà un’assemblea per ricordare l’esperienza della Scuola Popolare e per richiedere il recupero dell’ex centro sociale che ospitò l’attività della stessa Scuola (1), del Comitato di quartiere e del Circolo culturale di Is Mirrionis. Della Scuola Popolare parla in modo sintetico ma efficace, nell’intervento che segue, Giorgio Seguro, che di quell’esperienza fu protagonista sia come insegnante sia come esponente degli organismi di coordinamento. Non la ricordiamo come compiaciuto “amardord”, anche se questa componente è legittimamente presente, ma soprattutto per cogliervi utili insegnamenti per quanto si può fare oggi a Is Mirrionis come negli altri quartieri della città, periferici o no, ma comunque luoghi di disagio sociale. Lo facciamo per affrontare (e contribuire a risolvere) i drammatici problemi che li segnano: dalla disoccupazione, alla carenza di abitazioni disponibili (nonostante le case sfitte), alla dispersione scolastica (che vede Cagliari al vertice delle statistiche degli abbandoni)… tanto per segnalare importanti odierne emergenze. Siamo sicuri che dall’iniziativa di mercoledì scaturiranno nuove proposte per percorsi di impegno sociale, in parte già intrapresi, ma che richiedono di essere rafforzati e ripensati (con inedite iniziative, anche riprese da “buone pratiche” in ambiti nazionali e internazionali) rispetto al pericoloso acuirsi di quel complesso di problemi che chiamiamo “disagio sociale”. Vedremo quanto saremo in grado di aggregare persone e organizzazioni che per tale finalità ritengono valga la pena di spendersi.
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La “meglio gioventù” della Scuola Popolare di Is Mirrionis
di Giorgio Seguro
La Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis fu un’esperienza autogestita, autofinanziata, profondamente radicata nel quartiere, e finalizzata all’ottenimento della licenza media per quelle persone adulte (lavoratori e disoccupati) finite fuori dal circuito scolastico, comportante un impegno tutte le notti della settimana, con orario, all’incirca, dalle 20.30 alle 23, e che proponeva anche iniziative di respiro culturale e sociale.
Durante i 6 anni di attività furono coinvolti circa 250 lavoratori e 150 insegnanti volontari (per lo più studenti universitari), oltre a diverse decine di persone che si occuparono delle iniziative culturali e sociali nel quartiere. Nel 6°, e ultimo anno, si operò per una trasformazione dell’esperienza in Centro Culturale: come Scuola Popolare ci si dedicò a favorirne l’auto superamento a vantaggio della nascente realtà delle “150 ore”.
La Scuola Popolare rappresentò un’importante esperienza pedagogica che, partita dai programmi scolastici tradizionali, ben presto andò oltre, puntando a costruire percorsi didattici alternativi privilegiando quegli argomenti di storia, geografia, matematica, lingue straniere ecc. che venivano a collegarsi con le storie di vita dei lavoratori-studenti. Il tutto, in un clima di solidarietà, di incontro-confronto, a volte aspro, tra culture, storie, ideologie (marxista, cattolica, liberale ecc.) personali diverse.
Superato il primo, brusco impatto con la scuola tradizionale (il 2° anno di attività sui 59 lavoratori presentatisi all’esame, ben 30, oltre il 50%, furono bocciati!), cercando l’appoggio del quartiere, facendoci conoscere a livello più ampio (anche con un Giornalino), promuovendo la formazione della “Federazione delle Scuole Popolari” (che sorsero nei quartieri di Stampace, Sant’Elia, e nei centri di Bindua-Iglesias, Elmas, Morgongiori, Quartucciu, Villacidro) e trovando risonanza anche a livello nazionale (Convegno a Roma, Stampa continentale), la Scuola Popolare venne a rappresentare un vero laboratorio di costruzione di coscienze critiche e solidali. Non risulta che alcun partecipante all’esperienza abbia poi imboccato strade negative quali droga o terrorismo. Molti, grazie al titolo conseguito, trovarono lavoro o proseguirono gli studi.
In sintesi, l’iniziativa divenne talmente forte che si riuscì ad ottenere da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, in collegamento con analoghe esperienze nazionali, la costituzione di “Commissioni Speciali d’esame”, all’interno delle quali si ottenne che un insegnante della Scuola Popolare fosse inserito nella commissione, che le prove scritte consistessero in programmi alternativi svolti, e che le prove orali fossero espletate in gruppo o individualmente, a scelta del lavoratore-studente. I risultati furono brillanti non solo per l’ottenimento della licenza media, ma anche come esperienza culturale e sopratutto come esperienza umana.
Ho voluto proporre una rapida, e incompleta, sintesi di questa esperienza con l’intento che non si disperda nell’oblio questo pezzo di storia della “meglio gioventù” di Is Mirrionis, di un quartiere che troppo spesso è stato additato come “ghetto malfamato” e affinchè questi locali vengano ristrutturati e resi all’uso culturale e sociale dei cittadini del quartiere (e della città), prendendo il “testimone” della precedente esperienza di Scuola Popolare.
L’auspicio che mi preme fare è che l’Amministrazione Comunale si faccia carico del recupero dei locali che ospitarono la Scuola, oggi in totale rovina, garantendone un uso per iniziative culturali e di aggregazione sociale, intitolando la piazza (ancora senza nome!) ai Lavoratori della Scuola, come si è già richiesto, e, sarebbe bellissimo, dedicando la nuova struttura a Claudio Pilleri, abitante del quartiere, uno dei principali costruttori di quest’esperienza, morto prematuramente nel 2001, e a cui si deve la stesura della Tesi di Laurea in Filosofia sulla Scuola Popolare di Is Mirrionis, relatore il prof. Giulio Angioni, per l’Anno accademico 1981-82.
Da questa tesi sono tratti i dati riportati in questo scritto e in misura meno incompleta nella scheda che sotto si riporta.

(1) L’edificio, ex ISSCAL (oggi proprietà di Area, ex IACP), è stato utilizzato dal 1972 al 1976 come sede della Scuola Popolare del quartiere di Is Mirrionis (dopo che la stessa, sorta nel 1971, nel primo anno di attività, era stata ospitata presso i locali della Parrocchia di Sant’Eusebio).
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SCHEDA della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis

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Anni di attività:
1) dall’ottobre del 1971 al giugno del 1972 (solo Scuola popolare)
2) dall’ottobre del 1972 al giugno del 1973 (solo Scuola popolare)
3) dall’ottobre del 1973 al giugno del 1974 (solo Scuola popolare)
4) dall’ottobre del 1974 al giugno del 1975 ( + Centro culturale)
5) dall’ottobre del 1975 al giugno del 1976 (+ Centro culturale)
6) dal giugno del 1976: Comitato di Quartiere
Strutture organizzative:
o Commissione didattica
o Collettivo insegnanti
o Assemblea generale
o Commissione di coordinamento
o Commissione programmi e didattica
o Commissioni di corso
Risorse economiche: auto finanziamento

Primo anno: dall’ottobre del 1971 al giugno del 1972
• Locali: presso la Parrocchia di Sant’Eusebio
• Partecipanti: 52 studenti-lavoratori suddivisi in 4 corsi di 13 persone ciascuno. Uno dei corsi è formato esclusivamente da lavoratori turnisti. 27 insegnanti (in maggioranza studenti universitari + qualche giovane lavoratore
• Frequenza: dal lunedì al venerdì dalle 21 alle 23. Il sabato è dedicato alle ore di recupero.
16 aprile 1974. Si costituisce un Comitato promotore del quartiere di Is Mirrionis
Esami di licenza. Si presentano, da privatisti, 29 all’esame per licenza media: 25 vengono promossi; 4 si presentano, e conseguono, la licenza elementare.

Secondo anno: dall’ottobre del 1972 al giugno del 1973
Nel settembre del 1972 viene stampato in ciclostile il primo numero del “Bollettino di quartiere, organo del Comitato di quartiere di Is Mirrionis” che verrà registrato e autorizzato dal Tribunale di Cagliari nel 1973 col nome di “Scuola Popolare”. In esso viene spiegato il perché della costituzione del Comitato di quartiere e contiene delle ricerche fatte all’interno di Is Mirrionis. Dopo la costituzione del Comitato di Quartiere, nel 1976, il giornale cambierà l’intestazione: “Città quartiere”, diventando l’organo di stampa ufficiale del coordinamento dei Comitati e circoli di quartiere di Cagliari.
Locali. Vengono reperiti quelli di via Is Mirrionis 57/D, nell’ex Centro sociale dell’ISSCAL (e ancora prima asilo), ampliati con altri ambienti adiacenti, di proprietà della Parrocchia, fatiscenti e malsani, che vengono risanati dai partecipanti alla Scuola Popolare.
Partecipanti. Si iscrivono 73 lavoratori, suddivisi in 5 corsi, seguiti da 54 insegnanti, di cui 45 sono studenti universitari, 7 lavorano e 5 insegnano nella scuola ufficiale.
Frequenza. Dal lunedì al sabato dalle 20.30 alle 22.30.
Nell’ottobre del 1972 l’on. prof. Giovanni Lilliu presenta in Consiglio Regionale una richiesta di erogazione di contributi (finanziario, materiale didattico, locali) a favore della Scuola popolare. Si continua con l’autofinanziamento.
Nel novembre del 1972 la Scuola decide di trasformarsi, dopo un’assemblea generale, in Associazione culturale con regolare Statuto, basato su 9 “titoli”, registrato presso il Tribunale di Cagliari.
Nel giugno del 1973, nonostante precedenti incontri avuti col preside e gli insegnanti della scuola media “Alagon”, i lavoratori vennero dirottati in scuole medie di altri quartieri cittadini (Cima e Foscolo). Su 59 lavoratori presentatisi agli esami, 30 furono respinti, 24 licenziati. Nel mese di luglio la “strage” fu denunciata, tramite volantinaggio e il giornale della Scuola, all’opinione pubblica e la notizia trovò eco anche nella stampa regionale e nazionale.

Terzo anno : dall’ottobre del 1973 al giugno del 1974
E’ dall’inizio caratterizzato dalla “lotta” per i locali, prima affittati dal Parroco al gestore di un bar e poi, dopo mobilizzazione anche del quartiere, di nuovo concessi alla Scuola Popolare.
Si lavora per un cambiamento dei programmi, puntando alla costruzione di una scuola “alternativa”.
Partecipanti. Si iscrivono 71 lavoratori suddivisi in 5 corsi e seguiti da 61 insegnanti di cui 6 insegnano nella scuola ufficiale.
Eventi:
• A partire da un incontro svoltosi a Guspini nel novembre del 1973, con l’organizzazione della “Società Umanitaria” di Cagliari, si viene a costituire “La federazione delle Scuole Popolari Sarde” cui aderiscono i quartieri cittadini di Is Mirrionis, Stampace, Sant’Elia, e i paesi di Bindua (Iglesias), Elmas, Morgongiori, Quartucciu, Villacidro. Questo organismo portò avanti la vertenza con i Provveditorati agli Studi per l’istituzione delle Commissioni speciali d’esame per i lavoratori-studenti.
• Nel dicembre del 1973 si svolse a Roma un affollato Convegno delle Scuole Popolari nazionali cui partecipò anche Is Mirrionis. In quella occasione si poterono studiare molte altre realtà che già si erano poste il problema di un superamento di quel tipo di esperienza in favore delle 150 ore.
• Nel gennaio del 1974 si apre il dibattito per trasformare la Scuola Popolare in Centro Culturale che abbia il fine di proporre nuovi settori di intervento (ne vengono individuati 5: Quartiere, cui aderiscono 9 persone; Centro Studi, con 10 partecipanti; Attività musicali e teatrali, con 10 partecipanti; Sport e attività ricreative, con 14 aderenti; Scuola), settori che vengono proposti ad altri abitanti del quartiere o ai lavoratori-studenti già licenziati. La Scuola popolare, tuttavia, rimane il principale campo di intervento.
• Nel maggio del 1974 la Scuola Popolare partecipò alla campagna per il riconoscimento del diritto al Divorzio: ottenne dal Comune 300 spazi elettorali per l’affissione di manifesti, emanò un numero speciale del Giornale per spiegare le ragioni del NO al referendum, volantinò nel quartiere. Nel quartiere di Is Mirrionis l’adesione al NO superò il 70% dei voti.
• Grande motivo di orgoglio fu l’ottenimento, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, delle Commissioni Speciali d’esame, dove fu concesso, per le prove scritte, che il compito di italiano vertesse su un argomento riguardante l’esperienza della Scuola Popolare o su un argomento di attualità; per la lingua straniera, fu proposto un questionario; per la matematica una prova di geometria solida e una di geometria piana. Per le prove orali si propose che gli esami per i lavoratori, qualora lo avessero richiesto, fossero svolti collettivamente e vertessero su argomenti a piacere e non su materie. Ancora, alle prove orali fu ammessa la presenza, nelle commissioni d’esame, di un insegnante della Scuola Popolare non con il fine di “controllare”, ma per poter verificare il lavoro di gruppo svolto durante l’anno. Tutti i lavoratori ottennero la licenza media.

Quarto anno: dall’ottobre del 1974 al giugno del 1975
Si assiste ad un progressivo superamento della mera esperienza di Scuola Popolare da parte del Centro Culturale di cui la Scuola diviene un settore non più predominante. Si accettarono iscrizioni di 32 lavoratori riuniti in un unico corso, di cui 20 giunsero a sostenere l’esame finale di licenza media: furono promossi tutti.
Si lavorò sopratutto per “settori”: oltre a quello della scuola, dove si studiarono soprattutto testi riguardanti i quartieri popolari, con una ricerca specifica su Is Mirrionis; si mise in funzione il settore Quartiere che portò avanti studi insieme al settore Scuola, ma allargando le riflessioni su tematiche più ampie (rapporto culture egemoni e subalterne; ruolo degli intellettuali; ricostruzione della storia di Is Mirrionis; contatti con le famiglie e le forze ‘presenti nel quartiere’, ecc). Altro settore di intervento fu quello relativo al Cineforum, con lo scopo di offrire agli abitanti del quartiere un’opportunità di aggregazione, con gli animatori che parteciparono a corsi formativi organizzati dalla Cineteca Sarda e dalla Società Umanitaria. I film proiettati riguardavano temi di respiro sociale e venivano corredati di presentazione e di dibattiti. Altri settori erano costituiti dal Gruppo Giovani e da un Centro Studi, con aderenti che facevano parte anche del settore Quartiere, mentre nessuno era inserito in quello della Scuola Popolare.

Quinto anno: dall’ottobre del 1975 al giugno del 1976
Nel mese di settembre del 1975 lo IACP sigillò gli ingressi del locali sede del Centro culturale. Fu grazie ad una mobilitazione e ad una controinformazione, anche con il giornale della Scuola Popolare, di tutto il quartiere che si riuscì a costringere lo IACP a riconcedere l’uso dei locali. Nei mesi di agosto e settembre 1975 il centro Culturale si impegnò nella raccolta delle domande di iscrizione dei lavoratori agli istituendi corsi delle 150 ore. La stessa Federazione regionale delle Scuole Popolari si adoperò per la realizzazione dei corsi anche in Sardegna, consapevoli che ciò avrebbe portato al superamento dell’esperienza delle Scuole Popolari come momento volontaristico e alla nascita di una lotta per il riconoscimento reale del diritto allo studio da parte delle masse operaie, come opportunità di riscatto culturale e sociale e realizzato dallo Stato. Le Scuole Popolari si sarebbero invece riproposte come Centri Culturali di quartiere. Prima dei vari corsi nelle scuole pubbliche, nella Scuola popolare si organizzarono dei pre-corsi, preparatori a quelli delle 150 ore e tenuti dagli insegnanti dell’anno precedente. Fu organizzato anche un corso apposito per delle lavoratrici-infermiere di una Clinica privata cittadina (in quanto a queste non era stato riconosciuto il diritto a poter usufruire delle 150 ore), con insegnanti un gruppo di laureande in Medicina. Quell’anno andò avanti ancora il Gruppo Giovani, il gruppo handicappati e il Gruppo cinema. Un comitato cittadino per la formazione dei Consultori, che una legge nazionale del 1975 delegava alle Regioni, venne ospitato nei locali del Centro.
Quell’anno fu caratterizzato sin dal principio dal dibattito fra le 2 anime dei partecipanti: tra coloro che puntavano alla costruzione di una proposta di scuola come momento di aggregazione del quartiere, facendosi promotrice di un altro comitato di quartiere e quelli che individuavano la specificità della scuola in un intervento soprattutto culturale, di formazione politica e sociale degli abitanti del quartiere. Da una parte, quindi, un’iniziativa culturale, il Centro; dall’altra, una politico-rivendicativa, il Comitato di quartiere. Lo scontro fra queste due ipotesi di lavoro, sancito formalmente in una drammatica assemblea generale il 24 gennaio del 1976 e protrattosi tutto l’anno sociale 1975-76, portò alla crisi del Centro e alla nascita del Comitato di quartiere. Si giunse infine ad uno stato di disgregazione delle iniziative sinchè nel maggio del 1976 una parte degli aderenti abbandonò le strutture del Centro Culturale nelle quali si erano impegnati, il che favorì la trasformazione del Centro in Comitato di quartiere che iniziò ufficialmente la sua attività il 5 giugno del 1976.
Iniziava così una nuova fase storica di impegno, più polico-sociale che culturale, nel quartiere di Is Mirrionis e nella città di Cagliari.

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Questi dati sono stati tratti dalla tesi di Laurea in Filosofia, presso l’Università di Cagliari, redatta da Claudio Pilleri, con relatore il prof. Giulio Angioni, nell’anno accademico 1981-82.