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Gli OCCHIALI di PIERO

DANILO DOLCI
Genio è ridurre tutto all’essenziale (Danilo Dolci).
Un uomo grande e grosso, somigliava al suo cognome, spargeva dolcezza.
Nato in provincia di Trieste il 28 giugno 1924, in un paese oggi sloveno, è andato a morire all’altro capo dell’Italia, in Sicilia.
Antifascista, rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò, arrestato a Genova dai nazifascisti, riuscì a fuggire e a nascondersi in Abruzzo.
Nel 1950, sul punto di laurearsi in architettura, lascia tutto e aderisce alla Comunità di Nomadelfia. Poi nel 1952 va in Sicilia, a Trappeto e a Partinico, dove lotta contro la mafia e contro la fame. Fa digiuni di protesta, inventa lo sciopero al contrario, disoccupati che lavorano gratis a rifare una strada.
Lo Stato manda la polizia: digiunare in pubblico è illegale, legale è morire di fame in privato. Processato, perchè vietato rifare la strada abbandonata dal Comune, è difeso da Piero Calamandrei. Assolto.
Non è comunista, amico di Aldo Capitini è per la non-violenza, ma l’Unione Sovietica gli conferisce il Premio Lenin per la pace; usa quei soldi per un Centro Studi e iniziative per la piena occupazione.
Con Franco Alasia, stretto collaboratore, fa un’inchiesta che conclude che due DC, uno Ministro, sono, chi l’avrebbe detto?, collusi con la Mafia, ma sono condannati per diffamazione, 7 anni di processo. Pena condonata.