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Salute e Sanità

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Ripensare la sanità. Per un umanesimo della cura
24 Giugno 2021 by c3dem_admin | su C3dem.

Nel corso della “tre giorni” che l’associazione Agire Politicamente ha tenuto ad Assisi nella seconda metà di giugno è stato discusso un documento sulla Sanità redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Massimo De Simone e Domenico Rogante. Il documento è aperto al parere ed all’eventuale apporto di tutti. In seguito, sarà rielaborato e presentato in diverse sedi
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Nel corso della drammatica emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del Covid-19, anche nel nostro Paese sono emerse questioni riguardanti in particolare il futuro del nostro sistema sanitario su cui si è già aperto un articolato dibattito.

C’è innanzitutto la questione della vulnerabilità di una organizzazione concepita per far fronte alla domanda della salute che era tipica del secolo scorso, e che ha subito forti tagli lineari specialmente negli ultimi dieci anni fino a raggiungere un definanziamento complessivo di circa 37 miliardi. Ne ha sofferto il numero di posti letto negli ospedali (ne abbiamo la metà di quelli su cui possono contare i tedeschi) e, in modo particolare, quelli per terapia intensiva. Ed abbiamo pochissimi infermieri ed altri operatori sanitari; anche se il numero dei medici non è inferiore rispetto alle medie comunitarie, dei quali però si prevede una grave carenza nei prossimi anni, frutto di una errata programmazione nell’ambito del sistema del numero chiuso che respinge sei studenti su sette.

Le altre questioni, sulle quali nel prossimo futuro dovranno farsi più attente analisi e proposte di eventuali necessari cambiamenti per superare le criticità emerse durante questa emergenza pandemica, riguardano l’assetto istituzionale, l’organizzazione integrata tra servizi ospedalieri e medicina territoriale ed il rapporto tra pubblico e privato.

È bene ricordare che il Servizio sanitario nazionale nacque nel 1978 per superare il sistema mutualistico. Aveva tra gli obiettivi principali quelli l’equità (uguali prestazioni per tutti), la partecipazione democratica (gestione affidata ai comuni e partecipazione dei cittadini nelle Unioni sanitarie locali), la globalità degli interventi (prevenzione, cura, riabilitazione), la territorialità dei servizi (prossimità al luogo di manifestazione del bisogno), l’organizzazione del distretto sanitario (erogazione dei servizi di primo livello e di primo intervento), la centralità della prevenzione.

Negli anni successivi, si è andati sempre di più verso un’aziendalizzazione della sanità per rispondere alle pressanti esigenze finanziarie, con l’introduzione di una concezione di assistenza pubblica in cui la spesa sociale e sanitaria doveva essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate e non più unicamente all’ entità dei bisogni. Concezione ulteriormente fortificata dalla privatizzazione di alcuni servizi e quindi dalla competizione tra pubblico e privato.

Successivamente, con la regionalizzazione del sistema, la tutela della salute è divenuta materia di legislazione concorrente Stato-Regioni: lo Stato determina i Livelli essenziali di assistenza (LEA); le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione dei servizi sanitari e nel finanziamento delle Aziende Sanitarie. Questa organizzazione ha creato differenze sostanziali nei servizi offerti da ciascuna Regione, in particolare sui ticket per le prestazioni, sui prontuari farmaceutici, sul costo dei materiali.

Si ridefiniva inoltre il distretto ampliandone la matrice organizzativa tecnico-gestionale, ma se ne esaltava la versione burocratico-amministrativa del sistema, a discapito di quella di assistenza territoriale diretta, per la quale si affidava alla Regione la scelta tra soggetti pubblici o anche privati. Successivamente i piani sanitari nazionali 94/96 e 98/2000 hanno indicato la necessità dell’integrazione tra attività distrettuali, assistenza di base dei medici di medicina generale e assistenza domiciliare.

Con il decreto Balduzzi (2012) si tentò di dare concretezza al ruolo del territorio e della medicina generale, stabilendo modelli aggregativi dei medici di medicina generale e pediatri di libera scelta monoprofessionali (AFT) e multiprofessionali (UCCP), per garantire la continuità assistenziale, dall’ospedale verso i territori, con il distretto competente a garantirla. Si determinava la necessità del ruolo unico delle figure professionali mediche della medicina territoriale, con la previsione di utilizzo, negli studi dei medici di famiglia, di tecnologia di primo livello e strumenti di telemedicina.

Dai cenni indicati si può desumere che non mancasse la consapevolezza della rilevanza dell’integrazione complessiva dall’ospedale al territorio o, meglio, viceversa, ma i fatti sembrano contraddirla. Infatti, la riconversione degli ospedali e la rapida definizione degli standard dell’assistenza territoriale permettevano di superare il mito del posto-letto a favore della valorizzazione di una rete di servizi territoriali ed ospedalieri considerati in modo unitario.

Oggi si può affermare che la disfunzione più grave del sistema sanitario è imputabile al fatto che i principi della riforma del ‘78 sono stati abbandonati o non attuati, senza che sia dimostrata la loro obsolescenza. Il sistema sanitario pubblico non sembra, almeno esplicitamente, messo in discussione, per quanto oggi stia diventando sempre più una consuetudine appaltare alcuni servizi ai privati. Questo, a nostro avviso, rischia di minare quelle che sono le fondamenta del nostro Sistema sanitario nazionale, che prevede il ricorso al privato solo come integrazione dei servizi, sulla base delle esigenze dovute alla programmazione, senza che debba mai sostituire completamente il servizio pubblico, anche perché vorrebbe dire un aggravio delle spese a carico dei cittadini.

L’aspetto che viene messo maggiormente in discussione è la capacità sul lungo periodo, da parte di questo sistema, di mantenere, se non di migliorare, il livello dell’assistenza, soprattutto con un trend di invecchiamento della popolazione sempre crescente che rischia di superare la soglia di sostenibilità.

Ciò che sicuramente si è dimostrato indispensabile è l’attuazione di una continuità assistenziale dall’ospedale al territorio, per la quale necessita l’integrale implementazione della Riforma Balduzzi, ruolo unico dei medici di base compreso. A tal proposito è da notare che non a caso la relativa previsione, che risale al 2012, non ha avuto concretizzazione. Forse non si tratta solo di resistenze corporativistiche, forse c’è da riflettere su quale possa essere il ruolo e la natura stessa del medico di base, per l’oggi e per il futuro. È un bene prezioso il rapporto di fiducia tra il medico, la persona e la famiglia; il medico di base deve essere una figura di primo piano nella medicina del futuro. Occorre assicurare il permanere di quel rapporto anche se inserito nel ruolo unico, che ne realizzi una identità nuova ed esaltante in una struttura di prossimità. Occorre poi una riflessione sul ruolo complessivo che il distretto può giocare se mantenuto in dimensioni tali da conservare la prossimità al territorio.

Il rapporto Stato – Regioni dopo la pandemia

L’emergenza Covid-19 ha messo in luce la vulnerabilità dell’organizzazione/articolazione istituzionale del sistema, acutizzando le ben note criticità esistenti nel rapporto tra Stato- Regioni. In questi mesi molte regioni hanno dato cattiva prova di sé nella gestione amministrativa della pandemia. Il continuo rivendicare la propria autonomia, più per esigenze politiche che per altro, non ha fatto altro che creare ulteriore confusione e disservizi, in una situazione che invece richiedeva necessariamente interventi centralizzati da parte dello Stato. La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 37, ha dovuto chiarire che: “a fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche radicano nell’ordinamento costituzionale l’esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività.”

Per queste ragioni, l’esperienza di questi mesi deve servire per tentare un nuovo approccio al tema del rapporto tra lo Stato e le Regioni e le autonomie differenziate, inquadrandolo in una riflessione più ampia del ruolo dell’amministrazione centrale e dell’indirizzo politico di ciascuna regione, rafforzando gli strumenti di coordinamento e collaborazione tra il governo e le autonomie, con la consapevolezza che lo Stato deve esercitare funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali in materia sanitaria e che può anche esercitare il potere sostitutivo in caso di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica. Sarà importante avviare questa riflessione anche alla luce del processo in corso sul federalismo fiscale, cui fa riferimento il PNRR, che deve comportare la ridefinizione dei criteri di ripartizione delle entrate e delle spese, per evitare di aggravare in maniera definitiva il divario tra il Nord ed il Sud del Paese.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: un’occasione da non perdere

Tra le novità più importanti emerse in questo ultimo anno così difficile, rappresenta sicuramente una fonte di speranza per il futuro l’iniziativa denominata Next Generation Eu (NGEU) con cui l’Unione europea assegnerà agli Stati membri fondi finalizzati a favorire la ripresa economica e sociale dopo la pandemia, ricorrendo alla combinazione di due linee di sostegno: il Recovery and Resilience Facility (Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza) e il REACT-EU (Assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa), all’insegna della transizione ecologica, della digitalizzazione, della competitività, della formazione e dell’inclusione sociale, territoriale e di genere.

Entro il 30 Aprile 2021 ogni stato membro ha presentato il proprio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cominciando così un’interlocuzione formale con le autorità europee che porterà all’approvazione dei piani per sbloccare la prima parte delle risorse e finalmente dare l’avvio alla realizzazione.

La parte del piano presentato dall’Italia, riguardante i fondi per la Sanità. è rappresentata dalla Missione 6 Salute, per un finanziamento complessivo di 15,63 miliardi di euro. A questi si aggiungono le risorse del REACT-EU e del Fondo Nazionale Complementare per ulteriori 4,6 miliardi, per un totale di 20,22 miliardi da spendere nel periodo 2021-2026.

Ulteriori finanziamenti provenienti dal bilancio statale integrano la Missione Salute del PNRR con altri 3,72 miliardi nel quinquennio.

I finanziamenti si articolano in due componenti: circa 9 miliardi per il potenziamento delle reti di prossimità, delle strutture e della telemedicina per l’assistenza territoriale, e circa 11 miliardi per l’innovazione, la ricerca e la digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale.

La sfida del Recovery Plan rappresenta una nota positiva che contribuisce ad invertire la rotta che ormai da decenni si era intrapresa, ovvero quella di considerare la sanità il “comparto da sacrificare” per far quadrare i conti dello Stato. Importanti segnali di cambiamento in questo senso sono desumibili dal fatto che per la prima volta i finanziamenti complessivi per la sanità territoriale superano quelli per la sanità ospedaliera, un orientamento che ci sentiamo di condividere largamente dopo anni di depauperamento delle risorse sanitarie territoriali. Inoltre, la componente ospedaliera della Missione Salute del PNRR è beneficiaria di 1,67 miliardi destinati alla digitalizzazione del Servizio sanitario (FSE e sistema informativo del Ministero della Salute) che coinvolge orizzontalmente non solo gli ospedali ma tutta l’organizzazione sanitaria.

L’entusiasmo che ci coglie nel prendere atto di questo cambiamento epocale alla quale il nostro paese si prepara, non ci impedisce di rilevare alcune criticità che emergono dalla lettura della Piano realizzato dal governo. Un aspetto che balza subito agli occhi è l’assenza di finanziamenti diretti per la riorganizzazione e il potenziamento del settore della prevenzione, alla quale sono destinati solo piccoli finanziamenti statali. Riteniamo che ogni tipo di riorganizzazione e miglioramento del Servizio Sanitario non possa prescindere dal potenziamento dei dipartimenti di prevenzione per far fronte a rischi attuali e future pandemia. Per questo, auspichiamo che si possa porre rimedio a questa grave carenza, tenuto conto che anche a livello internazionale, sono attesi provvedimenti di riorganizzazione della rete dei servizi di prevenzione proprio per contrastare i rischi di pandemie globali.

Un altro aspetto sulla quale ci sembra opportuno richiamare l’attenzione è che il PNRR attualmente provvede solo in piccola parte a finanziare le spese gestionali relative al personale, ma sembra ovvio che per far funzionare i nuovi servizi occorrerà assumere il personale e finanziare i suoi costi insieme a tutti gli altri necessari per avviare le nuove attività.

In generale, le maggiori perplessità derivano dal fatto che quando finiranno le risorse del Recovery Plan, il piano di potenziamento dell’assistenza territoriale sarà a regime e dovrà essere sostenuto dai finanziamenti nazionali. Il personale aggiuntivo delle Case della Comunità, dell’ADI e degli Ospedali di Comunità costerà circa 2 miliardi l’anno e ad oggi sarebbero coperti solo con circa 745 milioni (art. 1 del D.L 34/2020), mentre la restante parte della spesa, secondo il governo, dovrebbe essere coperta dall’attuazione di un Piano di sostenibilità.

L’auspicio è che si possa provvedere con largo anticipo a reperire tutti i finanziamenti necessari per garantire la prosecuzione dei servizi già attivati, assumere il personale e avviare i servizi che partiranno dal 2027, per evitare di vanificare le speranze che stanno nascendo intorno a questo importante progetto.

Al netto delle criticità alla quale abbiamo fatto riferimento, è importante sottolineare che questi fondi costituiscono un’importante opportunità di crescita e di innovazione del sistema. Ci auguriamo che si crei un proficuo dialogo tra le istituzioni, gli enti che saranno chiamati ad attuare questo piano, i cittadini, le associazioni e le categorie interessate, affinché si possa arrivare a realizzare un Servizio sanitario che sia sempre più vicino ai bisogni della gente ed in particolari ai più fragili.

La nostra Associazione, con questo modesto contributo, intende porre l’attenzione su alcune questioni che riteniamo essere prioritarie e dalla quale bisognerà partire se si vuole immaginare una sanità che sia più a misura del paziente.

Verso un nuovo sistema sanitario nazionale

La Sanità territoriale: il nuovo centro del SSN

Come abbiamo già anticipato, la maggior parte dei fondi presenti nella Missione 6 del PNRR sono destinati al potenziamento della Sanità del territorio, che nel periodo pandemico ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. La mancanza di una reale alternativa di cura territoriale in questi anni non ha fatto altro che peggiorare l’offerta dei servizi per i pazienti, con il problema delle liste d’attesa che rappresenta ormai una “piaga sociale” non più tollerabile. Una delle conseguenze di queste carenze è stata quella di rendere provvedimenti come il D.M 70 inadatti e molto spesso dannosi per i territori, in quanto percepiti come un‘imposizione dall’alto di un numero minimo di posti letto che non teneva conto della reale domanda che veniva dai cittadini. L’esperienza di questi mesi ha ribadito che quando si parla della salute dei cittadini non possono essere applicati i canoni ferrei dell’economia industriale ove esiste un prodotto finale. Nella sanità vengono prodotti servizi non valutabili nel breve periodo, in quanto il prodotto finale di valutazione è l’outcome di salute della popolazione che ha un tempo di analisi ampio e quindi esula da tutti i canoni economici di valutazione. Perciò, prima di introdurre dei parametri di riferimento per l’allocazione delle strutture, è necessario introdurre un’analisi dei flussi e una verifica dei processi della domanda di assistenza.

“Delineare quella prossimità al mondo degli anziani, che sino ad oggi è stato scartato dall’attenzione pubblica” (Papa Francesco, Fratelli Tutti)
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