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Luci di carità in tempi di pandemìa

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Fratelli tutti e Laudato si’: strumenti per la costruzione di un mondo migliore.
Riflessioni su alcune tematiche “laiche” così come trattate dalle due encicliche: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA
*

di Franco Meloni

PREMESSA
L’enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale” ci fa sentire partecipi della grande famiglia umana, abitanti della Terra, casa comune, che Papa Francesco ha ben descritto nella precedente enciclica Laudato si’. I due documenti si integrano e si completano, fornendoci strumenti per la costruzione di un mondo migliore. Ma non cerchiamo in essi ricette preconfezionate: le scelte in definitiva competono a noi, come singoli, come membri di aggregazioni comunitarie, e, per quanti lo sono, come rappresentanti istituzionali.
Veniamo al tema, la fraternità: è un valore assoluto, di cui disponiamo tutti, almeno in teoria, senza averla in nessun modo conquistata e meritata. Per i credenti “la nostra volontà non c’entra: siamo fratelli non perché lo vogliamo, ma perché siamo figli di Dio che è, di tutti noi, padre” (1). Anche i non credenti, almeno molti tra loro, pur senza coinvolgere Dio, ci credono! (2) Tanto è che la fraternità costituisce il terzo grande valore della triade della Rivoluzione francese «Libertà, uguaglianza e fraternità», bandiera del pensiero laico (3).
Se siamo fratelli e sorelle, come siamo, spetta a ciascuno di noi comportarci di conseguenza, per godere effettivamente di questo status naturale. Ma il mondo non va esattamente in tale giusta direzione. A moltissime persone su questa Terra non è riconosciuto il diritto alla fraternità. Un virtuoso programma mondiale dovrebbe tendere a renderlo effettivo, rimuovendo tutte le cause che lo impediscono.
E, invece… Addirittura nel tempo, soprattutto nel nostro tempo, la fraternità è stata quasi dimenticata. Perché? “Forse la causa sarà stata una confusione – errata confusione – tra fraternità e uguaglianza sociale. E dunque, fallite le forme di realizzazione storicamente date di tale uguaglianza (fallito cioè il cosiddetto socialismo reale), si è preferito non pensarci più. Qualunque sia la causa, resta il fatto che si è trattato – e si tratta – di una disattenzione imperdonabile” (1bis).
In sostanza così pensa anche il Papa che nella sua enciclica esalta la fraternità, sostenendone l’importanza fino a capovolgere la gerarchia tra i tre valori, dando alla fraternità la funzione di dare senso agli altri due (4): “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. (…) ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità” [FT 103, 104]. La fraternità dimenticata da tutti? Sì, ma per fortuna non dai poeti – ricordate la poesia Fratelli di Giuseppe Ungaretti? (5) – e dagli artisti in generale. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes [FT 215], che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro, laddove si pratica la fraternità: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue il Papa nella proposizione di un “modello di riferimento di società aperta ed inclusiva” ben rappresentato dalla figura geometrica del poliedro “che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…). Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo” [FT 215 e LS 237] (6).
Tornando alla fraternità: dunque è un dono e personalmente ne sento l’afflato consolatorio nella sua pratica negli ambienti comunitari, ma ho la consapevolezza che si tratti di un privilegio, considerato che molta parte dell’umanità non ne può godere i benefici, in tutta la loro possibile estensione, a causa della difficile, per tanti drammatica, situazione in cui versa il nostro Pianeta, sia sul versante ambientale, sia su quello sociale ad esso strettamente connesso. Non esiste benessere della Terra senza che sussista contemporaneamente quello dei suoi abitanti, nell’accezione di “ecologia integrale”, concetto profondo dell’enciclica Laudato si’, che, come mi piace rimarcare, trova una “corrispondenza laica” nell’Agenda Onu 2030 (7).
Rifletto sul quadro che l’enciclica Laudato si’ mostra con crudo realismo: 1) il Pianeta è in pericolo, ma comunque sopravvivrà; chi rischia l’estinzione è l’umanità intera con gli altri esseri viventi, travolta da sconvolgimenti ambientali che non si vogliono adeguatamente contrastare; 2) nonostante la pandemia, purtroppo ancora in atto, continuano le guerre in tutto il mondo, una «terza guerra mondiale a pezzi», mentre crescono dappertutto le diseguaglianze e le povertà in un contesto mondiale “dominato dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllato dagli interessi economici miopi”.
E cerco allora possibili vie d’uscita, non solamente sul piano dell’impegno intellettuale, ma concretamente sulla modifica dei comportamenti (la “conversione ecologica”) perché mi sento pienamente coinvolto e perfino in qualche misura responsabile dell’attuale situazione, anche con riferimento alle realtà di impegno civile in cui sono inserito.
Nessuno deve tirarsi indietro per piccolo possa essere il contributo di ciascuno.
Ci aiutano in questa impresa proprio le due ultime encicliche di Papa Francesco.
Individuo alcune connessioni tra le stesse che mi aiutino a comprendere la situazione e che m’illuminino rispetto al “che fare?”. E’ un percorso che mi/ci impegna come cattolici, ma che può coinvolgere tutti. Proprio secondo gli intendimenti del Papa: [FT 6] “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché (…) siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Intendimenti ormai nella consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi.

L’enciclica “Fratelli tutti” richiama esplicitamente la “Laudato si’” in 23 note, sulle quali opero un’arbitraria selezione, riconducendo i contenuti a tre grandi tematiche, che schematizzo nei titoli seguenti: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA.

IL LAVORO
Alla questione il Papa dà molta enfasi, situandola nel solco tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa, evitando di portarsi avanti nel dibattito sul rapporto tra lavoro e reddito, che pur aveva trattato in un precedente sorprendente intervento (8)
Dice il Papa [FT 162]: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”. Ecco il passaggio in cui il Papa non insiste sulle teorie del «reddito universale di base» se non nel proporlo per le fasi emergenziali. Sostiene infatti che “Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo“. Riprende pertanto quanto scritto nella LS [128]: “Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale.(…) Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”. Il Papa ha ben presente le radicali trasformazioni del lavoro e mette in guardia da pericolose derive, nel momento in cui “l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del «capitale sociale», ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. In definitiva «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani». Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società”.
Ancora sulla FT [168]: “ Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del «traboccamento» o del «gocciolamento» – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali (9). Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a «promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale», perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare». La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno»“.
Riprendendo la LS [129]: “ Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.
Da quanto messo in evidenza, risulta esplicita la critica del Papa (ripetuta in molte occasioni) alle teorie economiche dominanti, quelle di stampo neoliberista, che mettono al centro la realizzazione del profitto, piuttosto che del benessere delle persone, generando privilegi e ricchezze per pochi, forti diseguaglianze e povertà per molti. Per converso il Papa incoraggia lo studio e la pratica di economie diverse, quali quelle cosiddette circolari o che si rifanno ai principi dell’economia civile. Afferma Papa Francesco in altra circostanza (10): “l’economia, nel suo senso umanistico di “legge della casa del mondo”, è un campo privilegiato per il suo stretto legame con le situazioni reali e concrete di ogni uomo e di ogni donna. Essa può diventare espressione di “cura”, che non esclude ma include, non mortifica ma vivifica, non sacrifica la dignità dell’uomo agli idoli della finanza, non genera violenza e disuguaglianza, non usa il denaro per dominare ma per servire (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53-60)”.
[segue]