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Is Mirrionis. Genesi di una periferia (e del suo barabba più famoso)

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di Mario Gottardi, su Vent’anni senza Sergio

Ci avete mai fatto caso? Io no. Eppure da cagliaritano quel quartiere l’ho vissuto durante gli anni dell’università. Sto parlando dell’architettura di Is
Targa Ina casa Is MirrionisMirrionis. Perché sì, anche le costruzioni di questo vitale e verace rione ex periferico hanno un loro stile, che lo caratterizzano dal resto della città e anche al suo interno. Ad esempio, i palazzi intorno alla piazzetta senza nome, in “via Is Mirrionis segue numerazione”, hanno tutti la parte bassa in trachite, il reticolo di travi e pilastri sono di una tonalità diversa dal resto dell’edificio e hanno gli angoli sporgenti, a freccia, così come i piccoli balconi, a vista. E poi tutti hanno le grate in laterizio e nel portone d’ingresso quella inconfondibile mattonella, retaggio della ricostruzione e del nascente welfare state italiano: “InaCasa”.

Poi ci sono le casette basse, a un piano, con un piccolo cortile. E quelle sì che le ricordo. Per un periodo ci ha vissuto un collega e qualche volta ci sono passato, cercando di non innervosire troppo il pittbull di qualche barabba. Un barabba con un’anima, certo, che speravo non fosse troppo irascibile. E poi, ancora, incastonate tra queste casette e i palazzoni, ci sono le case a due piani.

C’è anche una costruzione, un casermone, oggi monumento al degrado, che tante volte ci sono passato accanto a piedi o in auto e mi è sempre sembrato anonimo. Quasi invisibile, nonostante la mole. Ma di questo parleremo dopo.

Queste informazioni sulla nascita e sull’architettura di Is Mirrionis le hanno date l’ingegnere Antonella Sanna e l’architetto Felice Carta durante il caldo e assolato pomeriggio di domenica 10 maggio, proprio nella piazzetta senza nome. È stata questa la prima tappa dell’appuntamento organizzato dall’associazione Antonio Gramsci Cagliari, con la consulenza della studiosa Gigliola Sulis, nell’ambito di Monumenti Aperti. Un luogo scelto non a caso, visto che proprio qui si affaccia la casa dove ha vissuto Sergio Atzeni.

Lo scrittore cagliaritano più famoso, nei suoi articoli giornalistici ha sempre rimproverato i cagliaritani degli altri quartieri di non prestare attenzione a quel rione dal nome insolito, che secondo alcuni richiama un antico elmo spagnolo, per altri due stele preistoriche poste sul colle omonimo. E infatti, nonostante la ultradecennale vita di Monumenti aperti, domenica è stata la prima volta che la manifestazione ha messo piede a Is Mirrionis. A cercare di rimediare ci ha pensato con questa iniziativa l’associazione Gramsci, che proprio nel quartiere vive e opera.

La prima tappa è stata pensata per raccontare la storia del rione, la sua nascita, la sua costruzione. Per questo dopo l’introduzione di Lucia Cossu, che arrivando a Cagliari da studentessa universitaria in questo quartiere ha scelto di vivere, il compito è stato affidato a Sanna e Carta, che hanno ricordato il piano Ina Casa, nato nel 1953. Il primo nucleo di edifici fu realizzato in tre anni, anche se tutto il piano si è sviluppato in 14 anni, sette di progettazione e sette di realizzazione dei palazzi. Un piano di occupazione prima ancora che urbanistico. Sotto quest’ultimo aspetto, ha spiegato Antonella Sanna, Is Mirrionis è stato pensato come un «sistema di unità di vicinanza», con un’articolazione in borgo. Questo progetto, poi risultato vincente era dell’architetto Maurizio Sacripanti, che ha voluto realizzare un quartiere autonomo, sviluppato in modo concentrico. Dai palazzi in linea alle casette a un piano, più interne, per venire incontro alle diverse esigenze delle persone che sarebbero arrivate ad abitarlo: dagli operai del nascente polo industriale ai contadini dei paesi dell’interno dell’isola. E oltre le case sono stati progettati servizi come un centro sociale e un campetto sportivo, che però hanno avuto alterne fortune.

È tra questa piazzetta senza nome dove si affacciano le diverse unità abitative, che passa l’infanzia e si forma Atzeni, tra il 1956 e il 1962 insieme alla famiglia, e mantenendo un forte legame con gli amici del posto anche negli anni a venire. E sarà lui, uno dei pochi, a descriverle e rivelare l’umanità che ci viveva ai suoi concittadini più distratti.

Nelle case popolari – le prime – immigrati dall’interno attirati da quel profumo nuovo, di cibo e benessere, che la città esaltava negli anni Cinquanta, operai, piccoli impiegati, maestri. Donne dai lunghi capelli ossigenati, sformate da troppi amplessi e troppe maternità esercitavano il mestiere più antico nei casermoni mentre bambini scalzi coperti da canottiere sdrucite facevano a pugni rotolando nel fango e uomini barrosi arrostivano viscere allo spiedo. Qualcuno era violento, cattivo. Fango e drammi familiari vissuti ad alta voce e subito dimenticati.
Implacabili le ruspe hanno cambiato la valle fra i due colli. Le grotte disabitate hanno dato rifugio per amori veloci alle più sventate fra quante ragazze nascevano nelle case popolari sempre più numerose, e infine anche le grotte son sparite, il colle di Is Mirrionis sventrato oggi è dominato dai palazzi.
Così lo scrittore raccontava la nascita del quartiere in Periferia, quel luogo senza memoria, pubblicato il 5 giugno del 1986 da L’Unione Sarda. Uno dei brani letti da Maria Grazia Sughi del Teatro di Sardegna proprio al centro della piazzetta senza nome, seconda tappa del tour. Gli altri due testi interpretati dall’attrice riguardano invece l’aspetto più sociale e umano del quartiere.

Sergio Atzeni ft microPiù e più volte, per parlare di “ghetti di periferia”, per spiegare il particolare clima civile e morale che si vive nelle zone abitate per lo più dal “sottoproletariato urbano”, si cita l’esempio di via Podgora, del quartiere di San Michele, di quello di Sant’Avendrace. È la città “difficile” quella che non si lascia rinchiudere negli ultimi schemi della comprensione meccanica; il cronista ne coglie l’aspetto esteriore (i giovani al flipper, i furti d’auto, la diffusione della droga, la vita nelle salette dei bar, la difficoltà a comunicare, la prostituzione) e cerca poi di spiegare, ma la spiegazione è sempre incomprensibile per “gli spiegati”; infarcita di termini come disgregazione, competitività, ecc.
L’unica sarebbe viverci, in quei quartieri, per comprendere la complessità, spesso non ancora riconducibile ad analisi sociologiche – o forse mai abbastanza indagata, se non, appunto, dall’esterno – perché talmente enigmatica da fare paura: la notte, pochi degli interpreti della vita sottoproletaria avrebbero il coraggio di trascorrerla nei pressi di Is Mirrionis. Chi è, allora, che può capire, che può spiegare, che può agire per cambiare? I compagni delle sezioni di periferia spesso hanno capito. E a tal punto da riuscire a far sì che proprio quei quartieri “disgregati e disperati” siano quelli che votano, di più e meglio, comunista. Più e meglio di quartieri socialmente integrati ma animati da furori qualunquisti e da quotidianità piccolo borghese refrattaria al nuovo che avanza.
Fare il lavoro politico, in queste sezioni, non è facile, malgrado l’abnegazione dei compagni – di alcuni di loro – rasenti spesso il sacrificio quasi totale del “privato”. A periodi di grande attività – spesso coincide con gli impegni elettorali – si susseguono pause pericolose di inerzia: la partita a carte, giocata in sezione (che è diversa da quella giocata al bar, non siamo puristi: è pur sempre un atto – minimo, fin che si vuole – di militanza) diventa orizzonte autoconclusivo.

Questa denuncia, apparsa sull’edizione sarda de L’Unità il 13 giugno 1978 con il titolo Fare politica in un quartiere “disgregato” della periferia è una sferzata che il giovane Atzeni (appena ventiseienne) sbatte in faccia all’intellighenzia, italiana e sarda, incapace di spiegare la complessità sociale e umana delle periferie. Posti in cui i cronisti ci passavano pure. Li tangevano quei luoghi ai margini, magari non solo per per motivi di lavoro. Provavano a descriverli ma non ci riuscivano mai bene, per il semplice motivo che quelle periferie non le vivevano.

L’invito dello scrittore è però caduto nel vuoto o, per lo meno, non raccolto come Atzeni avrebbe voluto. Ed è per questo che a distanza di quasi 25 anni lo scrittore-giornalista torna sull’argomento fustigando nuovamente giornalisti e intellettuali che ancora non conoscevano i “barabba di periferia” descritti da Pasolini. Anzi, nonostante il passare degli anni, dei decenni, si cullavano ancora sulle analisi pasoliniane, senza mai provare ad andare oltre, come denunciato in Siddharta e i progressisti, articolo scritto sempre per L’Unione Sarda, l’11 aprile del 1994.

Quanto ai mutamenti sociali, oltre Pasolini (rivelazione della genesi dei barabba di periferia privi d’anima) non vedo novità.
Sergio Atzeni ft microNessuno dubita delle analisi pasoliniane, a sinistra? Dubito per un motivo elementare: sono un barabba di periferia, ho vissuto l’infanzia e la parte finora più ardua dell’età adulta nel quartiere di San Michele, città di Cagliari, e sono certo, qualunque cosa pensasse Pasolini, di aver un’anima, e soprattutto sono certo che tutti i barabba di periferia che ho conosciuto nella vita, e non soltanto a Cagliari, anche loro hanno un’anima.
Che avevano e hanno un’anima quei barabba di periferia dovrebbero ricordarlo tutti i cagliaritani e non solo. E avrebbero dovuto farlo ben prima di Bellas mariposas, uno dei romanzi più famosi di Atzeni, ispirato proprio da quell’umanità di periferia con dolori, passioni, limiti, paure, aspirazioni, colpe e meriti. Con un’anima. Esattamente come gli abitanti di qualsiasi luogo sulla Terra.

Atzeni con la sua letteratura è riuscito dove la saggistica e il giornalismo non sono riusciti completamente ad arrivare, cioè a raccontare pienamente la periferia cagliaritana, i suoi luoghi, aneddoti, storie personali e collettive.

Come quelle rivelate da Franco Meloni e Marco Mameli, attivisti della Scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis, un presidio democratico e autogestito per dare ai tanti lavoratori del quartiere un’istruzione ma anche un posto in cui incontrarsi, fare politica, discutere e prendere le decisioni in modo condiviso. «Ci ispiravamo a don Milani e a Barbiana», ha infatti precisato Mameli.

A introdurre la terza e ultima tappa ci ha pensato come sempre Lucia Cossu che ha spiegato che lì dietro, al di là di quelle mura scalcinate, c’è stata una delle esperienze sociali di maggiore interesse della storia recente di Cagliari. Meloni e Mameli hanno ripercorso quell’epoca fatta di scontri, di tensioni ma anche di tentativi riusciti di aggregazione sociale hanno spiegato il perché fare una scuola popolare proprio a Is Mirrionis:

Era il quartiere con il più alto tasso di analfabetismo della città». «Abbiamo iniziato a Sant’Eusebio, in una saletta, c’erano più di 50 alunni e noi eravamo una trentina», ha esordito Meloni. Ma il parroco dopo un paio di mesi voleva buttarli fuori. «Noi decidevamo sempre tutti assieme – prosegue Meloni – per cui deliberammo di andare dall’arcivescovo, il cardinale Baggio, che chiese al parroco di darci i locali». Un successo. Dopo alterne vicende la Scuola finì dove Sacripanti aveva previsto il centro sociale. Una scelta quasi freudiana, visto che in realtà di un particolare centro sociale si trattava, autonomo e organizzato, simile a quelli che nascevano negli altri capoluoghi d’Italia.

Man a mano che passava il tempo i frequentatori della scuola aumentavano, «anche perché in un periodo di lotte a sinistra, da noi c’era posto per tutti». Un pragmatismo lontano rispetto allo scontro ideologico che in quegli anni spaccava la sinistra in tanti gruppuscoli ma di fatto vincente, non fosse altro perché «in 4 anni di attività la scuola ha “licenziato” circa 130 lavoratori», ha sottolineato Meloni.

Un fenomeno operaio a cui guardava con interesse anche la classe dirigente. «I padroni delle cliniche private venivano da noi per chiedere di preparare i loro dipendenti», ha infatti ricordato Mameli. In pochi anni passarono migliaia di persone attraverso quella scuola, dove si faceva anche recupero scolastico con i ragazzi del Pacinotti e del Siotto, e tutti i gruppi teatrali del capoluogo, dai Compagni di Scena al Teatro di Sardegna.

È sbagliato però considerare la Scuola solo come luogo di istruzione, cultura e arte. La Scuola voleva essere ed era un luogo politico. Da lì si mossero i cortei per la protesta contro l’omicidio da parte della polizia di Wilson Spiga e Giuliano Marras, freddati dalla polizia rispettivamente nel dicembre 1976 e nel gennaio del 1977: il primo per non essersi fermato a un controllo di polizia in via Cadello, perché senza patente; il secondo in una traversa di viale La Playa.

Subito dopo il fatto (di Spiga, ndr) ci fu un incontro da noi e partì un corteo spontaneo di 200 ragazzi verso la Questura», ricorda Mameli. Poi organizzarono una manifestazione: «il movimento portò in città 10 mila persone e non era istituzionale, organizzato da partiti o sindacati», ha detto fino a quando le parole non si sono strozzate in gola per la commozione.

Anche la Scuola, come tanti luoghi di aggregazione sociale, subì gli effetti del “reflusso”, del ritorno al privato, ma riuscì a durare fino al 1984. Di quel luogo, oggi proprietà di Area (l’agenzia regionale per l’edilizia abitativa, lo ex Iacp per intendersi), l’associazione Gramsci vorrebbe fare una biblioteca popolare. «Noi pensiamo al recupero di questo posto, anche perché questo quartiere continua ad avere la dispersione scolastica più alta di Cagliari», ha spiegato Michela Caria, la segretaria dell’associazione.

Parole che hanno fatto accendere un dibattito sulle esigenze del quartiere, tra i tanti cittadini, di Is Mirrionis e non solo, a cui ha partecipato anche l’assessore alla Pianificazione Strategica, Barbara Cadeddu, che non si è sottratta al confronto con i cittadini del quartiere. Un sintomo che dovrebbe far riflettere sulla necessità di partecipazione, di discussione sugli argomenti pubblici che ancora è presente a Is Mirrionis, oggi abitato anche da tantissimi studenti fuorisede e dal ceto medio intellettuale che ha scelto di vivere lì, in mezzo a quei “barabba di periferia” descritti da Atzeni.

Un momento di partecipazione democratica che è avvenuto proprio lì, a pochi metri da quei locali che hanno visto tante discussioni, tante assemblee. Proprio lì di fronte alla piazzetta senza nome, piccolo omaggio involuto a Sergio Atzeni.

Mario Gottardi (Twitter @margotten78)
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- Le foto sono tratte dalla pagina fb di Lucia Cossu.
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- Una riflessione di Lucia Cossu
Raccontare la storia e le storie che ci appartengono e ci contraddistinguono è il primo momento per riappropriarsi dei propri spazi. Domenica scorsa, la passeggiata alla scoperta di Is Mirrionis, dei luoghi, delle architetture e dei personaggi del quartiere è stata molto partecipata ed emozionante. Una scommessa vinta. Il monumento da scoprire è il quartiere, progettato dall’architetto Sacripanti con l’idea di unire gli spazi abitativi con gli spazi destinati al gioco e alla sosta, e realizzato, come nucleo pilota, tra il 1953 e il 1956. Is Mirrionis, il quartiere più popoloso di Cagliari con i suoi quai 14 mila abitanti, nasce qui, nasce in questa piazza, tra queste strade.
Sergio Atzeni, con i sui scritti giornalistici e Bellas Mariposas, che alla piazzetta si ispira, ci ha condotto alla scoperta di un quartiere vivo con una sua storia importante e che è necessario riscoprire e raccontare.
La scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis, che aiutò a far acquisire un titolo di studio e una prospettiva di vita migliore a centinaia di lavoratori, fu un’esperienza partecipata di vita democratica, ancora sentita nel quartiere. Oggi quello spazio è una profonda ferita, un edificio abbandonato che dev’essere recuperato come spazio funzionale. Il dibattito finale con l’Assessore Barbara Cadeddu ha dimostrato quanto Is Mirrionis abbia voglia di acquisire consapevolezza, abbia voglia di riappropriarsi dei propri spazi. Una scommessa vinta chiama altre scommesse!
Grazie all’Associazione Antonio Gramsci – Cagliari, a Gigliola Sulis, grazie a Laura Stochino e Michela Caria, ad Antonella Sanna e Felice Carta, grazie a Franco Meloni e Marco Mameli, a Massimo Aresu e prepariamoci per la prossima scommessa!

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Per correlazione, dagli archivi di Aladinews
In giro nel quartiere di Is Mirrionis, tra le rovine della cultura.
ape-innovativadi Franco Meloni

SP 3 dic 14 i relatoriMercoledì 3 dicembre per me e per gli altri due relatori dell’assemblea su “Riprendiamoci la Scuola Popolare. 40 anni dopo tra storia e futuro” (Marco Mameli e Terenzio Calledda) è stata una giornata interamente dedicata al quartiere di Is Mirrionis.
Dell’assemblea svoltasi di pomeriggio sapete tutto o quasi. Il nostro sito e quello dell’associazione Antonio Gramsci ne hanno dato ampio risalto, riportando anche i collegamenti con altri siti, blog e pagine fb che hanno ripreso l’evento con scritti e servizi fotografici. Ora, invece, vi racconto della mattinata in giro per il quartiere con una giornalista Rai, Chiara Pottini, accompagnata da un cine operatore (di cui non ricordo il nome). - segue -