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Ma lo spirito critico dov’è? Se la Sardegna va male è anche colpa dei suoi intellettuali

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di Vito Biolchini

La dove c’era un’opera d’arte ora c’è… un muro qualunque. Mentre Firenze tributa tutti gli onori a Pinuccio Sciola, accogliendo le sue opere all’interno della basilica di Santa Croce, Cagliari cancella un murale realizzato in pieno centro cittadino dal maestro di San Sperate. La colpa di chi è? Di nessuno, ovviamente. Le ragioni della sinistra regolamentare coincidono con quelle della destra condominiale, per fondersi entrambe in una sorta di “idiozia legalitaria” che unisce nuove e vecchie classi dirigenti e amministrative cittadine. Niente cambia a Cagliari. Anzi no, una differenza c’è: in passato almeno si gridava agli scandali, oggi si tende a giustificarli, a minimizzarli.

D’altra parte, trovare in questa società anche un solo responsabile di uno solo dei disastri che abbiamo sotto gli occhi non si può, è troppo difficile. Nessuno ha ucciso i morti di Lampedusa, mettiamoci l’anima in pace. Chi vuole, se la prenda col “sistema” (sempre che esista ancora e che ce ne sia uno solo). Viviamo in un’era di irresponsabilità diffusa, in cui neanche i colpevoli di un reato lo sono mai veramente e fino in fondo, perché nel frattempo ci sarà un ulteriore grado di giudizio (anche ipotetico) a dare loro la speranza di una possibile innocenza, e fino ad allora nulla cambia. E in ogni caso, anche una sentenza rappresenta solo “un punto di vista”.

Cercare i responsabili è dunque inutile e anche rischioso, perché espone alle vendette e alle ritorsioni. Sia chiaro: soprattutto in Sardegna.

Evidentemente se il parlar chiaro espone a rischi crescenti un motivo ci sarà, ed è semplice. Mettere in discussione qualcosa o qualcuno oggi è sconveniente, oltreché maleducato. Meglio evitare. D’altra parte, la libertà è come un muscolo che va utilizzato con regolarità, che va allenato. Così come il coraggio, che ci consente di essere liberi pubblicamente. Servono palestre dove mettersi alla prova, dove prepararsi. Ma queste palestre non esistono più. Quindi chi o che cosa può essere oggi sottoposto ad un credibile vaglio critico?

Una volta per gli intellettuali e per gli aspiranti politici la palestra della loro intelligenza (ovvero conoscenza più libertà più coraggio) era la critica culturale. Si recensiva un romanzo, un film, uno spettacolo, un disco con gli stessi strumenti e con lo stesso rigore con cui più avanti si sarebbe analizzata la realtà. L’oggetto culturale era un piccolo mondo da scandagliare e sezionare in piena libertà, senza remore. Perché il prodotto culturale era metafora del mondo. E chi non sapeva analizzare un film non avrebbe fatto molta strada.

Oggi invece la critica è morta. E non solo in Sardegna, sia chiaro, ma in tutto il mondo, come ci avverte Mario Vargas Llosa nel suo libro “La civiltà dello spettacolo” (Einaudi, 2013).

Non è casuale che la critica sia poco meno che scomparsa (…) è vero che i giornali e le riviste più serie continuano a pubblicare recensioni di libri, esposizioni e concerti, ma chi legge più i paladini solitari che cercano di stabilire un certo ordine gerarchico nella selva promuscua in cui si è trasformata l’offerta culturale dei nostri giorni? (…) In modo impercettibile, è accaduto così che il vuoto lasciato dalla scomparsa della critica sia stato riempito dalla pubblicità.

Una società che non sa e/o non vuole criticare l’arte e la cultura non avrà gli strumenti per criticare la politica, aggiungo io. Perché non è in grado di dare valore alle cose, di stabilire gerarchie. La critica culturale consente invece di ribaltare i rapporti di forza consolidati, evita le rendite di posizione, accoglie il merito e punisce il demerito. Certo, questo se la critica esistesse davvero. Perché le pagine culturali dei nostri giornali sono in realtà la fotocopia di quelle politiche, essendo gestite con la stessa logica superficiale e attenta a non mettere in discussione le rendite di posizione.

Con una novità: che alla fine (come fa notare sempre Vargas Llosa) è questa cultura tutta marketing e poca sostanza a contribuire al peggioramento della politica, a contaminarla: non il contrario.

Insomma, una volta i quadri della sinistra e del sindacato venivano formati nei cineforum e nelle sezioni si studiava: sul serio. Oggi i giovani della sinistra cagliaritana fedele al sindaco Zedda giustificano la distruzione di un’opera d’arte come se tutto fosse colpa del destino.

Di chi è la responsabilità di questa deriva? Le università possono tranquillamente accomodarsi sul banco degli imputati. Ben lungi dall’essere quel luogo di formazione e di esercizio disinteressato dello spirito critico, sono invece diventate delle infallibili scuole di servilismo e di opportunismo, come si evince dalla vasta letteratura riguardante le feudali modalità di selezione della classe insegnante. Per ogni docente universitario che si assume pubblicamente le responsabilità delle proprie idee, ce ne sono altri cento che preferiscono stare in silenzio.

Se la Sardegna vive questa situazione è dunque colpa anche degli intellettuali, colpevoli di diserzione e incapaci di educare i giovani e le future classi dirigenti all’esercizio di una lettura critica e pubblica dei prodotti culturali prodotti in quest’isola, vera palestra di libertà. Se in Sardegna non siamo in grado di stabilire quali sono i cinque romanzi più interessanti pubblicati nell’ultimo decennio, come potremo riuscire a valutare la ben più complessa azione di un assessore, di un sindaco o di un presidente della Regione?

Non sorprendiamoci allora se la società sarda da tempi perde ogni sfida con la realtà: è solo perché scendiamo in campo senza alcuna preparazione, senza esserci mai allenati.

Intanto in piazza Repubblica a Cagliari il murale di Pinuccio Sciola non c’è più. Qualcosa vorrà pur dire.

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Oltre che su questo sito, questo articolo viene pubblicato anche sui siti Fondazione Sardinia, Vitobiolchini, Tramas de Amistade, Madrogopolis, SardegnaSoprattutto, Sportello Formaparis e sul blog di Enrico Lobina.
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