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La Sardegna brucia, ma non è colpa del destino

La maledizione antica contro gli incendiari: “Sas manos che su filighe naschinde” Che tu abbia le mani contorte come i germogli di felce.
Dispozsizioni de sa Carta de Logu sugli incendiari

47-De fogu in lauore.
Item ordinamus: qui si alcuna persona ponneret fogu istudiosamenti a laure messadu over ad messare o a bingia:o at ortu et est indi binchidu paghit pro maquicia liras l, et issu dannu a quillat auire factu:et si nò pagat ipso over atero pro se seghit silli sa manu destra. Et issos jurados siant tenudos de prouare et de tenne sus malusfactores adicussa pena qui narat su secundu capidulu.
(Da Nicolò Migheli fb)
Foto da Sardegna Live

Interesse nazionale

Nel mondo policentrico torna la possibilità di una Sardegna originale
di Nicolò Migheli

Diversamente di quel che capita nella realtà, stare in fondo al pozzo non ci permette di vedere le stelle. In molti affermano che lo stato di cose attuale sia identico ad altri che abbiamo conosciuti nell’ultimo secolo. Rispetto a prima la differenza c’è, eccome. Quel che ci manca oggi, è intravedere una Sardegna oltre il contingente.

L’adottare una data simbolo, ad esempio il 2023, e su quella immaginare la Sardegna che vorremmo, inserita in una Europa, in un Mediterraneo in pieno movimento. Non uno sterile esercizio proiettivo, ma una prefigurazione razionale dell’obiettivo, dei passi da compiere, delle risorse disponibili, delle compatibilità con lo scenario internazionale.

Una operazione che dovrebbe essere condivisa da tutte le forze politiche che riconoscono l’isola come fonte del proprio consenso. Il 2023 è vicino, è il tempo in cui ha termine la nuova programmazione comunitaria. E’ anche vero che un obiettivo così ambizioso può avere diverse letture. Destra e sinistra sono due punti di vista che non possono essere annullati. Due visioni della società e dei rapporti tra gli individui contrastanti, anche se, negli ultimi trent’anni sono stati omologati dentro un pensiero unico. Quand’anche non lo siano state, quelle posizioni hanno, il più delle volte ignorato i sardi, ricondotti sempre dentro la sola cornice “pensabile,” quella italiana.

Fabrizio Palazzari ha scritto di amnesia, di rimozione continua, della necessità di costruire un sé autobiografico. Diagnosi giusta, perché se si osserva il comportamento delle amministrazioni, da quelle comunali alla Regione, il loro agire normale è spesso determinato dalla negazione e non riconoscimento di quello che è stato fatto precedentemente. Un continuo stato nascente, che deve essere segnato da nuovi protagonismi. Un non riconoscersi che agendo sui fatti, finisce per cancellare gli attori, quando non ingenera la damnatio memoriae. Il risultato è una continua tela di Penelope.

L’immaginare se stessi come gli unici portatori della visione salvifica, nel migliore dei casi; lo scambio e la restituzione per l’avvenuta elezione, nei peggiori. Non è solo il frutto della contaminazione italiana, dell’assenza di un progetto che vada oltre il mandato. E’ qualcosa di più profondo, che inerisce la nostra condizione.

L’essere isola comporta una visone del mondo che spesso si alimenta delle categorie dell’incompletezza. Il continente viene vissuto come grande, l’isola come il luogo del piccolo. Poi magari ci consoliamo dicendo di essere “Quasi un continente.” Il luogo del quasi. Abbiamo anche sviluppato un’urbanistica del “quasi.” Il non finito, ad esempio, ne è la testimonianza migliore, il vorrei ma non posso. Allo stesso tempo siamo cresciuti nella percezione del ritardo.

Negli ultimi trecento anni siamo stati segnati da questa categoria. Il Rifiorimento settecentesco, le Chiudende, la legge fascista del Miliardo, il Piano di Rinascita. Tutte attese salvifiche di superamento del “ritardo,” di qualcosa di esterno che ci svegliasse, che ci mettesse “dentro la storia.”

Come se noi non avessimo storia, non fossimo capaci di trovare dentro noi stessi, nella nostra ricchezza culturale e di risorse, la possibilità di uno sviluppo che non fosse segnato dall’unica modernizzazione concepibile. Dal modello occidentale vissuto come superiore. L’applicazione di paradigmi che hanno finito col negare noi stessi, con cesure antropologiche e culturali prima che economiche. Una operazione che continua. Ora le trivellazioni selvagge e la chimica verde, come ultimo assalto.

In un mondo diventato improvvisamente policentrico, occorre trovare altre risposte. Occorre una rivoluzione copernicana. La rivolta dell’oggetto, come l’ebbe a definire Mialinu Pira. Se l’espressione sembra dura, definiamola pure il salto laterale. Quello che spiazza gli interlocutori.

Cominciamo con il definirci minoranza nella Repubblica italiana. Nazione differente. Da ciò ne consegue quale è il nostro interesse nazionale. Gli esempi su cui applicare la categoria non mancano. La lingua, i beni culturali, le entrate, l’istruzione, le servitù militari, il sistema carcerario, l’energia, l’agricoltura, il welfare. Ogni aspetto delle nostre esistenze può essere analizzato e sottoposto a quella categoria.

Ciò che conviene agli italiani conviene ai sardi? Quali sono i prezzi e quanto riceviamo nella partita del dare-avere? Basta solo la panacea, sempre più utopica, dei posti di lavoro o dobbiamo pensare più in grande?

Ad esempio che una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe viversi come il soggetto che indica una prospettiva che vada oltre il proprio destino politico personale o di mandato. In ogni caso non potrà esimersi dal pensare come vorrebbe la Sardegna tra dieci anni.

O è meglio continuare come oggi, in dd’una morte lena? Temi che dovrebbero essere affrontati già oggi e che nelle prossime elezioni regionali potrebbero essere l’argomento di quelle forze politiche che hanno interesse alla Sardegna e ai sardi. Sempre che si voglia.

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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnaei nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.

Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :

- aladinews

- vitobiolchiniblog

- Fondazione Sardinia

- Tramas de amistade

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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Nei riquadri creazioni artistiche Bomeluzo (la prima combinata con quadro di Filippo Figari) e foto di N.Migheli

…in punta de billettu


Pare che non ci saranno le primarie per il candidato Presidente della Regione. Per questo motivo il centro-sinistra si è dotato di un radar “phased-array tracking and parameter control” strumento sofisticato, di ultima generazione, ha la possibilità di inseguire vari target, discriminare le minacce reali da quelle presunte. Apparato indenne a contromisure, realmente partecipativo, necessita di piattaforma liquida che garantisca utili feedback in 2.0. Il sistema di comando e controllo CI4 è distribuito tra più soggetti.

Bufala per bufala.Si mormora di una richiesta di utilizzo del potente radiotelescopio di San Basilio! Ma non c’è conferma![NdR]

Festeggiamo Sa die de sa Sardigna 2013. “Sas chimbe preguntas de su 2013, a nois”

Sa die de sa Sardigna 2013

Salone di Palazzo Viceregio,  CAGLIARI, sabato 27 aprile 2013, ore 10,00

SAS CHIMBE PREGUNTAS DE SU 2013, A NOIS   -    LE CINQUE DOMANDE DEL 2013, A NOI STESSI – L’evento su fb

“Sas chimbe preguntas de su 2013, a nois”, “Le cinque domande del 2013, a noi stessi” è il tema dell’iniziativa con la quale la Fondazione Sardinia,  le associazioni Tramas de Amistade e ‘Riprendiamoci la  Sardegna’, e il blog del giornalista Vito Biolchini vogliono celebrare Sa die de sa Sardigna. Un incontro pubblico e aperto a tutti, una sorta di assemblea nella quale cittadini, intellettuali, politici e amministratori saranno chiamati a rispondere a cinque domande intorno a cui ruota il futuro della nostra isola. Appuntamento sabato 27 aprile a partire dalle 10 nel salone del Palazzo Viceregio, in piazza Palazzo a Cagliari. Coordinerà l’iniziativa il giornalista Piersandro Pillonca.

Nel 1793 i sardi rivolsero cinque domande al re sul futuro dell’isola, con un atto che segnò un passaggio cruciale di quella “sarda rivoluzione” che aprì la Sardegna ai valori della modernità (libertà, uguaglianza, fraternità) e che la festa del 28 aprile vuole ricordare. Oggi resta la necessità di interrogarsi sul futuro dell’Isola ma l’interlocutore non possiamo che essere noi stessi, noi sardi.

1) La Sardegna ha una classe dirigente e politica all’altezza della crisi che sta vivendo? [INTRODUZIONE AL TEMA A CURA DI SALVATORE CUBEDDU]

2) L’Italia serve alla Sardegna? In che misura il superamento della crisi passa da un deciso cambio dei rapporti istituzionali tra la Sardegna e lo Stato italiano? [INTRODUZIONE AL TEMA A CURA DI NICOLO' MIGHELI]

3) Un “Partito della Sardegna”, slegato dalle grandi formazioni nazionali, può essere una risposta alla crisi istituzionale e alla mancanza di una adeguata rappresentanza sia nel parlamento romano che in quello europeo? [INTRODUZIONE AL TEMA DI VITO BIOLCHINI]

4) L’introduzione del bilinguismo può essere una risorsa per la Sardegna? [INTRODUZIONE AL TEMA DI PAOLA ALCIONI]

5) Quale proposta fare ai giovani sardi che hanno ripreso ad emigrare? [INTRODUZIONE AL TEMA DI FABRIZIO PALAZZARI ]

L’incontro non ha una scaletta precostituita. Dopo i saluti e gli interventi introduttivi che illustreranno il senso di ciascuna delle cinque domande (proposte da Salvatore Cubeddu, Nicolò Migheli, Vito Biolchini, Paola Alcioni e Fabrizio Palazzari), il dibattito sarà aperto a chiunque vorrà partecipare e che avrà a disposizione cinque minuti per portare il suo contributo alla discussione.

All’iniziativa sono stato invitati esponenti del mondo culturale, delle attività produttive, amministratori e politici, con l’intento di condividere un momento di confronto sui problemi e sulle possibili soluzioni alla crisi culturale, economica ed istituzionale che sta colpendo la Sardegna.

Cagliari 23 aprile 2013      Firmato: Fondazione Sardinia, P.za S. Seplcro, 5,  CAGLIARI – Associazione ‘Riprendiamoci la Sardegna’,  www.vitobiolchini.it

P.S. Per le informazioni e per i contributo al dibattito, entrate nei siti:www.fondazionesardinia.euwww.vitobiolchini.it , www.aladinpensiero.it

LE INIZIATIVE ISTITUZIONALI

Le nuove cinque domande. ORA SARDEGNA!

Cando si tenet su bentu
Est prezisu bentulare.

E ORA IMPEGNAMOCI PER NOI SARDI E PER LA NOSTRA SARDEGNA!

SA DIE DE SA SARDIGNA 2013: “Sas chimbe preguntas” sabato 27 aprile a Palazzo Viceregio
di Piero Marcialis
Importante incontro questa mattina al Palazzo Viceregio per celebrare Sa Die.
Importante per non aver lasciato cadere nel silenzio le voci di quell’aprile 1794 che fu e rimane l’evento che dimostra che il popolo sardo unito può vincere; importante per aver attualizzato con 5 domande che oggi abbiamo diritto di porre, prima di tutto a noi stessi e non al sovrano distante e distratto, come sardi; importante per le 5 relazioni (Cubeddu, Migheli, Biolchini, Alcioni, Palazzari) che hanno introdotto il dibattito; e poi per i tanti interventi appassionati e le presenze prestigiose. Forse si è addirittura indicato un cammino possibile lungo il quale proseguire verso un diverso e migliore destino che questa nostra nazione aspetta da troppo tempo.
NEREIDE RUDAS
L’illustre studiosa ha inviato al convegno di oggi su Sa Die, non potendo essere presente, un intervento scritto su uno dei temi (domande) proposti, l’emigrazione. Cito da esso: “…alla cospicua emorragia del Novecento sembra aver fatto seguito un sanguinamento per cos’ dire “a goccia”, ma non meno nocivo del massivo flusso emorragico precedente. Esso infatti depaupera la Sardegna di soggetti forti, qualificati e preparati, in cui l’Isola ha investito a lungo risorse e speranze che ora vanno a dare il loro frutto altrove.
Occorre quindi un vasto progetto politico e culturale collettivo e condiviso che tenti di fermare lo stillicidio e renda reversibile e recuperabile la perdita umana, culturale e sociale. Nel giorno di “Sa Die” sento l’esigenza di ribadire che la Sardegna ha bisogno di un grande e orgoglioso sforzo identitario per uscire dalla crisi e avviarsi su una strada più avanzata di modernità, libertà e sviluppo”.
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Ne discutiamo il 27 aprile per festeggiare Sa die de Sa Sardigna

Nel 1793 i sardi rivolsero cinque domande al re sul futuro dell’isola, con un atto che segnò un passaggio cruciale di quella “sarda rivoluzione” che aprì la Sardegna ai valori della modernità (libertà, uguaglianza, fraternità) e che la festa del 28 aprile vuole ricordare. Oggi resta la necessità di interrogarsi sul futuro dell’Isola ma l’interlocutore non possiamo che essere noi stessi, noi sardi.

- La Sardegna ha una classe dirigente e politica all’altezza della crisi che sta vivendo?

- L’Italia serve alla Sardegna? In che misura il superamento della crisi passa da un deciso cambio dei rapporti istituzionali tra la Sardegna e lo Stato italiano?

- Un “Partito della Sardegna”, slegato dalle grandi formazioni nazionali, può essere una risposta alla crisi istituzionale e alla mancanza di una adeguata rappresentanza sia nel parlamento romano che in quello europeo?

- L’introduzione del bilinguismo può essere una risorsa per la Sardegna?

- Quale proposta fare ai giovani sardi che hanno ripreso ad emigrare?

L’evento su fb
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Sa die de sa Sardigna, ecco le cinque domande che chiedono una risposta. Oggi e sabato 27 al Palazzo Viceregio

di Vito Biolchini (dal blog vitobiolchini)

Vi ricordate di Sa die de sa Sardigna? La festa nazionale del popolo sardo è sempre lì, che ci attende ogni 28 aprile. La data prescelta fu da subito contestata da alcuni intellettuali con argomentazioni storiche e politiche, ma in realtà a non piacere era proprio l’idea che, per legge, venisse istituita una festa “nazionale” e per giunta del “popolo sardo”. Scandalo.

Quest’anno le celebrazioni organizzate dalla Regione sono state ridotte ai minimi termini. È per questo motivo che con Salvatore Cubeddu della Fondazione Sardinia, dopo aver organizzato le chiacchierate in sardo nel quartiere della Marina, ci siamo detti: “Perché non facciamo qualcosa?”.

E così siete tutti invitati sabato 27 aprile, a partire dalle 10, al Palazzo Viceregio di Cagliari per l’iniziativa “Sas chimbe preguntas de su 2013, a nois – Le cinque domande del 2013, a noi stessi”.

Perché le cinque domande? Perché nel 1793 i rappresentanti del popolo sardo inviarono alla corona dei Savoia cinque domande con le quali chiedevano un maggiore protagonismo delle élite isolane e una maggiore autonomia alla Sardegna. Ma le rivendicazioni furono rigettate, diventando così il motivo scatenante che portò alla ribellione del 1794.

Oggi non c’è nessun re al cui rivolgere alcuna domanda, ma ci siamo noi, noi sardi, che dobbiamo interrogarci su alcune questioni di importanza fondamentale per il nostro futuro. E lo faremo proprio in quel Palazzo Viceregio dove tutto, 219 anni fa, ebbe inizio.

- La Sardegna ha una classe dirigente e politica all’altezza della crisi che sta vivendo?

- L’Italia serve alla Sardegna? In che misura il superamento della crisi passa da un deciso cambio dei rapporti istituzionali tra la Sardegna e lo Stato italiano?

- Un “Partito della Sardegna”, slegato dalle grandi formazioni nazionali, può essere una risposta alla crisi istituzionale e alla mancanza di una adeguata rappresentanza sia nel parlamento romano che in quello europeo?

- L’introduzione del bilinguismo può essere una risorsa per la Sardegna?

- Quale proposta fare ai giovani sardi che hanno ripreso ad emigrare?

L’incontro non ha una scaletta precostituita. Dopo i saluti della presidente della Provincia Angela Quaquero e del presidente del Consiglio provinciale Roberto Pili, ci saranno gli interventi introduttivi (proposti da Salvatore Cubeddu, Nicolò Migheli, Vito Biolchini, Paola Alcioni e Fabrizio Palazzari) che illustreranno il senso di ciascuna delle cinque domande.

Dopodiché il dibattito, coordinato dal giornalista Piersandro Pillonca, sarà aperto a chiunque vorrà partecipare e che avrà a disposizione cinque minuti per portare il suo contributo alla discussione. Sarà una sorta di assemblea, chi vorrà intervenire potrà farlo, non ci sono interventi già previsti, in tanti sono stati invitati a prendere la parola e ad ascoltare. Con uno spirito costruttivo e non di contrapposizione, perché in ogni giorno di festa che si rispetti bisogna trovare i punti di contatto e non di divisione anche fra chi generalmente è portatore di visioni e interessi diversi.

Le relazioni introduttive verranno pubblicate già dai prossimi giorni, oltre che su questo blog, anche su i siti della Fondazione Sardinia e aladinpensiero.it.

Insieme a questo blog e alla Fondazione Sardinia, promuovono l’iniziativa le associazioni Tramas de Amistade e Riprendiamoci la Sardegna. Di sicuro molti interverranno in sardo, perché ormai dobbiamo abituarci a praticare il bilinguismo anche in occasioni come questa.

A voi ora non resta che far girare la notizia (abbiamo creato anche un evento su Facebook) e rispondere a ciascuna delle cinque domande che vi abbiamo proposto (e anche chi dice che le domande sono stupide, sbagliate, fuori luogo, non è esentato dal dare una risposta).

Riflessioni a caldo

Nicolò Migheli
Adesso un sacco di gente vuole andare via. Forse è meglio cambiare Paese restando in Sardegna.

Viviamo tempi apocalittici

di Nicolò Migheli, da Sardegnademocratica

“Ci fu un grande terremoto, di cui non si era mai visto l’uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra. La grande città si squarciò in tre parti e crollarono le città e le nazioni: Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle da bere la coppa del vino del furore della sua ira. E tutte le isole fuggirono, e i monti non si trovarono più.” (Ap. 14, 8-10) Il passo dell’Apocalisse di Giovanni è citato in Mysterium iniquitatis, un testo di raro pessimismo sulle sorti del cristianesimo, scritto da Sergio Quinzio, pensatore dimenticato in questi anni confusi.

Versetti che debbono essere tornati alla mente di personaggi conservatori della Curia romana. L’abdicazione di Benedetto XVI è una apocalisse, una rivelazione-constatazione del degrado del governo della Chiesa e, nello stesso tempo, del limite. Il discorso pronunciato dal Papa il Mercoledì delle Ceneri esprime in altre parole lo stesso concetto. Tanto che alcuni hanno reagito con: “ Non si scende dalla croce,” “Un padre non si dimette se i figli non ubbidiscono.” La rivolta di un uomo mite, hanno scritto in molti, dando ragione a Papa Ratzinger.

Carlo Maria Martini, in una sua ultima intervista ebbe a dire che la Chiesa Cattolica era in ritardo di duecento anni. Il percorso di due secoli di modernità non compreso e rifiutato. Un essere contro il mondo visto solo come degrado. Una non accettazione di un ruolo che la storia e il pensiero laico ponevano tra gli interlocutori e non più come unico punto di riferimento. La reazione identitaria alla modernità trasformata nel dogma della infallibilità papale da Pio IX nel Concilio Vaticano I del 1870, confermata nell’enciclica “Pascendi dominis gregis” dove il modernismo viene descritto come “sintesi di tutte le eresie” da Pio X nel 1907. Corrente di pensiero che ha rifiutato il Concilio Vaticano II sia prima di essere indetto che dopo nella sua attuazione. L’ha fatto cancellando la Teologia della Liberazione, la Chiesa di Base, marginalizzando tutti quei “cattolici maturi” come ebbe a dire Romano Prodi, dando invece lustro e potere a confraternite come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione e ai torbidi Legionari di Cristo. Un costante innamoramento dei poteri più reazionari da Francisco Franco a Pinochet, da Videla a Berlusconi. Prima con la giustificazione della lotta al comunismo e poi con la difesa dei “valori non negoziabili.”

Una Chiesa che aldilà delle magnificenze trionfalistiche si ritrova con le chiese vuote. Sempre più incapace di parlare all’anima dei contemporanei. Per fortuna restano tanti vescovi e sacerdoti che vanno oltre, che in silenzio riescono a venire incontro alla fatica di vivere dei contemporanei. Per trent’anni Ratzinger è stato il custode dell’ortodossia conservatrice, l’acerrimo avversario di cardinali come Martini, il pilota insieme a Ruini, delle vicende politiche italiane, sponsorizzando qualsiasi governo che fosse ligio all’agenda vaticana. In tarda età osa l’inosabile. Il gran rifiuto.

Impressiona il gesto, molto di più la data dell’annuncio: l’11 febbraio 2013, ottantaquattro anni da quel 1929 dei Patti Lateranensi che ristabilì il potere temporale del papato. Per un potere bimillenario attento ai simboli e alle date non è stato certo un caso. La scelta di quel giorno è forse l’atto di accusa più pesante per la Curia Romana. Rivelando una impossibilità di governo di una realtà conflittuale ed oscura che ha la sua giustificazione nell’essere Stato e quindi come ogni stato, può toccare con mano il lato inumano del governo del mondo. “Non sei né freddo né caldo! Ma siccome sei tiepido, né caldo né freddo, sto per vomitarti dalla bocca” (Ap. 3, 15-16).

E’ ancora il Libro che ci soccorre e ci fa capire. Resta la domanda, l’uomo occidentale sempre più sommerso da più offerte spirituali in concorrenza tra loro, è ancora attratto da una forma religiosa dove il contatto con il dio è mediato? Dove al fedele è negata ogni possibilità di coscienza personale, ma solamente l’attuazione pratica di quanto deciso dalle gerarchie? L’abdicazione di Benedetto XVI è di sicuro un atto che influirà molto su come i cattolici penseranno al proprio futuro e ruolo nel mondo. Forse non subito. Il prossimo conclave, vista la composizione del concistoro, è probabile che esprima un altro papa conservatore. La storia della Chiesa Cattolica ci ha abituati, però, che nei momenti più critici può esprimere il rinnovatore. Lo Spirito soffia dove vuole. Così si dice nelle Scritture.
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Nicolò Migheli, da Sardegnademocratica

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Sul medesimo argomento: F.Meloni, La scelta rivoluzionario del papa conservatore
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Nelll’illustrazione Papa Celestino V

E la cucaracha?

di Nicolò Migheli | da Sardegnademocratica

In Totò e Cleopatra, un film dal 1963, il comico napoletano interpretava due personaggi: Marcantonio perso d’amore per Cleopatra e Totonno, il fratello mercante di schiavi che sostituiva il primo in momenti delicati. In una scena Marcantonio arringava la folla dicendo che voleva: la Tracia, la Licia, la Cilicia e la Cappadocia. Totonno si intromise con: e la Cucaracha? Costringendo il fratello ad aggiungerla alle rivendicazioni territoriali.

Berlusconi ha con l’elettorato un rapporto simile. Il messaggio viene prima testato con focus group, poi lanciato ed infine valutato con i sondaggi. Ogni sua affermazione, compresa quella su Mussolini, sono soggette a quel percorso. Il risultato è un ingigantire la promessa. E’ del tutto inutile che qualcuno gli chieda se quelle affermazioni, come l’ultima sull’IMU siano sostenibili. Domande che non raggiungono la soglia di attenzione perché agiscono da interruttore del sogno. Come tali rifiutate. Le campagne elettorali sono il luogo del messaggio semplice e il cavaliere lo sa molto bene.

Goustave Le Bon, il primo teorico della psicologia delle folle, affermava che l’azione manipolativa del consenso passa tramite: l’affermazione, la ripetizione, il contagio. Ovvero il messaggio affermato anche se palesemente falso, ripetuto più volte, convalidato da “esperti,” diventa verità che si diffonde di bocca in bocca, fino a diventare sentire comune. Un meccanismo che comporta l’innalzamento continuo della promessa, L’illusione che si autogenera.

Non potrebbe essere diversamente. Il rapporto che unisce il capo al suo popolo è speculare. Entrambi sanno che è menzognero ma è comunque più consolatorio della verità. Gli elettori sanno che non manterrà la promessa, ma nel contempo si insinua il dubbio: e se poi? La campagna elettorale del vecchio venditore di elisir ha costretto anche Monti a seguirlo sul suo piano. Con effetti esilaranti. L’algido professore, padrone dei numeri e della realtà, costretto ad inseguire i sogni. Bersani non da meno tentando di parlare di programma.

Questa campagna elettorale stretta tra due populismi, quello del PDL e quello del M5S, che si sostengono vicendevolmente, è di sicuro una delle più brutte degli ultimi anni. Si sperava che il declino della destra fosse accompagnato da un rinsavimento. Non è accaduto. In molti si chiedono se ancora una volta gli elettori cadranno nella trappola sperimentata. E’ molto probabile che sia così. La crisi e la disperazione portano ad inseguire le illusioni. Non a caso l’Italia è il luogo in cui il gioco d’azzardo sta avendo uno sviluppo incredibile.

Comunque vadano le elezioni il prossimo governo dovrà rispettare gli impegni europei presi. Il Parlamento italiano, il 19 luglio 2012 ha approvato il Fiscal Compact. Il trattato europeo impone all’Italia di tagliare il debito di 45 miliardi all’anno per vent’anni. Nel contempo il Parlamento italiano ha anche approvato il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES,) il fondo salva stati di 500 miliardi di euro, a cui l’Italia, si è impegnata a versarne 15 in cinque anni. Impegni sottoscritti da tutti, Berlusconi compreso. Il tutto mentre il debito pubblico è cresciuto e il paese è in recessione. Altro che abolizione dell’IMU.

Questi numeri sono fuori dal dibattito elettorale. Nessuno ne parla. Berlusconi aggira l’argomento con un fumoso ridiscutere il rapporto con la Germania. L’ultima volta che ha firmato un accordo in sede Ue ne uscì con una sconfitta che lui si vendette come vittoria. Da allora l’Italia è contributrice netta, al contrario della Gran Bretagna, ad esempio, che riceve dalla Ue più di quanto non dia.

Non è l’unico argomento scomparso. Non si parla né di industria, né di agricoltura, né di ambiente. L’unico argomento è la “crescita.” Un mantra. Nessuno dice come essa potrà avvenire. Altro argomento ignorato è la Sardegna. I candidati non dicono cosa faranno per l’isola. E’ uno dei frutti del porcellum. La vittoria elettorale non si gioca qui. I primi numeri delle liste verranno eletti in base a quorum nazionali. Di conseguenza il locale non ha nessuna influenza. In realtà con il ritorno in forze del populismo disperato assisteremo ad un rincorrersi di promesse mirabolanti. L’unica differenza la farà la cucaracha. Purtroppo.

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Nicolò Migheli da Sardegnademocratica
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La cucaracha

Nelle lamentazioni siamo imbattibili

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di Nicolò Migheli*

I Sardi della lamentazione ne hanno fatto un genere di costume. In essa trovano conferma. Per certi versi identità. Si vivono –ci viviamo- come vittime del mondo, dei colonialismi, degli eventi storici che ci penalizzano. La lamentazione come appartenenza e collante, come blocco all’azione soggettiva. La composizione delle liste del PD per le prossime elezioni parlamentari sono l’ultimo esempio della capacità di farsi male da soli.

Da circa vent’anni o forse più, una minoranza si batte perché venga realizzato il partito della sinistra della Sardegna. Una formazione politica che dovrebbe essere, prima di tutto, riconosciuta dal PSE per poi andare ad un rapporto di tipo federativo con quello che oggi è il PD. La proposta è ritornata lo scorso anno, e si pensava che il passo stesse per essere compiuto. Invece no. Più che blocchi centrali, l’atteggiamento di molti politici sardi contrari a soluzioni di questo tipo, ha fatto in modo che non si realizzasse. In incontri del PD, suoi esponenti prestigiosi sono arrivati a negare la specialità della Sardegna, ricordando che la stessa Autonomia fu il frutto di una particolare contingenza storica.

Ancora una volta ha prevalso il disconoscimento di quel che si è. Secondo loro più italiani degli italiani. I proto italiani come raccontavano i celeberrimi Falsi di Arborea che hanno costruito più sentire comune di quanto si creda. La Costituzione della Repubblica recita che i deputati vengono eletti senza vincolo di mandato, rappresentando così tutti gli italiani. Però nessuno lo chiede ad un parlamentare sudtirolese o ad uno valdostano. Loro in primis rappresentano il popolo che li ha eletti.

L’appartenenza al partito italiano fa sì che la direzione romana possa imporre chiunque, e scegliere l’ordine di precedenza nelle liste. Una decisione che diventa insindacabile. Le organizzazioni vivono del rispetto delle gerarchie e agiscono di conseguenza. Che poi non rispettino quanto uscito dalle primarie, rientra nella logica verticistica che si arroga il potere di decisione ultima. Con buona pace della democrazia partecipativa. Eppure quanto accaduto è un fatto positivo. Segna il discrimine tra due idee di partito, tra chi vuole che la Sardegna sia al centro sempre, e chi la subordina ai propri tornaconti personali o di gruppo mascherati da interesse nazionale dell’Italia. Anche se ciò dovesse aggravare e perpetuare la dipendenza della nostra isola. Con il risultato di alimentare l’area del non voto.

C’è un elettorato di sinistra molto sensibile alle tematiche nazionali della Sardegna che non si sente rappresentato, o meglio tradito. Però quelle decisioni romane stanno provocando uno smottamento. Dirigenti di partito che si dimettono, proteste vibrate. Forse sta nascendo una nuova consapevolezza. Il rischio è, che se si tornerà alla liste uscite dalle primarie, tutto rientri. Si penserà che una volta tanto, la battaglia la si è vinta.

Non sarà così. Si può vincere una volta ma la sindrome della dipendenza resterà. Si racconta che un contadino stanco di essere depredato delle ciliegie si rivolse ad un prete per un talismano. Il prete su di un foglio scrisse qualcosa e chiese la contadino di appenderlo sul ramo più lato. Venne lo stormo e lesse: ”Deo seo predi Zurru ministru de Santa Romana Ecclesia, e ti naro o isturru non ti mandighes sa cheresia.” Dopo aver intinto il becco in una ciliegia l’uccello rispose:” Deo seo s’isturru e mi mandigo sa cheresia, aff. a predi Zurru ministru de Santa Romana Ecclesia!”

La storia dei Sardi è un ripetersi di richieste agli storni di turno, che le ignorano continuando a seguire le loro convenienze. I Sardi rappresentano circa il 2,7 della popolazione dell’Italia. Il loro grado di influenza sulle decisioni italiane è minimo. La Sardegna non ha seggi nel Parlamento Europeo se non per gentile concessione. Non abbiamo voce e in questo mutismo i ceti intermediatori si sono ingrassati a spese di tutti.

La scelta del partito della Sinistra Sarda è un piccolo passo per poter contare di più. Il PD italiano avrà bisogno di quei voti per vincere, dovrà scenderà a patti, dovrà rispettare le decisioni locali, non potrà imporre personaggi che escono dagli album degli anni ’80. Una scelta di questo tipo avrà anche un risvolto interno, si andrà verso la responsabilizzazione delle classi dirigenti, si romperà la spirale delle lamentazioni e delle richieste evase che producono solo frustrazione e nuove lamentele. Gli anni che verranno vedranno la contraddizione territoriale aggravarsi sempre di più.

E’ ora il momento di agire. Chi ha responsabilità politiche è davanti allo sguardo della storia. I loro nipoti li giudicheranno per ciò che oggi essi fanno. L’alternativa è continuare a lamentarsi e come diceva il poeta: “Bonu proe bos fetat, bonu proe.

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Nicolò Migheli. Intervento su Sardegnademocratica

Appunti per l’anno che verrà

Nicolò Migheli hidalgos

di Nicolò Migheli

Berlusconi: non l’uomo, ma la regressione che suscita in tutti. Il quotidiano francese Libération ha titolato “Il ritorno della mummia.” Tale è, non solo per il suo aspetto fisico, ma per quel che rappresenta. Replica costante degli anni ’80 e delle sue illusioni. Un passato che non passa. La sua televisione vecchia non riesce più a raccontare la contemporaneità. Si ripresenta alle elezioni che non vincerà, speriamo… In realtà è l’ultimo tentativo prima di essere relegato definitivamente ai libri di storia.

Anziani: vissuti come peso e limite di questa società, rappresentano una fonte di competenze ed abilità che risulteranno importanti negli anni a venire. Agricoltura: sempre più centrale in un mondo che conosce l’esplosione demografica e l’aumento della domanda di cibo. I giovani ci ritornano, non solo perché non hanno lavoro, lo fanno per passione, riscoprono la bellezza delle coltivazioni e degli allevamenti, di una vita scandita da ritmi che seguono la natura. Civile: aggettivo che negli ultimi decenni si è accostato a società in contrapposizione a politica. La novità è che ormai la si avvicina ad economia. Un nuovo modo di pensare alla produzione di beni, che superi l’individualismo capitalista. Reciprocità: il termine che definisce meglio l’economia civile. Tornano valori antichi come lo scambio di lavoro e di beni, l’aiuto nelle difficoltà come “sa paradura” per i pastori che perdevano il gregge. Scambi in cui il denaro non è più il valore più importante. Cohousing: forma innovativa per vincere le solitudini cittadine e risparmiare. Case con ampi spazi comuni, dove giovani ed anziani ricostruiscono rapporti di solidarietà ed aiuto; come insegnare agli anziani l’informatica e questi ricambiano tenendo i bambini mentre i giovani lavorano.

Comunità: più la crisi si fa pesante maggiore è il bisogno di “cerchio caldo,” un modo per vincere non solo le solitudini e le paure, ma per riscoprire senso e appartenenza. Comunità non solo fisiche ma anche community professionali, culturali, di genere. Reti: fisiche ed informatiche allargano contatti e percezioni, costruiscono capitale sociale ed aiutano le riflessioni condivise. Filiere corte: si diffondono sempre di più, acquistare locale è aiutare concretamente il produttore vicino di casa, avere tracciabilità certa dei prodotti. Mangiare meglio ed sostenere una economia di reciprocità diventando coproduttori. Lingua sarda: i detrattori sono molti, anche quelli che si vergognano, ma il sardo conosce una nuova primavera. Grazie alle reti e ai social network è in atto una grande scuola popolare, in molti la scrivono, alcuni per la prima volta. Le regole ortografiche lentamente si diffondono creando standard condivisi. Neoliberismo: l’ultima ideologia sopravissuta ma anche essa vecchia di duecento anni, responsabile dei tempi che stiamo vivendo, incapace di mantenere la promessa se non per un sempre più ristretto gruppo di privilegiati. Sta maturando una nuova consapevolezza, soprattutto nei più giovani, vedi economia civile. Indipendentismi: gli osservatori distratti o interessati li liquidano come fuga dalla realtà. Altri dicono che in un mondo interdipendente sono un assurdo. Rappresentano invece il desiderio profondo di poter essere soggetti e non oggetto degli interessi altrui. I tempi non sembrano favorevoli, eppure gli anni a venire saranno sempre più delle piccole patrie e non degli stati nazione.

Giovani: mitizzati da una società senescente sono migliori di quel che li si dipinge, sono loro i più importanti artefici delle nuove iniziative economiche, nella costruzione di reti, nell’economia sociale e civile. Diritti civili: nonostante l’ostracismo che dimostrano le autorità politiche e quelle religiose, il concetto di libertà nelle scelte affettive è ormai patrimonio assodato non solo nei giovani, ma anche in fasce di popolazione adulte e anziane. La politic souivrà. Partiti: in tempi di antipolitica la parola non sarebbe pronunciabile. Invece in questo scorcio di anno si è assistito ad una grande novità. Il centrosinistra ha celebrato primarie vere, combattute, migliaia di persone che probabilmente ora non voteranno centrosinistra, vi sono andate. Lo hanno fatto perché quei partiti hanno dato l’occasione di esprimere partecipazione, cosa che le altre offerte politiche non hanno mai fatto. Benché le primarie siano figlie di un sistema presidenziale, hanno svolto un’ottima funzione come mobilitazione. Se si vuole che i cittadini partecipino, loro lo fanno. Paesaggio: nonostante i furibondi attacchi della minoranza al governo regionale, il nostro paesaggio continua ad essere uno dei meglio conservati del Mediterraneo. La consapevolezza, che oltre ad essere un bene ecologico, il paesaggio sia identità e appartenenza conquista sempre più i Sardi. Lo dimostrano i dati sulla raccolta differenziata che cresce di anno in anno.

Sardegna: non una parola di più, tutto quello che è scritto qui, sta avvenendo da noi e non su Marte. Mancano molte parole, ad esempio cultura che andrebbe declinata come culture. Lo spazio è poco ma i lettori, se vogliono, possono farlo. Il 2013 sarà un anno difficile, ma non ucciderà le nostre speranze. Auguri a tutte/i di buone feste.
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Articolo pubblicato anche su Sardegnademocratica
Nel primo riquadro ritratto dalla copertina del libro Hidalgos di Nicolò Migheli
Nel secondo riquadro disegno natalizio di Bomeluzo

Nonostante tutto, l’Europa

Aladinbozo UE

Il 22 e 23 di novembre i capi di stato dei 27 paesi della Unione Europea si troveranno a Bruxelles per decidere sui bilanci comunitari dal 2014 al 2020 e chiudere quelli del 2012 e 2013. Il clima è decisamente agitato. E’ in atto uno scontro tra chi vorrebbe mantenere i livelli di spesa attuali, all’1,1% come la Commissione, mentre Francia Germania e Austria chiedono tagli che portino il bilancio all’1% del Pil europeo, anche se con una posizione possibilista. Gran Bretagna, Svezia e Olanda vogliono tagli per oltre 200 miliardi di euro portandolo sotto l’uno per cento. Il Parlamento europeo, i paesi dell’Est più Grecia, Spagna e Portogallo, sono sulle posizioni di Barroso. Van Rompuy, presidente del Consiglio Europeo propone tagli di una ottantina di miliardi per arrivare all’1,01. Secondo Rajoy se passasse quest’ultima posizione la Spagna nei prossimi sette anni, perderebbe circa 20 miliardi di euro.

Per le finanze di un paese in gravi difficoltà sarebbe un colpo difficilmente recuperabile. La presidenza cipriota propone la posizione mediana dell’1,04. I tagli avverrebbero soprattutto nei sussidi all’agricoltura e nei fondi strutturali per la coesione territoriale, suscitando le ire dei paesi dell’Est e di quelli mediterranei. In alternativa ci sarebbe il taglio dei fondi sulla ricerca, ma l’opposizione di Svezia, Danimarca, Finlandia è fortissima. E l’Italia? L’Italia al pari dei paesi nordici, di Germania, Benelux, Austria e Francia è donatrice netta. Riceve dalla Ue meno di quanto dia. Ora si spiega perché il ministro Barca rispondendo al presidente Cappellacci, che voleva un aumento di finanziamenti per le regioni in transizione come: la nostra, l’Abruzzo, il Molise e la Basilicata, rispose che l’integrazione l’avrebbe data lo stato.

Un aumento generalizzato in sede europea comporterebbe un aggravio contributivo per l’Italia. Barca è uomo d’onore, ma non è detto che sia lui il ministro nei prossimi anni. In Sardegna abbiamo imparato a conoscere quanto Roma onori gli impegni. La crisi dell’eurozona che ormai investe anche la Gran Bretagna che ha moneta propria, sta portando alla luce nazionalismi che credevamo consegnati al passato. Giorno dopo giorno una forza centrifuga si rafforza. Toccare i programmi di coesione strutturale è minare uno degli assi portanti della costruzione europea. Fin dal 1968 con la fondazione della Direzione delle Politiche Regionali, il superamento del divario tra aree è l’Europa. Così come lo sono i diritti civili, quelli del lavoro, la politica dell’ambiente e quella sull’istruzione. Gli stessi programmi di scambio tra università come Erasmus sono messi in dubbio per mancanza di fondi. Abbiamo sempre creduto che il processo di integrazione fosse irreversibile, invece non lo è. E’ mutata la geografia mentale dei cittadini europei. L’Europa diventa una percezione differente se sei spagnolo o svedese. Mondi che stanno diventando sempre più distanti. L’ideologia liberista con il suo sguardo occhiuto sui conti, non si cura che in Grecia Alba Dorata possa diventare il primo partito; che l’Ungheria sia governata da uno come Orbàn che apre campi di lavoro per i rom.

Sempre di più la democrazia viene vissuta come intralcio. D’altronde è dimostrato che i regimi autoritari non sono un ostacolo alla comunità degli affari. Tutt’altro! Se le classi dirigenti europee hanno una colpa, è quella di aver ucciso il sogno. Di aver fatto diventare l’unione continentale non una opportunità ma un limite, facendo immaginare un ritorno agli stati ottocenteschi. Ritorno difficile, dato il livello di integrazione economica esistente. Una notte della ragione che si veste di abiti razionali. Una corsa verso la disgregazione che nessuno sembra voler fermare. Eppure, per fortuna non è così. Il 14 novembre in ventiquattro paesi europei su ventisette, si è svolto uno sciopero contro le politiche di smantellamento del welfare e dei diritti del lavoro. Dopo anni di oblio, un vecchio e nuovo attore si mostra agli occhi delle opinioni pubbliche.

I ceti popolari e le classi medie impoverite non ci stanno a vedere messo in discussione il frutto che le generazioni passate erano riuscite ad ottenere. Non sono più disposte a sacrificare sull’ara insanguinata del Moloch neo liberista le loro esistenze. In quelle manifestazioni la parola ricorrente era “futuro.” Un futuro di dignità che viene negato a milioni di persone. Sono loro i veri eredi delle speranze europeiste cha animarono i padri fondatori. I veri protagonisti di quella giornata sono stati i giovani con il loro desiderio di riprendersi le loro vite. Un adagio spagnolo dice che “ No ay realidad sin utópia.” L’utopia e il sogno sono una componente del nostro essere, non possono essere negati; mentre le èlite europee oggi al potere, questo hanno fatto. La costruzione dell’Europa si è nutrita di sogno, è stata l’attrazione per i paesi che chiedevano d’entrarci. Allo stesso tempo il “Ce lo chiede l’Europa” aveva valenza positiva per i cittadini dei paesi membri e non giustificazione per le classi dirigenti nazionali per imporre qualsiasi nefandezza. Quegli scioperi e quelle manifestazioni represse brutalmente fanno sperare. Sono l’avviso di equilibri politici che cambieranno, annunciano che la stagione attuale non è per sempre. Nonostante tutto è ancora l’Europa il nostro orizzonte.

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 L’articolo è stato pubblicato anche su Sardegnademocratica