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AMBIENTE i giovani in cattedra gli adulti dietro la lavagna

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di Pietro Greco su Rocca.

Erano in otto milioni, a fine settembre, i giovani e i giovanissimi che sono scesi in piazza in tutto il mondo per avanzare una richiesta semplice e radicale e concreta: abbattere fino ad azzerare le emissioni antropiche di gas serra perché sia loro concesso di avere un futuro climatico desiderabile.
Come sono cambiati, i giovani! O, almeno, come sono cambiate le loro richieste. Cinquant’anni fa i loro padri e nonni di tutto il mondo (o quasi) scendevano in piazza per chiedere qualcosa di molto meno
tangibile: la fantasia al potere, gridavano, per esempio, gli allora ragazzi francesi. L’aria con meno gas climalteranti (come li chiamano, con brutta locuzione, gli esperti) invece della fantasia. Come sono cambiati i giovani, in cinquant’anni!
No, non lasciatevi fuorviare dalle apparenze. I giovani non sono cambiati così tanto. Oggi come allora si sentono e agiscono come cittadini del mondo. Oggi come oggi li lega la voglia di cambiarlo, il mondo. E oggi come allora a riunirli è un moto spontaneo di solidarietà. Che questa volta si estende non solo alle generazioni presenti, ma anche a quelle future.
I giovani non sono affatto cambiati. Quello che chiedono oggi come allora è un mondo migliore. Con più libertà, nel 1969; con un ambiente più favorevole, oggi. Non è cambiata neppure la reazione degli adulti. Oggi come allora non capiscono. Non capivano nel 1969 le istanze di libertà, la voglia di abbattere ogni tipo di autoritarismo e di conformismo. Non capiscono oggi le istanze per un presente e un futuro sostenibile: più giustizia e un ambiente migliore. Oggi come allora, le reazioni degli adulti sono due. Da un lato chi li deride, li irride, li condanna. Dall’altro chi, semplicemente, non li ascolta. Finge di porgere l’orecchio ma non ne intende le parole.

gli antefatti
Chi volesse un esempio, plastico, di questa risposta degli adulti alla domanda di «diritto al futuro» dei giovani non ha che da scorrere il brogliaccio dell’incontro che si è tenuto al palazzo delle Nazioni Unite nel bel mezzo delle manifestazioni dei giovani, tra lunedì 23 e martedì 24 settembre. L’incontro è stato voluto dal segretario generale Antonio Guterres che ha chiesto a molti capi di stato e di governo di rispondere anche alle domande dei giovani e di rendere pubbliche quali intenzioni concrete hanno gli stati di contrastare i cambiamenti del clima, ovvero di contrastare quella che molti considerano la più grave minaccia che pende sul capo dell’umanità in questo secolo.
Antonio Guterres aveva chiesto la formulazione di dichiarazioni esplicite e chiare e concrete per un impegno concreto che rappresentasse un passo in avanti rispetto a quello assunto a Parigi nel 2015 e in previsione del negoziato sul clima che si terrà nel 2020, in sede da destinarsi, e che dovrebbe segnare un punto di svolta politico (l’ennesimo) sul tema.
Ricordiamo gli antefatti. La comunità scientifica in maniera pressoché unanime sostiene che sono in atto rapidi cambiamenti del clima indotti dall’uomo; che anche se gli accordi di Parigi del 2015 venissero rispettati, a fine secolo l’aumento della temperatura del pianeta sarà superiore di almeno 3 °C a quella dell’epoca pre-industriale; che per sopportare conseguenze non del tutto disastrose dovremmo contenere l’aumento entro gli 1,5 °C; che per raggiungere questo obiettivo abbiamo solo dieci anni, dopodiché saremo oltre quell’obiettivo e ne pagheremo (e le future generazioni ne pagheranno) salatissime con- seguenze.

come hanno risposto i rappresentanti dei vari Stati alle Nazioni Unite?
Beh, forse la riunione è stata organizzata in maniera un po’ troppo affrettata. Forse Guterres ha accelerato troppo i tempi. Forse i governi a quasi trent’anni dalla Convenzione sui cambiamenti climatici (proposta alla firma nel 1992 a Rio de Janeiro) non si sono sentiti ancora pronti. Ma sta di fatto che degli impegni chiari e concreti chiesti dal Segretario generale delle Nazioni Unite nel brogliaccio dell’incontro non c’è traccia. Ecco, in sintesi, qual è stata la risposta dei rappresentanti dei paesi che hanno più peso nelle emissioni antropiche di gas serra. Questi paesi sono responsabili dei tre quarti delle emissioni di anidride carbonica negli ultimi due se- coli.
Per meglio capirci, ecco i numeri. La concentrazione di anidride carbonica, rispetto all’epoca preindustriale, è passata da 280 a oltre 410 parti per milione: con un aumento quasi del 47%. Ebbene questo aumento è dovuto per il 25% agli Stati Uniti, per il 22% all’Unione Europea (dei 28 stati), per il 13% alla Cina, per il 7% alla Russia, per il 4% al Giappone, per il 3% all’India, per il 26% al resto del mondo. Queste, in quota parte per paese, le responsabilità storiche.

E queste sono state le risposte date tra il 23 e il 24 ottobre a New York.
Stati Uniti. Il presidente Donald Trump aveva annunciato che non avrebbe partecipato. Poi, a sorpresa, si è presentato al palco degli oratori e ha parlato di tutto, tranne che di clima. Letteralmente. Ha ostentatamente evitato di affrontare il tema. La sua posizione, peraltro, è nota. Nega che i cambiamenti del clima siano effetto delle attività umane e vuole semplicemente ritirare gli Stati Uniti dagli accordi (peraltro timidi e su base volontaria) di Parigi.
Cina. Xi Jinping, il presidente cinese, non si è presentato. Il suo rappresentante, Wang Yi, ha denunciato la latitanza di altri paesi (in primis degli Usa); ha confermato che la Cina rispetterà gli accordi di Parigi e, dunque, l’intenzione di Pechino di raggiungere un massimo delle emissioni entro il 2030 per poi iniziare ad abbatterle. Ma non ha annunciato nessun passo in avanti. Fosse uno studente, potremmo dire che la Cina ha buone intenzioni e possibilità, ma non si impegna abbastanza.
Unione Europea. Molti i leader europei presenti, compreso il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in rappresentanza dell’Italia. Molta l’attenzione riservata al grido disperato dei giovani. I governi dell’Unione (molti, non tutti) prestano l’orecchio ma non intendono bene le parole dei giovani. Fuor di metafora: gli annunci di nuovi passi concreti da parte degli europei sono stati pochi e poco incisivi. Unica eccezione di rilievo, la Germania di Angela Merkel che, invece, ha annunciato un investimento di 54 miliardi di euro nei prossimi anni per una politica concreta di abbattimento dei gas serra. Peccato, però, che anche la Germania si riserva di chiudere le centrali a carbone – massima fonte di inquinamento – solo entro il 2030. I Verdi tedeschi chiedono che vengano chiuse subito. Quanto all’Italia, si attende il decreto che il governo varerà prossimamente.
India. Le emissioni dell’altro gigante asiatico sono relativamente poche, ma in rapida crescita. L’uso della fonte più inquinante, il carbone, ancora intenso. A New York, il premier Narendra Modi ha annunciato un’accelerazione nello sviluppo di fonti rinnovabili e carbon free di energia entro il 2022. Ma ha annunciato i tempi, non i modi e le quantità in gioco. Insomma, nulla di concreto.
Russia. Di nuovo, c’è solo l’annuncio che la Russia di Putin non denuncerà gli accordi di Parigi. Ma è evidente che, fondando la sua economia sulle esportazioni di ingenti quantità di petrolio e gas naturale, Mosca cercherà quanto meno di ritardare i tempi dell’azione.
Brasile. Il nuovo e controverso presidente Jair Bolsonaro ha inteso ribadire che l’Amazzonia appartiene al Brasile e non è un patrimonio dell’umanità. Come a dire, l’integrità della maggiore foresta tropicale del mondo non è garantita e, in ogni caso, le decisioni verranno prese a Brasilia non in sede di nazioni Unite.
Alla luce di questi annunci risulta fin troppo facile constatare che i ruoli generazionali si sono in parte invertiti. I giovani hanno smesso di chiedere l’avvento al potere della fantasia e ci chiedono azioni tangibili. Spiegano agli adulti, molti reduci del ’68 e del ’69, che stanno vestendo loro addosso un futuro climatico indesiderabile. Che glielo stanno rubando, il futuro. Così impartiscono ai più grandi di età una lezio forte e chiara. Loro, gli adulti, dimostrano di non ascoltare e comunque di non intendere.
Sì, i giovani sono in parte cambiati rispetto a cinquant’anni fa. Gli adulti, invece, commettono gli stessi errori.
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