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SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI

Bimbo e morte su Aladinews
di Piero Marcialis, Fondazione Sardinia

In un panorama così desolato non si può vivere umanamente molto a lungo.
E’ ora, dunque, di ripartire. Ripartire dai paesi (dae sas biddas).
Dai paesi per farli ridiventare comunità, la fonte degli ideali.
Per farli rivivere come centri di cultura, di economia, di politica.
(Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo,
di Eliseo Spiga – Francesco Masala – Placido Cherchi, gennaio 2000
)

Già da alcuni anni la Fondazione Sardinia si occupa del problema del progressivo spopolamento dei nostri paesi: diminuzione di abitanti che non si limita al dato quantitativo, ma diventa elemento qualitativo, in termini di peggioramento della qualità della vita con la sparizione di servizi in realtà già carenti: chiude l’ufficio postale, o apre saltuariamente, chiudono scuole elementari e medie e vanno a combinarsi coi paesi vicini, costringendo a volte i fanciulli a percorsi penosi e disagevoli; chiudono, o diventano intermittenti, anche le farmacie, i laboratori medici, il medico generico e specialisti vari, i chioschi di giornali; cinema, teatro, informazione e spettacolo scompaiono del tutto o quasi; persino dei generi alimentari diventa carente la presenza, non parliamo dell’abbigliamento e di altri generi; aumenta la dipendenza dai centri urbani, l’obbligo di recarsi in città, il pensiero di andarci stabilmente, perchè a questo punto tanto vale viverci, e poi la città ha il fascino di una vita più libera dal controllo sociale, l’illusione che la noia non abiti mai là, che ci si arrangi meglio, con più occasioni.

Così il paese va in declino, la data della sua morte dipenderà soltanto dal prolungarsi o meno dell’agonia.

I risultati di uno studio del Centro di Programmazione Regionale, presentato questo giovedi 23 gennaio in un Convegno a Cagliari, sono allarmanti.

Presentano infatti un elenco di 30 comuni sardi in via di estinzione: Armungia (il paese natale di Emilio Lussu), Ballao, Esterzili, Seulo, Ussassai, Bortigiadas, Aidomaggiore, Ardauli, Asuni, Baradili, Montresta, Morgongiori, Nughedu Santa Vittoria, Ruinas, Simala, Sini, Soddi, Sorradile, Ula Tirso, Cheremule, Villa Verde, Villa Sant’Antonio, Anela, Borutta, Nughedu S. Nicolò, Giave, Martis, Padria, Semestene, Monteleone Roccadoria.

Gli ultimi due sarebbero condannati a scomparire entro dieci-quindici anni.

Hanno illustrato i dati: Gianluca Cadeddu, direttore del Centro Regionale di Programmazione; Gianfranco Bottazzi e Giuseppe Puggioni, dell’Università di Cagliari; Massimo Esposito, dell’Università di Sassari; gli esperti Antonello Angius ed Elena Angela Peta.

Che cosa si può, si deve, fare di fronte a questa catastrofe demografica?

Una catastrofe che non segnala solo una diminuzione della popolazione, ma un impoverimento sociale, culturale, politico, antropologico.

Paesi che sopravvivono dal tempo dei nuraghi, che oggi, dagli anni ’60, gli anni della Rinascita bugiarda, anzichè rinascere hanno visto dimezzata la popolazione, emigrati o inurbati i giovani, le forze migliori.

Sono 128 i paesi a rischio e il loro territorio interessa quasi un terzo della superficie dell’Isola. La loro scomparsa, entro questo secolo, è catastrofe generale, desertificazione della Sardegna, scomparsa della stessa identità.

Il tasso di natalità si riduce e supera il tasso di mortalità in tutta l’Isola, mentre il numero dei residenti si mantiene solo grazie all’immigrazione degli ultimi vent’anni: è fenomeno che toccherà l’intera Isola, non si creda che le città continueranno a crescere assorbendo il contado, il declino riguarderà anche i centri urbani, finirà la loro crescita; previsioni e proiezioni matematiche, calcolate sulle tendenze degli ultimi cinquantanni, mostrano una Sardegna che si riduce complessivamente a poche aree della costa e della pianura, molto meno popolate di quanto sono attualmente.

Le cause del disastro sono molteplici ed è dalla presenza intrecciata di molte di esse che si genera il fenomeno, così dunque anche i rimedi devono essere complessi e in grado di affrontare le diverse problematiche, partendo dallo studio e dall’analisi accurata caso per caso e dalla ricerca di soluzioni mirate che possono essere diverse caso per caso.

Il primo problema da affrontare è di far nascere reazioni e azioni positive; nei singoli paesi ognuno vede la realtà di questo fenomeno, ma fino a oggi le reazioni sono inadeguate: ad alcuni, con ottimismo fatalista, non sembra che ci si debba preoccupare (“andrà meglio, non sarà sempre così”); altri, con fatalismo pessimista, sono rassegnati al peggio (“non c’è niente da fare”).

Forse una strada da percorrere è quella di mettere in rete i paesi più vicini, favorendo i collegamenti, creando sinergie (come si usava dire tempo fa), organizzando servizi comuni, occasioni di ripresa, nuove soluzioni.

Fondazione Sardinia in questi anni ha cercato di agire su questi aspetti, a Bitti, a Seneghe, a Gesturi, dove abbiamo promosso incontri, dibattiti, convegni, coinvolgendo gli amministratori, gli operatori economici, sociali e culturali, i leader locali a qualunque titolo.

Proseguiremo questo impegno anche quest’anno, sia negli stessi comuni, sia in altri due che stiamo individuando in provincia di Sassari e di Nuoro.

L’esortazione dei nostri amici, ormai scomparsi, che ho messo in premessa, risale al 2000: abbiamo perso tempo, oggi è più urgente che mai.
SARDEGNA, TERRA DESOLATA, SCOMPAIONO I PAESI.

PIERO MARCIALIS
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Sulla questione riproponiamo un intervento di Vanni Tola, pubblicato su Aladin del 26 dicembre 2013.
Demografia e sviluppo nel prossimo futuro
La Sardegna senza Sardi? Drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
di Vanni Tola
“La Sardegna senza Sardi?”.
Era questo il titolo di un convegno svoltosi a Sassari nei giorni scorsi. Un importante momento di discussione che ha stimolato ulteriori riflessioni nel merito di un problema poco esaminato: l’evoluzione demografica della Sardegna. Da decenni nell’isola si registra un incremento demografico negativo. In altri termini, il numero dei nuovi nati e degli immigrati è notevolmente inferiore a quello degli emigrati e dei deceduti. Gli studiosi di fenomeni demografici, elaborando dati reali (censimenti Istat in particolare), hanno indagato sul fenomeno e formulato delle previsioni prefigurando scenari futuri e realizzando ipotesi di evoluzione dell’andamento demografico fondate e attendibili. La considerazione che deriva dalla sintesi di tali elaborazioni è che la Sardegna rischia nei prossimi decenni un’implosione demografica. Una situazione che potrebbe essere caratterizzata da una consistente riduzione del numero dei sardi (alcuni parlano di 300-400 mila unità in meno, ed è l’ipotesi meno pessimistica), dalla scomparsa di centinaia di comuni minori, da un costante invecchiamento della popolazione attiva e da un insufficiente inserimento di intelligenze giovanili nel sistema Sardegna. Ipotesi preoccupanti, difficili da accettare perché pongono in discussione certezze consolidate. La millenaria civiltà isolana messa in crisi dal fenomeno delle “culle vuote”? Eppure è cosi. L’indice di natalità dell’isola è notevolmente inferiore, circa la metà, di quello che sarebbe necessario per mantenere costante la popolazione. L’indice dell’incremento demografico è negativo ormai da decenni in quasi tutta la Sardegna con l’unica eccezione di alcune limitate aree costiere (della Gallura, del Cagliaritano e del Sassarese). Centinaia di paesi potrebbero scomparire per mancanza di abitanti già dai prossimi decenni. La programmazione economica della Sardegna, i programmi di sviluppo, le strategie delle forze politiche impegnate nell’ennesima tornata elettorale, non possono più ignorare il problema, devono anzi considerarlo il punto di riferimento per qualunque nuova ipotesi riguardante lo sviluppo dell’isola. Alcuni esempi. Non ha più senso oggi, per la maggior parte delle amministrazioni comunali, predisporre piani urbanistici di sviluppo considerato che si va incontro a importanti decrementi della popolazione. Allo stesso modo occorre rivedere la progettazione e il ridimensionamento di una serie di servizi pubblici (in primo luogo sanità, edifici scolastici e altri) con riferimento alle previsioni di spopolamento delle aree amministrate. Naturalmente le previsioni demografiche sono appunto delle previsioni, non sono realizzate con la speranza che si concretizzino ma soprattutto per consentire la possibilità di intervenire in modo adeguato per governare le dinamiche in atto. Già alcuni studiosi propongono una lettura meno pessimistica degli scenari di decremento della popolazione, qualcuno formula perfino l’ipotesi che il decremento della popolazione possa perfino rappresentare una opportunità per determinare migliori condizioni di vita per i Sardi “residui”. Altri propongono di esaminare la possibilità di invertire le tendenze demografiche registrate e prevedibili per il futuro prossimo. Una proposta molto interessante e innovativa e che farà certamente discutere è quella avanzata dal prof. Giuseppe Pulina direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari. Partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità che sono tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, Pulina propone di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza ad un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La principale attività dell’isola, l’agro-pastorizia, stante l’attuale andamento demografico tende a diventare nei prossimi decenni una attività praticata quasi esclusivamente da lavoratori anziani, e perfino a essere fortemente ridimensionata nel suo ruolo e nelle sue potenzialità economiche. La soluzione indicata è quella di programmare, per i prossimi dieci anni, l’accoglienza di quindicimila coppie di immigrati, un vero e proprio progetto di ripopolamento o se preferite di riantropizzazione di vaste aree dell’isola come è avvenuto in altre parti del mondo, per esempio in Argentina e Australia. Un progetto che non deve essere inteso esclusivamente in termini di trasferimento di forza lavoro bensì come progetto di inclusione di persone nella nostra realtà garantendo loro progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. La realizzabilità di tale progetto potrebbe essere favorita da finanziamenti europei già disponibili, ad esempio le risorse del programma Horizon 20.20 per le politiche di integrazione. Milioni di euro che potranno essere spesi dal 2014, se si avrà il coraggio, la capacità e la lungimiranza di predisporre adeguate programmazioni. La Sardegna potrebbe essere la prima realtà europea a realizzare un piano di questo tipo. L’isola si candiderebbe così a diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un drastico ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Ancora una volta la discussione, il confronto, lo studio di ipotesi di sviluppo valide e alternative alle logiche e alle scelte del passato ci pone drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
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Manifesto-delle-Comunita-di-Sardegna