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La protesta dei pastori sardi. Oltre la doverosa solidarietà: necessità di un dibattito senza infingimenti

latte-sardegna
ALTRO LATTE VERSATO
di Gianni Pisanu.

Il latte s-versato non risolverà i problemi della Sardegna, temo che aggraverà lo stato di cose nelle località dell’interno.
L’obiettivo dei pastori è l’aumento del prezzo del latte dai 60 cent. a un euro al litro. Chi è il cattivo, anzi, chi sono i cattivi? Gli industriali del formaggio e i politici. Tutto molto semplice, basterebbe una buona parola dei politici e gli industriali allargherebbero prontamente i cordoni della borsa. Tutto bene quel che finisce bene.
Ma non funziona così, se volenti o nolenti abitiamo una società dove le parole Mercato e Concorrenza contano e conta pure la parola Profitto unitamente a Capitale e Rischio d’impresa. Quanto alla politica, deve rispondere in qualche modo.
La risposta più frequente sarà probabilmente, come sempre, assistenza allo stato puro. Ricorrendo alla fantasia l’assistenza potrà essere chiamata Contributo per il benessere degli animali o chissà come. Problema risolto. Per il momento mettendo la polvere sotto il tappeto. Fino alla prossima puntata.
Di assunzione di responsabilità da parte dei pastori in ordine al loro eventuale impegno nelle problematiche di filiera, dalla trasformazione alla promozione e vendita del prodotto, nessun accenno. I cattivi forse lo sono davvero, ma i buoni oltre che sversare il latte cosa propongono oltre alla protesta?
Questa riflessione e quanto segue (già pubblicato in questo blog) non è frutto di studi approfonditi, ma dell’attenzione e preoccupazione di un cittadino che come tanti sardi ha a cuore il bene della Sardegna e mantiene un forte legame affettivo e di rapporti con il suo paese d’origine nell’interno dell’Isola.

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Nel corso dell’incontro del 15 dicembre 2017 presso la Comunità di San Rocco, a Cagliari, si attendeva qualche riflessione oltre che sullo stato delle cose, anche sulle prospettive, provo con queste note, a indicare una serie coordinata di interventi che potranno essere attivati. Da chi, quando, con quali risorse è da vedere.

Idee per il Lavoro in Sardegna.

Allevamento e relativa filiera. Con un minimo di razionalità, da solo potrebbe costituire un bel pezzo di soluzione del problema occupazione e dipendenza dall’esterno. Penso al paradosso che il porchetto sardo è per circa il 75% importato, che la salsiccia sarda è per il 90% confezionata con carne importata, così come il prosciutto, mentre nelle macellerie se si eccettua l’agnello, le percentuali delle carni vendute sono all’incirca 15 – 20% locali.

Come fare? La soluzione non può aversi semplicemente nell’incentivare la creazione di micro e piccole aziende senza un lavoro in profondità. Occorre preliminarmente agire in alcune direzioni: 1) studio e classificazione del territorio e delle strutture esistenti; 2) formazione del nuovo allevatore/trasformatore/operatore agrituristico; 3) costituzione di una struttura che si faccia carico di tutta la parte burocratica compreso l’aspetto fiscale, la promozione pubblicitaria, la formazione, l’aggiornamento degli operatori ecc.; 4) creazione di un vero marchio per il prodotto vincolando l’operatore all’osservanza di appositi disciplinari; 5) rendere raggiungibili i terreni manutenendo e mettendo in sicurezza le attuali strade di penetrazione, dotandole di segnaletica, ricuperare quelle soppresse o usurpate restituendole ad uso civico, e ove necessario aprirne altre col duplice obiettivo di rendere più agevole la logistica, e favorire il flusso turistico sia dai centri urbani che dalle coste. Questo ultimo punto, darebbe opportunità di occupazione a tante figure di lavoratori e lavoratrici, dall’operaio, al tecnico, allo studioso, al dirigente.

Si tratta di programmare e investire. Negli anni 50 qualcosa è stato fatto. La Nurra di Sassari e Alghero, in parte possono essere considerate un esempio. In quelle realtà, nate come sfogo alla disoccupazione bracciantile agricola nell’immediato dopoguerra, si è verificata col tempo una trasformazione dell’economia in modo spontaneo. La cosa è stata possibile grazie alla seppur minima presenza di strutture (strade di penetrazione, elettricità). Attualmente una parte delle centinaia di poderi, che continuano a produrre ed operare nel settore agroalimentare si sono trasformati in agriturismo, resort, e servizi. Tutto il comprensorio partecipa ad un relativo benessere.

Come si diceva, programmare.

Territorio. Il territorio deve essere quello dell’intera Sardegna, con il coinvolgimento della Regione e di tutti i Comuni, che dovranno approntare un piano di sistemazione delle reti viarie. Sarà necessaria la sinergia di assessorati, sindaci, corpo forestale con l’obiettivo di uniformare gli standard di progetto e intervento. I GAL avrebbero un ruolo sempre in sintonia col progetto base.

Centri Abitati. La quasi totalità dei comuni della Sardegna necessita di urgenti interventi di manutenzione/finitura/recupero/restauro del patrimonio abitativo, per eliminare o correggere per quanto possibile i devastanti effetti di abusivismo, condoni e opere non finite. Anche in questo caso, sinergie fra Regione e Comuni e tempi certi per recuperare quella bellezza indispensabile per un recupero anche sociale.

Formazione degli operatori.
Basta andare in uno dei vari agriturismo in Sardegna, fare un confronto con altre realtà in Italia e all’estero, e si nota il gap, a partire dalla raggiungibilità e segnaletica, decoro e cura dell’ambiente esterno, parcheggi, igiene, comfort in genere, disponibilità ed elasticità rispetto alle diverse esigenze, Siamo molto indietro, a parte le caratteristiche uniche regalateci dalla natura. Se i sardi, soprattutto i giovani, non si sognano di trascorrere nell’interno dell’isola più di qualche ora, come si può pretendere che lo facciano gli italiani o gli stranieri? L’effetto ciambella (fuga verso la costa e desertificazione di tutto il resto) è assicurato. Pertanto, fra i vari fattori, non si può eludere il problema della carenza di professionalità.

Serve una formazione a tutto tondo a partire dalla produzione alla trasformazione alla vendita e all’accoglienza che, pur conservando una sana naturalità, deve rispettare uno standard professionale adeguato alle diverse sensibilità e tipologie di cliente/ospite con l’obiettivo della fidelizzazione.

Lavoro e Ambiente
Creare il lavoro. Le risposte a questo bisogno possono essere di due tipi. Più frequentemente, quasi sempre, si risponde alla sola urgenza di dare sollievo a situazioni difficili, con nessuna prospettiva di lungo periodo. Spesso si destinano fondi a perdere in opere destinate a sicuro fallimento.

Per ottenere risultati apprezzabili e tali da produrre benessere duraturo e tale da fermare e nel tempo invertire la tendenza allo spopolamento, il progetto dovrà essere orientato alla ricerca della qualità a 360 gradi. Al primo posto la qualità del contributo delle persone che devono essere fortemente motivate. Per questo motivo gli incentivi alle aziende dovranno essere attentamente dosati sulla base dei risultati che ciascun segmento (ambiente, decoro dei centri urbani, sentieristica, ippovie, gestione dei boschi, protezione civile, strutture agrituristiche, strutture formative, Gal, manifestazioni culturali qualificate).

Il piano per il Lavoro e l’Ambiente, per quanto riguarda il settore turistico/ricettivo dovrà prevedere delle strutture modello preposte alla formazione, aggiornamento, verifica delle professionalità con percorsi destinati agli operatori delle aziende già esistenti che utilizzeranno il marchio e corsi completi preliminari all’avvio di nuove iniziative.

Gianni Pisanu

Pubblicata su “Aladin” dicembre 2017
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SEMUS TOTUS PASTORES
di Valeria Casula, su fb.
Come tanti, probabilmente anche in virtù delle mie origini pastorali, sono rimasta molto impressionata dalla protesta dei pastori sardi, una modalità che mi ha trasmesso un senso di urgenza senza eguali.
Liquido brevemente la polemica sulle modalità per poi dedicarmi al tema vero.
A mio modesto avviso qualsiasi forma di protesta che non utilizzi violenza è lecita, d’altro canto anche la modalità più tradizionale, lo sciopero, provoca una riduzione di beni (o servizi), quantomeno relativamente alla mancata produzione nei giorni di sciopero, e nessuno lo definisce uno “spreco”. Mi chiedo inoltre se la loro protesta avrebbe la stessa risonanza qualora si limitassero al solito corteo.
Il tema vero è che questo settore viene nei fatti (ma spesso anche a parole da taluni, benché non in campagna elettorale), considerato un settore non strategico e assistito, un settore a cui occorre elargire ogni tanto un po’ di soldi (e con molto ritardo) per farlo sopravvivere.
In realtà quasi tutti i settori industriali sono assistiti, ma spesso indirettamente per cui non lo vediamo. Forse fanno eccezione i settori del lusso, del top di gamma, che riescono ad ottenere dei premium price che consentono di camminare sulle proprie gambe, ma siccome la produzione di beni (e servizi) deve essere tale da consentire a chiunque, non solo ai ricchi e ricchissimi, di mangiare, vestirsi, muoversi, svagarsi … appare ovvio che tali settori debbano essere supportati.
Alcuni esempi di settori e aziende assistiti:
• Il settore automobilistico, assistito per anni con gli incentivi alla rottamazione (oltre alla cassa integrazione), salvo poi chiudere baracca e burattini e andare altrove;
• Il settore edile assistito con le detrazioni IRPEF, sano al 50%, dei costi di ristrutturazione (e relativi arredi), con il segmento della riqualificazione energetica che gode di incentivi maggiori;
• La oil company nazionale, quella che vanta ottimi conti economici, ma che ci costa uno sproposito in missioni militari per difendere le licenze petrolifere a Nassiriya in Iraq, gli interessi in Libia … o forse pensate che queste missioni le abbia pagate l’ENI? Vi do una notizia, le abbiamo pagate noi (e questo a prescindere da altre considerazioni sugli interventi militari italiani in paesi terzi);
• La Saras che produce energia elettrica sotto incentivi (CIP 6) bruciando gli scarti della raffinazione;
• Tutti i settori manifatturieri che usufruiscono di piccole e grandi infrastrutture realizzate con soldi pubblici;
• Addirittura finanziamo la sanità privata dell’Emiro del Quatar in Sardegna, il Mater Olbia, a cui andranno ogni anno e per 10 anni 55 milioni di Euro di finanziamenti pubblici sardi!
A questi si aggiungono i settori che di fatto generano dei costi per la collettività, per lo più riconducibili all’inquinamento, in termini di spesa sanitaria, incapacità lavorativa, necessità di assistenza (anche questa considerazione prescinde dal costo umano legato ad una patologia o a una morte prematura). Ebbene, anche questi costi li sosteniamo noi.
E quando magari questi costi non li sosteniamo noi perché le produzioni sono delocalizzate, li sostengono altri, messi peggio di noi, dove a questo costo si aggiunge il costo sociale di un lavoro senza diritti.
Allora io non solo trovo giusto che il decisore pubblico incentivi e disincentivi alcuni settori sulla base dell’interesse complessivo della collettività, ma trovo anche che sia doveroso.
Ritengo tuttavia che le scelte su cosa incentivare, vale a dire a chi destinare i soldi pubblici, non siano sempre legate all’interesse della collettività.
La pastorizia è un caso lampante, la pastorizia non è incentivata, ma solo miseramente sostenuta.
Io non so quali incentivi e in che misura siano necessari, su quali forse occorre chiederlo ai pastori stessi, mentre sulla misura occorre valutare davvero quale sia il valore generato sul territorio da questa attività (es. argine allo spopolamento del centro della Sardegna, qualità e “salubrità” dei loro prodotti, mantenimento del territorio, ricadute positive sull’ambiente…).
Insomma occorre valutare tutto e in funzione di questo definire quanto investire, parlo proprio di investimenti, non di copertura di costi correnti come avviene ora.
Quali sono gli asset strategici per la pastorizia? L’innovazione? Allora si investa in Ricerca e Sviluppo nelle università per innovare. La tutela di un brand del prodotto e dei suoi derivati attraverso un marchio (es. IGP)? La disponibilità di caseifici locali? Io non lo so davvero, né francamente ritengo che spetti a me saperlo, ciò che so è che un litro di latte non può essere pagato ad un pastore quanto lui spende per acquistare una bottiglia d’acqua (si veda a questo proposito l’articolo “il prezzo del latte” in cui Andrea Murgia converte i vari costi che un pastore sostiene in una giornata in litri di latte https://www.vistanet.it/…/prezzo-del-latte-la-provocazion…/…).
Che chi ci governa (e chi ci governerà) stabilisca chiaramente se la pastorizia è un settore strategico per la Sardegna, sia in termini occupazionali, sia in termini di benefici (c.d. esternalità positive) che genera per la collettività, che esprima in modo chiaro le sue valutazioni e agisca di conseguenza, perché questa prolungatissima precarietà non è più tollerabile.
Al link seguente: immagini della disperata protesta dei pastori
https://www.facebook.com/youtg.net/videos/2272479389677929/UzpfSTEyNzQ5ODk1NDc6MTAyMTg3NTE2MjQ2ODMxMjM/
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[il manifesto] Pastori neri come il latte
Sardegna. Esplode la rabbia contro il prezzo imposto dagli industriali caseari. Bloccate le arterie principali, regione spaccata a metà, versati in strada litri di prodotto.
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- La foto in alto è tratta da un servizio apparso su il manifesto del 9 febbraio 2019.
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Franco Mannoni (su fb).
La protesta dei pastori riporta in grande evidenza una crisi di comparto endemica. Rimediata in passato da fattori diversi,come i premi per le esportazioni, il super valore del dollaro, gli interventi sulle aziende di trasformazione. Oggi esplosa come ricaduta grave della mondializzazione non regolata dei mercati. Circola molto latte in Europa, circola molto formaggio senza sufficienti garanzie di qualità e autenticità del prodotto.
I nostri pastori producono buon latte, ma non trovano remunerazione adeguata nè attenzione sufficiente. Protestano con grande clamore del tutto adeguato alla drammaticità della crisi. Urgente restituire alla categoria livelli di reddito, innanzitutto, che restituiscano il respiro. La crisi del comparto è tragedia per una parte della Sardegna già provata è sottoposta a declino economico, demografico, sociale. Conte, Pigliaru e via dicendo, spero percepiscano il livello del dramma. Peró non lasciamo soli i pastori,facciamo in modo che la loro sia la protesta di tutti i cittadini sardi!
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