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Startup: tra utopismo tecnologico, imprenditoria-piratesca e rigenerazione dell’impresa capitalistica. Il dibattito attuale.

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I limiti dell’ideologia degli “startupper”

Gianfranco Sabattini*

Col termine “startup” si fa riferimento a una nuova impresa realizzata attraverso un’organizzazione di persone o di capitali altamente innovativa, sia riguardo all’oggetto dell’attività produttiva, che all’”ideologia comportamentale” del fondatore o dei fondatori. Il fenomeno, afferma Alfredo Ferrara, dottore di ricerca in Filosofia e teorie sociali contemporanee, in “L’ideologia startup tra rigenerazione capitalista e processi di rimozione” (Quaderni di Sociologia, vol. LXI/2017) ha assunto all’interno dello spazio pubblico occidentale notevole rilevanza, “ponendosi al centro non solo dei dibattiti che coinvolgono gli addetti ai lavori ma, proprio perché diventato oggetto d’interesse in virtù delle storie di successo che propone, suscitando entusiasmi anche in settori delle società del tutto estranei ad esso”. Il fenomeno fa parte ormai della storia economica recente di molti Paesi capitalisticamente avanzati, mentre l’Italia, malgrado le difficoltà che caratterizzano da tempo la sua economia e la sua società, ha incominciato a valutarne le implicazioni dinamiche solo di recente.
Ciò che, con la sua analisi, Ferrara si propone di evidenziare, non è tanto il contributo del fenomeno startup “nelle trasformazioni contemporanee dei processi produttivi”, ma il ruolo delle sua ideologia, “in virtù dell’egemonia simbolica che tale fenomeno [delle startup] ha conquistato”. Ferrara, nella sua analisi, adotta un prospettiva di metodo che afferma di mutuare dal pensiero di Antonio Gramsci sul fordismo, inteso questo come una forma di organizzazione del lavoro e della produzione sempre accompagnata da una concezione del mondo e da un’idea di uomo. A parere di Ferrara, l’idea di un’organizzazione produttiva altamente dinamica, qual era quella intrinseca all’ideologia del fordismo, consentirebbe, secondo Ferrara, di “lasciare aperto l’interrogativo se sia l’organizzazione della produzione a determinare l’ideologia nello schema classico struttura-sovrastruttura o se invece [sia questa ideologia ad ereditare] culture e concezioni del mondo pregresse, compatibili con il proprio sviluppo”.
Sulla base di questa prospettiva, Ferrara ricostruisce “l’ideologia startup, facendo riferimento ad aspetti tematici”, una parte dei quali relativi al sistema dei valori e dei comportamentali (indipendenza decisionale, propensione al rischio e ambizione; “zero ego”; cosmopolitismo; ed altri ancora) ed un’altra parte concernenti “la vita ed il lavoro” degli startupper, operanti all’interno di un contesto capitalistico a “decisioni decentrate”, com’è appunto quello capitalistico (priorità assegnata alle idee; uso spinto delle tecnologie informatiche; competizione; propensione ad investire nei sogni, ecc.). Dopo aver ricostruito l’ideologia, considerata propria degli startupper, Ferrara tende a mettere in luce alcuni suoi aspetti particolari che la letteratura riguardante il fenomeno delle startup sottopone a un “processo di rimozione”; tali aspetti, secondo Ferrara, devono necessariamente essere considerati, pena la mancata possibilità di caratterizzare in modo preciso il fenomeni stesso.
Prima di illustrare i termini essenziali dell’analisi di Ferrara, conviene precisare meglio le considerazioni che egli formula riguardo al rapporto tra struttura e sovrastruttura, proprio della teoria dell’egemonia gramsciana. Le argomentazioni di Gramsci, riguardo a questo rapporto non si prestano ad essere interpretate nel modo in cui le interpreta Ferrara. La concezione gramsciana riguardo al rapporto tra struttura e sovrastruttura differisce da quella originaria di Marx: come ora normalmente si conviene, in Marx il primo elemento del rapporto (la struttura) è il momento primario e subordinante, mentre il secondo (la sovrastruttura) è quello secondario e subordinato. In Gramsci è vero l’opposto; ciò esclude che il pensatore sardo nell’interpretare il rapporto tra struttura e sovrastruttura abbia lasciato aperto l’interrogativo se sia la struttura a determinare la sovrastruttura (ovvero l’ideologi), oppure se sia l’ideologa a prefigurare una nuova struttura, trascendente quella esistente.
Pur sempre considerati in relazione reciproca, i termini del rapporto in Gramsci tra struttura e sovrastruttura ammettono un unico verso, cha va dalla struttura alla sovrastruttura, nel senso che è l’ideologia, ovvero il momento della sovrastruttura, a prevalere e a proporre gli elementi dinamici per trascendere il momento della struttura di partenza. Tenuto conto di questa precisazione, è possibile formulare un giudizio più compiuto, anche se critico, del risultato cui perviene Ferrara, con la sua analisi dei valori e dei comportamenti degli startupper.
Seguendo la prospettiva di metodo mutuata da una sua personale interpretazione del pensiero gramsciano, Ferrara ricava “un profilo dello startupper molto affine alla descrizione dell’imprenditore capitalista proposta da Schumpeter negli anni Quaranta del secolo scorso”; in realtà, ciò solleva non pochi dubbi sulla possibilità di ricondurre lo startupper all’imprenditore schumpeterieno. Secondo Ferrara, l’economista austriaco, in “Capitalismo, socialismo e democrazia”, ha interpretato “lo sviluppo capitalistico come l’ultima e più compiuta tappa del pensiero razionale” e il processo che lo ha sorretto avrebbe indirizzato il capitalismo verso il “suo acme nei decenni segnati dall’egemonia del modello della grande impresa taylorista e del keynesismo, travolgendo la stessa figura dell’imprenditore capitalista”; l’esito del processo sarebbe stato un capitalismo “senz’anima” che avrebbe dato luogo a “un clima di ostilità nei propri confronti, dilagante [...] per la sua intrinseca incapacità di produrre passione e ambizione al continuo successo dei capitani d’impresa. Il capitalismo moderno sarebbe, invece, a parere di Ferrara, “il prodotto di un’inversione rispetto a queste tendenze descritte da Schumpeter”.
Diversi sarebbero stati i fattori che hanno determinato l’inversione di tendenza, ma l’aspetto più importante, a parere di Ferrara, consisterebbe nel fatto che “il modello d’impresa egemone in Europa nel secondo dopoguerra (e negli Stati Uniti già negli anni Trenta) è entrato negli anni Settanta in una duplice crisi per motivi parzialmente affini a quelli individuati da Schumpeter”: da un lato, perché il tasso di profitto del modello egemone di impresa si sarebbe ridotto per via delle conquiste della forza lavoro; dall’altro, perché lo stesso modello egemone di impresa sarebbe diventato inefficiente “nell’estrarre valore” dalla forza lavoro, divenuta con l’accresciuto benessere sociale “propensa a stili di vita e orientamenti culturali più individualistici”.
In conseguenza dell’inversione di tendenza, la figura dell’imprenditore avrebbe riassunto in sé alcuni connotati propri della figura dell’imprenditore schumpeteriano; uno in particolare, la sua “attitudine piratesca” che, divenuta la base dell’ideologia degli startupper, li avrebbe motivati a prediligere un costante mutamento evolutivo dell’esistente, grazie allo spirito fortemente innovativo trasmesso loro dalla nuova ideologia. Di quest’ultima, tuttavia, non farebbero parte alcuni aspetti che, pur contribuendo a connotare il comportamento proprio degli startupper, sarebbero stati rimossi, quasi a voler tacere sulla vera natura degli startupper.
Una rimozione riguarderebbe il fatto che l’ideologia degli startupper non contemplerebbe la circostanza che il loro successo è strettamente legato ai caratteri propri dei processi di finanziarizzazione dell’economia capitalistica moderna. Una seconda rimozione riguarderebbe il modo specifico di creare valore, nel seno che nel mondo degli stratupper essa avverrebbe “attraverso la cooperazione tra i fondatori”, che consentirebbe di “mettere a riparo le startup dalla spersonalizzazione”, causata dalla organizzazione dell’impresa di tipo fordista-taylorista, e permettendo alle stesse starttup di connotarsi come fenomeno “compiutamente postlavorista e alieno dalle dinamiche di sfruttamento”. La terza forma di rimozione, infine, riguarderebbe la politica, nel senso che l’ideologia degli startupper non contemplerebbe l’attribuzione all’iniziativa dei singoli “i processi di innovazione e i salti tecnologici che costituiscono il motore del mutamento storico”.
Dall’analisi di Ferrara emerge, conclusivamente, che l’ideologia degli startupper si configura, da un lato, “come una sistematica rivendicazione degli aspetti del fenomeno [degli startupper] più innovativi e in controtendenza rispetto all’accelerazione dei processi di razionalizzazione che hanno contraddistinto il capitalismo” verso la fine della prima parte del secolo scorso; dall’altro lato, come una altrettanto sistematica rimozione degli elementi più dinamici che connotano la figura dello startupper.
Tuttavia, sulla base del concetto di ideologia mutuato dal pensiero gramsciano, Ferrara afferma che, fuori da ogni prospettiva positivistica, è normale che al pari di ogni ideologia, anche quella che esprimerebbe i valori e i comportamenti propri degli startupper non sia priva di scarti tra il mondo ideale che essa prefigura e quello reale; se una critica a tale ideologia può essere formulata – afferma Ferrara – non dovrebbe riguardare una sua presunta falsità, ma semmai la sua sostenibilità etica, economica e politica, nella consapevolezza che il senso di un’ideologia è messo più in crisi quando essa è portatrice di una concezione del mondo e dei processi di rinnovamento che ancora non esistono, che dalle sue contraddizioni. Le conclusioni dell’analisi di Ferrara sono poco condivisibili.
La concezione che egli ha del concetto di ideologia riferita agli startupper non è riconducibile, come precedentemente si detto, al pensiero gramsciano. In Gramsci, la sovrastruttura ideologica, che tende ad acquisire una posizione egemonica, non presenta per definizione delle contraddizioni rispetto alla struttura (situazione del mondo esistente) che vuole trascendere. Nel caso dell’ideologia considerata da Ferrara propria degli startupper, le contraddizioni stanno nell’ipotesi, da lui assunta, secondo la quale, a metà degli anni Settanta del secolo scorso, la formazione dell’ideologia degli startupper sarebbe nata dall’inversione di tendenza dell’evoluzione del modello prevalente di impresa, a causa della caduta del tasso di profitto dovuto alle rivendicazioni della forza lavoro, all’eccessiva standardizzazione della produzione ed anche agli orientamenti culturali della società in senso individualistico.
Ma un’ideologia che faccia propria tale ipotesi non presuppone il ricupero, attraverso gli startupper, di un imprenditore di tipo schumpeteriano; Schumpeter non ha mai ipotizzato che l’imprenditore, sia pure attraverso la “distruzione creativa”, fosse orientato ad “estrarre valore” dalla forza lavoro e fosse motivato da una “attitudine piratesca”. Egli ha solo descritto le modalità di svolgimento del processo imprenditoriale moderno che, a causa della sua instabilità e degli eccessi che lo caratterizzavano, era all’origine del manifestarsi degli “animal spirit” di keynesiana memoria. E’ stato proprio per limitare gli effetti dell’instabilità che si è imposta la necessità di rimuoverla attraverso la regolazione di un equilibrato rapporto che si è ritenuto necessario fosse realizzato tra efficienza nell’uso delle risorse, equità distributiva e libertà decisionale; fatto, questo, che hanno implicato la standardizzazione della produzione e dei comportamenti individuali, valutati da Ferrara come regressivi.
L’ideologia che, a parere di Ferrara, avrebbe ispirato i comportamento degli startupper, più che segnare il ritorno alla figura dell’imprenditore innovatore preschumpeteriano, ha ispirato invece la nascita di una nuova figura dei creatore di imprese, lo startupper, espressione dell’ideologia neoliberista; di quest’ultima, quella proposta da Ferrara non è che una riproposizione, assunta a giustificazione di una figura di nuovo imprenditore, mentre in realtà non è che la giustificazione dell’imprenditore proprio del mondo prekeynesiano, unicamente motivato ad “estrarre profitti” senza essere condizionato da alcun vincolo di natura sociale. Lo startupper dell’ideologia formulata da Ferrara, perciò, non è che l’idealizzazione di un modello di ”imprenditore-pirata” molto frequente nei tempi attuali.
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