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Bandire la guerra dalla faccia della Terra: ecco il vero grande programma!

Dedicato a Lorenzo Milani.
LORENZO MILANI
LA PACE OLTRE OGNI RAGIONE
Goya il sonno della ragione
Nei secoli la ragione è stata dalla parte della guerra, madre e regina del mondo, non solo evento ma criterio di tutta la realtà. Ripudiata poi come folle, la guerra è tornata come prostituta, venduta come sacra. La ragione della pace sta invece nella nonviolenza di Dio

di Raniero La Valle.

La seguente relazione è stata tenuta l’11 aprile 2018 all’Università di Messina in occasione di un seminario dedicato a don Lorenzo Milani:

Dobbiamo anzitutto metterci in situazione, sapere che parliamo di pace proprio qui, in quel centro del mondo dove la pace è massimamente negata, nel cuore del Mediterraneo, dove si stanno armando le propagande, le fake news, gli incrociatori e i missili per la guerra alla Siria, dove si spara nella striscia di Gaza e si attacca il paese dei Curdi, e dove si affollano i barconi dei profughi che le Marine si disputano e che a migliaia facciamo morire.
Il titolo dato a questo intervento, “La pace oltre ogni ragione”, introduce come tema sensibile il rapporto pace-ragione. È un binomio che rinvia e corrisponde a un altro binomio cruciale, quello fede-ragione. Come la fede appartiene alla ragione ma trascende la ragione, la supera e può perfino essere ogni oltre ragione, così la pace appartiene alla ragione, ma la trascende, la supera e può essere pensata anche contro e oltre ogni ragione.
Quand’è che la fede soffre a causa della ragione, e anzi può essere ferita o distrutta dalla ragione? Quando si pretende di ridurre la fede e mettere la religione nei limiti della sola ragione. È, com’è noto, l’assunto di Kant. Ma è anche la pretesa della modernità, e questo lo sappiamo e non ci spaventa. Purtroppo però questa è anche la tentazione di molti cristiani di oggi, anche dei più provveduti, e questo mi spaventa moltissimo. Io ho vissuto quest’anno con grande gioia, e quasi con accanimento, la veglia della notte di Pasqua, perché avevo visto e sentito amici cristiani a me carissimi, e anche teologi, che proponevano l’istanza di demitizzare la Resurrezione, di riportare anch’essa nei limiti della sola ragione per corrispondere alla mutata sensibilità dell’uomo moderno: e per farlo non solo avanzavano l’ovvio argomento che quando si interrompono tutte le sinassi del cervello non può esserci vita e tanto meno resurrezione nel senso biologico, e così la ragione è a posto, ma volevano riportare nei limiti della sola ragione anche il fatto straordinario che le prime apostole, Maria di Magdala, l’altra Maria, Giovanna, Salome, i primi discepoli, la prima Chiesa e poi tutte le generazioni successive fino ad ora abbiano visto e creduto che il Signore è risorto, che è veramente risorto. E anche esegeti cristiani, dell’una o dell’altra confessione, ci spiegano come la Resurrezione è un mito, che in realtà essa altro non è che l’idea soggettiva della Resurrezione, che Gesù non può essere il figlio di Dio, come del resto già dicevano quelli del Sinedrio, che il Dio del teismo non esiste, per cui non lo si chiama più per nome ma solo per grandi idee riassuntive; e allora si parla di lui come del Principio originario, dell’Amore primordiale, come di una Forza di vita, come di un confluire di tre tempi, passato presente e futuro e via astraendo. È la nuova gnosi, il logos che rifiuta di farsi carne. E così la ragione è salva, ma la fede è perduta, la croce come unica e suprema irragionevolezza di Dio è perduta, e allora non c’è più argine, non c’è più limite all’invasione delle ragionevoli croci che ormai coprono tutta la terra, questo immenso Golgota che si erge sulla collina dei rifiuti detta Gehenna, in cui la nostra generazione sta trasformando la terra.
In questo modo la ragione, nella pretesa di abbracciarla, diventa nemica della fede. Perciò, con questa esperienza, bisogna stare attenti anche quando si parla di pace e ragione. Perché nella storia mille e mille sono state le ragioni per cui la pace non è stata ritenuta possibile, e nemmeno desiderabile, mentre mille e mille sono state le ragioni messe in campo che hanno militato a favore della guerra. E allora se si vuole intendere la pace nei limiti della sola ragione, la pace è perduta.

La guerra come ragione

La ragione non vuole affatto legarsi alla pace. Anzi è proprio quando la pace sembra l’unica cosa ragionevole, che la pace non c’è, è proprio quando la pace appare la sola alternativa razionale all’inutile strage, quando è l’unico antidoto all’istinto di sterminio, alla logica di Hiroshima, quando sarebbe il rimedio alla fame lasciata correre a briglie sciolte nel mondo, quando porrebbe fine al terrorismo vestito da imperialismo o da estremismo religioso, proprio allora la pace non c’è.
È per questo che si comprende tutta la forza di rovesciamento dell’affermazione di papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris: non è la pace che è fuori dalla ragione, ma è la guerra che è fuori dalla ragione, bellum alienum a ratione. Sempre in verità essa è stata fuori dalla ragione, anche quando i teologi cattolici affastellavano i motivi che rendevano le guerre giuste, e papa Giovanni lo sapeva, come lo sapeva don Milani che nella sua lettera ai cappellani militari che avevano accusato l’obiezione di coscienza di viltà, aveva spiegato come fossero state ingiuste e folli tutte le guerre che avevamo combattuto, anche prima della bomba atomica. Ma papa Giovanni per non farsi dire, come oggi si dice a papa Francesco, di aprire una voragine con i pontificati precedenti, scrisse che il vero spartiacque oltre il quale mai più la guerra avrebbe potuto essere giustificata dalla ragione era l’essere entrati nell’età che si gloria della sua potenza atomica. Era una rivoluzione copernicana. Perché fino ad allora la guerra era stata considerata regina. Così l’aveva cantato Eraclito e così l’abbiamo considerata fino al 900; aveva detto infatti Eraclito fin dalla culla della nostra cultura che il “polemos” era il padre e il principio di tutte le cose, di tutti re, che gli uni disvela come uomini e gli altri come Dèi, ponendo così la guerra non solo come evento, ma come criterio ermeneutico di tutta la realtà, cioè come ragione. E tale era rimasta lungo tutta la storia. Per esempio, al momento della conquista dell’America, che noi però ci ostiniamo a chiamare “scoperta”, il diritto internazionale nascente assunse la guerra come criterio per identificare lo Stato, la guerra come emblema e prova della sovranità. Uno Stato intanto è uno Stato, un sovrano intanto è un sovrano, si argomentava, in quanto può fare la guerra, e anzi la guerra è la sola sua arma di giustizia. Il sovrano infatti è sovrano perché non ha alcun altro al di sopra di sé, “superiorem non recognoscens”, come diceva Marino da Caramanico, e dunque non ha neanche un giudice che possa rendergli giustizia; e se ci sono più sovrani, non c’è nessuno, tanto meno un giudice, che può porsi sopra di loro e giudicare delle loro controversie; perciò il solo giudice tra loro poteva essere la guerra. Ed è che fosse fatta dal sovrano, ciò che distingueva la guerra dalla violenza privata, dalle risse, dal crimine: come la definì Alberico Gentili, la guerra è “publicorum armorum iusta contentio”: un giusto scontro combattuto con armi pubbliche.
E talmente ciò era considerato secondo ragione, che uno dei più grandi giuspubblicisti del Novecento, il tedesco Carl Schmitt fece della guerra il criterio stesso del politico; come il criterio dell’etica è il confronto tra il bene e il male, e dell’estetica è il contrasto tra bello e brutto, così il criterio del politico, la sua ragione cioè, è il conflitto tra amico e nemico, che ha nella guerra la sua massima espressione.
Dunque la guerra fino al 900 è stata la nostra vera regina, non solo nei fatti ma nella dottrina, non solo nella realtà ma nel diritto, non solo nella prassi ma nell’etica, non solo nella mondanità ma nella religione.
E perciò la ragione non poteva stare con la pace perché la ragione era amica della guerra e mezzana del suo connubio con la storia e con il mondo.

La guerra ripudiata ripresa come prostituta sacra

Ma a un certo punto interviene la rottura del 900. Due guerre mondiali, il nazismo, la Shoà, cinquantaquattro milioni di morti, gli olocausti, e infine Hiroshima e Nagasaki rompono la relazione tra la ragione e la guerra, spezzano la sua unione indissolubile con il mondo e con la storia; i popoli si ravvedono, depongono la guerra dal trono e la ripudiano; essa viene esiliata dalla città e bandita come la regina Vasti era stata ripudiata e cacciata dalla reggia di Susa, che era il centro dell’Impero di allora.
Ma qui viene compiuto un fatale errore. Viene fatto un ripudio ma non un divorzio. Ripudiata la guerra, invece di sposare la pace, di farla sua sposa, di darle il potere ed il regno annunciato dal principe della pace, il mondo insedia al suo posto il terrore. Per essere sicuri che la guerra non tornasse gli Stati hanno messo contro di lei il terrore, hanno fatto del terrore un’istituzione totale e l’hanno chiamato deterrenza, o equilibrio del terrore, ed hanno trasferito al terrore la ragione il talamo e il regno. Il mondo ha preferito il terrore alla guerra, uno l’ha preso e l’altra l’ha lasciata.
Ed è stato a quel punto che dalla cattedra più alta è venuta la proclamazione. La guerra ha perso la ragione dice papa Giovanni, e anzi finalmente, grazie all’atomica, gli uomini si sono resi conto, e con loro anche la Chiesa, che la ragione essa non l’ha mai avuta; ed è fuori della ragione l’idea che la guerra possa essere un mezzo atto a risarcire i diritti violati. Ma inutilmente papa Giovanni offre l’alternativa e propone come vera sposa la pace, che, lui dice, deve essere fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e l’amore.
È bastato infatti che l’Occidente smettesse di avere paura – perché il suo nemico aveva cessato di esistere – e la guerra se l’è ripresa in casa, l’ha rimessa al suo servizio; è bastato che finisse il comunismo, che con la caduta del muro venisse meno l’alternativa socialista, è bastato che il terrore perdesse i suoi costosi denti atomici per andare a rifugiarsi nelle povere carni dei terroristi suicidi, perché l’Occidente di tutta fretta rimettesse al suo posto la guerra, e lo ha fatto già nel 1991 con la prima guerra del Golfo.
Ma come poteva farlo dato che l’aveva screditata, svergognata, data per folle e ripudiata? Ci voleva una riabilitazione, un lavacro rigeneratore, quasi un nuovo battesimo. E questa fu la grande operazione mediatica messa su nel 1990 e 1991, l’imponente campagna d’opinione condotta da tutti i persuasori, mediatici e politici, grazie all’invenzione della guerra del Golfo. Ci voleva infatti una bella fantasia a fare una guerra, quasi una guerra mondiale, per il Kuwait, che in realtà non stava a cuore a nessuno, e che in ogni caso si poteva restituire alla sua sovranità mediante negoziati, e non con la guerra. Il Kuwait non era Danzica, e nessuno voleva morire per il Kuwait. Ma il fatto è che intanto la guerra aveva cambiato natura, perché ormai si moriva da una parte sola, e chi decideva di farla, credeva di farla ormai a buon mercato; ed è così che irresponsabilmente veniva inaugurato un tempo in cui, ripristinata la guerra, l’unica guerra possibile per i poveri fosse il terrorismo.
In ogni caso per quanto fossero ingenti le risorse impiegate per riabilitare e ripristinare la guerra, essa non poteva più essere richiamata come sposa, come regina; poteva essere ripresa solo come prostituta. Ripudiata come Vasti, sostituita col terrore, la guerra veniva recuperata come Rahab, la prostituta di Gerico che per salvare se stessa aveva tradito il suo popolo e l’aveva consegnato al genocidio. Ma poichè Rahab aveva finito per diventare la sola isola di salvezza in mezzo allo sterminio, era stata idealizzata e celebrata come la “casta meretrix”, la prostituta sacra, al punto che sant’Ambrogio orrendamente l’assimilò alla Chiesa, che perciò fu chiamata anch’essa “casta meretrix”.

La ragione di Stato come ideologia sacrificale

Non più come sposa ma come prostituta, la guerra non poteva più essere al servizio dei popoli, ma solo dei poteri che dominano i popoli. E infatti non più eserciti di leva, popoli in armi, la guerra meretrice non poteva che essere fatta da mercenari. E al suo servizio veniva messa di nuovo una ragione che non è solo una ragione, ma taglia corto a tutte le ragioni, la ragion di Stato.
Ho visto un film inglese di un regista sudafricano (Gavin Hood), “Il diritto di uccidere”, la cui protagonista è per l’appunto la ragion di Stato. Vi si esibivano le nuove modalità di violenza che sono rese possibili dalle attuali tecnologie, e in particolare la guerra che viene condotta con i droni e le uccisioni che vengono perpetrate da grandissima distanza. Il film racconta di un’operazione militare inglese, condotta dal Nevada, che coinvolge politica, diritto e Stati maggiori d’America e d’Inghilterra, operazione che consiste nell’uccidere a Nairobi con due missili lanciati da un aereo senza pilota quattro terroristi che in una casa stanno indossando i giubbotti esplosivi per andare a fare altrettanti attentati terroristici. Il problema è che davanti alla casa che dovrà essere distrutta c’è una bambina keniota che vende il pane. Un caso da manuale: quale ragion di Stato più forte che uccidere quattro terroristi che stanno per compiere chissà quali stragi? Ma c’è la bambina che non c’entra niente. C’è l’innocente. Che fare? Procedere con l’operazione o fermarla?
Ci si consulta in tempo reale attraverso mezzo mondo (siamo in tempo di globalizzazione), sono coinvolte cancellerie, sale operative, primi ministri, segretari di Stato, consulenti giuridici e procuratori, perché sia chiaro che a decidere non è una persona sola, magari un colonnello spietato, ma a decidere è tutta la catena di comando, è tutto il sistema, è il sistema mondo, o almeno è il sistema Occidente. E la decisione è per il sacrificio: è bene che la bambina innocente muoia perché il mondo sia salvato.
Messe così le cose è probabile che la maggior parte delle persone sia d’accordo, perché in quella ragion di Stato c’è implicita l’idea di un male minore, e perché che cosa si vuole di più dall’etica dell’Occidente, dalla sua nobiltà d’animo, dalla sua gloria? Prima di uccidere quattro terroristi assassini si è perfino preoccupato che di mezzo ci fosse una bambina di colore, si è chiesto se quel “danno collaterale” fosse più o meno accettabile. E la ragion di Stato ha risposto di sì.
Da questo apologo è chiaro che della guerra fatta dai grandi poteri che siedono nei loro uffici a migliaia di chilometri di distanza, sono i popoli a pagare le spese. Per questo è stato necessario che la nuova guerra fosse loro venduta come desiderabile, che fosse truccata, imbellettata, prostituta sì, ma prostituta sacra, innocente e casta. E così si è andata tessendo la grande apologia della guerra, dal primo al secondo Bush, dalla Thatcher a Sarkozy, da Netaniahu a Bin Laden, da Blair a D’Alema. E così abbiamo avuto le guerre umanitarie, le guerre giustizia infinita, le guerre per la democrazia, le guerre per punire i dittatori o gli infedeli; così nasceva la guerra per punire gli Stati canaglia, gli Stati zizzania come li chiamava il giovane Bush, che ogni sera diceva di piangere sulla spalla di Dio, e addirittura nasceva la guerra perpetua, cioè senza fine dei giorni, senza vincoli di legittimità, investita perciò degli stessi attributi di Dio. Prima ancora che Al Qaeda o lo pseudo califfato dell’ISIS indicessero la Jihad, la guerra santa era stata restaurata e rilanciata dall’Occidente.

La guerra come questione teologica

È a questo punto che la questione della guerra e delle sue ragioni diventava radicale. Non poteva più essere una questione solo politica, non poteva più essere una questione solo etica, non poteva essere una questione umanitaria. Diventava una questione teologica, un capitolo della Rivelazione. Se di valore in valore l’ultimo valore a cui la guerra era appesa era il valore di Dio, il Dio che nei secoli era stato invocato, acclamato e celebrato come il Dio della vittoria, il Dio degli eserciti, il Dio del giorno della vendetta, il Dio forte e terribile, il Dio sterminatore che aveva fatto il suo esordio uccidendo i primogeniti degli egiziani per mandare liberi gli ebrei, allora il modo per uscire radicalmente dalla guerra era quello di una nuova Rivelazione di Dio, era il purificare l’immagine di Dio, togliere Dio da qualsiasi giustificazione e legittimazione della guerra, era di fare in modo che mai più un vescovo di Ragusa potesse consacrare una chiesa in un campo di missili come a Comiso.
E ciò è appunto quello che è avvenuto con papa Francesco, che a Gerusalemme come a Redipuglia, in Albania come in Bangladesh, sulla tomba di don Milani come domani su quella di Tonino Bello, dichiara semplicemente, icasticamente, che il Dio della guerra non esiste. Rispetto al Dio della guerra noi siamo atei.
Egli ha potuto dirlo perché ha preso in mano il Vangelo, e ha preso sul serio la previsione fatta da Gesù a Pietro quando gli ha detto: ora non capisci, ma dopo capirai; e perciò Francesco cerca di capire e di far capire quello che prima non si era capito, anche delle Scritture, anche del Vangelo, anche da parte dei dottori e degli esegeti. Cioè ha tirato giù la rivelazione di Dio dagli archivi, e l’ha fatta diventare una realtà contemporanea, quotidiana, che avviene nell’oggi. Erano 1500 anni che non succedeva, da quando Gregorio Magno aveva detto che i divina eloquia, la Scrittura, cresce con chi la legge.
Per questo lo odiano. Per questo sabato scorso a Roma si è riunita l’antiChiesa, cento persone con due cardinali due vescovi e un diacono che gli hanno lanciato contro una specie di libello di ripudio, perché non vogliono che il Vangelo si muova, che l’ordine globale sia cambiato e non vogliono la libertà del cristiano. Ma era come un tentativo di evocare dal buio del passato una Chiesa che non c’è, una specie di rappresentazione in costumi d’altri tempi; perché né il cardinale Burke è un cardinale Caetani che può fare fuori un papa, né papa Francesco è un Celestino V sceso dal Morrione con la sua immensa pietà ma povero di teologia.

Se Dio è non violento, anche l’uomo può esserlo

In realtà papa Francesco non è arrivato a questa professione di fede da solo. C’era arrivata tutta la Chiesa, a partire da papa Giovanni, dal Concilio, dalla Chiesa di Bologna, da monsignor Romero, da Tonino Bello, fino al documento di altissimo valore teologico curato e firmato dal cardinale Muller, che segna un definitivo congedo dal pensiero della violenza di Dio. Vi si trova una formale presa di distanza da tante pagine della Scrittura, difficili a sopportarsi, che parlano di un Dio guerresco e violento, vendicatore e duce di un solo popolo. Si tratta di un documento della Commissione Teologica Internazionale intitolato “Il monoteismo cristiano contro la violenza”, pubblicato a Roma nel 2014, nei primi mesi del pontificato di Francesco, ma frutto di una lunga elaborazione precedente. È un documento che nasce con una intenzione apologetica, perché si trattava di difendere il monoteismo cristiano contro l’accusa che professando un Dio unico fosse causa di violenza. Esso ammetteva però che questa falsa immagine di Dio era veicolata da molte pagine della Scrittura, che erano tuttavia il prodotto di un fraintendimento umano. La ragione teologica profonda per cui questa rappresentazione di Dio andava congedata era che essa è in contrasto con il dogma fondamentale del cristianesimo, quello del rapporto trinitario tra il Padre, il Figlio e lo Spirito, che non può essere altro e non può esprimersi altrimenti che come amore. Al “kairós dell’irreversibile congedo del cristianesimo dalle ambiguità della violenza religiosa”, secondo il documento vaticano, bisognava riconoscere “il tratto di svolta epocale che esso è obiettivamente in grado di istituire nell’odierno universo globalizzato”; un trapasso d’epoca che comporta un cambiamento non solo del cristianesimo, ma dell’idea stessa di religione, e perciò di ogni religione.
Questo hanno scritto i teologi della Commissione Teologica Internazionale scelti da papa Ratzinger e incaricati di liberare il volto di Dio dalla maschera della violenza, e questo ha firmato il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede cardinale Muller, che pur oggi si vorrebbe contrapporre a Francesco e alla sua teologia.
Questa è dunque oggi la parola della Rivelazione, non solo di papa Francesco ma di tutta la Chiesa; la parola che ci dice che è avvenuto qualcosa, che per vincere la violenza, per fare della pace la sposa e la regina del mondo, oltre ogni ragione, sta cambiando lo stesso cristianesimo, e anzi cambia l’idea stessa di religione. Il cristianesimo certo, ma a questa conversione sono chiamati anche Israele, l’Islam e le altre religioni e antropologie dell’umanità. Se in Dio non c’è violenza, può non esserci violenza anche nella sua immagine, l’uomo e la donna fatti a somiglianza di lui.
Raniero La Valle.

Oggi a Is Mirrionis Tzacca stradoni

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