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Oggi domenica 29 gennaio 2017

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democraziaoggiCome è nata l’economia moderna?
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Il Mulino 6:16La lettura di Sabattini dell’articolo “Una cultura della crescita. Alle origini dell’economia moderna” (Il Mulino, n. 6/2016), dello storico dell’economia Joel Mokyr: (…) il cosmopolitismo delle élite intellettuali e istruite europee dell’età moderna ha saputo rendere condivisibile le nuove conoscenze, indirizzando le acquisizioni scientifiche e tecnologiche alla crescita economica, con il coinvolgimento di un numero crescente di persone. Questo processo, conclude Mokyr, è stato un fenomeno proprio dell’Europa occidentale, diffusosi poi in gran parte del mondo e sorretto da un sempre più approfondito approccio allo studio della natura, “attraverso una scrupolosa misurazione, una precisa formulazione, esperimenti ben progettati, la verifica empirica che tali attività fossero virtuose, rispettabili e foriere di benefici economici e sociali”.
Quale il senso della tesi di Mokyr riguardo alla spiegazione del come è nata l’economia moderna? La risposta non può essere che una: la cultura, in tutte le sue declinazioni, avendo natura di bene pubblico secondo quanto dimostrato dagli economisti, non può essere, in linea di principio (se non nel caso della traduzione in conoscenze tecnologiche delle conoscenze scientifiche da parte di privati, ma solo per un tempo ben determinato) oggetto di appropriazione privata; perciò, i fautori del libero mercato “senza se e senza ma” che sostengono che il supporto della crescita debba essere ricondotto sempre all’estensione dei diritti privati senza alcuna distinzione circa la natura del “prodotto intellettuale” da privatizzare, non sono meno retrogradi di coloro che ancora oggi demonizzano l’Illuminismo, in quanto considerato fenomeno cui addebitare i disastri del XX secolo. La gravità delle idee di coloro che sostengono l’estensione della privatizzazione su tutto, è resa maggiore dal fatto che essi, pur essendo dei teorici della scienza economica, dimenticano che la conoscenza, in quanto bene pubblico, se privatizzata, è destinata ad essere prodotta in modo subottimale; in ragione di ciò, la loro proposta di estendere ad ogni forma di conoscenza la tutela della privatizzazione, anziché concorrere al sostegno della crescita, concorre solo a contenerla al di sotto dei tassi possibili, se non ad un loro totale azzeramento.