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Un MINUTO di SILENZIO per RICORDARE i MORTI di GARISSA

Kenia-LUTTO-168x300L’Università della Sardegna si fermerà per un minuto alle 12 di oggi lunedì 27 aprile, per ricordare i 147 studenti uccisi e i 79 feriti durante l’attacco terroristico del 2 aprile scorso alla sede di Garissa della University College in Kenya.
E’ l’invito dei Rettori Maria Del Zompo (Unica) e Massimo Carpinelli (Uniss), che hanno aderito all’iniziativa della European University Association (l’associazione di tutti gli atenei d’Europa) e della CRUI (la Conferenza dei Rettori italiani), di cui pubblichiamo di seguito il comunicato.
.Approfondimenti su Aladinews.

La primavera dell’università che vogliamo

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di Franco Meloni
Lo ripetiamo con esercizio di sano ottimismo: è di buon auspicio che il nuovo rettore dell’università di Cagliari venga eletto in primavera. Speriamo che anche per suo impulso si realizzi una “primavera dell’università”. Sono molte le aspettative al riguardo, dentro e oltre il mondo accademico, perchè l’università è importante e costituisce uno strumento formidabile per sollecitare, accompagnare, contribuire a realizzare i processi di cambiamento nella e della nostra società. Di questo cambiamento, come sempre ma particolarmente in questo periodo storico, abbiamo bisogno trattandosi della condizione per affrontare e auspicabilmente superare le crisi. Vale in generale, ma noi pensiamo specificamente alla situazione sarda, sulla quale torneremo subito.
Prima vorrei ricordare che alle tradizionali due missioni dell’università, la formazione (dei giovani innanzitutto, ma direi delle persone di ogni età) e la ricerca scientifica, se ne aggiunge una terza, che consiste nel trasferimento dei saperi al territorio, oggi decisamente sottodimensionata. Evidentemente le tre missioni quantunque enucleabili sono tra loro fortemente connesse. Le università hanno necessità di ripensare se stesse e ridefinire complessivamente le tre grandi missioni, in un confronto con le comunità di riferimento – sia scientifiche sia territoriali – nelle quali sono impegnate.
Si dirà che questo sforzo di adeguamento le università italiane sono impegnate a farlo ormai da oltre trent’anni, ma i vari provvedimenti di riforma che si sono susseguiti nel tempo a ritmi pazzeschi hanno comportato più guai che miglioramenti, consegnandoci l’attuale università burocratizzata e incapace di rispondere fino in fondo alle esigenze del paese.
Un rettore che insieme alla propria comunità accademica voglia cambiare questo stato di cose deve in primo luogo rendere attivamente partecipe la propria istituzione di un movimento complessivo di riforma, che contrasti l’attuale deriva distruttiva dell’università pubblica italiana. Si deve essere consapevoli che occorre invertire la rotta rispetto alla direzione impressa al sistema universitario italiano dalla legge Gelmini, fin troppo assecondata dai rettori regnanti di questi ultimi anni e contrastata soprattutto dagli studenti, che vede purtroppo continuità nelle politiche del governo Renzi.
Certamente però uno spazio d’azione esiste al livello regionale. Qui si tratta di costruire ex novo una politica universitaria che innanzitutto realizzi l’Università della Sardegna, nel rispetto e nel ricupero della ricchezza delle diversità dei due Atenei storici, ma proiettata nel futuro di quanto occorra per i sardi e la Sardegna: l’Università della Sardegna che guardi all’Europa e al Mediterraneo e metta insieme la qualità dell’insegnamento e della ricerca di Sassari con quella di Cagliari, passando dalla competizione alla collaborazione.
C’è molto da fare. Forse non si hanno ancora le idee chiare su cosa e come fare. Ma ci sono sicuramente intelligenze e risorse materiali per fare bene. Occorre cimentarsi mettendo in gioco tutte le risorse di cui disponiamo, dentro e fuori l’università. Bisogna crederci.
Ci creda per primo il rettore che uscirà vincitore dalla competizione elettorale.
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studenti di bolognaSardegna universitaria_2

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Riferimenti diretti
io 65 a bruxL’UNIVERSITÀ PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO
Per una nuova governance dell’Università che ne rafforzi la funzione di valorizzazione
delle conoscenze, risorse per lo sviluppo delle comunità e del territorio
F. Meloni, Cagliari, 2007.
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Università: per non morire di autoreferenzialità
di Franco Meloni, su aladinews del 23 gennaio 2013

“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country.” “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America.

E’ una frase che mi piace e che a partire da ciascuno di noi deve riguardare tutti per orientare comportamenti virtuosi verso il bene pubblico. Ritengo che si possa riferire in modo pertinente soprattutto a quanti gestiscono la “cosa pubblica”.
Non è allora fuori luogo il fatto che mi sia venuta in mente pensando allo stato attuale delle università nel nostro paese. Cercherò di spiegarlo nel proseguo.
L’università pubblica che per definizione è al servizio del paese e dei cittadini, nonostante la sua funzione essenziale per qualsiasi traguardo di sviluppo sociale ed economico, è sottoposta da molti anni a questa parte a politiche vessatorie, fatte soprattutto di progressive restrizioni delle risorse statali, di aumento smisurato di adempimenti burocratici, di sfiancanti processi di riforma, in gran parte inefficaci.
A perderci in questa situazione non è certo, se non in minima parte, l’accademia, consolidata nei propri privilegi, quanto piuttosto gli studenti e, in conclusione, il paese intero. L’università pubblica, nel suo complesso, sembra destinata ad un inesorabile declino per mano assassina della politica (del governo come del parlamento) e, si badi per inciso, in presenza di un governo mai stato così tanto partecipato da professori, da assomigliare a un “senato accademico”
Ma perchè non si riesce a fermare questo precipitare verso il peggio? Forse i consapevoli quanto responsabili (colpevoli) di quanto accade pensano che le Università virtuose possano risuscitare dalle ceneri delle attuali. Sarebbe follia, ma sembra appunto questa la strada intrapresa. Non avanziamo qui ulteriori considerazioni, rinviando ad autorevoli approfondimenti, come quelli in grande parte condivisibili di Gianfranco Rebora (http://gianfrancorebora.org/category/universita/).
Invece vogliamo soffermarci su un aspetto: quello del modo in cui è percepita l’Università da parte della gran parte delle persone, dei cittadini e dalle altre organizzazioni. Fondamentalmente come un luogo di privilegiati che si occupano sì di scienza, cultura, insegnamento… ma quando e come vogliono, dall’alto delle loro sicurezze e con atteggiamenti di supponenza e separatezza, senza aver alcun obbligo di “resa del conto”, innanzitutto a chi finanzia l’università (in primis le famiglie, poi lo Stato, le Regioni, l’Unione Europea, etc). Sì, non è vero che sia tutto così deprecabile. Sappiamo, per esempio, quanti professori svolgono con scrupolo e impegno il loro prezioso lavoro e ancor di più quanti giovani nelle università lavorino sodo, i più senza adeguati riconoscimenti monetari e di carriera… Anche qui non mi soffermo, perchè il problema che voglio affrontare è un altro, precisamente questo: perchè nessuno, tranne i diretti interessati, difende l’Università? La risposta, a mio parere, si può ancora una volta trovare sul “peccato di autoreferenzialità” che marchia l’Università e che la rende largamente estranea al resto della società. Non voglio parlare di “parentopoli” o cose di questa natura, che rappresentano comunque perduranti patologie, ma piuttosto del modo normale di atteggiarsi delle università, soprattutto in relazione al modo in cui esse sono rappresentate dai rettori e dai diversi gruppi dirigenti. Del “peccato di autoreferenzialità” si ha certo da tempo consapevolezza, tanto è che perfino negli ambienti accademici si ricercano modalità per superarlo. Le stesse numerose leggi e altri miriadi di provvedimenti cosiddetti di riforma hanno a parole combattuto l’autoreferenzialità, ma possiamo azzardare che sia invece aumentata, tanto da far considerare la stessa come una delle cause più rilevanti del cattivo rapporto università-territorio.
Richiestomi da un’amica ricercatrice universitaria che indaga sull’apertura delle università al territorio così come appare dalla riformulazione degli statuti, in applicazione di quanto previsto dalla legge 30 dicembre 2010 n. 240, ho letto tutti o quasi gli statuti, pubblicati nei siti degli Atenei, tanto da ritenermi legittimato ad esprimere qualche giudizio. La mia lettura ha riguardato fondamentalmente gli aspetti dell’apertura dell’ateneo al territorio, in certa parte rappresentata dalla valorizzazione dei saperi nel loro trasferimento sul territorio e l’apertura al medesimo territorio attraverso la partecipazione alla governance universitaria dei soggetti del territorio. Per il primo aspetto (apertura) devo dire che in tutti gli statuti esaminati emerge l’attenzione verso il territorio di riferimento di ciascun Ateneo. L’impegno particolare verso la regione (istituzione e territorio) risulta in tutti, ma in modo marcato per le università che operano nelle regioni a statuto speciale (tra questi statuti segnalo quello dell’Università di Sassari per i riferimenti alle specificità delle problematiche regionali come la lingua, l’identità la cultura, etc). Maliziosamente potremmo darci ragione di tale enfasi rammentando come i rapporti Università-Regione comportino importanti trasferimenti di risorse dalle casse regionali a quelle universitarie, generalmente regolati da appositi protocolli d’intesa/convenzioni. Tuttavia – e qui parliamo del secondo aspetto (partecipazione alla governance) – il rapporto con il territorio rispetto all’ambito di diretto riferimento o considerato quello di più vaste dimensioni (nazionale, europeo, internazionale) non prevede negli statuti esaminati particolari forme di integrazione a livello gestionale, salvo alcuni statuti, ad esempio delle università dell’Emilia e Romagna e dell’Università di Bari che hanno istituito appositi organismi (come la “consulta dei sostenitori” per le università emiliano-romagnole e la “conferenza d’ateneo” per l’università di Bari), con prerogative abbastanza significative per quanto riguarda il controllo “esterno” sulla (e il coinvolgimento nella) programmazione delle attività dell’Università. Si osserva come dal punto di vista dell’integrazione tra Università e Istituzioni dell’ambito territoriale risultino, anche per effetto della legge di riforma e degli statuti, significativamente affievoliti i legami che storicamente si erano precedentemente consolidati. Parliamo soprattutto del legame con le città. Gli statuti riformati sulla base della legge citata prevedono la presenza nei consigli di amministrazione e nei nuclei di valutazione di esperti non appartenenti al mondo accademico, ma hanno abolito qualsiasi rappresentanza delle Istituzioni (Comune capoluogo in primis). Da questo versante possiamo pertanto dire che i nuovi statuti ci hanno consegnato università rafforzate nell’autoferenzialità. Si può osservare come la legge di riforma non impediva la costituzione di organismi di collegamento e di partecipazione alla programmazione, e gli statuti citati (sia pure nella debolezza della ”consulta dei sostenitori” o consimili) ne è prova, ma l’errore di non aver previsto l’obbligatorietà di tali organismi (così come previsto, ad esempio, nell’ordinamento delle università spagnole) ha portato di fatto a non contemplarli e pertanto ad una ulteriore chiusura autoreferenziale delle università. Ne emerge la riproposizione “in peius” di modelli tradizionali, meno partecipati dalle Istituzioni e dal mondo delle Imprese, nei quali anche la famosa “terza missione” viene sì prevista ma con carattere subordinato rispetto alle tradizionali funzioni universitarie (ricerca e insegnamento). Certo bisogna riconoscere la positività della previsione dell’impegno per il trasferimento tecnologico per la quasi totalità delle Università che lo hanno citato nei principi fondamentali degli statuti, cosa che dovrebbe indurre a un maggiore impegno dell’Ateneo per questa missione, ma il tutto appare davvero insufficiente. Nello specifico, probabilmente bisogna prendere atto che l’attività di diffusione del sapere/trasferimento tecnologico può essere efficacemente attuata solo con una strumentazione diversa da quella propriamente accademica e pertanto attraverso strumenti come Fondazioni e Consorzi. Infatti è difficile pensare che una gestione efficace ed efficiente di tali attività possa essere svolta dagli attuali organi di governo dell’Ateneo (Rettore, Senato accademico, Consiglio di amministrazione…). Al tutto dobbiamo aggiungere, in negativo, una maledetta spirale burocratica che avvolge gli Atenei pubblici fino a volerli ridurre a una sorta di licei rigidamente controllati dal Ministero dell’economia. In analogia per quanto detto in fatto di partecipazione delle Istituzioni (e delle Imprese) alla governance degli Atenei sarebbe auspicabile che una legge prevedesse l’obbligatorietà per ogni università di dare vita a una propria fondazione per le attività propriamente riconducibili alla “terza missione”.
E infine, torniamo all’incipit del presente contributo, riscrivendo a nostro uso la famosa frase di Kennedy: cara Università “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, mettendo concretamente da parte la tua autoreferenzialità.
Forse troverai più gente e più organizzazioni convintamente al tuo fianco per salvarti insieme al paese!

Architettura Ad Alghero. Hanno ragione gli studenti, ma anche Pigliaru, al quale spetta dare impulso alla costruzione dell’Università della Sardegna

SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-71di Franco Meloni
La recente vicenda del Dipartimento di “Architettura ad Alghero” (notate la denominazione, su cui tornerò) merita una riflessione che vada oltre la richiesta del contributo regionale aggiuntivo (aggiuntivo rispetto a quanto l’Università di Sassari, a cui afferisce il Dipartimento, trasferisce alle proprie strutture interne). Sgombriamo subito il campo dalla questione contingente, dicendo che il Consiglio regionale ha fatto bene a deliberare eccezionalmente tale elargizione al fine di non danneggiare gli studenti e che bene ha fatto il presidente Pigliaru a pretendere che venisse inserita nella delibera la motivazione del contributo, con preciso riferimento alla “posizione di eccellenza raggiunta dal dipartimento”. Come ha riferito SardiniaPost, Pigliaru si è letteralmente impuntato: “Tutti sappiamo – ha detto – che Alghero sia un’eccellenza, prima in classifica in molti ranking nazionali, come il Censis, di indubbia autorevolezza. Ma quando si danno soldi pubblici, bisogna fissare una regola generale. Se quindi la ragione per la quale si finanzia Architettura è la premialità, allora lo si scriva espressamente. Questo vuol dire tutelare anche tutti quei dipartimenti e facoltà che aspirano a diventare eccellenza. A tutti vanno date pari opportunità”. Chiusa questa vicenda si apre ora quella di grande importanza che comporta un riordino del sistema universitario pubblico della Sardegna. Questione che rientra nella competenza primaria dello Stato, ma che non può vedere la Regione estranea, anche per la sua specificità, minacciata quanto sappiamo, ma tuttavia formalmente esistente di “Regione Autonoma”. Come abbiamo già detto chiaramente, il Governo italiano al riguardo ha espresso la propria determinazione: le due Università sarde devono unificarsi o associarsi in una vera federazione, con un solo consiglio di amministrazione e comuni strutture tecnico amministrative. Di questo ne sono pienamente consapevoli le dirigenze accademiche che dovrebbero concertare una linea comune con la Regione per costruire l’Università della Sardegna, con una struttura rispondente da una parte alle impostazioni del sistema universitario italiano, dall’altra alle esigenze della Sardegna. Occasione SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-121quantunque obbligata che può essere affrontata con spirito positivo e innovativo e nella ricerca di un coinvolgimento quanto mai diffuso e attivo dei territori. Cosa molto diversa da quanto si sta facendo, laddove il dibattito è sequestrato nelle segrete stanze dei Palazzi. Si crea allora una situazione che ha del paradossale: da una parte si chiede che tutto resti com’è e che si salvaguardino gli antichi privilegi, più o meno legittimi, dall’altra si tenta di costruire un discorso nuovo, che affronti la nuova situazione, ma lo si fa in modo paludato, senza parlare chiaro, se non per quanto si è costretti a giustificare per dare conto dei compromessi. Così Bibo Cecchini, che pur è un innovatore, ma che in questo caso si limita a chiedere di salvare il salvabile, sbotta annunciando le dimissioni da direttore: “tutti sanno che nel giro di pochi anni ci sarà una sostanziale unificazione dei due atenei sardi. È un lucido, insensato disegno che alcuni ambienti politico-culturali perseguono da tempo: Sassari conserverà verosimilmente soltanto Medicina, Agraria e Veterinaria, il resto sarà concentrato nel capoluogo regionale. Peccato che in questa logica di spartizione che va bene a tante persone ci sia una realtà come la nostra considerata inaffidabile perché fuori da tutti i giochi, da tutte le famiglie, da tutte le appartenenze” . Ma perché le cose devono andare come prevede Cecchini che rimarca solo le derive negative sorvolando sugli aspetti positivamente innovativi che dovrebbero poter consentire la costruzione di un buon sistema universitario della Sardegna, che ci piace riassumere nell’Università della Sardegna? Eppure lo stesso Cecchini per la vicenda di Architettura auspica una “Grande Scuola di Architettura della Sardegna nel Mediterraneo, aperta la mondo”. Tale prospettiva, che già nel presente si traduce in concrete collaborazioni tra i Dipartimenti di Architettura di Alghero e di Cagliari, risulta ben delineata nell’ottimo servizio sulla vicenda di Alghero, fatto dalla rivista on line Sardarch, che, tra l’altro, riporta due interviste a Alessandra Casu, ricercatrice del Dipartimento, la quale specifica con chiarezza il progetto di attuazione di detta Scuola e fa presente le difficoltà che insorgono rispetto all’effettiva integrazione tra le strutture dei due Atenei sardi, prevalentemente legate all’inefficiente sistema dei trasporti nella nostra Isola.
SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-61E, allora? Concludendo (per ora). Francesco Pigliaru, il presidente non il professore universitario, prenda in mano la situazione e alla luce del soìe, non appena sia stato eletto in nuovo rettore dell’università di Cagliari, avvii il processo di ristrutturazione del sistema universitario pubblico della Sardegna, che stante le interlocuzioni in corso, dovrebbe caratterizzarsi come vera federazione tra i due Atenei storici, che preveda la diffusione in tutto il territorio sardo delle sedi universitarie, pertanto, oltre che a Cagliari e a Sassari, anche nelle sedi di Alghero, Oristano, Nuoro, Olbia, Iglesias, (ne manca qualcuna?), senza duplicazioni non giustificate dalle esigenze degli studenti e dal perseguimento dell’efficienza ed efficacia dei servizi della didattica, della ricerca scientifica e dell’amministrazione. In questo quadro è probabile che la sede di Architettura permanga proprio ad Alghero. Ma sotto l’egida dell’Università della Sardegna. D’altronde, per tornare all’incipit del presente articolo, i fondatori della Facoltà (ex Facoltà, oggi solo Dipartimento, per effetto della cosiddetta riforma Gelmini) di Architettura di Alghero (che esordì come progetto di Facoltà di Architettura del Mediterraneo) hanno situato il loro progetto all’interno dell’Università di Sassari solo perché non era possibile fare cosa diversa, ma hanno cercato in tutti i modi di segnare una distinzione, quando non anche una separazione netta da quell’Ateneo, presentandosi come “AAA Architettura Ad Alghero“, evidenziando tale impostazione nel logo che la rappresenta. Non è un caso che la trattativa per il riconoscimento del contributo aggiuntivo sia stata portata avanti in prima persona dal direttore Arnaldo Bibo Cecchini e non, come sarebbe stato naturale, dal rettore dell’Università di Sassari, che forse per tali ragioni ha ben volentieri delegato!
In finale una proposta apparentemente riduttiva: la Regione e i due Atenei scelgano subito un logo che rappresenti il sistema universitario pubblico sardo, l’Università della Sardegna, magari affidandone la realizzazione alle due Architetture di Alghero e di Cagliari, anticipatamente unite nella Scuola di Architettura dell’Università della Sardegna. E si vada ovviamente avanti, con determinazione, con quanto c’è da fare verso l’Università della Sardegna! Seguiamo con attenzione e partecipazione.

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- Le foto sono tratte dal servizio giornalistico della rivista on line Sardarch

AAA logo alghero
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California dreamin’

UC panorama
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
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Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
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Sardegna-bomeluzo22
* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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UNIVERSITY OF CALIFORNIA logo- Università della California
UC map
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- La California
- California dreamin, The Mamas And The Papas, 1966
- Sognando la California, I dik dik, 1966
The University of Sardigna

Università di Sassari: inaugurato il 453° anno accademico. Il Rettore parla di “Università della Sardegna” e si appella alla Regione per la costruzione di “un’unica struttura” con i centri di ricerca

uniss 2ape-innovativa2Questa mattina si è svolta la cerimonia di apertura del nuovo anno accademico dell’Università di Sassari. La registrazione audio/video della manifestazione, curata da Tele Sassari, è disponibile sul sito della stessa emittente, su quello dell’Ateneo o direttamente su youtube.
Daremo spazio nei prossimi giorni a commenti e riflessioni sulla cerimonia e sul contenuto dei diversi interventi, anche stabilendo correlazioni con la campagna elettorale (ormai decisamente in corso) per il rinnovo del rettore dell’Università di Cagliari. Come si sa il nostro obbiettivo è che si parli di Università, da noi (insieme a tanta buona compagnia) considerata un soggetto imprescindibile e fondamentale per qualsiasi progetto di sviluppo della Sardegna. Parliamo ovviamente di un’Università che vogliamo migliore di quella attuale, con il contributo e l’impegno di tutti i sardi, noi per primi. In questa direzione parliamo di Università della Sardegna, ancora ostacolata nella sua realizzazione effettiva da eccessiva… prudenza, comprensibile ma non più accettabile rispetto alle esigenze della Sardegna e deprecabile quando dovuta a calcoli di potere (soprattutto di mantenimento di posizioni di privilegio).
Per ora della manifestazione di Sassari ci limitiamo a segnalare positivamente la sua sobrietà, sebbene in un clima di entusiastica e corale partecipazione del mondo accademico e del territorio sassarese, gli ottimi contenuti, tra i quali la interessantissima e appassionata relazione della senatrice Elena Cattaneo. Tutti gli interventi sono stati decisamente di ottimo livello e dunque apprezzabili. L’esordiente Rettore Massimo Carpinelli, che se pur ha contenuto la sua relazione in 16 minuti (in un lodevole “stile papa Francesco”), ha detto cose assai importanti e, a parer nostro, impegnative rispetto al dibattito sul ruolo dell’Università in Sardegna. Almeno così le leggiamo. Ecco un passo che lo dimostra (posto che la nostra lettura sia quella giusta e non condizionata dai nostri desiderata), che riguarda l’Università della Sardegna, ancora da costruire al di là delle intenzioni.
(…) [per quanto riguarda] l’offerta formativa del nostro Ateneo e l’investimento in conoscenza che noi proponiamo ai nostri studenti, al nostro territorio e a tutti quelli che con noi vogliono crescere e migliorarsi, io credo, soprattutto in un momento di risorse limitate, che il nostro sforzo debba muoversi nella direzione di arricchirla e potenziarla. Sono altresì convinto che questo non potrà realizzarsi senza un confronto e una collaborazione tra i due Atenei sardi, in un progetto capace di promuovere l’Università della Sardegna e che preservi le specificità dei due Atenei, la loro storia e la loro tradizione. Per questo mi appello particolarmente alla Regione Sardegna, che deve dialogare con gli Atenei e i centri di ricerca [per] costruire un’unica struttura che possa far crescere la formazione, la scienza e la cultura nella nostra Regione (…)
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Ora solo alcune altre brevi annotazioni:

- Benissimo l’inno sardo “Procurade ‘e moderare” eseguito dopo quello italiano. Annotiamo che ci sarebbe stato bene anche l’Inno alla gioia di Beethoven, che, come è noto, è l’inno dell’Unione Europea, sebbene forse non ufficiale, come peraltro non è ufficiale l’inno sardo.

- Benissimo la riproposizione del Gadeamus Igitur, inno glorioso degli universitari europei.

- Incomprensibile l’assenza del Presidente della Giunta regionale o di un suo delegato (se c’era non si è visto nel video ne è stato menzionato dallo speaker).
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PRIMI ALTRI COMMENTI (segue)

in giro con la lampada di aladin: sull’Università della Sardegna

universita_cultura_e_sapere bislampada aladin micromicroDal sito dell’Ateneo www.unica.it
INDETTE LE ELEZIONI DEL RETTORE PER IL SESSENNIO 2015/21
Cagliari, 30 dicembre 2014 – Sono state indette questa mattina le elezioni per la nomina del Rettore dell’Università degli Studi di Cagliari per il sessennio 2015/2021: le operazioni di voto si svolgeranno il 9 Marzo, il 20 Marzo e, ove occorra il ballottaggio tra i due candidati più votati, il 25 marzo 2015. - segue -
Alcune riflessioni su Aladinews
- L’Università della Sardegna
- L’Università e la ricerca scientifica sono troppo importanti per lasciarle in mano all’Accademia.

Dibattito sul ruolo degli intellettuali. E l’Università?

Piero Marcialis: “L’Università sarda non ha che esili rapporti con la Sardegna, potrebbe abitare altrove”.
ape-innovativaAlcune riflessioni perché il dibattito sul ruolo degli intellettuali si misuri concretamente con i problemi di oggi.
Su La Nuova Sardegna di sabato scorso l’economista Andrea Saba sostiene che occorre cercare nuove e diverse strade di sviluppo dell’economia, attraverso modalità empiriche, prima di tutto con la ricognizione di quanto di nuovo sta emergendo nella realtà. La crisi infatti “non è un problema che si risolve a tavolino o nelle aule universitarie: richiede una forma continua di “learning by doing”, cioè di apprendimento dalla esperienza, di cui i governanti, a tutti i livelli, dovrebbero tenere conto per formulare politiche opportune”. Ecco, in tale approccio, che peraltro è quello proprio della ricerca scientifica, ci sembra rinvenire un invito a costruire “nuova teoria” alla base di efficaci nuove politiche economiche. A mio avviso tutto ciò richiede un impegno più consistente e più esplicito degli intellettuali, a partire da quelli pagati dalla collettività per questo compito, parlo pertanto degli universitari. Più volte abbiamo richiesto che l’Università smetta di chiedere aiuti al Paese, cosa evidentemente legittima, ma più importante e urgente è che essa si chieda cosa può fare per il Paese e quindi per la nostra Sardegna. E’ necessario pertanto che l’Università si approcci diversamente ai problemi dello sviluppo, che la smetta con la pratica dell’autoreferenzialità, che scenda dal ridicolo posizionamento della supponenza accademica e che si renda aperta e disponibile. Qualcosa di diverso da quanto oggi succede nei nostri Atenei e in particolare in quello di Cagliari, seppure non si devono sottovalutare i numerosi fermenti innovativi che si agitano al suo interno di cui sono portatori soprattutto giovani ricercatori e che spero determinino presto il rinnovo della governance accademica. In tema: credo che occorra ormai ragionare come Università della Sardegna, senza annullare la storia dei due Atenei sardi, ma sapendo adeguare le Istituzioni alle nuove esigenze della Sardegna. Su queste importanti tematiche (Università e ruolo degli intellettuali per la Sardegna) torneremo presto.
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Per correlazione: “Ma l’università di Cagliari è in Sardegna?”

in giro con la lampada di aladin…

aladin-lampada3-di-aladinews312Nova TV intervist a G Bottazzi Gianfranco Bottazzi e Antonello Cabras su NOVATELEVISIONE ORISTANO. L’ANGOLO DELLE IDEE – 3 PUNTATA / PRIMA PARTE: INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE UNIVERSITA’ SARDE L’ANGOLO DELLE IDEE – 3 PUNTATA / SECONDA PARTE: INTERNAZIONALIZZAZIONE UNIVERSITA’ SARDE .
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ape-innovativa2La rubrica di Nova Tv si chiama “L’angolo delle idee”, ma considerato l’attuale scarsa considerazione delle Istituzioni (e non solo) alle interessanti e brillanti idee prospettate dagli interlocutori (in verità il professor Bottazzi alcune di queste idee le ripete ormai da molti anni), dovrebbero ribattezzarla “Idee all’angolo” o “Idee messe all’angolo”. Comunque buona visione e attento ascolto!

Questa è una bella notizia! Tra i tanti possibili titoli eccone uno: prima concreta iniziativa per una vera federazione le due Università sarde (Università della Sardegna)

treno superveloce Cagliari SassariTreno superveloce Cagliari-Sassari-Olbia. ape-innovativa2(…) Al termine della sua audizione, l’assessore [Massimo Deiana] ha dato una notizia in anteprima alla Commissione: l’arrivo oggi in Sardegna del primo degli otto treni superveloci acquistati dalla Regione per collegare il Nord al Sud dell’Isola.
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- Prima concreta iniziativa per una vera federazione tra le due Università sarde nell’Università della Sardegna.

Università della Sardegna: questione che riguarda tutti i sardi. Una punta ‘e billettu

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università sardegna
di Franco Meloni
Nel mese di giugno l’Università di Sassari eleggerà il nuovo Rettore per il sessennio 2014-2020, in sostituzione del prof. Attilio Mastino, il quale per le disposizioni di legge e statutarie non potrà ricandidarsi. Il nuovo Rettore entrerà in carica il 1° ottobre del corrente anno. Per l’Università di Cagliari il nuovo Rettore sarà eletto nel mese di giugno 2015 ed entrerà in carica il 1° ottobre del medesimo anno.
E’ importante e necessario che si colgano tali scadenze per riprendere il dibattito sullo stato delle Università sarde, sul ruolo che rivestono nella regione attualmente e, soprattutto, su quanto si può e si deve cambiare, ovviamente in meglio. Sì perchè siamo convinti che i sardi non siano soddisfatti dell’attuale situazione delle loro Università e vogliono che sia superata l’attuale inadeguatezza generale e specifica rispetto alle esigenze di sviluppo della Sardegna. La recente legge di riforma delle Università (Legge 30 dicembre 2010, n. 240*) con tutti i conseguenti provvedimenti attuativi non è certo servita a migliorare l’Università italiana, anzi in generale a peggiorarne lo stato, come ben dimostrato in una serie di importanti convegni che si sono tenuti in questi anni (si segnala al riguardo l’ultimo organizzato dalla rivista on line Roars, che abbiamo ripreso come Aladin). A dire il vero la criticabilissima legge che prende il nome dal ministro berlusconiano Mariastella Gelmini, ha avuto come fiero oppositore soprattutto il movimento degli studenti sostenuto da pochi altri; sicuramente non dalla stragrande maggioranza dei Rettori che si sono rapidamente adeguati alle impostazioni del ministro e della maggioranza parlamentare di centro destra (e non solo). E’ giusto segnalare come uno dei rettori più critici rispetto alla riforma sia stato Attilio Mastino, che su tali posizioni si era anche proposto alla guida della Conferenza italiana dei Rettori, peraltro senza successo. I ministri dell’Istruzione e dell’Università che si sono succeduti non hanno modificato l’impostazione della legge. Ricordiamo al riguardo gli apprezzamenti degli allora presidente del consiglio Mario Monti e ministro ex rettore Francesco Profumo. Una delle ragioni del forte riallineamento dei Rettori rispetto alle posizioni ministeriali è senza dubbio attribuibile alle notevoli concessioni in termini di aumento smisurato del potere dei rettori (definiti da Sabino Cassese nel citato convegno come zar o boss**) e nell’antidemocratica proroga “ope legis” di due anni del loro mandato rettorale. Normativa che ha comportato uno straordinario incremento del potere baronale e anche una conferma della gerontocrazia, considerato che molti Rettori in carica erano anziani e al termine della loro carriera accademica. A parziale correzione di questa situazione è stata inserito nell’articolo 2 della legge un comma che così recita: “L’elettorato passivo per le cariche accademiche è riservato ai docenti che assicurano un numero di anni di servizio almeno pari alla durata del mandato prima della data di collocamento a riposo”. Ciò significa che, per fare gli esempi delle nostre Università, non può essere candidato come rettore dell’Università di Sassari chi compia 70 anni oltre il 30 settembre 2020 e per l’Università di Cagliari chi compia i 70 anni oltre il 30 settembre 2021.
Ma, torniamo alla questione più importante: è necessario (e per questo ci impegniamo anche noi con i nostri modesti mezzi) che il dibattito sulle Università esca dalle stanze accademiche per riguardare l’intera comunità sarda. In primis nel dibattito deve entrare la costituzione dell’unica Università della Sardegna, articolata almeno nei suoi due Atenei storici. Concludiamo ricordando la nostra impostazione: l’Università sarda abbandoni ogni impostazione autoreferenziale e non si chieda solo quanto e come la Sardegna possa aiutarla, ma cosa possa fare come Università per i sardi e per la Sardegna.

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* Legge 30 dicembre 2010, n. 240
“Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonche’ delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2011 – Suppl. Ordinario n. 11)

** Dice Sabino Cassese, insieme ad altre diverse e pesanti considerazioni sullo stato dell’Università: (…) ci sono le responsabilità… del corpo universitario che non ha saputo gestire l’autonomia, che ha creato delle cose abnormi, come, per esempio, la configurazione zaristica, ho detto zaristica, o, se volete, bossistica, del ruolo dei Rettori…uniss

L’Università della Sardegna nei programmi delle elezioni sarde!

Logo_2_Unica-UnissUniversidadi de Sardigna, Università della Sardegna, The University of Sardinia