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La guerra dei nostri nonni – la Brigata Sassari in musica

BRIGATA SS VANNI 2Sassari – L’orchestra della Scuola Media n° 5 celebra il centenario della Prima Guerra Mondiale.
“La guerra dei nostri nonni – la Brigata Sassari in musica”
sedia di Vannitoladi Vanni Tola
La Scuola Media 5+12 di Sassari, per ricordare l’anniversario della Prima Guerra Mondiale, ha predisposto un progetto didattico dal titolo: ”La guerra dei nostri nonni – la Brigata Sassari in musica”. Il progetto si realizza attraverso una rappresentazione musicale che vede protagonisti gli alunni della 3° B della Media n° 5 (indirizzo musicale) in formazione orchestrale, il noto compositore e musicista sardo Mauro Palmas, autore delle musiche che saranno eseguite e un attore, Maurizio Mezzorani che interpreterà dei brani che si riferiscono al periodo storico ricordato. L’attività progettuale e organizzativa, realizzato con un notevole impegno dei protagonisti, è stato coordinato dalle docenti di strumento musicale della Scuola media di Via Gorizia, Sabina Sanna (chitarra), Monica Uzzanu (pianoforte), Teresa Loriga (flauto) e Patrizia Manca (percussioni). La prima rappresentazione dello spettacolo è stata realizzata alcuni giorni fa nella bellissima Villa Siotto a Sarroch. Il debutto a Sassari, invece, è previsto per martedì 24 Marzo al “Palazzo di Città” (Teatro Civico) alle ore 18,00. Successivamente l‘orchestra si esibirà nell’incantevole e suggestiva Grotta di S. Giovanni d’Antro a Pulfero (provincia di Udine) il 14 Aprile e, sempre nel mese di Aprile, alla Caserma Gonzaga di Sassari in data da stabilire. Riferimento importante della rappresentazione saranno le letture dell’attore Maurizio Mezzorani per gli spettacoli a Sarroch e Sassari, e dall’attore friulano Gabriele Benedetti a Pulfero. Ugualmente importante, significativa e originale è stata la scelta del Maestro Mauro Palmas, autore delle suggestive musiche, di esibirsi insieme ai giovani musicisti dell’orchestra suonando con loro e tra di loro come uno dei tanti musicisti dell’orchestra.
Uno spettacolo nel quale si racconta un periodo importante della nostra isola caratterizzato dall’impegno e dal contributo di sangue che una intera generazione di Sardi ha dato per la causa dell’unità della Nazione, distinguendosi per manifestazioni di coraggio che hanno determinato e caratterizzato la storia e le leggendarie imprese della famosa Brigata Sassari. Un’iniziativa caratterizzata da un considerevole lavoro di ricerca di quei valori che fanno parte della cultura della nostra terra attraverso la riscoperta dei testi, delle testimonianze giunte fino a noi nei decenni passati che si mescolano armoniosamente con i brani musicali dalle sonorità tipicamente dell’isola.
Brigata SS VANNI 1

L’ulivo fa paura. Che rappresenti la pace?

Palestina. Una vicenda apparentemente marginale che mostra al mondo la repressione israeliana nei confronti del popolo palestinese.Tola 1 1o mar15tola 2 10 mar 15
sedia di Vannitoladi Vanni Tola
Viviamo tempi difficili. La pace è continuamente minacciata da conflitti in atto, strategie folli dei potenti della terra che perseguono forsennati propositi di conservazione o estensione delle loro politiche di dominio sui popoli, i territori e le differenti aree di appartenenza. Importanti questioni storiche da sempre aperte, grandi conflitti apparentemente insanabili che segnano le nostre esistenze. Abitanti del pianeta Terra costretti quotidianamente a prendere atto dalla sostanziale impotenza dei singoli nel concorrere alla costruzione di un mondo migliore. In tale contesto colpiscono e fanno male alcune notizie, solo apparentemente marginali, sulle quali non si riflette mai abbastanza. A chi può nuocere una pianta di ulivo? Una delle più belle piante al mondo, capace di vivere migliaia di anni, che ci dona con generosità le olive e l’olio, alimenti preziosi. Può davvero rappresentare una minaccia per qualcuno una pianta d’ulivo? Una notizia Ansa da Ramallah datata nove Marzo. “Le forze di sicurezza israeliane hanno sradicato circa 300 alberi di ulivo nel villaggio palestinese di Salem, Nablus, nel nord della Cisgiordania. Lo ha detto alla stampa locale il direttore dell’ufficio coordinamento civile del distretto di Nablus Luay al-Saadi. Gli ulivi sradicati – ha spiegato – erano situati nelle vicinanze dell’avamposto illegale israeliano di Havat Skali”. Tutto qui, semplicemente tutto qui, come è tipico dei lanci delle agenzie di stampa. Si tratta soltanto di trecento piante di ulivo in fondo. Ma provate a pensare alla povertà di un popolo martoriato e oppresso, espropriato di tutto e principalmente della dignità, della libertà, del proprio territorio, che non ha neppure il diritto di scavare trecento buche nel terreno per mettere a dimora altrettanti alberi di ulivo che potrebbero concorrere al loro sostentamento. Pensate alla fatica dell’uomo nel preparare il terreno e scavare le profonde buche, alle difficoltà per innaffiare le piante in modo adeguato, alla cura nel coltivarle e vederle crescere, alle speranze di ottenere un buon raccolto. Pensate poi alla violenza degli occupanti protagonisti di una spietata occupazione che, armi alla mano, ordinano a un manipolo di lavoratori di sradicare le innocue piante e distruggerle in nome di imprecisate motivazioni riguardanti la sicurezza. La loro sicurezza di occupanti. L’albero d’olivo, una delle più belle piante al mondo, che diventa, nelle menti perverse degli occupanti, un pericolo, quasi fosse un missile puntato contro gli avversari. Pensate poi alla rabbia, talvolta manifestata, talvolta repressa o contenuta dei contadini che avevano riposto tante speranze di vita e di riscatto nella realizzazione del piccolo oliveto. Strano mondo questo, un mondo che ha paura delle immagini, delle opere d’arte, dell’istruzione delle donne, dei libri, delle matite dei disegnatori e degli alberi di ulivo. Proviamoci a restare umani, ma è molto difficile.
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Gianni Rodari
Le cose di ogni giorno raccontano segreti
A chi le sa guardare ed ascoltare.
Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l’albero
Per fare l’albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole un fiore,
ci vuole un fiore, ci vuole un fiore,
per fare un tavolo ci vuole un fiore

Una riflessione sull’Islam che non si fermi all’emotività determinata dagli episodi di fanatismo integralista

La sedia
sedia-van-gogh4di Vanni Tola
Otto e mezzo, la nota e brillante trasmissione condotta da Lilli Gruber, ha trattato recentemente il tema della paura dell’Islam, di grande attualità sui media italiani. La Islam spiegato ai figli coverscelta dell’ospite principale è stata quanto mai azzeccata. Tahar Ben Jelloun, di origine marocchina, poeta, romanziere e giornalista molto noto in Italia per i suoi numerosi libri, tra i quali cui Creatura di sabbia, 1987; L’amicizia, 1994; Corrotto, 1994; L’ultimo amore è sempre il primo? 1995; Nadia, 1996; Il razzismo spiegato a mia figlia, 1998 (giunto alla quarantottesima edizione e ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta); L’estrema solitudine, 1999; L’albergo dei poveri, 1999; La scuola o la scarpa, 2000; L’Islam spiegato ai nostri figli, 2001; Il libro del buio, 2001 (International IMPAC Dublin Literary Award 2004); Jenin, 2002; Amori stregati, 2003; L’ultimo amico, 2004; La fatalità della bellezza, in Amin Maalouf, Tahar Ben Jelloun, Hanif Kureishi, Notte senza fine, 2004; Non capisco il mondo arabo, 2006; Partire, 2007; L’uomo che amava troppo le donne, 2010; La rivoluzione dei gelsomini, 2011; Fuoco, 2012; L’ablazione, 2014. Applicando una pessima consuetudine ormai consolidata, anche lo staff della trasmissione Otto e mezzo, non ha saputo rinunciare a contrapporre all’illustre ospite qualcuno che rappresentasse opinioni differenti da quelle che avrebbe espresso Tahar Ben Jelloun. Fin qui poco male se l’interlocutore contrapposto all’ospite principale si fosse rivelato all’altezza del compito e avesse concorso a mettere in evidenza opinioni e valutazioni differenti sull’Islam. Purtroppo quando si tratta di Islam e immigrazione, i media televisivi non hanno una grande scelta, la loro lista comprende il solito Salvini e pochi altri di pari spessore culturale. Accade cosi che, a dialogare con uno dei maggiori intellettuali islamisti si invita l’immarcescibile Daniela Santachè che, come da copione, esibisce il massimo del suo bagaglio culturale citando i soliti slogan anti islam, alcune affermazione della resuscitata Oriana Fallaci e amenità simili. Mettendo peraltro a dura prova perfino la pazienza dello scrittore che tenta con garbo e determinazione di illustrare le proprie argomentazioni. Ne nasce un delizioso siparietto degno dei migliori blog tra la Santanché e il giornalista del fatto quotidiano Scanzi che, senza mezzi termini la accusa pubblicamente di palese ignoranza sull’argomento trattato. Molto interessante invece e, nonostante tutto, si rivela l’intervento dello scrittore Jellloun che, presentando il suo ultimo lavoro, L’Islam che fa paura ed. Bompiani, offre a noi occidentali numerosi spunti di riflessione sulla nostra scarsa conoscenza dell’Islam, sugli errori commessi dalla comunità dell’occidente nel rapportarsi alla questione araba, sui danni provocati dagli interventi militari che hanno devastato gran parte dei paesi medio orientali senza riuscire a favorire in alcun modo l’evoluzione di un mondo, quello islamico, che vive gravi e specifiche contraddizioni. Numerosi gli interrogativi di fondo ai quali l’opera dello scrittore tenta di dare risposte. Attualmente, dopo le minacce, le parole d’ordine e le stragi dell’estremismo islamico si può non temere l’Islam? È questo timore è un timore giustificato? Ma, soprattutto, l’Islam è davvero, per sua natura, violento e antidemocratico come molti lo dipingono cavalcando l’onda emotiva suscitata dagli avvenimenti recenti? Tahar Ben Jelloun propone delle considerazioni che dovrebbero aiutarci a comprendere meglio ciò che ci accade intorno, ai confini del nostro mondo. Intanto ci invita a rilevare che la maggior parte dei terroristi che si sono resi protagonisti di gravi episodi di violenza non sono personaggi paracadutati sull’occidente o sbarcati dai barconi della disperazione bensì cittadini con passaporti e residenza nei paesi europei, raggiunti e motivati dalla propaganda e dal proselitismo del cosiddetto Califfato. Personaggi che, a tutt’oggi, non hanno esitato a uccidere e terrorizzare, oltre gli “infedeli” dell’occidente, anche moltissimi mussulmani. L’autore del libro si sofferma, infatti, anche sullo sdegno della gran parte dei mussulmani (solitamente definiti moderati con una definizione che egli definisce poco appropriata) che si trovano a dover fare i conti con un fondamentalismo che deturpa la vera fede in Allah. L’Isis riesce a reclutare seguaci fra i più giovani e fragili, fra gli emarginati sempre più disorientati dalla mancanza di lavoro e di prospettive di vita accettabili, dalla miseria materiale e morale che chiama in causa anche le responsabilità di noi occidentali, spesso indifferenti ai gravi disagi degli immigrati di prima e seconda generazione che popolano le nostre città. L’Islam che fa paura suggerisce delle risposte, sviluppa delle analisi, si presenta come un libro di riflessione ma anche di lotta e di resistenza. Una riflessione sull’Islam che riesca a superare e prescindere valutazioni fortemente limitate dall’emotività determinata da recenti episodi di fanatismo integralista.

Todos cabaleros, tutus programmadores!

dritto e rovescio Maria Lai2Dritto&Rovescio.sedia-van-gogh4
di Vanni Tola
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Da un po’ di tempo, in modo particolare, ma direi da sempre, chiunque sappia scrivere due righe e abbia una sia pur minima conoscenza di cose di Sardegna, si cimenta nella difficile arte della programmazione dello sviluppo dell’isola. Ottime idee e vere e proprie idiozie sono presentate ai sardi come la soluzione vincente per uscire dalla crisi, per avviare un nuovo modello di sviluppo, per individuare il settore portante per una nuova rinascita, per conquistare dipendenza e autonomia dall’Italia, dall’Europa, dal mondo intero. Analogo impegno è esercitato nel confutare e contrastare qualunque progetto di sviluppo, qualunque proposta di investimento industriale e produttivo che non coincida con le opinioni personali degli occasionali “consigliori” dei Sardi. Unire le Università di Cagliari e Sassari in un’unica Università? Ed ecco che qualcuno propone di farlo in campo neutro, a Nuoro. Perché? Per garantire una forte ipotesi di sviluppo alla città del centro Sardegna. Sì ma perché no a Oristano o in altre parti della Sardegna? Rilanciare lo sviluppo dell’isola sviluppando la centralità dell’agro-pastorizia? Si va bene ma c’è chi parla anche della centralità del turismo come prioritaria su tutti gli altri comparti produttivi. Biochimica e biotecnologie (e non chimica verde che sembra una parolaccia impronunciabile)? Per carità, Dio ce ne scampi e liberi, niente chimica. C’è sempre qualcuno che reclama il diritto alla conservazione dell’ambiente sardo cosi com’è, immutato, bello come una cartolina. Pazienza se non da lavoro e risorse ai sardi, tanto i teorici dell’incontaminato assoluto spesso traggono la loro fonte di sostentamento da sorgenti certe, affidabili e perenni. Coltivare cardi e canne per produrre prodotti che utilizziamo tutti i giorni quali l’etanolo (nelle benzine) e le resine che fanno parte degli pneumatici delle nostre auto? Giammai, “ a fora” questi progetti. Poco importa se cosi facendo continueremo a ricavare tali sostanze dal buon vecchio petrolio. Le canne poi, come i cardi, presenti da sempre nel territorio, possono e devono essere utilizzate soltanto per dare titoli a opere letterarie (Canne al vento), per suggestioni poetiche e per costruire launeddas. Basta. Allora come ne veniamo fuori? Direi che un aiuto prezioso potremmo riceverlo dalla saggezza popolare, da sempre guida per i popoli. “ A donz’unu s’arte sua”. La programmazione dello sviluppo di un’area geografica deve essere demandata a esperti del settore di comprovata esperienza, magari attraverso un bando internazionale e un concorso di idee serio ed efficace. Le direttive di sviluppo dei diversi comparti produttivi della nostra modesta economia devono essere indicati da chi ha le competenze necessarie per farlo. Non può essere un comune cittadino o un rappresentante politico appena insediato nel consiglio regionale a poter stabilire quale deve essere lo sviluppo dell’agro-industria, della sanità, dei trasporti, del turismo per il solo fatto di aver ricevuto una investitura politica nelle ultime elezioni. Qualcuno potrebbe osservare che cosi facendo si corre il rischio di escludere il popolo sardo dalla possibilità di manifestare opinioni sulle scelte di sviluppo e sui destini dell’Isola. Timore comprensibile che non si esorcizza però con il libero esercizio della programmazione fai da te. Il modello di sviluppo deve anche essere (direi soprattutto essere) una proposta convincente e coinvolgente verso i Sardi. Forme di consultazione popolare e di coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, dei comitati dei cittadini, dovranno essere certamente garantite e precedute da serie e obiettive campagne di informazione che favoriscano scelte ragionate e orientamenti consapevoli dei singoli. Ma occorre, a mio parere, una scelta di obiettività e di consapevolezza. Creare un movimento per il “no” a qualcosa è facile, basta una assemblea e pochi militanti determinati per generare la convinzione che un’intera comunità, una vasta area sia effettivamente contraria a questo o quel progetto. Se poi si va a verificare il reale livello di informazione fra la gente si realizza che è generalmente molto basso. Il discorso sarebbe analogo anche per i comitati per il “si” a qualcosa che, e forse non è un caso, sono in realtà molto pochi. Intanto che l’opinione pubblica si divide in interminabili discussioni, si misura con convegni e analisi sul tutto e sul niente la Sardegna naviga a vista mancando di tutto, dal piano industriale al piano energetico, dalla programmazione di interventi per arginare lo spopolamento alla politica per l’occupazione e il lavoro. Capitano cercasi per questa sgangherata nave.

#civuolecoerenza!

serieta-signori

sedia-van-gogh4 Giochi di prestigio

di Vanni Tola
“Mille nuove scuole in mille giorni”
. Era l’ennesima bugia dell’ “Udinì” della politica, un uomo che alle bugie che racconta non crede neppure lui tanto che, alle volte, gli scappa un sorrisetto beffardo dopo che ha raccontato l’ennesima frottola. Durante la scorsa estate il suo governo avrebbe avviato tutti i lavori necessari per la messa in sicurezza delle scuole e a Settembre gli alunni sarebbero entrati in aule sicure, rinnovate e, perfino, belle. Non è accaduto niente, i soffitti delle aule continuano a crollare (vedi scientifico di Sassari e altre scuole). Acqua passata, perché parlarne ancora. Ora il pifferaio suona un’altra musica. L’Expo di Milano, l’anno Felix dell’Italia, e molti italiani sembrano ancora credergli mentre altri attendono che un altro Messia, l’otto marzo, scenda in campo con l’ennesimo codazzo di giocolieri, nani e ballerine per cambiare l’Italia. Dio, se ci sei… batti un colpo, anzi due.

La politica renziana della non coerenza
di Raffaele Deidda

“Se uno cambia partito deve andare a casa per rispetto degli elettori”. L’aveva detto, con enfasi, Matteo Renzi in una trasmissione di Porta a porta del 2013, prima di diventare segretario del Pd e presidente del Consiglio. Si riferiva al vincolo di mandato escluso dall’art. 67 della Costituzione, utilizzato a piene mani dai parlamentari che passano da un partito politico all’altro. Eppure lo spirito dell’art. 67 è ben altro e va contestualizzato con la fine del fascismo.

Specificamente, l’articolo non intendeva dire che un parlamentare una volta eletto può fare quello che gli pare, ma determinava un meccanismo di sicurezza per non rendere i parlamentari dipendenti e sottomessi al leader del loro partito o al capo del Governo, in caso di “deriva” autoritaria da parte di questi.

Non é l’unica frase celebre di Renzi, forse è una delle più datate. Ve ne sono altre, più note e di grande effetto mediatico, quali: “Mai al governo senza voto” – “Mai al governo con Berlusconi” – “Enrico stai sereno”. Anche chi non segue con l’attenzione dell’osservatore le vicende italiane sa benissimo quali sviluppi abbiano avuto queste solenni dichiarazioni. Contro i “voltagabbana”, individuati in particolare in Sergio Cofferati, si sono recentemente scatenati i politici di fede renziana che hanno utilizzato i social network per lanciare durissimi proclami del tipo: “Cofferati lascia il Pd? Se è così si dimetta da parlamentare europeo, i voti che ha preso sono del Pd”, accompagnati dall’hashtag #civuolecoerenza! Per rendere più enfatici i messaggi è mancato solo il termine usato dal Comandante De Falco per sollecitare Schettino a tornare a bordo della Costa Concordia.

Accade ora che otto parlamentari di Scelta Civica abbiano deciso di passare al Pd, avendo accolto l’invito di Renzi per “un percorso e un approdo comuni”. In quel percorso e in quell’approdo non c’è spazio per le invettive e il monito “Se uno cambia partito deve andare a casa per rispetto degli elettori!” per Renzi non vale più. Al bando questi inutili moralismi! Che invece vengono evidenziati dal sottosegretario all’Economia Zanetti: “Entrare nel Pd solo perché Renzi chiama senza nessun tipo di progetto preciso e di cambio di linea equivale a rispondere a una chiamata di potere e di volontà di mantenere lo scranno parlamentare”.

Può essere una scusante il fatto che il trasformismo è sempre esistito nella politica italiana e sono centinaia i casi di parlamentari che hanno “trasfugato”? Forse a Renzi e ai suoi sostenitori poco importa, ma chi si ostina a coltivare un’idea di politica corretta e coerente nelle idealità e nelle azioni fa fatica ad accettare l’idea che la politica intesa come arena del cinismo e dell’opportunismo non sia appannaggio solo di quel vituperato centro destra a forte caratterizzazione berlusconiana, ma anche di un partito che continua a dichiararsi di sinistra.

Fa fatica anche ad accettare il fatto che il Pd abbia respinto la richiesta di autorizzazione a procedere contro il senatore della Lega Calderoli che aveva dato dell’orango a Cecile Kyenge, facendo immaginare alla ex ministra il sussistere di vergognosi calcoli elettorali. Fanno fatica i democratici sardi, iscritti al Pd e no, ad accettare che sia stato il sardo Giuseppe Cucca, capogruppo Pd nella Giunta delle elezioni e immunità parlamentari, a dichiarare che “La Giunta delle immunità ha ritenuto che la fattispecie dell’istigazione all’odio razziale non sussistesse”.

Lo stesso Cucca, già componente del gruppo di dissidenti del Pd contrari alla nuova legge elettorale in quanto “Fatta con Belusconi anziché con il Pd e il centrosinistra”, poi coerentemente allineato nel voto a favore dell’Italicum. Si potrà forse obiettare che si tratta di questioni secondarie, insignificanti rispetto ai “veri” problemi del Paese che il Governo Renzi affronta con grande determinazione ed efficacia (?).

L’assenza di coerenza fra enunciazioni ed azioni porta però a riflettere su come Enrico Berlinguer avesse ragione nel dire a proposito dell’allora presidente del Consiglio: “La cosa che mi preoccupa in Craxi è che certe volte mi sembra che pensi soltanto al potere per il potere”. Per questo, caro Renzi, non siamo affatto sereni
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By sardegnasoprattutto/ 8 febbraio 2015/ Società & Politica/
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Riflessioni domenicali e oltre
Lavagna
di Antonio Dessì
1)Viva la Russia, anche se Putin non è simpatico. Hollande ha detto che se fallisce la mediazione in corso sull’Ucraina non ci sarà alternativa alla guerra. Una dichiarazione folle. Francia e Europa non sono affatto in buone mani.
2)Viva la Grecia, nonostante Tsypras e Varoufakis siano al picco del gradimento femminile e molti di noi rosichino meschinamente. Rilevazioni empiriche riportate da molte fonti di informazione rivelano non solo che il nuovo Governo greco sta guadagnando consensi interni anche tra quelli che non hanno votato Syriza, ma che l’opinione pubblica occidentale maggioritariamente tifa per la piccola Grecia. Qualche ragione ci sarà.
3) Vivail Papa. Bergoglio non si esprimerà come un raffinato teologo (e non so se questo sia un bene), ma è in sintonia con un mare di persone e di popoli, quando dice che il problema della fame nel mondo nasce dall’ingiustizia economica, da una speculazione finanziaria priva di scrupoli e dalla rapina delle risorse ambientali del pianeta a vantaggio di pochi. Poi dice che uno si butta … a sinistra.
4)Abbasso il Governo italiano. Tralasciamo la “pugnalata nella schiena” ai cugini greci. Come nel 1940, anche allora a seguito dei soliti Tedeschi contro la Francia ormai in ginocchio, l’Italia si è fatta di nuovo conoscere nel mondo per il caldo sostegno dato a un Paese amico in grave difficoltà. La novità è invece che ieri abbiamo scoperto di avere un ministro dell’Agricoltura il quale, tomo tomo, cacchio cacchio, ha prospettato l’introduzione nella Costituzione della Repubblica del diritto all’alimentazione. Insomma del diritto a mangiare. Eppure se il Governo si impegnasse a promuovere il diritto al lavoro e quello a una retribuzione adeguata, che in Costituzione sono solennemente scolpiti, la gran parte della gente mangerebbe a sufficienza. Detto come lo dice Martina, sembra piuttosto che si voglia formalizzare il diritto alla carità: ma anche così sarebbe molto meno del dovere di solidarietà, che parimenti in Costituzione c’è già. Un altro cazzone. Scusate il termine.
5)Abbasso noi tutti, in Sardegna, o almeno buona parte di noi. Non sono mai stato per l’abolizione delle Province. Sarebbero (state) lo strumento decisivo per far dimagrire l’elefantiasi burocratica della Regione, trasferendo molte funzioni amministrative e gestionali a un livello intermedio congruo. Eliminarle è del tutto conforme a un obiettivo centralistico e all’inesausta bulimia del ceto politico e burocratico regionale. (Intanto a Roma si pensa di fare altrettanto con le Regioni: altro tipo di bulimia, stavolta neo-ministerialista). Tuttavia, ora che la fesseria è fatta, non condivido neppure tutta la resistenza dei politici e degli amministratori locali alla prospettiva della gestione associata intercomunale di molti servizi. Non c’è ragione alcuna per non costruire e promuovere un processo che non sarebbe solo di collaborazione tra istituzioni, ma anche di solidarietà consapevole e di senso civico diffuso tra comunità limitrofe, molto più avanzato dello sbando attuale in cui si versa sotto tanti campanili.
6)Abbasso il grigio ragionierismo della Regione, ma anche le giaculatorie ipocrite e strumentali. In una situazione di calo demografico e di spopolamento, assicurare organizzativamente un adeguato livello di istruzione alle nuove generazioni resta la priorità delle priorità e non si può farlo difendendo l’esistenza in ogni paese di scuole ridotte a poche pluriclassi. Ignorare questa priorità evocando la felicità dei tempi passati è un esercizio retorico poco convincente. Strumentalizzare le resistenze a scopi politici non è solo meschino: è criminale. Anche per questo servizio di straordinaria essenzialità vale la pena di pensare a forme organizzative associate e alla condivisione di responsabilità fra comunità vicine. Non c’è proprio alcuna perdita nel frequentare le scuole insieme a compagni di paesi confinanti, tra i quali le affinità, come anche le differenze, sono una ricchezza da condividere, che può compensare ampiamente qualche sacrificio materiale in termini di mobilità. Certo, operazioni di questa portata richiederebbero modalità di coinvolgimento e persino di comunicazione tali da dar loro quell’anima di consapevolezza epocale che dovrebbe accompagnarle. Nascono invece morte, se vissute come conseguenza di un’impotenza progettuale, rivestita appena da ragionamenti finanziari dei quali, onestamente, siamo arcistufi e sui quali non immotivatamente siamo diffidenti.
7) Chiudo. E passo.
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da fb

Ma quale Giustizia!… Ci sarà pure un Giudice a Berlino?

Arborea 22 1 15sedia-van-gogh4di Vanni Tola
Arborea: Una brutta storia di “straordinaria follia” . Operazione militare in grande stile per sfrattare una famiglia di contadini.
La vicenda che ha visto protagonista la famiglia Spanu di Arborea è una di quelle storie che è difficile raccontare, una brutta storia fatta di ingiustizie e di diritti formalmente legittimi, di miseria degli uomini e di disumanità sociale. I protagonisti sono dei contadini , la famiglia di Giovanni Spanu, un agricoltore di 76 anni che vive nel centro agricolo di Arborea. Il motivo scatenante è una cambiale agraria della Banca di Sassari per un importo di 25 milioni di lire sottoscritta dal signor Spanu che non sarebbe stata onorata nei termini stabiliti. Ciò ha determinato la vendita all’asta dell’azienda agricola Spanu per un importo irrisorio rispetto al valore reale del bene e la conseguente ordinanza di sfratto della famiglia dalla loro azienda, promossa dall’acquirente “vincitore” dell’asta pubblica. Il proprietario dell’azienda asserisce di aver saldato il proprio debito, seppure con qualche anno di ritardo, ma questo non è bastato per arrestare le procedure di vendita all’asta attivata dalla Banca di Sassari e l’esecuzione forzosa dello sfratto della famiglia dalla propria azienda realizzata con largo impiego della forza pubblica. Tutto regolare, formalmente regolare. Si è applicata la legge. Ma allora perché ci viene voglia di parlare di storia di “straordinaria follia”? Altri protagonisti di questa brutta storia sono il sig. Mossa, imprenditore serricolo e la sua consorte avv.to Annalisa Concedda, aggiudicatari dell’asta relativa alla proprietà del sig. Spanu. Questi signori non hanno fatto altro che fare un buon affare. Hanno comprato a poco prezzo un’azienda agricola di un contadino di 76 anni e della sua famiglia in un’asta pubblica. Tutto secondo la legge, tutto regolare. E poi “gli affari sono affari”, la coscienza non c’entra, la legge è legge e, si sa, che in Italia la legge la si fa rispettare sempre e comunque, a qualunque costo. Bravi, complimenti a tutti. Ma sarà poi giusta questa legge che, di fronte alla rovina di intere famiglie, non sa fare altro che essere inflessibile? Bisognerebbe pensarci. Potrebbero esserci soluzioni a alternative più dignitose e rispettose dei diritti delle persone? In attesa che ciò accada i Sardi onesti e giusti non possono fare altro che augurare, ai vincitori dell’asta pubblica che hanno rilevato l’azienda della famiglia Spanu, di goderselo come meritano questo grande affare che hanno realizzato. Come pure augurare ogni bene a quei funzionari della Banca di Sassari cosi precisi ed inflessibili nell’applicare le regole del credito agrario. E non può mancare un plauso ai funzionari dell’ordine pubblico per non aver risparmiato nell’impiego di uomini e mezzi pur di fare trionfare la Giustizia. Decine di carabinieri e poliziotti in tenuta antisommossa, altre decine in divisa e in borghese e un numero imprecisato di pattuglie di carabinieri, polizia, vigili urbani di Arborea, Corpo forestale regionale a blindare i sei ettari di terreno coltivati a fragole e carote dalla famiglia Spanu. E perfino un elicottero della Polizia a controllare dall’alto la situazione, più una autobotte dei vigili del fuoco, due ambulanze e una autocolonna di camion per caricare gli animali e i beni degli ex proprietari. Bravi, bravi, davvero bravi!

“Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai”. Intervista a Loredana Rosenkranz, organizzatrice del Convegno

MANIFESTO11 ric laiDAI MOVIMENTI DEGLI ANNI SETTANTA ALLA SARDEGNA DI OGGI
a cura di Vanni Tola

Prosegue la pubblicazione di interventi e contributi relativi al Convegno “Dai movimenti degli anni 70 alla Sardegna di oggi. Per ricordare Riccardo Lai”, un giovane militante impegnato nell’attività politica e sociale di quegli anni. Lo facciamo intervistando Loredana Rosenkranz, una delle promotrici dell’iniziativa.

Quali sono le motivazioni che hanno suggerito di ricordare Riccardo ripercorrendo la storia dei movimenti politici degli anni 70?
Siamo ritornati finalmente all’antico compagno evitando un momento di pura condivisione sentimentale; ne abbiamo così rievocato alcuni tratti nel suo tempo, ripensandolo partecipe dei movimenti dai quali si era fatto attraversare, tra essi quello studentesco, delle donne, del sindacato mitico dei metalmeccanici, dell’autorganizzazione giovanile per il lavoro cooperativo sorta intorno alla legge 285. Non era facile perché significava rinnovare il trauma antico della sua perdita e gli imprecisati sensi di colpa che alcuni dei suoi amici si portavano dentro e inoltre agire sui traumatismi collettivi legati a quegli anni, sigillati dal delitto Moro, su cui si è ragionato molto poco e non solo nella nostra città.
Come si è sviluppato il confronto nel Convegno?
Il clima solidaristico e amichevole che alcuni partecipanti hanno percepito durante l’incontro ha segnalato, mi pare, il sollievo per lo sciogliersi della tensione fissata a quel momento drammatico della sua scomparsa, rimasta latente nei decenni. Posso dire che è stata come una restituzione a noi tutti del diritto a fare memoria anche su episodi oscuri e ancora controversi, con la messa a confronto di interpretazioni diverse, anche opposte, ma non per questo estranee alla nostra capacità di comprensione e condivisione. Consci dei nostri limiti e obbligati a impietose selezioni dei temi e contributi possibili, abbiamo provato a esercitare uno sguardo non giudicante, anche se non neutrale, su quelle tensioni e a dichiarare una apertura di riflessione che speriamo possa venir raccolta ancora.
Gli interventi del Convegno hanno evidenziato la necessità di ricostruzione della memoria storica degli anni settanta e dell’attività dei movimenti di allora. Perché è importante lavorare sulla memoria?
Lavorare alla memoria fa agire il presente sul passato, consente la continuità, un lavoro essenziale per la costruzione di identificazioni che è stato debole in questi decenni ed insufficiente a creare eredità condivise. Abbiamo provato, anche se molto superficialmente, a toccare il nervo scoperto delle rimozioni su quegli anni. Non è accettabile, anche se è molto consolatorio, credere che il troppo poco di memoria o la memoria scadente e semplificata che si è tramandata sugli anni Settanta anche in Sardegna sia imputabile solo ad attori istituzionali o alle lacune della storia ufficiale. Certo, senza la memoria dei soggetti protagonisti degli eventi è difficile possa seguire un seppur problematico sguardo storico che cerca la verità. E’ anche vero che l’oblio che si è disteso su quel periodo è il prodotto anche di una loro complicità, frutto per taluni versi credo di delusioni della politica, che tanta parte aveva nella vita dei giovani di allora, e della incapacità di una condivisione sulle valutazioni relative all’uso della violenza, che non era più evidentemente solo fascista o di stato.
Quali sono le difficoltà per la ricostruzione della memoria collettiva di quegli anni?
Nell’imbarbarimento di uno scontro sociale brutale, gli attori più deboli, gli studenti di università subite come centri di un sapere depotenziato e gli operai di un sistema industriale in ristrutturazione, furono travolti dal venir meno di referenti politici o sindacali, anch’essi in mutazione. Il discrimine tra dissidenza politica e lotta armata, imposto dal clima intimidatorio presente anche in luoghi di parola come le assemblee ed in ogni manifestazione pubblica, ha reso difficilmente recuperabile per la memoria collettiva le azioni di quei movimenti che pure, anche in Sardegna e nel nostro territorio, conducevano pratiche illegali e non violente ma fortemente partecipate (cortei interni agli impianti, picchetti agli ingressi, occupazioni di case e autoriduzioni delle bollette, occupazioni di spazi pubblici e privati a scopo sociale e politico, pratiche abortive assistite in regime di penalizzazione dell’aborto). In esse erano coinvolti spesso non solo giovani rivoluzionari e rivoluzionarie ma anche intellettuali, esponenti politici eletti, collettivi, partiti e partitini.
Quale è stato il ruolo delle “radio libere”, molto presenti in quegli anni, nella diffusione delle attività e delle proposte dei movimenti?
Le radio libere, Radio Nord Ovest poi Radio Sassari Centrale e un organo di stampa, Tuttoquotidiano, hanno dato voce a Sassari anche agli e alle esponenti dei movimenti, a volte in aperta dissonanza con i partiti che sostenevano il governo e con la grande stampa, di solito schierata con la verità ufficiale e con le azioni di polizia. Le redazioni erano aperte a ogni contributo, una alternativa alla stampa schierata che pretendeva di accreditare una versione unica e perciò veritiera dei fatti.
Quale eredità hanno lasciato i movimenti degli anni 70 alla Sardegna di oggi?
Molti esponenti di quella generazione furono costretti al ruolo di spettatori dopo esser stati protagonisti di istanze radicali di cambiamento e tuttavia costruirono nel tempo percorsi di impegno professionale e civile, scegliendo la strada dell’immersione tra la gente e del lavoro spesso di servizio nell’isola e provando soluzioni all’eradicamento e all’esilio, destino che sembra molto presente invece a diversi sardi delle nuove generazioni. Penso a come molti di quei giovani sono entrati nel lavoro, permeando la dimensione pubblica, dalla scuola, agli enti locali, alla sanità ma anche quella privata, come le esperienze delle cooperative sociali e del volontariato, lavoro di servizio, rivolto alla comunità. Esempi di legame al territorio che hanno fatto da ponte per il presente. Perché forse dobbiamo a quella eredità anche il fiorire oggi nella nostra regione, in modo non dissimile da altre regioni italiane, di movimenti, questa volta articolati nel retroterra e non più prevalentemente urbani, che mettono a fuoco i bisogni vitali di sopravvivenza: i beni comuni, la sovranità sul territorio, la riorganizzazione dei piccoli centri dove la vita, con l’impoverimento medio della popolazione, è più sopportabile. Contenuti ideativi e percezione di diritti nuovi che si innestano su antichi presupposti e vedono, accanto alle precedenti, nuove generazioni in campo, con un’idea della politica di opposizione che appare partecipativa, fatta di presidi sul territorio e di azioni concrete per farlo produttivo, preservandolo e rendendolo fruibile a tutti. Questo sta accadendo oggi sotto i nostri occhi ed è una possibilità ancora fragile ma reale di un agire politico diverso, per certi versi in discontinuità con il passato ma non privo di richiami. Nonostante la distanza, fare memoria sugli anni Settanta è ancora difficile, ma è un processo ormai in atto, necessario per vivere meglio questo presente e comprendere alcune delle dinamiche della nostra società in rapida evoluzione.
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- Il Convegno su TeleSassari.

- La pagina fb dell’evento.

non possiamo stare fermi

“Allah Akbar” (Allah è grande) – In nome di Allah si massacrano dodici persone a Parigi. Si spara in faccia a una ragazzina che chiede il diritto all’istruzione per le ragazze, si uccidono i volontari che portano aiuti e vaccini per i bambini, giornalisti che tentano di documentare quanto accade. Quale può essere la risposta al fanatismo integralista e all’ignoranza. Una guerra senza esclusione di colpi, una guerra pacifica senza l’impiego di armi e bombe. Una guerra culturale, che spieghi l’incongruenza dell’idea che chi non è mussulmano è un infedele da eliminare, che le donne possono guidare l’auto e scoprire il viso ed il corpo liberamente, svolgere compiti e mansioni di natura politica e sociale senza limitazioni, che i ragazzi e, soprattutto le ragazze hanno diritto all’istruzione. Una guerra lunga e difficile. Cominciamo con l’istruire i mussulmani presenti in occidente per far loro comprendere che la diversità (anche religiosa) è un valore positivo, che il confronto ed il dialogo non sono vietati dal Corano, che studiare e superare i pregiudizi non è una colpa. Una guerra per la quale ha un senso lottare anche sacrificando la propria vita. (v.t.)
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Il mondo musulmano non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità”. E le guide religiose dell’islam devono “uscire da loro stesse” e favorire una “rivoluzione religiosa” per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una “visione più illuminata del mondo”. Se non lo faranno, si assumeranno “davanti a Dio” la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina. (Abdel Fattah El Sissi, presidente della repubblica egiziana, discorso tenuto tenuto all’inizio del nuovo anno davanti a studiosi e leader religiosi dell’università Al Azhar del Cairo -considerato il principale centro teologico dell’islam sunnita- riuniti insieme ai responsabili del ministero per gli affari religiosi, il 3 gennaio 2015)
Nicolò Migheli micro (n.M.)
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Replique republicaine. Decine di migliaia di persone, di orientamenti laici e religiosi diversi, musulmani compresi, sono scesi pacificamente in piazza, ieri notte, in Francia, contro il terrorismo islamista e contro la strumentalizzazione fascista e razzista. (a.d.)
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Dopo i giorni del dolore per la strage di Parigi, ci sarà tanto da riflettere.
Come mai immigrati di seconda o terza generazione diventano terroristi all’interno di paesi dove sono nati? Perché il radicalismo violento trova lì terreno fertile? Bisogna interrogarsi a lungo sulle politiche interne di integrazione sociale di molti paesi occidentali, evitando facili semplificazioni di matrice religiosa. Bisognerà rivedere totalmente anche la politica estera ed il rapporto con i paesi islamici, dove l’Europa deve necessariamente avere una posizione univoca ed indipendente: decisa sì, dura dove necessario, evitando assolutamente il muro contro muro fra civiltá, ma lavorando sui paesi moderati, per fare terra bruciata intorno a qualsiasi forma di terrore organizzato.
Infine un’amarissima constatazione: ciò che è accaduto oggi avrà purtroppo delle conseguenze in tutto l’occidente, in termini di autocensura: parlo di satira, di giornalismo, di letteratura. Non vorrei che la 13^ vittima di oggi possa essere la libertà di espressione.
(gianf. fancello)

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

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- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato con quelli del direttore, di Vanni Tola e, oggi, proseguiamo con la relazione introduttiva al Convegno di Benedetto Sechi. Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Abbiamo anche riportato la trascrizione di un intervento inedito di Riccardo Lai, l’ultimo della sua vita di militante impegnato nelle lotte sociali. La Fondazione Sardinia ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel nel suo sito web l’intera registrazione video delle due giornate di lavori dell’evento. ape-innovativaLa pagina fb dell’evento.
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Intervento introduttivo di Benedetto Sechi

Ripercorrendo le lotte, di proposta e di protesta dei movimenti giovanili, si comprende quanta strada è stata fatta, quanti rallentamenti, quanti passi avanti e quanti indietro per arrivare fin qui. Buon esercizio per la memoria! Non sono mai stato un buon archivista, ho sempre accumulato a casaccio, anche nella mia testa. Quindi mi sono sorpreso, ricordando i fatti, le immagini, i documenti, gli articoli, a pensare che tanto è cambiato negli strumenti di comunicazione, dal ciclostile a facebook il passo è lungo, molto meno è mutato nelle esigenze, nelle rivendicazioni nel malessere sociale. Solo alcune questioni hanno assunto proporzioni gigantesche: la diffusione delle droghe ad esempio, la violenza sulle donne, quello che oggi con un brutto sillogismo chiamiamo “femminicidio”. Ma due sono i temi irrisolti, in questi trent’anni e più, che scorreranno davanti a noi e che sono rimasti, costantemente, al centro delle proteste e del disagio delle generazioni che si sono avvicendate: La Scuola e il Lavoro! Certo, con alti e bassi, ma in fondo, in tutti questi anni, chi ha governato l’Italia, e la Sardegna, non ha mai saputo progettare e realizzare riforme soddisfacenti. Pensiamo alla riforma Berlinguer sui percorsi universitari, pensiamo all’incapacità di dotarsi di politiche di sviluppo che sapessero metter un freno alla crescente perdita di posti di lavoro e alla creazione di nuovi, cambiando il modello produttivo imposto con l’industria pesante. Facendo questa considerazione non voglio certo dire che le generazioni che si sono susseguite, siano uguali. Le differenze per fortuna ci sono, per le influenze culturali, la musica, l’arte, modi diversi di trascorrere il tempo libero e di rapportarsi tra loro, ma in tanti tratti esse sono simili, proprio perché uguali sono i problemi che devono affrontare.
Prima di addentrarmi in questo viaggio nel tempo, che per la verità un poco temo, vorrei dedicare un pensiero a Riccardo, Riccardone come tutti noi lo chiamavamo. Di lui sono tante le cose che si possono ricordare, lo faremo in questi giorni, lo farà ogni persona che lo ha conosciuto. Riccardo era un uomo di una intelligenza straordinaria, con una capacità innata nel sapersi rapportare con chiunque, in fabbrica, tra noi operai, era amato e i suoi interventi, a nome del movimento degli studenti, non solo erano apprezzati, ma se lui si trovava in sala mensa, erano attesi e richiesti. Ma il mio pensiero va innanzitutto alle sue doti umane alla sua enorme autoironia, a quel non prendersi mai troppo sul serio, elemento distintivo delle grandi persone. Ironia, entusiasmo, fantasia, intelligenza, che egli esprimeva in ogni contesto e in ogni azione.
Nella meta degli anni 70’ la SIR di Rovelli ottiene pareri di conformità per raddoppiare gli impianti di Porto Torres e Assemini, si costruisce anche a Isili e, per non farci mancare niente, lo Stato Italiano, decide che neppure a Ottana ci starebbe male un poco di chimica, c’era da fronteggiare il fenomeno del banditismo e questa sembrava una buona soluzione. Altrettanto fa Ursini con la Liquichimica, così come la Montedison. Insomma mentre Rovelli con le sue scatole cinesi, quasi cento aziende, si impegna per saccheggiare le risorse del Piano di Rinascita, della Legge 268, gli altri non stanno a guardare e in Veneto, in Toscana, in Sicilia, gli impianti che producono chimica di base proliferano.
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Paren faulas. Una favola per adulti

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Fin da bambini siamo stati abituati a sentire le favole, a credere nelle favole, a fantasticare intorno alle vicende che in esse erano raccontate. Poi, diventati grandi, abbiamo imparato a sentire altre favole, diverse da quelle raccontate dalle nonne, favole molto più fantasiose e particolari, tanto da sembrare storie vere. Ma sono favole che lasciano l’amaro in bocca e talvolta molta rabbia dentro al punto che, le nostre menti, ormai adulte, tendono a rimuoverle semplicemente classificandole come cose non vere. “Paren faulas”. Sotto le feste di Natale una di queste favole l’ha raccontata un simpatico tenente dei carabinieri che, per renderla più credibile, l’ha integrata con fotografie tali da fare apparire il racconto molto verosimile. Una fiaba per adulti. Durante un’indagine dei carabinieri, racconta il Tenente, si scopre che i denari e i beni materiali di una società erano utilizzati, da alcuni dipendenti infedeli, per interessi personali, molto personali. Come vedete l’incipit è particolarmente intrigante. Uno dei protagonisti della vicenda, essendo molto maschio, ha non una ma ben due amanti, di una delle quali, la voce narrante comunica perfino nome e cognome anche perché capucetto rosso bomeluzoè, essa stessa, una dipendente infedele della medesima società. Favola di denaro e di sesso, tutti gli ingredienti di base per una vera favola per adulti. Come Cappuccetto Rosso, anche il nostro protagonista amava andare nel bosco per cercare funghi o andare in ristorante in buona compagnia. Lui preferiva i boschi del nuorese, lì i funghi sono più buoni. E anziché andarci a piedi, nel bosco, preferiva arrivarci con un comodo Suv aziendale e con le sue amanti. Non è dato sapere se le amanti le frequentasse una per volta o entrambe contemporaneamente, un pizzico di discrezione, che diamine. Sappiamo soltanto che le due amanti avevano un Suv ciascuna, come il protagonista che però utilizzava il Suv dell’azienda, molto comodo e spazioso. E’ noto che per andare in campagna a cercare i funghi, il fuoristrada è il mezzo migliore. Per il carburante poi nessun problema. Nella società presso la quale lavorava il nostro personaggio, il carburante non mancava mai e, per evitare la scomodità di andarselo a prendere di volta in volta nella ditta, il nostro si era fatto installare un comodo serbatoio personale da 600 litri in prossimità della sua abitazione. Con quello riforniva di carburante il proprio mezzo, i due Suv delle amanti e, occasionalmente, quando capitava lì un amico per prendere un caffè lui gli offriva anche il pieno. Era molto generoso il protagonista di questa favola. Nella ditta presso la quale lavorava, vi era anche grande disponibilità di materiale edile e sapete che ha fatto lui? Si era riservato un angoletto tutto suo nella miniera ormai abbandonata e lo aveva riempito di materiale edile preso in ditta. Naturalmente, all’occorrenza, ne disponeva per usi personali ma anche, essendo lui molto generoso, per distribuirlo gratuitamente agli amici che, un po’ per riconoscenza e un po’ per sdebitarsi, alle elezioni locali votavano per i candidati che lui consigliati. carabiniere ft MinisteroErano tutti felici, vivevano in armonia e in pace con la natura e con la loro coscienza fino a quando non comparve …. il lupo cattivo travestito da carabiniere che, per rovinare la pace e la serenità del nostro protagonista cominciò a impicciarsi dei fatti suoi. Fotografie, appostamenti e pedinamenti, indagini sui movimenti di denaro e il furto di materiale edile, sugli spostamenti delle amanti che andavano con lui a cercare funghi e altro ancora. E, come talvolta accade nelle favole, la storia non fu a lieto fine, almeno per il nostro fantasioso e geniale protagonista. Un detto popolare recita: “Si Deus cheret e sos carabineris lu permittini”. Questa volta sos carabineris …..

La Sardegna e il turismo. Sei testimoni raccontano l’industria delle vacanze

negozio amb 9ago14 villasimiusUn libro di Sandro Ruju

L’industria delle vacanze attraverso il racconto di sei testimoni.
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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
Parlare del turismo sardo tra la gente è sempre un’esperienza curiosa e intrigante. Si scopre che, come spesso accade per vicende calcistiche, anche in questo caso tutti diventano ”esperti”. Ciascun sardo ritiene, di essere profondo conoscitore della materia e, naturalmente, il depositario di progetti, piani e valide soluzioni per migliorare il comparto turistico. Tutto ciò deriva dal fatto che la conoscenza del settore è spesso superficiale e talvolta basata su luoghi comuni e credenze popolari diffuse piuttosto che su dati di fatto oggettivi. L’opera che presentiamo, Il libro “La Sardegna e il turismo” dello storico Sandro Ruju ha appunto il grande merito di individuare dei punti fermi per una migliore conoscenza del comparto turistico regionale. Un’indagine molto accurata realizzata intervistando testimoni e protagonisti dell’evoluzione del turismo in Sardegna. Lo storico Manlio Brigaglia, Bruno Asili, per lungo tempo direttore del Centro Regionale di Programmazione e Commissario dell’Esit e dell’Isola, Umberto Giordano anch’egli direttore dell’Esit dopo una lunga carriera trascorsa all’Ente provinciale per il Turismo di Sassari, Antonio Mundula esponente storico dell’imprenditoria alberghiera cagliaritana e, infine, due protagonisti dell’imprenditoria isolana: Pasqua Salis, realizzatrice insieme al marito Peppeddu Palimodde, dell’azienda che ha realizzato il complesso turistico di Su Gologone e Gianfranco Tresoldi che ha vissuto l’esperienza di direttore dell’albergo Pontinental di Platamona. Un albergo che nel 1963, con i suoi 300 posti-letto, era la più grande struttura ricettiva della Sardegna e operava per ben sei mesi l’anno. Attraverso il racconto dei protagonisti intervistati dall’autore, emerge una visione d’insieme del comparto turistico particolarmente interessante che fa giustizia di molti luoghi comuni. Prima degli anni Cinquanta il turismo in Sardegna era quasi inesistente, evidenti limiti locali ne impedivano lo sviluppo (malaria ancora diffusa, rete di trasporti quasi inesistente, assenza di capacità professionali e imprenditorialità di settore). In quegli anni l’isola aveva appena 700 camere d’albergo, di cui solo cinquanta col bagno. Attualmente l’attività ricettiva appare ampia e diversificata. Circa 110 mila posti-letto nei 920 alberghi e quasi altrettanti negli esercizi complementari, campeggi, villaggi e bad and breakfast. Dagli anni Cinquanta a oggi il turismo sarebbe stato, a parere di Manlio Brigaglia, il responsabile di una “catastrofe antropologica” da intendere naturalmente come profondo cambiamento nel modo di vivere e di pensare del popolo sardo. Quindi qualcosa di molto importante per l’Isola. Nell’introduzione del libro, l’autore evidenzia che il turismo locale, dopo una lunga fase di sviluppo, ha attraversato una preoccupante crisi caratterizzata da un considerevole calo delle presenze, particolarmente in Gallura (area che rappresenta circa il 40% dei flussi turistici isolani). Tale crisi ha determinato una consistente contrazione dell’indice di utilizzo delle strutture ricettive e quindi dei bilanci delle aziende operanti nel settore. Una nota positiva è rappresentata da un’inversione di tendenza avviata nel 2013 che ha riportato l’indice di presenza negli alberghi ai valori del 2011, facendo pure registrare un significativo cambiamento della domanda con una maggiore presenza di stranieri, favorita anche dallo sviluppo dei voli aerei low cost. Gli alberghi sardi, in prevalenza di fascia medio – alta, trovano difficoltà a competere sul mercato in termini di costi. Si tende a identificare l’avvio del turismo nella nostra regione con la nascita del Consorzio Costa Smeralda, in realtà, la valorizzazione turistica del nostro territorio ha una storia molto più lunga e ancora in parte da ricostruire. I primi stabilimenti balneari, per esempio, sorsero ad Alghero e a Cagliari nel biennio 1862-63, pochi anni dopo la creazione del più famoso Lido di Venezia. Molto prima della costituzione del Consorzio Costa Smeralda si registrarono nell’isola diversi tentativi di realizzare un’industria turistica. – segue –

Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiI MOVIMENTI TRA IERI E OGGI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato ieri con quello del direttore oggi ospitiamo quello di Vanni Tola). Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Salvatore Cubeddu ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel sito della Fondazione Sardinia l’intera registrazione video delle due giornate di lavori del Convegno. ape-innovativa.
- La pagina fb dell’evento.
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Comunicazione di Vanni Tola*

Ricordare Riccardo Lai, il suo operato di giovane militante impegnato, attraverso la rilettura delle caratteristiche e delle peculiarità dei movimenti che lo videro protagonista o partecipe mi pare un’ottima scelta degli organizzatori del convegno.
Lo vorrei ricordare parlando della legge 285 con particolare riferimento alla costituzione di cooperative nelle campagne e al movimento per il recupero produttivo delle terre incolte.

Anni settanta, tre problemi preponderanti nel sistema Sardegna: a) fallisce il piano di industrializzazione per poli petrolchimici, non si realizza quel processo di industrializzazione diffusa che tali insediamenti avrebbero dovuto determinare; b) non decolla, se non parzialmente, la riforma del comparto agro-pastorale e la creazione del monte dei pascoli che avrebbe dovuto rappresentare la risposta alternativa al fallimento dei piani di rinascita; c) cresce la disoccupazione giovanile e riprende l’emigrazione.
Nel 1977 arrivò la legge 285 – provvedimenti per l’occupazione giovanile. Una buona legge (pur con i suoi molti limiti) che meriterebbe una rivisitazione critica per riscoprirne proposte che potrebbero ancora oggi essere considerate valide.
Il provvedimento dedicava grande attenzione al comparto agricolo. Prevedeva l’impiego straordinario di giovani in attività agricole, il finanziamento di programmi regionali di lavoro produttivo per opere e servizi socialmente utili; l’incoraggiamento dell’accesso dei giovani alla coltivazione della terra; attività di formazione professionale con contratti di formazione; la costituzione, presso i comuni, di liste speciali di collocamento per i giovani tra i 15 e i 29 anni.
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Una nuova operazione “Mare nostrum” per una differente politica dell’accoglienza

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sedia-van-gogh4di Vanni Tola
E’ cronaca di questi giorni. Migranti provenienti da lontani paesi dell’Africa settentrionale, in fuga dalla guerra e dalla miseria, dopo aver attraversato a piedi il deserto e affidato le loro vite agli scafisti e al mare, talvolta trovano temporaneo rifugio in alcuni paesi della nostra isola. Accade però che dopo alcuni giorni di permanenza in questi improvvisati centri di accoglienza, gli ospiti stranieri lasciano spontaneamente i loro nuovi rifugi per cercare fortuna altrove. Cosa c’è che non va nei nostri paesi, a Sadali, a Ottana, a Valledoria, a Lu Bagnu, in riva al mare della Costa Paradiso? La risposta è drammaticamente semplice. Questi luoghi di accoglienza, spesso isolati rispetto ai grandi centri abitati, mal collegati dai trasporti pubblici, non offrono che un alloggio con relativi servizi, piccoli aiuti materiali, un po’ di solidarietà della gente del posto ma anche l’assoluta certezza che difficilmente l’immigrato potrà intravvedere in tali località la possibilità di un reale inserimento sociale, di una valida prospettiva di vita, la possibilità di “mettere radici”. Meglio scappare lontano verso le grandi città. Un’altra considerazione. Più volte ci siamo occupati dell’andamento dei principali indicatori demografici dell’Isola. Dati drammatici, paesi destinati a scomparire nei prossimi decenni per mancanza di abitanti. Comparti produttivi fondamentali per la Sardegna, quale l’agro – pastorizia destinate a non avere un futuro per l’invecchiamento degli attuali addetti al settore e la mancanza di nuova forza lavoro da impiegare a causa del notevole decremento delle nascite. C’è un nesso tra l’arrivo di migranti nell’isola e la condizione di cronico spopolamento della nostra regione? Certamente sì. L’arrivo dei migranti, fenomeno in atto e storicamente irreversibile e l’eccezionale spopolamento della nostra regione, insieme, creano le precondizioni per attivare un differente approccio alla questione dell’accoglienza degli immigrati. Una programmazione organica di flussi immigratori, infatti, potrebbe perfino avere un influsso positivo per la situazione demografica della Sardegna e rappresentare nello stesso tempo una prospettiva di vita accettabile per gran parte dei migranti. Naturalmente a condizione che determini reali possibilità d’integrazione che vadano oltre le pur importanti iniziative di prima accoglienza, finora realizzate. In alcune realtà sono arrivate delle vere e proprie piccole comunità (è il caso delle venti copie di immigrati con bambini) che, se adeguatamente inserite in uno qualsiasi dei nostri paesini con saldo delle nascite negativo, scuole chiuse per mancanza di alunni, centinaia di case abbandonate nei centri storici, avrebbero potuto “fare la differenza”. Avrebbero potuto concorrere a modificare sensibilmente le tendenze demografiche in atto rivitalizzando la comunità ospitante, mantenendo in vita i servizi sociali, e la scuola fra questi, favorendo il recupero dei centri storici abbandonati, rivitalizzando la macro economia locale con l’impiego degli ospiti in lavori utili alla collettività (terre abbandonate, difesa dell’ambiente, ripopolamento aree rurali). Diversi osservatori dei fenomeni demografici, partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, propongono da qualche tempo la necessità e l’urgenza di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza a un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La sintesi delle ricerche effettuate ipotizza la realizzare un grande processo di riantropizzazione programmata – come avvenuto in altre aree del mondo con analoghi problemi di spopolamento – utilizzando la possibilità di razionalizzare e migliorare qualitativamente l’attuale politica dell’accoglienza dei migranti. Un progetto di reale inclusione che garantisca progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. Tali proposte, che potrebbero apparire il parto di fertili menti di sognatori, sono nella realtà saldamente presenti all’interno del dibattito nelle principali istituzioni della Comunità europea. Talmente presenti da essere state tradotte in un piano, il Programma Horizon 2020 per le politiche dell’integrazione che destina milioni di euro (in parte spendibili già dal corrente anno) per le politiche d’integrazione che i paesi comunitari volessero realizzare. Dedicare la dovuta attenzione a questo progetto potrebbe rappresentare per la Sardegna la possibilità di diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un notevole ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Non è un’operazione di poco conto, è un intervento che implica il superamento di difficoltà considerevoli, anche in termini culturali e di evoluzione del modo comune di pensare la convivenza con altri popoli e altre culture, che è cosa ben diversa dall’aiuto temporaneo e dall’ospitalità. Ma perché non provarci?
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- Horizon2020, per saperne di più

Danzando sotto le stelle e sotto la grande luna di Tamuli

Vanni Tola video 2 TamuliUn po’ di fresco notturno danzando e cantando sotto le stelle e la luna di Tamuli, con il bel video di Vanni Tola

Tamuli – Notte di San Lorenzo

Tamuli Vanni Tola fotopiccolaTAMULI 10ago14Tamuli – Notte di San Lorenzo. Sos Tumbarinos de GavoiTamuli Vanni 2
- Complesso archeologico nuragico di Tamuli (Macomer)
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– Video: realizzazione Vanni Tola.