Vicenda Todde, continua…
Leggete ciò che sostiene Tonino Dessì
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Adempiendo all’impegno del precedente post e giungendo a una provvisoria conclusione propositiva.
Ieri un articolo de l’Unione Sarda ha riferito della tesi circolata in ambienti politici secondo cui il Presidente della Regione sarda sarebbe componente “di diritto” del Consiglio regionale, ma distinto, originariamente quasi estraneo ai componenti eletti, il che non solo lo escluderebbe dall’applicazione della normativa sulla trasparenza delle spese elettorali e dalla connessa eventuale sanzione della decadenza, ma addirittura renderebbe la Giunta delle elezioni del Consiglio regionale incompetente a trattare la materia per il Consiglio stesso.
Mi viene segnalato che il fondamento di tale tesi è sostenuto dal Professor Giovanni Coinu, dell’Università di Cagliari, nell’intervista pubblicata oggi dal medesimo quotidiano, di cui allego il testo.
Non trovo fondate le argomentazioni sostenute nell’intervista, nè peraltro mi sembra che sarebbero risolutive.
La decisione (in realtà un’ordinanza) della Corte Costituzionale cui Coinu fa riferimento credo sia questa:
https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2013:31
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Come si potrà evincerne attiene a una legge regionale statutaria del Veneto approvata in applicazione della normativa statale sul numero dei consiglieri delle Regioni ordinarie.
L’ordinanza accerta la legittimità costituzionale della richiamata legge regionale, in quanto conforme alle norme statali secondo le quali il numero non può essere superiore al limite massimo consentito dalla normativa medesima, “anche aggiungendo il Presidente della Giunta regionale e il primo non eletto”.
Sennonché il numero dei consiglieri regionali della Sardegna non è opzionale ed è fissato con legge costituzionale (sessanta, come da ultimo stabilito dalla L.C. 7 febbraio 2013, n. 3).
Non solo. Ma la norma transitoria contenuta nell’articolo 3, comma 3, della legge costituzionale n. 2 del 31 gennaio 2001, recante la disciplina da applicarsi fino a quando la materia non sia disciplinata dalla legge statutaria regionale sarda, stabilisce espressamente che in quel numero è compreso il Presidente eletto, il quale “fa parte del Consiglio regionale”.
La legge regionale statutaria n. 1 del 2013 ripete il concetto, stabilendo all’articolo 1, comma 5, che “Il Presidente della Regione e il candidato alla carica di Presidente della Regione che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore fanno parte del Consiglio regionale.”.
A mio avviso è abbastanza chiaro che il sistema disciplinato dalla legge elettorale statutaria sarda prevede che i consiglieri regionali vengano eletti in un unico turno, ancorchè con distinte individuazioni sulla medesima scheda elettorale e, ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto speciale, con la medesima procedura complessiva, ma riservando uno, anzi due seggi al Presidente eletto e a quello che sia arrivato secondo e i restanti agli eletti non candidati alla Presidenza.
Non si tratta tuttavia di elezioni distinte, ma di un’unica elezione, nella quale dalla vittoria di uno dei candidati presidenziali dipende la ripartizione dei seggi tra le coalizioni e alla quale si applicano, per il richiamo dell’articolo 22 della legge elettorale statutaria, le medesime norme generali.
Ora, io penso che leggeremo molte altre ingegnose interpretazioni delle norme di legge.
Finiremo per stremarci a commentarle tutte.
Il problema è come pervenire a una conclusione, anzitutto determinando chi debba decidere.
Se fossi un economista, anziché discettare di diritto, mi porrei il problema del costo di un trascinamento eccessivo della decisione su una questione che investe quantomeno l’ordinato funzionamento delle istituzioni.
Da giurista mi metterei parimenti il problema dell’economia dei mezzi più opportuna per sciogliere la controversia.
Da analista politico osservo che il clima generale induce a ritenere che non vi sia una spinta di opinione favorevole a una dichiarazione di decadenza della Presidente dalla quale conseguirebbe lo scioglimento del Consiglio regionale.
Per ovvie ragioni non lo vogliono quanti sostengono lo schieramento che ha vinto le elezioni.
C’è da dubitare fondatamente che vogliano tornare a casa i consiglieri delle opposizioni e che della medesima opinione siano i loro stessi partiti, al di là delle loro contestazioni politiche sulla situazione venutasi a creare.
Nemmeno le minoranze rimaste escluse per effetto del risultato prodotto dalle clausole di sbarramento della legge elettorale sarda auspicano un repentino ritorno alle urne senza che sia modificata la medesima legge possibilmente in senso strettamente proporzionale.
L’opinione pubblica prevalente, mi pare, a ragione o a torto non è indotta a ritenere così gravi le irregolarità emerse dall’accertamento del Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’appello.
A questo punto resta da stabilire chi debba prendere una decisione.
A me pare indiscutibile che debba essere il Consiglio regionale.
Prenda dunque il Consiglio regionale il necessario coraggio, non cerchi escamotages per sottrarsi alla propria funzione generale e specifica, decida di non considerare convincente oltre ogni legittimo dubbio e perciò non vincolante l’accertamento del Collegio di garanzia e confermi la legittimità dell’elezione della Presidente Todde.
Questa decisione non potrebbe essere interdetta dal Governo ai termini dell’articolo 50 dello Statuto, in quanto l’esercizio motivato di un potere legittimo esclude la “grave violazione di legge”.
Potrebbe essere impugnata da legittimi controinteressati con gli ordinari strumenti del ricorso giurisdizionale (così anche per gli avvocati ci sarebbe un’opportunità di farsi valere nelle sedi appropriate).
Saremmo pur sempre nell’alveo dell’ordinarietà giuridica, con tutte le conseguenti garanzie di contemperamento degli interessi.
Che ne dite, amiche e amici che mi avete letto, di questo “lodo”?
@mettere in evidenza
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