Kalaris… prima: indagando sulla nostra preistoria

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La Grotta del Bagno Penale, scrigno di una preistoria cagliaritana ancora tutta da scoprireel

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Sul promontorio di Sant’Elia è attestata una frequentazione senza soluzione di continuità tra il VI e il I millennio a. C. da parte di comunità paleosarde dedite alla caccia, alla pesca lungo la costa, negli stagni e alla foce dei fiumi, all’agricoltura nel fertile entroterra campidanese, al commercio dell’industria litica, ceramica e poi metallurgica.

In questo vastissimo territorio, sfuggito all’urbanizzazione per via dei vincoli militari, si individuano fasi di occupazione preistorica e protostorica con tracce dei primi nuclei antropici rappresentate da fondi di capanne di stazioni all’aperto, domus de janas ed un’infinità di grotte e ripari sotto roccia, dove le abitazioni dei vivi coesistevano con quelle dei morti.

Negli ultimi due anni ho avuto modo di esplorare ogni metro quadrato di superficie a tutte le quote dei colli di Sant’Elia e Sant’Ignazio, ad eccezione naturalmente delle inaccessibili pertinenze militari lambite da alti muri con filo spinato.

È su uno di questi colli che ho recentemente potuto individuare tra la fitta boscaglia un sito di grande rilevanza culturale, di cui esiste un minimo di letteratura archeologica, anche se non supportata da scavi stratigrafici e indagini tecniche.

Eviterò di fornirne la geolocalizzazione per ovviare a possibili alterazioni di un luogo che andrebbe preservato ed indagato a fondo, esattamente come tutte le emergenze che lo lambiscono.

766245c7-489d-4f25-8939-c071c3ad181cSi tratta di una cavità carsica naturale ricca di fossili marini, nota agli addetti ai lavori come Grotta del Bagno Penale. È costituita da un ambiente a pianta oblunga che si estende per una decina di metri ed ha una larghezza che varia dai 3 ai 5 metri, con un ingresso orientato e la volta del soffitto parzialmente crollata. La grotta è collegata ad una quota ribassata con una sorta di riparo caratterizzato da tracce di ocra rossa ed un ingresso rivolto a meridione di cui residua una soglia ricavata nella roccia calcarea.

Il sito veniva indagato per la prima volta da Antonio Taramelli nel 1903. Lo studioso all’epoca individuava lembi archeologici di tipo insediativo e funerario in cui affioravano resti scheletrici di più individui e frammenti ceramici.

img_3833 Il reperto più significativo, oggi visibile al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, è rappresentato da un vasetto globulare biansato a collo cilindrico decorato con punti impressi raffiguranti motivi ad arco, triangolo, scacchiera e festone riconducibili alla facies culturale Bonu Ighinu del Neolitico medio (prima metà del IV millennio a. C.).

Successivi sopralluoghi e rinettamenti effettuati da Enrico Atzeni tra gli anni ’50 e ’70 portavano alla luce microliti geometrici in ossidiana e armature di freccia appartenenti al medesimo ambito culturale del medio Neolitico e riferibili alla presenza di un’industria litica attestata anche presso la stazione con fondi capanne dell’Hotel Calamosca e la spiaggia fossile di Is Mesas. Frammenti fittili di cultura Bonnannaro documentavano la frequentazione del sito anche durante il Bronzo antico (prima metà del II millennio a. C.), mentre resti di ceramiche nuragiche caratterizzate da grossi orli a spigolo e decorazioni geometriche rimandavano al Bronzo medio-recente e alla prima Età del Ferro (1500-500 a. C.).

Atzeni rilevava anche la presenza di segni simbolici scolpiti e dipinti sulle pareti di roccia della grotta verosimilmente connessi ad antichi rituali magico-religiosi, che facevano ipotizzare un uso cultuale del luogo, accanto a quello abitativo e funerario. Si tratta di una superficie rincassata di 1,5 metri per 1,15 martellinata con scalpello litico al centro della cavità, solcata da una canaletta di 10 cm di larghezza. Dipinti schematici in ocra rossa vicini all’ingresso ad arco attendono adeguate indagini tecniche; Atzeni non escludeva che potessero rimandare ai pittogrammi di tipo pettiniforme o sub-antropomorfo documentati diffusamente nell’isola, come quelli dell’anfratto di Luzzanas ad Ozieri, della fine del IV millennio a. C..

Risulta plausibile l’ipotesi dell’esistenza sul promontorio di Sant’Elia di un polo cultuale-religioso rupestre extra urbano già in epoca protostorica. Di fatto, i rinvenimenti archeologici attestano diffusamente fasi d’uso dal Neolitico antico all’età nuragica: ben prima, cioè, della funzione di sacralizzazione del paesaggio testimoniata in epoca storica durante le fasi di frequentazione punica e romana del sito.

Sarebbe auspicabile che la Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Cagliari e Oristano, quale ente competente per la tutela, indagasse finalmente con gli strumenti e le metodologie odierne il sito e le immediate adiacenze, dove ho personalmente avuto modo di individuare numerose grotticelle, ripari sotto roccia e tombe.

Si potrebbero scrivere nuove e preziose pagine di storia, o meglio di preistoria: lo dobbiamo a noi stessi e alle generazioni che verranno.
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