Chiesa
Oggi domenica 4 maggio 2025 – Rientro di Sant’Efisio a Stampace
Ricordo di Enrico Berlinguer a Cagliari e Carbonia
4 Maggio 2025 su Democraziaoggi
Paola Atzeni – La Provincìa
I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer – Cagliari 5 aprile – 31 maggio 2025. Una mostra che non vuole finire –
La mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer”, che si svolge attualmente a Cagliari, richiama tra l’altro il legame tra Berlinguer e la Sardegna.
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Aldo Moro prima del “caso Moro”: presentazione volume
Aldo Moro prima del “caso Moro”: presentazione volume [PFTS] Un ritratto inedito e a volte sorprendente del politico e statista Aldo Moro: è questo quello che emerge dalle pagine del nuovo libro di Angelo Picariello, giornalista di “Avvenire”, che ha raccolto testimonianze di prima mano per raccontare l’uomo Moro prima delle vicende ben note del rapimento. Il volume di Picariello, intitolato “Liberiamo Moro dal caso Moro. L’eredità di un grande statista” (Edizioni San Paolo 2025), sarà presentato lunedì 5 maggio 2025, alle 18, nell’aula magna della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna.
Dopo i saluti introduttivi di Mons. Mario Farci, vescovo di Iglesias e preside della Facoltà Teologica, e di Mario Girau, presidente del Meic, dialogheranno con l’autore: lo storico dell’Università di Cagliari Luca Lecis, il giornalista Franco Siddi e il sindaco di Iglesias Mauro Usai.
Modererà l’incontro Cristiano Erriu del Centro studi Aldo Moro.
Il volume ripercorre l’intera vita di Moro e, capitolo dopo capitolo, ne ricostruisce le diverse tappe: dall’Assemblea costituente all’attività parlamentare, dall’insegnamento all’attività scientifica, dalla vita familiare all’amicizia con Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI. Dalle pagine di Picariello emerge un docente universitario interessatissimo a dialogare e ascoltare i suoi studenti, tanto da uscire a cena con loro. Il contatto con l’insegnamento, che Moro non lascerà mai, nemmeno durante i suoi incarichi ministeriali, lo portò a una grande attenzione al mondo giovanile e a una curiosità per i movimenti che nascevano negli anni Settanta, anche in campo cattolico.
Oggi giovedì 1 maggio 2025 – Per il lavoro e i lavoratori – Sa bissida de Efis
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Il “caso Regno Unito” arriva alla Cedu: giudice trans ricorre contro la definizione legale di donna
30 Aprile 2025 su Democraziaoggi
Per l’ex magistrata Victoria McCloud, la sentenza della Corte Suprema britannica viola il diritto a un giusto processo: la Suprema Corte britannica le aveva negato l’accesso alla causa sollevata dalle femministe scozzesi
Francesca Spasiano – Il Dubbio
C’era da aspettarsi che la parola dei giudici inglesi sulla definizione legale di donna non sarebbe stata l’ultima. E […]
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Chi ha dipinto il quadro del manifesto della Festa di S.Efisio? A domanda rispondiamo
Questo è il manifesto ufficiale della Festa di Sant’Efisio, edizione 2025, a cura dell’Arciconfraternita del Gonfalone.
Ci è stato chiesto chi è il pittore che ha dipinto il quadro e dove lo stesso si trovi.
Attraverso una piccola indagine abbiamo trovato le informazioni sul volume di Storia dell’Arte in Sardegna, Editrice Ilisso per il Banco di Sardegna. Il pittore è Tommaso De Belly (1820 – ?)
Altre informazioni: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/2000046512
(1997)
Sa die de sa Sardigna – Le 5 domande. L’intervento del direttore
Le 5 domande dei Sardi
Intervento del direttore di Aladinpensiero online Franco Meloni.
Agli uomini e alle donne delle istituzioni, dello Stato, della Regione e dei Comuni. Ma anche a noi stessi. A tutta la comunità dei Sardi. Custa, populos, est s’ora….
di Franco Meloni
Innanzitutto mi rammarico che quest’anno non sia stato possibile celebrare la Santa Messa nella ricorrenza de Sa Die. Per me è molto importante che la coesione del popolo sardo abbia una componente spirituale, che la Messa rappresenta e consente, a maggior ragione se la celebrazione viene fatta in lingua sarda, per tutte le parti liturgiche. Ma, come sempre, con la benedetta eccezione dell’anno 2022, ci saremo accontentati del mix tra italiano e sardo, con i meravigliosi cori di accompagnamento in sardo. In attesa di tempi migliori, che pur stiamo preparando. La celebrazione della Messa, così come le manifestazioni della religiosità popolare, ha sempre coinvolto anche i non credenti, stante il fatto che sempre si creano momenti di condivisione spirituale, che fanno bene a tutti, contribuendo all’amalgama del popolo sardo. Proprio di autentico spirito di unità ha bisogno innanzitutto il popolo sardo.
Las tres enseñanzas del papa Francisco
di Luigi Ferrajoli
Ningún otro Pontífice había vuelto a proponer con
semejante ímpetu, lucidez y pasión el mensaje
evangélico
LUIGI FERRAJOLI. 25 ABR 2025
En estos tiempos oscuros y tristes, nadie como el papa Francisco ha encarnado la conciencia moral e intelectual de toda la humanidad. Antes de él, ningún otro Papa había vuelto a proponer con semejante ímpetu, lucidez y pasión el mensaje evangélico, denunciando todos los grandes desafíos y catástrofes de los que depende el futuro de la humanidad: las terribles y crecientes desigualdades globales y sociales, el horror de las guerras, las agresiones que un capitalismo salvaje y depredador acarrean a nuestro ambiente natural.
Oggi sabato 26 aprile 2025
Gaza, lo scandalo del genocidio in diretta
25 Aprile 2025 su Democraziaoggi
Coordinamento per la Democrazia costituzionale
Da quando Israele ha interrotto unilateralmente la tregua, il 18 marzo, lanciando una nuova micidiale offensiva militare denominata “forze e spada”, la popolazione della Striscia di Gaza è stata nuovamente sottoposta ad atti inconcepibili di brutalità. Ai massacri indiscriminati, si è aggiunto il blocco delle forniture di cibo, acqua, carburante […].
In morte di un papa venuto da lontano
Cari amici,
Gli eventi di questi giorni, intorno alla morte e ai funerali di papa Francesco, ci inducono non solo al compianto, al ricordo, al dolore, ma anche al pensiero: che significa tutto questo? La parola più frequentata nei giornali e nei media italiani è “ipocrisia”. Data la sua ricorrenza, deve avere una sua verità. Intanto può significare l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Ma già così sarebbe una cosa positiva, perché vuol dire attestare che la virtù è superiore al vizio, così come la realtà, diceva papa Francesco, è superiore all’idea.
Ma forse c’è anche qualcosa di più. Ed è che il consenso che si è scatenato attorno a papa Francesco, come è successo con papa Giovanni XXIII, non è finto, è reale. Ed è certamente vero che non tutto papa Francesco piace a tutti, ma ognuno, come si dice per diagnosticare l’ipocrisia, ne prende un pezzo, chi la pace, chi il no all’aborto, chi l’ortodossia, chi i migranti, chi la Madonna, chi Gaza, chi l’amore per “i fratelli ebrei”; solo Netanyahu non prende niente e ci tiene a farlo sapere. Però, al di là dei singoli pezzi, è la figura complessiva di papa Francesco che colpisce ed è arrivata al cuore delle masse o, per dirla in modo più tecnico, ad essere elogiato è stato il suo magistero globale, quel tutto, quella costante che c’è in ogni singolo “pezzo”. Questo tutto, e non potrebbe non esserlo, è stato il farsi testimone di Dio e, più ancora l’annuncio del regno di Dio che viene, e ancora di più, il modo e i contenuti inediti di questo annuncio.
E come mai questo annuncio nuovo suscita tanto consenso in un mondo secolarizzato, ateo, o post-teista, come pure ci piace chiamarlo? Come mai ne sono stati altrettanto toccati i pacifisti, i democratici, le donne in nero e quelli e quelle che mandano le armi perché uccidano e siano uccisi?
La domanda rimette in gioco la secolarizzazione, cioè quella che diciamo essere la modernità. È proprio vero, come dicono i sociologi, e i custodi del tempio, che Dio è stato perduto, che la secolarizzazione ha vinto e che i fiumi di folla sono, come li si chiama irrispettosamente in negativo, di “non credenti” e perciò, se partecipi e devoti, ipocriti? La Chiesa ha sempre pensato, e papa Francesco più di tutti, che non è il mondo clericale o il clero, da solo, ad autenticare la fede, ma il popolo, o meglio clero e popolo insieme, il “popolo di Dio”, che non è solo quello raccolto nella Chiesa cattolica, ma “Todos”, come diceva papa Francesco, anche in latino: “Fratres omnes”.
Dunque, ciò vuol dire che il popolo di Dio, forse senza saperlo, non ha perduto Dio, comunque gli creda. E allora forse si deve una riparazione alla modernità, prenderla per quello che veramente dice di essere, non per quello che noi diciamo che sia, non il “secolo” dove Dio non c’è, come di fatto la consideriamo, ma il luogo e il tempo di una convenzione: “facciamo e pensiamo come se Dio non ci fosse e non si occupasse dell’umanità”, secondo la nota formula seicentesca, che la proponeva come una finzione. E dunque lo diciamo “come se”, non perché “così è”. Facciamo l’ipotesi che Dio non ci sia, e ignoriamo l’ipotesi esclusa, ma nel sottotesto in molti consideriamo che, anche in modo a noi ignoto, egli ci sia, e che il suo regno possa arrivare davvero.
Allora vale la seconda alternativa avanzata in un articolo molto bello scritto da un filosofo “non credente”, Sergio Labate, In morte di un papa venuto da lontano: papa Francesco è stato l’ultimo argine «che frena l’inevitabile fine del mondo», oppure è stato il potere che spera, ancora e nonostante tutto, che «l’umanità, persino nella secolarizzazione, può non sentirsi orfana, affidarsi alla fraternità, non cedere al cinismo e alla disperazione, trovare un modo per non farsi la guerra»? «Modernità e cristianesimo». Cioè non una fine, ma un nuovo inizio.
Nel sito “PRIMA LORO” e sotto pubblichiamo l’articolo di Sergio Labate.
Con i più cordiali saluti,
da “Prima Loro” (Raniero La Valle).
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CHE ABBIA RAGIONE LUI?
In morte di un Papa venuto da lontano
Aprile 25, 2025
Prendere sul serio la speranza in un’umanità che può affidarsi alla fraternità, non cedere al cinismo e alla disperazione, non farsi la guerra.
Sergio Labate
È strano – o forse non lo è per nulla – come a poche ore dalla sua morte, Papa Francesco sia stato immediatamente riportato dentro la maschera che suo malgrado indossava. Dentro le mura, non più fuori nel mondo. Invertendo subitaneamente un movimento che aveva scelto e che ha stupito tutti fin dall’inizio, una forma di spazientita rivendicazione del suo essere soprattutto un uomo di fede. Un uomo, tra gli altri e nel mondo. Senza i lussi, senza la regalità di un sovrano che vive e che, alla fine, addirittura muore. Adesso sono tutti d’accordo con lui, adesso che non può più spazientirsi e possiamo normalizzare le cose. È morto il pontefice, il sovrano.
Era un uomo di fede. Se c’è qualcosa che mi colpisce delle nostre società post-secolari è proprio la scarsità di veri uomini di fede. Ci sono tanti atei devoti, altrettanti uomini “religiosi”. Ma di uomini che siano illuminati e rasserenati dalla loro fede, ne conosco sempre meno. Non so nemmeno più dove cercarli, se non in qualche silenzioso monastero o in qualche tumultuosa missione. Perché ricordo questa cosa? Perché è per rispetto alla luminosità della sua fede che stasera non riesco a non coltivare anche un sorriso. Da non credente, sento che vale la pena dare credito alla sua fede, molto più che alla mia incredulità. Noi scettici, in fondo speriamo che abbia ragione lui. E che dentro la morte, si possa fare esperienza della grazia. La grazia, un’altra categoria teologica che noi umani increduli non sappiamo maneggiare, non sappiamo che farcene. Eppure in questi anni spesso ho pensato – vergognandomene anche un po’ – che il suo venire inaspettato e quasi dalla fine del mondo, portando la Chiesa cattolica dall’essere sentinella della conservazione a essere avanguardia delle rivendicazioni progressiste non potesse che dirsi nei termini della grazia. Nulla nella storia della Chiesa faceva pensare a un pontefice in grado di assumere con chiarezza posizioni sociali e politiche così radicali. Un pontefice in grado di “dire la verità” al mondo su se stesso. E questo suo dire la verità si scontrava con la storia, col suo procedere imperterrita verso il peggio, verso la demolizione di ogni pietà per gli oppressi dell’umano. Per i credenti è stato semplice trovare un principio di causalità nello Spirito Santo. Ma noi increduli ci siamo trovati un alleato, senza capire il perché e senza che nessuna dialettica della storia potesse in qualche maniera spiegarcelo.
Certo, questa alleanza politica e sociale ha convissuto con una ferma ostilità d’ordine morale. Al di là delle aperture alle persone e al rispetto per la loro dignità, Papa Francesco ha mantenuto il punto quanto alle scelte su aborto, omosessualità, matrimonio, uguaglianza di genere; è stato per certi versi riluttante sullo scandalo della pedofilia dei sacerdoti; ha fatto poco per democratizzare le istituzioni ecclesiali e per disintossicare la gestione del potere da un patriarcato angusto e inaccessibile. Ma tutto ciò in fondo ci ha anche rassicurato circa le sue intenzioni: non era una spia che cercava di impossessarsi di battaglie della sinistra per avocarle a sé, per strumentalizzarle. La sua sincerità era garantita anche dalla sua estraneità, che in fondo aveva anche dei tratti fisiologici. Abbiamo combattuto le stesse battaglie, ma non c’è stato bisogno né che lui si presentasse né che noi lo riconoscessimo in modo diverso da ciò che era realmente, un uomo di fede.
Altri più esperti di me chiariranno la genealogia del suo progressismo. Bergoglio apparteneva alla teologia popolare, una corrente che in America Latina nacque quasi per arginare il successo della teologia della liberazione. Non per contestarlo, ma per integrarlo. Recuperandone le istanze più sociali e minimizzandone forse la radicalità teologica. Non un conflitto, ma una “correzione fraterna”. A cui dobbiamo probabilmente sia la sua prossimità con la sinistra sia la sua irriducibile differenziazione. Tutto ciò che abbiamo condiviso con lui, per lui in fondo non era altro che il Vangelo e non richiedeva alcuna correzione di rotta teologica, nessuna simpatia per Marx.
La maggior parte dei commentatori ricordano tre questioni su cui si è manifestata questa prossimità senza mimetizzazioni o sconti: ecologia, migrazione, guerra. E non c’è dubbio che queste questioni siano state da Papa Francesco valorizzate nel dramma di un mondo che prendeva sempre più coscienza che attorno a esse si stesse giocando la propria sopravvivenza e la propria umanizzazione. Ma lo spessore teologico di Francesco era tale da rivendicare per ciascuna di queste questioni una radicalità cristiana, niente affatto una semplificazione. Per fare solo un esempio: la Laudato si, pubblicata nel 2015, è un’enciclica papale che scommette di essere al contempo una meditazione teologica sul creato e una riflessione filosoficamente originale sulla responsabilità per la terra. Scommesse vinte entrambe. Allo stesso modo tutte le riflessioni, le aperture e gli appelli disperati sulle migrazioni erano al contempo meditazioni teologiche sull’accoglienza evangelica e riflessioni antropologiche sull’homo viator, sulla necessità dell’essere umano di viandare (e d’essere accolto in quanto tale). Per non parlare poi della guerra e della sua disperata e tenace insistenza di fronte alla regressione bellica degli ultimi anni.
Accanto a queste tre questioni ne aggiungerei anche un’altra: il pauperismo o, meglio, l’incrollabile e non formale preferenza per i poveri. Anche in questo caso, non è difficile rintracciare i riferimenti biografici e la fedeltà evangelica: le tragedie economiche della storia argentina da un lato, una teologia evangelica per cui la povertà è uno scandalo ma è anche il segno di una conversione spirituale, dell’uomo che vive concentrato sulle cose essenziali. Ma in quella scelta anche estetica c’era soprattutto un certo modo di fare i conti col potere, dunque con la Chiesa come istituzione di potere. Tutti ricordiamo lo stacco tra l’ostentazione liturgica di Ratzinger e l’umiltà delle forme di Bergoglio. Abbiamo riscoperto la dignità del povero perché abbiamo imparato la sua lezione per cui la povertà non è la mancanza di potere, ma il modo più umano e dignitoso di resistergli, soprattutto nel tempo del lusso sfrenato e dei super-capitalisti al potere.
Ma la vera novità – ciò che per certi versi continua a essere un mistero – è quella di esser stato contemporaneamente il Papa dei credenti (quasi tutti, non tutti) e anche di coloro che mai avrebbero sognato di aver bisogno di un Papa, dei non credenti. Di essere diventato l’unica figura di riferimento credibile non solo per coloro che ne riconoscevano il ruolo ecclesiale, ma anche per quelli che non potevano non riconoscerne la legittimità morale di unica voce che urlava nel deserto. Come è stato possibile tutto questo? Che proprio la massima autorità religiosa sia stata l’unico vessillo per chi credeva in un mondo più giusto senza la vigilanza di una fede? Le mie ipotesi di risposta sono due.
Oggi giovedì 24 aprile 2025
Su Kalaritanamedia.it .
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Referendum, così si difende la Costituzione. Anche nel nome di Alessandro Pace
23 Aprile 2025
Alfiero Grandi su Democraziaoggi
La morte di Alessandro Pace, preannunciata da una malattia insidiosa e terribile, suggerisce di unire il ricordo di una figura di intellettuale di grande valore con una riflessione politica su un tornate decisivo per la storia dell’Italia: il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Alessandro Pace era professore emerito di diritto costituzionale alla […]
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Papa Francesco
Cari Amici,
Su papa Francesco, come è ricordato da “Prima loro”, l’Unità di oggi 23 aprile ha chiesto un’intervista a Raniero La Valle, che qui vi trasmettiamo:
1) C’è qualche ricordo personale che le è tornato alla mente pensando a Francesco?
– C’è un ricordo che è legato a una cosa che mi è successa una sola volta nella vita: una Messa interrotta a metà, come se fosse successo qualcosa di più importante di quella. Eravamo nella chiesa di san Gregorio al Celio insieme ad altre persone care per una Messa nel trigesimo della morte di mia sorella Fausta. E a un certo punto irruppe un monaco camaldolese dicendo: “Hanno eletto il Papa! Hanno eletto il Papa!”, ma ancora non se ne sapeva il nome. Allora lasciammo tutti l’altare e ci precipitammo alla Televisione per sapere chi fosse. Ed era Bergoglio. E la cosa che mi colpì non fu il “Buonasera!”, ma il fatto che non avesse la mozzetta rossa, la mantellina purpurea che i Papi portavano dopo l’elezione e nelle occasioni più solenni. La mozzetta rossa era il manto regale che gli Imperatori indossavano e che da Costantino era arrivata fino all’ultimo papa. Poi ho saputo (ma non ho potuto averne conferma) che quando Bergoglio dalla cappella Sistina era andato alla Loggia delle Benedizioni che si affaccia su piazza san Pietro, e un prelato gli aveva presentato insieme all’abito bianco sulla sua misura la mozzetta imperiale, egli l’aveva respinta dicendo: “Il carnevale è finito”. E invece di salire idealmente sul trono, aveva chinato il capo davanti alla folla improvvisamente in silenzio, quasi a farsi dare l’investitura non più dai cardinali ma dal popolo di Dio. Il carnevale era già finito, quanto alla sedia gestatoria, fin da papa Giovanni XXIII, che l’aveva demitizzata dicendo che gli ricordava quando da bambino era portato sulle spalle dello zio a Sotto il Monte; e quanto al Triregno (una corona, tre Regni!) esso era stato abbandonato da Paolo VI che, ricevutolo in dono dalla sua diocesi di Milano, lo regalò (o lo vendette) alla Chiesa americana perché ne distribuisse il ricavato ai poveri o per le missioni.
Ma queste rinunzie dovevano raccontare una storia ben più importante che papa Francesco ha poi rivelato solennemente alla Curia, alla Chiesa e al mondo: “Non siamo più nel regime di cristianità, non più!”.
La cristianità è “quel processo avviato con Costantino in cui – per dirla con la Civiltà cattolica – si attua un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”; un processo che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena. E si può dire, con padre Antonio Spadaro, che “la missione di Carlo Magno è finita”, e che la proclamazione finale di questa uscita dal regime costantiniano c’è stata nel maggio 2016 quando papa Francesco, ricevendo a Roma il Premio Carlo Magno, che di quel sacro romano impero aveva ricevuto la corona in san Pietro dal Papa, con i leaders europei che ne celebravano il vanto l’ha rimandata al mittente per restituirla all’Europa, cioè ai popoli che ne sono gli unici titolari.
2) Cosa ha differenziato Francesco dai suoi predecessori più immediati?
– Naturalmente, all’ingrosso, si può dire “nulla”. Perché lo stesso è, per tutti i papi, il Vangelo del mistero cristiano. Però, nel suo annuncio, si può dire “tutto”: già papa Giovanni, prima di morire aveva consacrato il cambiamento, dicendo che “non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Rispetto ai suoi ultimi predecessori si può dire che essi sono stati come una parentesi tra Giovanni XXIII e lui, tra la conclusione del Concilio vaticano II e la sua effettiva ripresa cinquant’anni dopo col Giubileo della misericordia indetto da papa Francesco e cominciato nella data simbolica dell’8 dicembre 2015, corrispondente a quella della chiusura del Concilio. Si può dire infatti che il rinnovamento radicale, non solo della Chiesa ma della sua teologia, inaugurato dal Concilio Vaticano II sia stato ripreso col suo pontificato. Lo stesso Paolo VI che lo aveva riconvocato dopo la morte di papa Giovanni, ne fu poi spaventato, fino a dire che dopo il Concilio fosse “da qualche fessura entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Anche papa Ratzinger ci tenne a dire che il Vaticano II doveva essere interpretato secondo “l’ermeneutica della continuità”, contro quella della “discontinuità e della rottura”; due ermeneutiche contrarie che “si erano trovate a confronto e che avevano litigato tra loro”, quest’ultima portando confusione nei mass media e anche in una parte della stessa teologia. Quanto a papa Wojtyla, aveva cercato di riciclare il carisma del Concilio nella spettacolarità del suo pontificato.
3) Quali sono stati i tratti più significativi del pontificato di Jorge Bergoglio e cosa lascia a chi è credente e anche ai tantissimi non credenti che hanno visto in lui un punto di riferimento ideale come pochi altri al mondo?
– A questo punto si può rispondere sull’eredità che ci ha lasciato. Non è un’eredità, pur molto celebrata, è una donazione, rimasta nascosta o fraintesa per duemila anni e ora consegnata alle nuove generazioni per sempre: la Chiesa è di tutti e per tutti, “para todos, todos!” ha ripetuto con tutta la sua voce e tutta la sua fede alle folle non abituate a crederlo. E “Todos” vuol dire non solo gli ultimi, i poveri, gli scartati, i migranti, i malati, gli anziani, i nonni, le donne e i bambini (soprattutto quelli che hanno perso il sorriso). Non solo i comprati e venduti, ossia gli alienati sul mercato del capitalismo selvaggio, e gli spogliati, gli omosessuali, i divorziati risposati. “Todos” vuol dire quelli che finora non erano ritenuti appartenenti al popolo di Dio, perché non entrati nella Chiesa attraverso la porta del battesimo, anche se “uomini di buona volontà” che, parola di sant’Agostino, si perdono perché “extra Ecclesiam nulla salus”, fuori della Chiesa non c’è salvezza. “Todos” vuol dire non solo le donne cattoliche finalmente ammesse dalla Congregazione del Culto Divino a farsi lavare i piedi nei riti del Giovedì Santo non meno degli uomini cattolici; nel 2013, da poco eletto, nel carcere minorile di Casal del Marmo papa Francesco lavò i piedi a 12 giovani detenuti anche musulmani o non credenti, e alla laica operatrice umanitaria: tutti membri del popolo di Dio. “Fratres omnes”. E ad Abu Dhabi, insieme al grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb firmò Il documento che qualifica non come errori, ma come “una sapiente volontà divina”, con la quale Dio ha creato gli esseri umani, “il pluralismo e le diversità di religione” insieme a quelle “di colore, di sesso, di razza e di lingua”.
Tutti, dunque: ma per quale salvezza? Solo per la vita presente, non oltre? Qui c’è una risposta di Francesco non suffragata dal dogma, ma “una cosa mia personale: io amo pensare che l’inferno sia vuoto, spero sia realtà”. Vuoto? E allora dov’è la retribuzione? Dov’è il Dies Irae? Dov’è la Cappella Sistina? La verità che sta sopra a tutte è che Dio è solo misericordia, un Dio che non fosse misericordioso non sarebbe neanche un Dio, ama tutti, “arriva prima”, “primerea”, come dice l’argentino con un neologismo spagnolo, prima ancora del nostro peccato, prima ancora che noi lo invochiamo. Questo è il regalo. Allora forse sì, nell’Inferno c’erano i Conti Ugolino, e i Papi, e gli amanti, come canta Dante, ma ecco che ora c’è un Papa sceso dalla cattedra, un successore di Pietro a cui secondo il Vangelo Gesù aveva detto che quello che avrebbe sciolto sulla terra sarebbe stato sciolto anche in cielo, il quale pensa che l’inferno sia vuoto; e se il Figlio di Dio mantiene le sue promesse, forse lo è ora davvero perché così l’ha pensato il discepolo che ha molto amato “todos”, come lui.
4) Per le sue prese di posizione contro il riarmo, le guerre, in ultimo a denuncia della disperata tragedia di Gaza e del popolo palestinese, Francesco è stato accusato delle peggior cose: amico di Putin, veteropacifista, terzomondista, addirittura antisemita…
– Non è stato un Papa neutrale. Paolo Vi pensava che la Chiesa dovesse essere neutrale tra gli Stati Uniti e i Vietcong, e per questo si rifiutò di condannare i bombardamenti americani sul Vietnam del Nord, come molta Chiesa, e anche l’arcivescovo Lercaro e l’ “Avvenire d’Italia”, gli chiedevano di fare. Quando tanti anni dopo papa Francesco è andato in visita a Bologna, ha citato ciò che allora aveva sostenuto quella Chiesa, e ha ripetuto, con essa, che “la via della Chiesa non è la neutralità, ma la profezia”.
Guerra e pace, diritto e fame, Ucraina e Gaza, Sudan e Myanmar, economia ed ecologia, guerra mondiale a pezzi e sua trasformazione ormai in un “vero e proprio conflitto globale”: su questo è stato detto molto, in questi giorni, Maurizio Acerbo ha scritto che “sopra ogni cosa sarà ricordato come il papa pacifista che non ha avuto paura di usare la parola genocidio su Gaza”; non si tratta perciò di riprendere l’analisi qua. Si può forse dire tutto in una sola riga, la parola detta alla fine della sua vita, dal Policlinico Gemelli: “Da qui la guerra appare ancora più assurda”.
5) Sul piano strettamente ecclesiale, quanto Bergoglio è riuscito realmente a riformare la Chiesa?
– E se questa non è una riforma della Chiesa, che cos’è? Non un’eredità, un dono.
(Intervista di Umberto De Giovannangeli a Raniero La Valle)
Con i più cordiali saluti,
da PRIMA LORO.
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Gli insegnamenti di una voce rivoluzionaria
22/04/2025
(Da “Il Manifesto” del 22/04/2025) – Ai capi di Stato e di governo che oggi lo celebrano vanno ricordate le sue parole dell’ultima benedizione ’urbi et orbi’: «Nessuna pace è possibile senza il disarmo». Per Francesco i migranti sono oggi le vittime delle nostre ’strategie’ che hanno diviso in due l’umanità: chi viaggia libero e…
di Luigi Ferrajoli
Papa Francesco ha impersonato, in questi tempi bui e tristi, la coscienza morale e intellettuale dell’intera umanità. Non è esistito, prima di lui, un altro Papa che con altrettanta forza, lucidità e passione abbia riproposto il messaggio evangelico. Denunciando tutte le grandi sfide e catastrofi dalle quali dipende il futuro dell’umanità: le terribili e crescenti disuguaglianze globali e sociali, l’orrore delle guerre, le aggressioni che un capitalismo selvaggio e predatorio sta recando al nostro ambiente naturale.
INNANZITUTTO le disuguaglianze. Nella sua enciclica Fratelli tutti del 3 ottobre 2020, Papa Francesco ha richiamato i valori della fraternità universale, della solidarietà e dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani, violentemente lesi dalla crescita esponenziale delle grandi ricchezze e delle sterminate povertà.
È nella figura dei migranti che Francesco ha identificato le vittime oggi più emblematiche delle nostre politiche disumane, che hanno diviso in due il genere umano: un’umanità che viaggia liberamente nel mondo, per turismo o per affari, e un’altra umanità, dei sommersi e degli esclusi, costretti dalla fame o dalle guerre a terribili odissee, fino a rischiare la vita per arrivare nei nostri paesi dove sono destinati a detenzioni illegittime o a sfruttamenti razzisti come non-persone.
È una vergogna che Papa Francesco non si è mai stancato di denunciare. La visita a Lampedusa nel luglio 2013, con la quale egli inaugurò il suo pontificato, fu un atto d’accusa nei confronti dei nostri governi che, come disse nella sua omelia, trasformano «una via di speranza» in «una via di morte». E fu anche una severa condanna della «globalizzazione dell’indifferenza, che ci ha tolto la capacità di piangere».
IN SECONDO LUOGO le guerre, con il loro «potere distruttivo incontrollabile che colpisce», egli scrisse in Fratelli tutti, soprattutto «civili innocenti». «Ogni guerra – aggiunse – è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male».
Ai capi di stato e di governo che celebrano oggi la sua scomparsa, vanno ricordate le sue ultime parole, pronunciate ieri nella benedizione urbi et orbi: «Nessuna pace è possibile senza il disarmo». È questa, infatti, la sola garanzia della pace. Senza le armi le guerre sarebbero impossibili, cesserebbe la potenza delle organizzazioni criminali e crollerebbe il mezzo milione di omicidi ogni anno nel mondo.
Ricordo perciò con commozione il messaggio che Papa Francesco inviò al convegno contro le guerre, promosso dalla nostra Costituente Terra il 23 maggio dell’anno scorso. In esso egli affermò che il principio della pace, enunciato in tante carte internazionali, «serve realmente nella misura in cui è effettivo e produce cambiamenti nella realtà del mondo» quali sarebbero, appunto, la messa al bando della produzione e del commercio di tutte le armi, lo scioglimento delle attuali imprese produttrici di morte, in breve il disarmo globale e totale.
Esprimendo il suo apprezzamento per il “progetto di una Costituzione della Terra”, Papa Francesco ci scrisse, sul disarmo e le garanzie dei diritti umani, che “nessuno può sentirsi estraneo a ciò che succede nella nostra casa comune. È qui che il diritto deve attuarsi e rendersi effettivo, differenziandosi dalle mere dichiarazioni di principio”.
INFINE LA QUESTIONE ecologica, alla quale è dedicata l’enciclica forse più bella e famosa di Papa Francesco, la Laudato si’ del 24 maggio 2015. “La sfida ambientale” è in essa concepita come un fattore di unificazione dell’umanità e la fonte di una «nuova solidarietà», giacché «le sue radici umane ci riguardano e ci toccano tutti».
Ma questa sfida è generata proprio dall’irresponsabile assenza di solidarietà: «Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia». Tutto questo, scrive Papa Francesco, è dovuto al fatto che «l’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a conseguenze negative per l’essere umano». Non solo.
«L’ENERGIA NUCLEARE, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso Dna e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene».
Al contrario, è lecito supporre che lo utilizzerà malissimo, se non altro, scrive ancora Francesco, per l’illusione dominante «di una crescita infinita o illimitata», la quale «suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a ‘spremerlo’ fino al limite e oltre il limite».
Oggi questa voce rivoluzionaria si è spenta, generando un dolore profondo tra credenti e non credenti e lasciando un vuoto enorme in tutto il mondo dei difensori dei diritti umani, della pace e della natura. Ma i suoi insegnamenti sono per tutti un’eredità preziosa, e la loro difesa e la loro attuazione sono il miglior omaggio che potremo rendere alla sua memoria.
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I nomi dei buoi di Sant’Efisio: Non tinda agattasa Chi sesi cambiau
Giorni di tristezza per la morte dell’amato Papa Francesco.
Una nota di serenità ce la portano i miti buoi che trascineranno il cocchio di Sant’Efisio nei giorni della Sagra di maggio (1-4 maggio 2025). Di seguito per il reportage di Davide Loi la cerimonia di benedizione del giogo di buoi (i nomi: Non tinda agattasa Chi sesi cambiau).
https://www.facebook.com/davide.loi.5/videos/1607545469950610/?app=fbl