POLITICA
Oggi domenica 26 gennaio 2025
Che scellerati governanti! Ci stanno portando al disastro
26 Gennaio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Guardate questa foto: una fila di disgraziati che incatenati vengono imbarcati in un aereo USA per essere deportati chissà dove. “Promesso e fatto”, annuncia Trump, il presidente della più grande potenza del mondo, considerata da noi esempio di civiltà e democrazia. E ciò che è peggio, i media […]
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Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni
Ai Mittenti e Interlocutori della Lettera agli ebrei e delle Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Giovedì 23 gennaio 2025
CRIPTOFASCISMO PLANETARIO
Cari Amici,
l’Occidente che non è andato a Washington per l’inaugurazione di Trump ha passato lunedì, 20 gennaio, una giornata di sgomento e di incubo. Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. La democrazia, come sacro valore dell’Occidente, è in crisi, e addirittura, come hanno detto i primi sconsolati commenti seguiti alla festa di Capitol Hill, sarebbe finita. Non però per un destino, bensì per responsabilità e scelta di coloro stessi che oggi la rimpiangono. Quella che è finita è in realtà la democrazia ridotta a puro esercizio elettorale, non a caso disertato dai più, senza tutto quello che ci avevamo messo dentro noi nella nostra Costituzione, ciò per cui l’Italia dovrebbe essere un modello, altro che Salvini.
L’America paga il conto, e lo fa pagare a noi, delle scelte sbagliate che ha fatto dopo la caduta del muro di Berlino e l’attacco alle due Torri di New York. Inseguendo, come del resto fa da sempre, il mito dell’“America first”, – prima l’America – ha creduto che la sua sicurezza e la sua fortuna stessero nel dominio del mondo, nell’avere un’Armata quale non si era mai vista prima sulla Terra, e perfino nel disporsi alla guerra preventiva, perché “la migliore difesa è una buona offesa”. Questo era il diafano Biden, non a caso bersaglio del rigetto elettorale. Dava per ormai finita la Russia, e per questo le ha lanciato contro la povera Ucraina, e proclamava urbi et orbi (nei documenti sulla strategia nazionale americana) la competizione strategica e la sfida finale con la Cina, il solo avversario che avesse “sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Sicché Casa Bianca e Pentagono hanno messo nella spesa militare 800 miliardi di dollari all’anno, mentre la Russia ce ne mette 80, togliendo centinaia di miliardi di dollari all’anno al benessere del popolo americano. Dobbiamo a questo, come ha detto Bernie Sanders, l’eterno candidato alla Presidenza della sinistra americana, se “non c’è una ragione razionale per cui abbiamo una disuguaglianza enorme e crescente di reddito e ricchezza, non c’è una ragione razionale per cui siamo l’unico grande Paese a non garantire l’assistenza sanitaria per tutti, non c’è una ragione razionale per cui 800.000 americani sono senza casa e milioni di altri spendono più della metà del loro reddito per mettere un tetto sopra la testa, non c’è una ragione razionale per cui il 25% degli anziani in America cerca di sopravvivere con 15.000 dollari all’anno o meno, per cui abbiamo il più alto tasso di povertà infantile di quasi tutte le nazioni ricche, per cui i giovani lasciano l’università profondamente indebitati o per cui l’assistenza all’infanzia è inaccessibile per milioni di famiglie”.
Ciò spiega gli eventi di oggi, come si sia passati dall’Occidente “allargato” fino all’Indo-Pacifico, al Giappone e all’Australia di Biden al cripto-fascismo globale di Trump, con tanto di autarchia (i dazi), le sanzioni, gli ordini esecutivi a pioggia, la confusione dei poteri, la giustizia di regime, la pena di morte, l’immunità fiscale dei super-ricchi, e la pretesa di decidere quando cominciare o finire queste “ridicole” ma sempre tragiche guerre.
Tuttavia, il peggio che si è materializzato in America in questo lunedì nero del 20 gennaio, potrebbe non essere tale da contagiare il mondo intero. Potrà fare grandissimi danni, e fare scuola soprattutto nelle maggioranze silenziose, ma potrebbe restare circoscritto a ciò che si è visto tra il Campidoglio e la Capital One Arena, un bagno di folla osannante e soggiogata, chiuso però in una bolla che è l’America e non è il mondo. Non c’è un solo globo terracqueo, il mondo non è pronto per un fascismo planetario, ha altri pensieri, un’altra vocazione. Certo, dipende da noi, ma ora è chiara l’alternativa: o la resa a questa caduta della storia, o la resistenza e la costruzione di una vera comunità internazionale di diritto con un’umanità indivisa.
Del resto non tutto quello che Trump ha annunciato e minacciato col suo sguardo torvo si realizzerà veramente, sembra più un bluff da miles gloriosus che un vero annuncio. Non ci sarà nessun approdo e insediamento su Marte entro la fine di questo mandato presidenziale. La scienza è stata tassativa: a questo punto dell’evoluzione della specie, l’umanità non è in grado, fisicamente e antropologicamente, di affrontare un viaggio in quel pianeta lontano. Non foss’altro che per la durata del viaggio, due anni per l’andata e il ritorno esposti alle radiazioni cosmiche, soggetti all’indebolimento muscolare e scheletrico che il corpo umano subirebbe in una lunga permanenza nello Spazio, con i connessi scompensi del tono muscolare cardiaco. Occorrerebbe costruire enormi astronavi ruotanti, in grado di generare al proprio interno una forza simile alla gravità terrestre, ciò che si potrebbe fare solo direttamente nello Spazio, sfruttando ipotetiche materie prime raccolte anch’esse lassù (da asteroidi o dalla Luna); per non parlare della vita su Marte, fino a 126 gradi sottozero.
Ciò vuol dire che il mito dell’accoppiata Trump-Musk è già caduto, e se l’obiettivo politico più simbolico di tutte le promesse presidenziali si mostra come impossibile e falso, vuol dire che anche il resto non è troppo sicuro, a cominciare dalla deportazione, o espulsione, di milioni di migranti, dati per criminali internazionali e invasori: si dovrebbe fare con l’esercito schierato sul confine meridionale col Messico, lasciando “i nostri guerrieri liberi di sconfiggere i nostri nemici”, come dice Trump; ma con questo finisce il mito della fortezza americana, l’idea che mai nessuno potrà varcare in modo offensivo la frontiera degli Stati Uniti; ecco che secondo Trump questo sarebbe già avvenuto ad opera dei migranti, essendo mancata la difesa dei confini, neanche l’America fosse Lampedusa come è nell’immaginazione ossessiva di Salvini.
E per quanto riguarda il ritorno incondizionato al petrolio, al carbone, così da irradiarlo a suon di dollari in tutto il mondo, in che consiste l’”America first”? Consiste nel fatto che l’America sarà la prima a risentirne, insieme alle isole che saranno sommerse dal mare, e ne avrà cicloni e tornado sempre più devastanti, e bruceranno le città, come ieri l’incendio di Chicago e oggi quello di Los Angeles, dove perfino i ricchi “hanno perso le loro case”.
E che dire di questo presentarsi di Trump come il Messia che Dio stesso avrebbe protetto col suo scudo perché compisse la sua missione in America e nel mondo? Per l’America non si tratta di una novità, c’era il giovane Bush che andando a distruggere l’Iraq diceva di “piangere appoggiato alla spalla di Dio”. E ora Trump tira fuori la religione come sgabello ai suoi piedi, e mette Dio sopra di sé, a garante del suo potere. Solo che il Dio della tradizione ebraico-cristiana a cui si rifà il messianismo giunto in America attraverso la Ginevra di Calvino, non è un Dio che si può chiamare in servizio a fare da scudiero ai potenti, ma è il Dio che rovescia i potenti dai troni ed esalta gli umili, il Dio tutto misericordia e niente vendetta di papa Francesco. E dunque se religione deve essere e si giunge a giurare su due Bibbie al Campidoglio, come se una non bastasse, quella di Lincoln del 1861 e quella donata a Trump dalla madre nel 1955, bisogna ricominciare a chiedersi chi è questo Dio a cui si fa così plateale appello.
Forse, di fronte a queste sfide, bisognerebbe ripensare alla cattiva qualità della secolarizzazione quale l’abbiamo acriticamente fatta in Occidente: anche per questo sarebbe importante che l’identità spirituale e profetica dell’ebraismo tornasse a risplendere, non trascinata negli stermini, non ristretta a una sola etnia, non tradita dalle politiche dello Stato di Israele.
Con i più cordiali saluti,
Lo Scriba per “Prima loro”
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In diffusione:
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Prima loro. La Speranza non delude
Ai Mittenti e Interlocutori della Lettera agli ebrei e delle Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Lunedì 20 gennaio 2025
PRIMI I CINESI PRIMA GLI OSTAGGI
Cari Amici,
chi l’avrebbe detto? Quando abbiamo cominciato a scrivervi dall’indirizzo mail “Prima loro”, chi avrebbe potuto pensare che primi sarebbero stati i Cinesi? Prima infatti che Trump, il pregiudicato, giurasse per la Casa Bianca, ecco che i Cinesi gli telefonano il 17 gennaio, e di certo non solo per Tik Tok. Sembrava che fossimo prossimi alla fine del mondo, con questa nave dei folli condotta da cattivi nocchieri, con genocidi, sfide, missili di profondità, droni, naufragi e muri, dall’Ucraina a Gaza, dal Mediterraneo al Messico, e invece ecco che tutto forse comincia di nuovo. Certo neanche Xi Jinping è un santarellino, come non lo era Biden, ma ora Cinesi e Americani si parlano, e dicono che risolveranno molti problemi insieme, e a partire da subito. “Il presidente ed io – ha detto Xi – faremo tutto il possibile per rendere il mondo più pacifico e sicuro”.
Il rovesciamento sarebbe radicale. Per capire da dove veniamo basta sapere che cosa c’era scritto nei vigenti documenti strategici americani, usciti il 12 ottobre 2022 dalla Casa Bianca di Biden e dal Pentagono di Lloyd Austin. C’era scritto che questo sarebbe stato un decennio decisivo di “competizione strategica” per “plasmare il futuro dell’ordine internazionale”, di cui gli Stati Uniti, nel proprio interesse, avrebbero dovuto essere i vincitori. In questa partita, scriveva Biden, “la Repubblica Popolare Cinese rappresenta la sfida geopolitica più importante per l’America. La Russia rappresenta una minaccia immediata e continua all’ordine di sicurezza regionale in Europa ed è una fonte di disturbo e instabilità a livello globale, ma non ha le capacità trasversali della Repubblica Popolare Cinese”. La Cina era considerata infatti il solo competitore che avesse “sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”.
“Pechino – continuava Biden – ha l’ambizione di creare una crescente sfera di influenza nell’Indo-Pacifico e di diventare la potenza guida del mondo, col suo modello autoritario e usando il suo potere economico in modo coercitivo verso le altre nazioni”. Né si trattava di divergenze discutibili, le accuse erano brucianti: “genocidio e crimini contro l’umanità in Xinjiang, violazioni di diritti umani in Tibet, smantellamento dell’autonomia e della libertà di Hong Kong”.
E qui Biden rimandava al documento sulla strategia militare del Pentagono, nel quale Lloyd Austin scriveva, il 27 ottobre 2022:
“La Repubblica Popolare Cinese (RPC) rimane il nostro competitore strategico più importante per i prossimi decenni. Ho raggiunto questa conclusione sulla base delle crescenti azioni di forza della Repubblica Popolare Cinese per rimodellare la regione dell’Indo Pacifico e il sistema internazionale per adattarlo alle sue preferenze autoritarie, e sulla base di una profonda consapevolezza delle intenzioni chiaramente dichiarate della RPC e della rapida modernizzazione ed espansione delle sue forze armate”.
Il Dipartimento della Difesa era impegnato pertanto a “ottenere e sostenere vantaggi militari, contrastare forme acute di coazione dei nostri avversari e complicare le più significative attività degli avversari che, se non affrontate, metterebbero in pericolo la nostra superiorità militare ora e in futuro”. Tutto ciò quando, come aveva scritto Biden, “quella militare americana è la più forte forza militare che il mondo abbia mai conosciuto”.
Già dal settembre 2002, un anno dopo l’attentato alle Due Torri, i documenti sulla sicurezza nazionale americana rivendicavano il principio di una guerra preventiva, sostenendo che “la migliore difesa è un buona offesa”; tuttavia in quei documenti il giovane Bush apprezzava gli sforzi della Cina per definire la natura del proprio ordinamento, e la metteva per così dire sotto osservazione, in attesa che facesse “fondamentali scelte” sul carattere del proprio Stato.
Ciò per quanto riguarda la Cina. Per Israele invece Bush era stato molto esplicito nel contestargli la colonizzazione della Cisgiordania e nel pretendere la soluzione della questione palestinese: “Il conflitto israelo-palestinese è critico a causa del tributo di sofferenza umana, a causa dello stretto rapporto dell’America con lo Stato di Israele e con gli Stati arabi chiave, e a causa della importanza di quella regione per le altre priorità globali degli Stati Uniti. Non ci può essere pace per nessuna delle due parti senza libertà per entrambe le parti. L’America è impegnata per una indipendente e democratica Palestina, che viva accanto a Israele in pace e sicurezza. Come tutti gli altri popoli, i palestinesi meritano un governo che serva i loro interessi e presti ascolto alle loro voci. Se i palestinesi abbracciano la democrazia e il governo della legge, affrontano la corruzione e rifiutano fermamente il terrorismo, possono contare sul sostegno americano per la creazione di uno Stato palestinese. Lo stesso Israele ha un grande interesse al successo di una Palestina democratica. L’occupazione permanente minaccia l’identità e la democrazia di Israele. Quindi gli Stati Uniti continuano a sfidare i leader israeliani affinché adottino misure concrete per sostenere l’emergere di uno Stato palestinese vitale e credibile. Man mano che ci siano progressi verso la sicurezza, le forze israeliane devono ritirarsi completamente dalle posizioni che detenevano prima del 28 settembre 2000 (il giorno della salita di Ariel Sharon sulla spianata del Tempio e l’inizio della seconda Intifada). Le attività di insediamento israeliano nei territori occupati devono finire. Man mano che la violenza si placa, la libertà di movimento dovrebbe essere ripristinata, permettendo ai palestinesi innocenti di riprendere il lavoro e la vita normale. Gli Stati Uniti possono svolgere un ruolo cruciale ma, in definitiva, una pace duratura può arrivare solo quando Israeliani e Palestinesi risolvano i problemi e pongano fine al conflitto tra loro”.
Nulla di tutto questo da allora è avvenuto: la Cina è diventata cattiva e coattiva, l’ultimo Nemico da abbattere, NATO e Russia si sono affrontate in Ucraina, 750. 000 coloni hanno invaso la Cisgiordania, è stata liquidata l’idea di uno Stato palestinese, gli Stati Uniti si sono ben guardati dal promuovere una indipendente e democratica Palestina, Hamas non ha rinunciato al terrorismo e a Gaza è stato scatenato l’inferno. E ora arriva la destra al potere in America, e le destre accorrono a Washington per l’inaugurazione di Trump. Ma perché, non erano destre al potere quelle che ci hanno governato fin qui? Trump comincerà la deportazione degli immigrati. Ma perché, in Albania che cosa si vuol fare? “A tutti i costi”!
A questo punto la prognosi è difficile. Ma grande è stata la nostra commozione nel vedere il resto degli ostaggi ancora vivi tornare a casa, il placarsi dell’indignazione nei riguardi di Netanyahu della folla e dei parenti dei sequestrati, l’attesa per la liberazione dalle carceri israeliane di centinaia di palestinesi tenuti in ostaggio e prigionieri estragiudiziali. E grande è il sollievo per il venir meno dello scandalo del nome di Israele associato alle efferatezze di Gaza, vero rovesciamento del comandamento: “non pronunziare il nome di Dio invano”.
La pace, per Israele sarebbe la salvezza, mentre la sua società è divisa, ed è in corso un esodo, una “migrazione al contrario” di molti Ebrei da quella Terra, e il mondo è attonito per ciò che è stato fatto a Gaza. fino all’ultimo, fino allo “scialo di morte” dell’ultima mezz’ora prima della tregua, che ha fatto ancora diciannove vittime.
E se le cose dovessero cambiare davvero, Ucraina compresa, l’evento della tregua di Gaza dimostrerebbe che anche un solo gesto di pace produce frutti, può contagiare il mondo, che “la speranza non delude”, come il Papa ha ripetuto ieri sera nella trasmissione di Fazio.
Con i più cordiali saluti,
CSS. Un compleanno di 40 anni: cronaca di un evento (domenica 19 gennaio 2025)
[in progress]
(a cura di Franco Meloni)
Il Caesar’s Hotel, sede del Convegno di festeggiamenti dei 40 anni della CSS. L’albergo è stato messo in vendita per 5mil di
Euro. Molto meno dei 49 milioni che si è ciucciato la Lega di Salvini!
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Apre i festeggiamenti un corteo con in testa le launeddas del
Maestro Melis. Seguono la portabandiera, la giovanissima Sofia Meloni, il segretario in carica e l’ex segretario generale Francesco Casula, altri dirigenti, ragazze militanti indossanti da berrita sarda.
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Prende la parola il Segretario nazionale della CSS Giacomo Meloni.
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Intermezzo musicale con Gilda Frailis.
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Prende la parola Francesco Casula, scrittore e storico, ex Segretario nazionale della CSS.
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Il tavolo della presidenza. Coordina i lavori Enrico Sanna.
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Intermezzo musicale con Angelo Cremone voce e chitarra.
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Parla Pino Loi della Segreteria Nazionale della CSS.
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Passa sullo schermo un’immagine di un Convegno della Css a Nuoro, con Mario Melis e Franco Meloni.
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Intermezzo musicale con le launeddas del maestro Melis.
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Interviene Efisio Pilleri, direttore dell’Ufficio Studi Giovanni Maria Angioy della CSS.
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Interviene il rappresentante del Sindacato SAVT della Valle D’Aosta, Claudio Albertinelli.
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Interviene il rappresentante del Sindacato Catalano dell’INTERSINDICAL- CSC, Ferran Koll. Nel suo intervento ha citato affettuosamente Tonino Gramsci.
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Interviene la rappresentante del Sindacato dei Baschi, LAB, Gerbine Aranburu.
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Interviene Piero Comandini, presidente del Consiglio regionale della Regione Autonoma della Sardegna.
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Parla Piero Comandini, presidente del Consiglio regionale della Sardegna. Ringrazia la CSS, si mostra preoccupato per la deriva mondiale e europea di stampo reazionario. Occorre opporsi in tutti i modi e riprendere le lotte che coinvolgano i cittadini. Sono e sarò sempre socialista, crediamo nei nostri valori! Solo la ripresa robusta della partecipazione popolare farà argine alla destra rampante.
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Piero Comandini ha detto di trovarsi a casa, perché si respirava un clima di persone impegnate. Lui è il presidente di tutti i sardi e va laddove viene invitato anche da organizzazioni di cui non condivide le posizioni. Non è questo il caso. Sempre e per sempre socialista, in questo ambito non poteva che fare un discorso “ecumenico”. Tuttavia si è impegnato, per quanto gli compete, a combattere qualsiasi discriminazione nei confronti della CSS, a cui ha riconosciuto un ruolo importante per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e del popolo sardo.
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Messaggio
Cara amica e amici baschi del LAB
Cari amici catalani dell’INTERSINDICAL- CSC
Cari amici Valdostani
del SAVT
Spero siate stati bene tra i sardi ed abbiate goduto dei colori e sapori della Città di Cagliari e della Sardegna, ma soprattutto dei valori identitari e di sincero affetto.
Grazie per aver corrisposto con altrettanta amicizia e voglia di lottare per gli stessi valori e ideali, per la pace, la
qualità della vita, i diritti ed uguaglianza dei lavoratori e delle persone, per la bellezza e la felicità dei popoli.
Giacomo Meloni
e la moglie Paola Lai,
Efisio Pilleri
e la figlia Marianna,
Enrico Sanna
Marco Mameli
Francesco Casula
e tutte/i gli aderenti
alla CSS.
Buon rientro.
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Le delegazioni estere
Rappresentanti Lab – Koldo Saenz e Gerbine Aranburu
Intersindical catalano – Ferran Koll
SAVT sindacato valdostano – Claudio Albertinelli
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Il segretario generale ha dato conto dell’assenza di Marco Mameli, vice segretario generale e responsabile di Assotzius Consumadoris de Sardigna, in quanto malato. L’Assemblea a tributato a Marco un lungo caloroso applauso unendosi all’augurio di pronta guarigione formulato dal Segretario generale.
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Oggi domenica 19 gennaio 2025 – I 40 anni della CSS
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La CSS compie i primi 40 anni. Fortza paris!
19 Gennaio 2025 su Democraziaoggi.
La CSS compie 40 anni nel corso dei quali ha partecipato a tutte le lotte importanti in difesa dei lavoratori e della democrazia. Ricordiamo, in particolare, il forte impegno contro la schiforma Renzi nel 2016 e la nattaglia continua per la pace e contro la produzione di armi alla RWM. Un apporto intelligente e propositivo […]
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Lunedì dibattito: “Parlare di guerra per la pace”
19 Gennaio 2025 su Democraziaoggi
Lunedì 20, ore 16-19, si terrà nell’aula Baffi di Scienze politiche – via S. Ignazio 74 Cagliari – una conferenza-dibattito dal titolo “Parlare di guerra per la pace. Razzismo, sionismo, antisemitismo”. Organizza la facoltà in collaborazione con l’ANPI.
Relatore il Prof. Angelo D’Orsi dell’Università di Torino.
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Perché dobbiamo ringraziare la Confederazione Sindacale Sarda per i suoi 40 anni. E chiederle di continuare.
di Franco Meloni
Eravamo in tanti il 20 gennaio 1985 al Setar Hotel nel lungomare di Quartu Sant’Elena, al Congresso costitutivo della Confederazione Sindacale Sarda. A darle battesimo Eliseo Spiga, primo segretario generale, che all’epoca aveva 54 anni e alle spalle una storia di intellettuale di sinistra, per un certo periodo comunista, sempre sardista e vero autonomista, poi approdato al PSd’Az.
La storia politica personale di Eliseo e la sua forte personalità destavano qualche diffidenza e qualche preoccupazione sia nel campo dei partiti della sinistra storica (PCI e PSI), sia in quello sardista (PSDAZ), ma anche nelle formazioni della nuova sinistra, DP Sarda in primis, da tempo approdata nel campo federalista. I Sindacati confederali (CGIL – CISL – UIL), i più “minacciati” dalla discesa in campo della nuova formazione, la criticarono, prendendo le distanze senza esitazione, ma era alle componenti di sinistra delle stesse che la nascente CSS, si rivolgeva, trovando rispondenza alla propria proposta. Occorreva forse più tempo per negoziare cambi di organizzazione e da queste componenti [leggi correnti interne] arrivavano messaggi di prudenza.
Ma Eliseo, profondo conoscitore degli ambienti politici e sindacali, che pur ascoltava nonostante tutto, non era certo uomo di mediazione e di attesa *: ruppe gli indugi e fondò il nuovo Sindacato. Credeva fermamente nella giustezza dell’analisi politica della fase storica che si viveva e che in Sardegna avrebbe premiato un nuovo soggetto politico-sindacale su basi etniche, che in poco tempo avrebbe catturato i consensi maggioritari dei lavoratori sardi. Come era accaduto in Val d’Aosta e in Alto Adige, ma soprattutto nelle regioni autonomiste della Spagna repubblicana (in primis Catalogna e Paesi Baschi). La storia ci dice che non ebbe ragione in quanto i pur significativi consensi che arrivarono, non riuscirono a scalzare la presenza oligopolista dei Sindacati confederali. La funzione di “cinghia di trasmissione” degli stessi nei confronti dei partiti della sinistra o, in diversa misura per la Cisl, della Democrazia Cristiana, non venne scalfita e il PSd’Az non assunse mai la CSS come “suo” Sindacato di riferimento. Le stesse formazioni dell’estrema sinistra non stabilirono un rapporto privilegiato con la CSS, preferendo riferirsi indistintamente a tutti i Sindacati, compresa la CSS. Vero è che DP Sarda mostrò sempre una certa simpatia per la CSS arrivando a darle i due segretari generali che nel tempo sono succeduti a Eliseo Spiga: nell’ordine Francesco Casula e Giacomo Meloni.
Nonostante tutto la CSS ha continuato ad esistere, con significative presenze tra le categorie dei lavoratori (citiamo la rilevante Federazione dei Postelegrafonici CSS), con un andamento a fisarmonica: molte adesioni nelle fasi di gestione delle vertenze, crollo nel momento di firma (e successivo) dei contratti, laddove il campo era ed ancora è oggi (seppure in misura minore) saldamente occupato dalle sigle sindacali firmatarie dei contratti nazionali.
Tuttavia la CSS ha saputo nel tempo acquisire una rispettabile reputazione nella difesa dell’identità della Sardegna, della cultura e della lingua sarda, nell’intransigente difesa della popolazione sarda, contro l’occupazione militare del territorio sardo, per la Pace. Molto importante l’adesione della CSS al movimento per la conversione della fabbrica di armi della RWM di Domusnovas.
La CSS ha articolato la sua organizzazione nell’intero territorio sardo, pur dovendo rinunciare alla disseminazione di sedi fisiche, considerati i costosi oneri di affitto, salvo la sede centrale di Cagliari, recentemente acquistata e quella di Sassari. Altre realtà importanti di supporto alle attività della CSS sono l’Assotziu Consumadoris Sardigna a protezione dei consumatori sardi e a difesa della conservazione e valorizzazione dell’ambiente e il Centro Studi intitolato all’eroe sardo Giovanni Maria Angioy.
La CSS è poi impegnata a sostenere le rivendicazioni degli agricoltori organizzati nella Confederazione Liberi Agricoltori.
Un altro importante impegno è il sostegno e la tutela degli interessi di categorie considerate marginali e troppo spesso lasciate prive di rappresentanza come quelle dei bancarellari, dei giostrai e simili.
La CSS contro i pregiudizi verso queste categorie ne ha assunto la rappresentanza, restituendo loro la dignità dovuta a tutti i lavoratori.
Concludo confessando di aver certamente dimenticato qualcosa nel descrivere iniziative e attività della CSS, che in grande parte si trovano nell’articolo di Francesco Casula, pubblicato sul blog Libero, su Aladinpensiero e su diversi social.
Le analisi e i giudizi contenuti in questo articolo sono ovviamente personali. Le conclusioni si riassumono in un Grande Grazie ai segretari generali del passato e attuale, agli altri dirigenti, agli iscritti e simpatizzanti per avere fatto vivere e operare per ben 40 anni un’organizzazione al servizio del popolo sardo. Ci attendono tempi difficili, da interpretare in tutti gli aspetti perché non ne veniamo travolti. La Confederazione Sindacale Sarda dovrà sicuramente continuare modificando se stessa per meglio contribuire a perseguire gli interessi dei sardi, con particolare impegno per i lavoratori e i ceti meno abbienti. Fortza paris, nel duplice significato di Avanti insieme e Avanti uguali!
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* Eliseo Spiga (Aosta 1930 – Cagliari 2009)
Così ne parlano i due segretari generali che nell’ordine gli sono succeduti: Francesco Casula e Giacomo Meloni: “Era un uomo forte e generoso, un intellettuale scomodo, lucido nelle sue analisi e profetico nelle sue visioni”. “Con Eliseo scompare un grande combattente, uno degli intellettuali più lucidi e creativi della Sardegna: sanguigno, irregolare e disorganico a Partiti e camarille, renitente e utopistico. Spiga si ribellava, infatti, allo sfacelo e alla società alienata della apparente razionalità capitalista del sistema economico e sociale occidentale… non si conformava e non si arrendeva alle logiche e alle ragioni della modernizzazione tecnicista, al mito dello Stato e del Mercato, al Dio moneta”. Eliseo Spiga aveva sempre investito sull’utopia, realisticamente uomo di potere, per un periodo della sua vita iscritto al PCI e alla Massoneria, dal potere abbandonato ma non abbattuto, sorretto com’era dalle sue convinzioni utopiche rispetto alla difesa e valorizzazione della Sardegna e del popolo sardo.
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Giacomo Meloni, segretario generale in carica della CSS.
Cagliari Città della Pace
*La pace si costruisce con la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà*
di Davide Carta (su fb)
Ieri sono intervenuto in aula sulle dichiarazioni di voto relative a un ordine del giorno proposto dalla maggioranza sulla pace in Medio Oriente, redatto da Laura Stochino e Francesca Mulas Fiori a cui ho dato anche il mio contributo, in particolare sul tema del riconoscimento dello Stato di Palestina.
Di fronte a un dibattito incapace di trovare punti di sintesi con il centrodestra, ho ritenuto necessario intervenire per sottolineare alcuni elementi chiave a partire dai fondamenti della pace indicati dalla Pacem in Terris:
I 40 anni della CSS
Confederazione Sindacale Sarda Css: una lotta sindacale lunga 40 anni
di Francesco Casula*
La Confederazione Sindacale Sarda compie 40 anni: li celebrerà il 19 gennaio prossimo al Caesar’s Hotel di Cagliari. Tra gli ospiti ci saranno rappresentanze dei sindacati europei delle Nazioni senza Stato: Catalani, Baschi, Corsi, Valdostani.
La CSS è nata il 20 Gennaio 1985: è il terzo Sindacato etnico in Italia dopo quello valdostano (fondato nel 1952) e quello Sudtirolese (ASGB) nato nel 1978. L’ideatore della CSS e il primo segretario generale è stato il compianto Eliseo Spiga, scomparso nel 2009. Dopo di lui Francesco Casula e Giacomo Meloni; il segretario attuale.
Il sindacato etnico sardo – o della Nazione sarda, come ama definirsi – nasce per difendere i sardi sia come lavoratori – salario, occupazione, orario e condizioni di lavoro – sia come sardi e dunque nella loro dimensione culturale e linguistica. Di qui la battaglia del Sindacato sardo a favore del Bilinguismo e per l’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado, come materia curriculare la lingua e la storia sarda.
Anche in forte polemica con i Sindacati italiani – CGIL-CISL-UIL in primis – contesta duramente il tipo di sviluppo e di industrializzazione che lo Stato – con la complicità delle classi politiche sarde e degli stessi sindacati – ha imposto alla Sardegna negli ultimi 50 anni, uno sviluppo tutto giocato sulla petrolizzazione dell’Isola e sulle industrie nere e inquinanti, che hanno devastato il territorio senza peraltro creare né occupazione, né prosperità e benessere. La grave crisi in atto ne è la testimonianza più eclatante.
Di contro sostiene, la necessità di costruire una economia nazionale sarda comunitaria, procedendo a una riappropriazione di tutte le risorse dell’Isola, per gestirle e valorizzarle direttamente. A questo punto l’economia sarda potrebbe confrontarsi con le altre economie non più come produttrice di materie prime o come mera sede di intraprese multinazionali, ma come creatrice di prodotti finiti. Per iniziare così a rompere quel meccanismo infernale, che gli economisti chiamano “lo sviluppo ineguale” per cui la Sardegna – e molte zone del Sud – produce ed esporta semilavorati (per es. petrolio raffinato), a basso valore aggiunto, mentre importa prodotti finiti (per esempio medicine, prodotti della chimica farmaceutica), ad alto valore aggiunto): in questo scambio ineguale, la Sardegna continua a impoverirsi e il Nord Italia, dove si fanno le ultime lavorazioni, si arricchisce viepiù. Per convincersi di questo meccanismo basta guardare i recenti dati ISTAT per quanto attiene al PIL ma non solo. Di qui la proposta della CSS perché finalmente si imbocchi una rotta radicalmente diversa per uno sviluppo endogeno, autocentrato ed ecocompatibile, basato sulle risorse locali. La strategia dello sviluppo – scrive Giacomo Meloni l’attuale segretario della CSS – è vincente se ha la capacità di creare coesione, ascoltare la pluralità delle voci del popolo sardo e far assurgere a valori identitari, insieme alla lingua, alla cultura, ai saperi tradizionali anche l’ambiente l’economia e i sapori della nostra terra. Ambientalista e pacifista, fin dalla sua nascita, si batte per uno sviluppo sostenibile contestando l’odioso baratto (e ricatto) fra lavoro e industrie inquinanti e devastanti l’ambiente. Contraria alle industrie delle armi, in Sardegna da anni lotta contro la RVM di Domusnovas, di cui richiede la conversione in industria di pace. Sempre presente nelle iniziative per la Pace e contro la guerra, è vicina e solidale con Palestinesi, barbaramente repressi e sterminati, in un vero e proprio genocidio, da Netanyahu e dal su governo.
All’interno della sua lotta per la Pace, ritiene indispensabile la smilitarizzazione della Sardegna, cui lo Stato italiano, da decenni oramai le ha assegnato l’odioso ruolo di base si servizio per servitù militari e di addestramento di eserciti di mezzo mondo. Non c’è luogo, in Europa, più militarizzato della Sardegna. Il 65% del demanio militare italiano, ovvero delle opere permanenti adibite alla cosiddetta difesa nazionale, è nella nostra Terra. Tra le varie «servitù militari», come si dice in gergo, troviamo i due poligoni più grandi d’Europa: a Teulada, con un’estensione di 134 km quadrati, ovvero più dell’intera città di Cagliari e a Salto di Quirra dove c’è invece un poligono sperimentale che ha visto lanci di missili al torio, notoriamente radioattivi, famigerato luogo, infatti, di sfacelo sanitario: la cosiddetta sindrome di Quirra.
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* Anche su blog libero
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IMPORTANTE
Mercoledì 8 gennaio 2025 la Direzione Naz.le della CSS ha approvato :
1.Campagna Tesseramento Anno 2025 Confederazione Sindacale Sarda – CSS:
– Tessera annuale Amico
20 euro;
– Tessera sostenitore CSS
50/100;
– Tessera lavoratore con trattenuta in busta paga
1% su stipendio base.
2.FESTA 40 ANNI DELLA CSS – Domenica 19 gennaio 2025 pres. CAESAR’S HOTEL
via Darwin Cagliari
ore 9 organizzatori
ore 9.30 accoglienza ospiti, autorità e partecipanti;
ore 10 inizio lavori.
Aprono il corteo, preceduto dalle launeddas del maestro Franco Melis:
Giacomo Meloni, attuale Segretario Generale Naz.le;
Francesco Casula, secondo Segretario Generale Naz.le;
Marco Mameli, vice Segr. Naz.le e Presidente Assotziu Consumadoris Sardigna;
Efisio Pilleri, Direttore Ufficio Studi G.M. Angioy della CSS;
Giuseppe Pisanu e Claudio Deligios Segr.Naz.li e Segr. Territoriali CSS/SS
Pietro Doneddu Segr.Naz.le e Segretario. Terr. Nuoro
Patrizio Zucca Segr. Oristano;
Enrico Sanna, Responsabile politiche sindacali giovanili CSS, che coordinerà i lavori, dando la parola.
3. Ordine dei Lavori:
- Saluti agli ospiti e partecipanti del Segretario Giacomo Meloni;
- Prof.Francesco Casula.
Ricordo di Eliseo Spiga, Primo Segretario Naz.le e Fondatore della CSS, scomparso il 19/11/2009.
RELAZIONE: “La Sardegna, le sue radici identitarie: la lingua, la cultura,le tradizioni nella Società sarda e nel mondo del lavoro”
* Stacco musicale
RELAZIONE del Segretario Naz.le dr. Giacomo Meloni sul tema: “La Sardegna per un nuovo modello di sviluppo eco-compatibile, contro le servitù militari, industriali e le nuove servitù energetiche,legato alle nuove tecnologie, alla riscoperta dell’agroalimentare dell’allevamento, alla ricerca scientifica, frontiere di vero progresso, benessere e felicità del popolo sardo”.
* Stacco musicale.
RELAZIONE di Marco Mameli sul tema: ‘La Pace, le Guerre, manifestazioni e Movimenti in Sardegna esperienze e aggregazioni”
* Stacco musicale.
Saluto di dr. Efisio Pilleri
Direttore Ufficio Studi Giovanni Maria Angioy.
*Stacco musicale.
Seguono i saluti delle delegazioni dei Sindacati delle Nazioni Senza Stato
- LAB Sindacato basco
- INTERSINDICAL-CSC
Sindacato catalano
- STC sindacato corso
- SAVT Sindacato valdostano
Eventuali saluti di altri ospiti
*****
La Festa si conclude alle ore 13 con il canto corale di “Procurad’e moderare”, accompagnato dal suono delle launeddas.
Siate puntuali e numerosi
A presto
Giacomo segretario CSS
—————————————-
IBAN della Confederazione Sindacale Sarda:
IT70V010150480400000001473
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I 40 anni della CSS
IMPORTANTE
Mercoledì 8 gennaio 2025 la Direzione Naz.le della CSS ha approvato :
1.Campagna Tesseramento Anno 2025 Confederazione Sindacale Sarda – CSS:
– Tessera annuale Amico
20 euro;
– Tessera sostenitore CSS
50/100;
– Tessera lavoratore con trattenuta in busta paga
1% su stipendio base.
2.FESTA 40 ANNI DELLA CSS – Domenica 19 gennaio 2025 pres. CAESAR’S HOTEL
via Darwin Cagliari
ore 9 organizzatori
ore 9.30 accoglienza ospiti, autorità e partecipanti;
ore 10 inizio lavori.
Aprono il corteo, preceduto dalle launeddas del maestro Franco Melis:
Giacomo Meloni, attuale Segretario Generale Naz.le;
Francesco Casula, secondo Segretario Generale Naz.le;
Marco Mameli, vice Segr. Naz.le e Presidente Assotziu Consumadoris Sardigna;
Efisio Pilleri, Direttore Ufficio Studi G.M. Angioy della CSS;
Giuseppe Pisanu e Claudio Deligios Segr.Naz.li e Segr. Territoriali CSS/SS
Pietro Doneddu Segr.Naz.le e Segretario. Terr. Nuoro
Patrizio Zucca Segr. Oristano;
Enrico Sanna, Responsabile politiche sindacali giovanili CSS, che coordinerà i lavori, dando la parola.
3. Ordine dei Lavori:
- Saluti agli ospiti e partecipanti del Segretario Giacomo Meloni;
- Prof.Francesco Casula.
Ricordo di Eliseo Spiga, Primo Segretario Naz.le e Fondatore della CSS, scomparso il 19/11/2009.
RELAZIONE: “La Sardegna, le sue radici identitarie: la lingua, la cultura,le tradizioni nella Società sarda e nel mondo del lavoro”
* Stacco musicale
RELAZIONE del Segretario Naz.le dr. Giacomo Meloni sul tema: “La Sardegna per un nuovo modello di sviluppo eco-compatibile, contro le servitù militari, industriali e le nuove servitù energetiche,legato alle nuove tecnologie, alla riscoperta dell’agroalimentare dell’allevamento, alla ricerca scientifica, frontiere di vero progresso, benessere e felicità del popolo sardo”.
* Stacco musicale.
RELAZIONE di Marco Mameli sul tema: ‘La Pace, le Guerre, manifestazioni e Movimenti in Sardegna esperienze e aggregazioni”
* Stacco musicale.
Saluto di dr. Efisio Pilleri
Direttore Ufficio Studi Giovanni Maria Angioy.
*Stacco musicale.
Seguono i saluti delle delegazioni dei Sindacati delle Nazioni Senza Stato
- LAB Sindacato basco
- INTERSINDICAL-CSC
Sindacato catalano
- STC sindacato corso
- SAVT Sindacato valdostano
Eventuali saluti di altri ospiti
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La Festa si conclude alle ore 13 con il canto corale di “Procurad’e moderare”, accompagnato dal suono delle launeddas.
Siate puntuali e numerosi
A presto
Giacomo segretario CSS
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IBAN della Confederazione Sindacale Sarda:
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Quale identità ebraica?
Ai mittenti e interlocutori della Lettera ai nostri contemporanei del popolo ebraico
Sabato 11 gennaio 2025
Cari Amici,
vi trasmettiamo un articolo uscito sull’organo di un Gruppo di studio ebraico di Torino, che reca una importante lettura di parte ebraica, diversa da quella corrente in Israele, della tragedia di Gaza. Ve la mandiamo non perché intendiamo farci giudici nel contrasto tra le due parti, o due “anime” dell’ebraismo, ma perché questo testo condivide l’idea che quanto accade “sconvolge” l’ebraismo e la percezione dell’identità ebraica, perché pone come cimento, per loro e per noi, “riparare il mondo”, e perché contiene informazioni sull’identità ebraica di grande interesse. Questo è il testo in questione:
DUE DIVERSI EBRAISMI?
MOSHE B
Dalla Prima Pagina di “Ha Keillah” (La comunità), organo del
Gruppo di Studi Ebraici di Torino, (Dic, 2024).
Lo scorso novembre, il ministro israeliano dell’edilizia abitativa e delle costruzioni Yitzchak Goldknopf, in quota Agudat Israel – un partito haredi, tradizionalmente non sionista – ha visitato le zone al confine con la Striscia di Gaza. Goldknopf era accompagnato nel suo tour dalla pasionaria dei coloni, Daniella Weiss, leader di Nachala (un’organizzazione estremista che promuove la colonizzazione della Cisgiordania), la quale da mesi fomenta per un reinsediamento ebraico nella Striscia, sostenendo che i palestinesi che vi abitano debbano essere cacciati perché “quella non è la loro terra”. Poche ore dopo su X Goldknopf, ha affermato che “L’insediamento ebraico a Gaza è la risposta al terribile massacro del 7 ottobre e ai mandati di arresto della Corte penale internazionale dell’Aia contro Bibi Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant”.
A molti di coloro che osservano sui media la distruzione e la catastrofe umanitaria che ha luogo a Gaza viene naturale chiedersi come qualcuno, oltre ad essere insensibile o indifferente su quanto accade, possa pensare che questa tragedia – unita a quella del 7 ottobre – sia un’occasione propizia per riconquistare un luogo ripulendolo dei suoi abitanti, causando così ulteriore sofferenza e odio. Ma ancora di più, sconvolge che tutto questo venga avanzato in nome dell’ebraismo e di una supposta identità ebraica.
I proclami della Weiss sono purtroppo soltanto una goccia nel mare in merito al distacco, che soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo percepito tra i valori ebraici con i quali siamo cresciute/i, ammantati di umanesimo, rispetto all’ebraismo di certi individui, dove l’etno-nazionalismo, il fanatismo, la xenofobia e il militarismo prendono il sopravvento su tutto il resto. Per quanto siano emerse anche in Israele personalità ortodosse che hanno espresso preoccupazione o condanna per gli eventi in corso, continuiamo ad assistere a scene di coloni abbigliati con kippah e frange rituali che estirpano olivi, vessano famiglie e bruciano abitazioni in Cisgiordania o a vedere come, dall’inizio delle operazioni militari a Gaza, sia rabbini che soldati religiosi non abbiano scorto un evidente conflitto tra la loro fede e l’innumerevole perdita di civili che questa guerra sta causando. Ma anzi, molto più spesso hanno usato il proprio ebraismo o il pretesto della difesa del popolo ebraico a giustificazione delle loro azioni.
Il monito di fare attenzione a “non scatenare l’odio delle altre nazioni”, sul quale in riferimento alle politiche israeliane insistevano anche rabbini haredi contemporanei come Elazar Shach, in origine appartenente allo stesso partito di Goldknopf, e che compare persino nelle parlate giudaico-italiane con il detto di “non far gherush o non far galut” (non provocare il disprezzo e l’odio dei non ebrei) sembra non preoccupare più, il governo israeliano in primis.
A volte viene il dubbio se non sia la nostra idea di ebraismo errata o artefatta rispetto a quella propugnata da personaggi come Weiss e Ben Gvir. Come sappiamo, sono presenti vari episodi nella Torah o nei libri dei profeti, legati soprattutto alla conquista di Canaan o alle successive battaglie dei regni giudaici, talvolta interpretati come legittimazione all’uso della violenza e alla punizione collettiva nei confronti di altri popoli. Ad esempio, in Bamidbar (Numeri) 31 quando viene raccontata la guerra contro i madianiti: per vendicarsi dei madianiti che avevano provato a corrompere gli israeliti per condurli a praticare culti idolatrici, Moshe, nella guerra che ne conseguì, ordinò di ucciderli tutti, senza risparmiare né donne e né bambini e di saccheggiare le loro città. Non a caso, gli eventi bellici contro i cananei o gli amaleciti sono stati presi sovente a pretesto dai gruppi fondamentalisti ebraici per giustificare le azioni violente di uccisione o espulsione nei confronti degli arabi. Questi sarebbero, secondo tale narrativa, i moderni eredi di suddetti popoli, considerati “nemici inconciliabili degli ebrei” per i quali non ci sarebbe altra alternativa che l’uso della forza per espellerli dalla terra promessa. Anche dopo il 7 ottobre l’associazione tra palestinesi e Amalek è diventata un leitmotiv frequente nei circoli religiosi in Israele.
Questi episodi nell’ermeneutica rabbinica e mistica posteriore sono stati però più spesso riletti in chiave allegorica e simbolica, per cui tali popoli biblici simboleggerebbero piuttosto tentazioni presenti all’interno dell’individuo per sedurlo e allontanarlo dalla fede monoteistica, una sorta di jihad interiore. Il rabbino smirniota Haim Palachi, vissuto nel XIX secolo, scriveva che gli ebrei non possono più distinguere gli amaleciti “attuali” dalle altre persone, così il comandamento di ucciderli non potrebbe mai essere praticamente applicato. Più in generale, come scrive Michael Walzer, riprendendo un concetto rabbinico, le guerre presenti nella Torah “sono comandate o guidate” direttamente da D.o. Mentre nella narrazione biblica la Shekinah, la presenza di D.o è costante, lo stesso non si potrebbe affermare in merito alle guerre condotte nella contemporaneità, nelle quali, anche secondo speculazioni cabalistiche, nel mondo D.o è in qualche modo eclissato.
Non di meno, è onnipresente all’interno del Tanakh (Bibbia ebraica) l’impegno a perseguire la giustizia, “tzedek, tzedek tirdof” (la giustizia, la giustizia seguirai) come è scritto in Devarim (Deuteronomio), a proteggere lo straniero, ad amare il prossimo – “non fare agli altri, ciò che è odioso per te: questa è tutta la Torah” come affermava Hillel il vecchio – al Tiqqun ‘Olam, ovvero a riparare il mondo, all’essere “luce delle nazioni” come in Isaia, un popolo quindi di “sacerdoti modello per gli altri popoli”. Altri episodi biblici, come l’episodio del vitello d’oro raccontato in Shemot
(Esodo), potrebbero essere letti altresì come un monito a tenersi al riparo dalle ideologie materiali e dagli sciovinismi che cercano di distogliere l’essere umano dalla verità e dal messaggio divino. È esplicativa la dura critica all’interno del Talmud nei confronti degli zeloti e dei sicarii, i quali sono persino accusati di aver contribuito alla distruzione di Gerusalemme e alla caduta del secondo Tempio. Essi, insieme alla legge mosaica, seguivano un militarismo e patriottismo cieco: difficile non intravedere in loro degli antesignani degli attuali nazionalisti-religiosi.
Nei Pirkei Avoth (Massime dei Padri) è scritto “La spada viene al mondo per il ritardo del giudizio e per la perversione del giudizio” e negli Avoth de- Rabbi Nathan “chi causa la morte di un solo uomo dev’essere considerato come se avesse causato la distruzione del mondo intero”. Il Rambam (Maimonide) affermava che “è meglio e più soddisfacente assolvere mille persone colpevoli che mettere a morte una sola innocente”, e il Maharal di Praga, continuava sostenendo che “la legge ebraica vieta l’uccisione di persone innocenti, anche nel corso di un legittimo impegno militare”. Il codice morale di Tsahal, in particolare il concetto di Tohar HaNeshek (“purezza delle armi”), si basa in parte anche sugli insegnamenti dell’etica ebraica, richiedendo esplicitamente ai soldati di “mantenere la propria umanità anche in combattimento e di non danneggiare i non combattenti”. Tuttavia, nella guerra in corso soprattutto, questo principio sembra essere stato ulteriormente abbandonato, come dimostrerebbero le numerose testimonianze di crimini di guerra e uccisioni deliberate di civili. Tra queste accuse, si sono aggiunte recentemente anche le parole dell’ex ministro Moshe Ya’alon, già esponente del Likud, secondo il quale l’esercito israeliano è impegnato in azioni di pulizia etnica nel nord della Striscia.
Tutte le culture religiose, anche quelle apparentemente più universaliste e lontane da un messaggio violento, non sono state in realtà immuni dal far nascere al loro interno fanatismo e disprezzo per l’altro. Molto spesso ciò è appunto legato a un problema di ermeneutica e di interpretazione più o meno letterale dei testi, ma a questo si accompagnano ovviamente anche la psicologia, la mentalità e la storia umana, i conflitti e i drammi vissuti da ciascun popolo.
Se una lettura più sciovinista dei testi sacri è diventata oggi preponderante rispetto a un’altra più umanistica, ciò è quindi anche a causa dello Zeitgeist, dello spirito di questi tempi, della direzione che ha preso o sta prendendo l’umanità. L’essere umano cerca di trovare nei testi religiosi sempre qualcosa che giustifichi la propria condotta morale o i propri scopi mondani e politici.
Friedrich Nietzsche scriveva in “Al di là del bene e del male” (1886) “chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare lui stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te”. Una massima sempre degli Avoth gli fa eco “In un luogo dove non ci sono umani, sforzati di essere umano”, questo forse è ciò che davvero può distinguere l’ebrea/o in quest’epoca, attingendo alla propria eredità di popolo perseguitato e più volte escluso. Un’eredità che non si limita ai personaggi biblici, ma include tutte/i coloro che, nel corso della storia, sono riuscite/i a porsi al di là del tempo presente nel tentativo di rivoluzionare e riparare il mondo. In occasione della prossima festa di Hanukkah, credo che dovremmo proprio ricercare dentro di noi quella fiammella di ragione e lucidità capace di illuminarci, aiutandoci a non smarrirsi né a brancolare nell’oscurità che ci circonda.
***
Fin qui gli Ebrei di Torino. Segnaliamo anche un articolo, che si può leggere cliccando qui, sul perché Trump si vuole prendere Panama.
Con i più cordiali saluti,
Prima Loro
Ai mittenti e interlocutori della Lettera ai nostri contemporanei del popolo ebraico
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Mercoledì 8 gennaio 2025
Cari Amici,
vi giunge questa lettera dall’indirizzo mail “Come loro”, e non più dall’indirizzo “notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” che abbiamo usato provvisoriamente fin qui data l’urgenza di inviare la newsletter contemporaneamente a molti destinatari. Abbiamo istituito questo nuovo indirizzo per le ragioni chiarite più avanti.
Come era prevedibile la “guerra” di Gaza, ora anche con le letali minacce di Trump, sta portando conseguenze devastanti sul dialogo ebraico-cristiano e più in generale sul rapporto del popolo di Israele con gli altri popoli del mondo. L’interlocuzione tra tanti di noi, anche assai autorevoli, e i membri delle comunità ebraiche italiane, che si era avviato dopo l’invio, il 27 novembre scorso, di una lettera ai “nostri contemporanei del popolo ebraico” (era aggiunto “della diaspora” ma era una delimitazione sbagliata), si è interrotto dopo le prime sollecite risposte delle Comunità di Napoli e Bologna, dopo di allora nessuna comunità ci ha dato più riscontro, come se fosse intervenuta una decisione centrale di non accettare lo scambio; inoltre un incontro promosso da Amnesty International all’Ateneo di Venezia sul pericolo di un genocidio, oggetto del monito della Corte penale internazionale, è stato considerato odioso, mentre la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, è giunta a dire che una nuova visita del Papa alla sinagoga di Roma non sarebbe gradita. Si è profilato così il rischio del venir meno di ogni possibilità di correlarsi giustamente degli uni con gli altri.
A questo punto, non trattandosi fra questi soggetti di un rapporto tra nemici, nasce un problema che non è più solo quello del rapporto del popolo ebraico con i suoi amici e nemici, ma è il problema del rapporto di ciascun popolo con ogni altro popolo, di ogni religione con ogni altra religione, di ogni Stato con ogni altro Stato; rapporti che infatti oggi, nella tragica situazione mondiale sono giunti al limite di un possibile suicidio della specie (nel caso particolare, “Il suicidio di Israele” è il titolo di un libro di Anna Foa). E l’Europa, proprio lei, è la prima a correre verso l’abisso compromettendo la sua stessa unità.
Dunque ci vuole un salto di qualità. Non una piccola riforma interna a una situazione che non muta, ci vuole un rovesciamento. Ma rovesciare che cosa? Occorre un rovesciamento del primato del sé che ciascuno rivendica rispetto a tutti gli altri. Giusto è il tributo reso alla propria identità, ma è distruttiva l’adorazione di se stessi, il ritenersi i primi o gli unici di cui soddisfare i bisogni o adempiere le pretese, il considerarsi superiori o alternativi agli altri, il pensarsi detentori di doni esclusivi, o investiti di compiti o missioni insostituibili, che generano santi, vittime o oppressori. In questa sindrome rientrano le ideologie del “prima noi”, che vuol dire gli altri fungibili: come scriveva Herbert Spencer, nella sua “Military and industrial society”, se gli uomini sono in grado di vivere, è giusto che vivano, se non sono in grado di vivere, che muoiano.
L’ideologia di “prima l’America”, “America first”, non è solo di Trump ma di tutti i governi americani i quali scrivono nei documenti sulla sicurezza degli Stati Uniti che essi non devono avere nessun altra Potenza superiore a sé, ma nemmeno eguale a sé; così è il proclama di Salvini, “prima l’Italia”, prima la Nazione, o la “patria”, e i migranti abbandonati al mare.
Nel caso di Israele, e non solo di Netanyahu, il problema c’è, e forse determinante, quale si manifesta nella versione sionista, e quindi è attuale e moderno; ma non è insolubile perché il sionismo non è l’ebraismo realizzato, nella sua forma politica oggi vigente. Perciò la confessione ebraica è suscettibile di un “aggiornamento”, come con parola riduttiva si disse della Chiesa all’inizio del Concilio Vaticano II. La Scrittura, cioè la Legge e i Profeti, che è la madre della fede ebraica, è sempre capace di essere compresa e attuata in modo più fedele e salvifico nella inesausta interpretazione e lettura che se ne può fare nel tempo, ciò di cui proprio gli Ebrei, con i loro midrashim sono maestri (per non parlare, in campo cristiano, di Gregorio Magno con il suo “Divina eloquia cum legente crescunt”). Così è stato per la Chiesa cattolica che ha rischiato di essere travolta dalla modernità (“Agonia della Chiesa?” nelle parole del cardinale Suhard!) e nella quale il regime costantiniano, la Cristianità, gli Stati pontifici non sono stati il cristianesimo realizzato ma le forme anche ingiuste e spesso persecutorie felicemente licenziate solo nel XX secolo, dopo una guerra mai vista prima, con il Concilio imprevedibilmente convocato da Papa Giovanni e ora con papa Francesco e i suoi Sinodi. Questa è stata la “conversione” della Chiesa che non ha voluto dire disperdersi nella modernità, né voler “convertire” o assorbire altre confessioni e identità religiose, ma resuscitare la sua figura e il suo ruolo nella comunità dei popoli.
Noi comprendiamo la vertigine del popolo ebraico che rivive sempre l’evento tramandato come fondativo, l’evento folgorante del Sinai, dopo l’uscita dall’Egitto, non come evento del passato, ma come se fosse di oggi. C’è nella nostra memoria una parola illuminante del rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, a un incontro ecumenico di Napoli, che disse come gli Ebrei vivano la liberazione dei loro padri dall’Egitto come se fosse la loro liberazione personale e attuale di oggi, e così ovviamente l’evento del mandato divino e la promessa consegnata sul Sinai; ed era un compito da tremare, un fatto unico quello di dare la legge a tutti.
Ora è chiaro che questa esperienza religiosa non può essere trasposta come tale sul piano politico, e usata come legittimazione dell’operato di un governo e di uno Stato, come accade sotto la spinta dei partiti religiosi ed è avanzata dallo stesso Netanyahu nel suo discorso all’Onu, citando Mosè alle porte della terra promessa, ossia della Palestina di oggi. Perché qui c’è il nodo del rapporto tra Israele e le Nazioni, della contrapposizione con i popoli alieni, fino a volerli sottrarre alla vista. Di qui la “solitudine” di Israele, il sentirsi separato ma perciò anche unico fra tutti, l’idea che
ciò che accade al popolo ebraico sia imparagonabile con qualsiasi altro evento, fino al terrorismo e all’olocausto, la condizione di vittima e la convinzione che l’antisemitismo non sia finito, ma la causa di ogni opposizione o critica a Israele. E in risposta la rottura con gli altri, le inimicizie irrevocabili, l’ostracismo nei confronti degli organismi internazionali e dell’ONU, la Carta dell’Onu stracciata di fronte alla comunità delle Nazioni.
Tuttavia l’ebraismo ha tutti i carismi e le potenzialità per la rivisitazione dei tesori della propria tradizione, e per quel rinnovamento che i tempi richiedono.
Ma, dal particolare all’universale, l’atroce sofferenza che gran parte dei nostri simili nel mondo intero sta soffrendo, sotto l’egida dell’individualismo e della competizione, pongono alla coscienza di tutti noi, alle nostre culture e alle nostre fedi l’esigenza di quel rovesciamento che ci può far uscire dalla crisi: passare dal culto di se stessi, dall’autolatria che rompe l’unità umana, alla scelta non solo di essere “come gli altri”, ma di mettere avanti l’altro – il migrante, il povero, lo scartato, il minore, il palestinese: non “prima noi”, ma “prima loro”. Non è facile, occorre resettare la vita e la società.
Con i piu cordiali saluti,
Lo Scriba per “Prima loro”
P.S. A “Prima loro” sarà anche intitolato un sito. Chi, per qualsiasi ragione, non volesse più ricevere queste newsletters, lo segnali a questo indirizzo del mittente. Chiunque egualmente può chiedere di riceverle.
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- Raniero La Valle
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Vicenda Todde. Ancora pareri
L’ordinanza della Commissione regionale obbliga il Consiglio regionale a dichiarare la decadenza della Presidente della Regione?
8 Gennaio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
L’ordinanza della Commissione di garanzia elettorale rimette gli atti “al Presidente del Consiglio Regionale per quanto di sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza di Alessandra Todde dalla carica di presidente della Regione Sardegna“. Come si vede, la Commisione non chiede che il Consiglio regionale disponga la decadenza della presidente Todde, ma solo […]
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