Libri
Oggi venerdì 31 gennaio 2025, ultimo giorno del mese.
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Caso Todde: urgente una nuova legge elettorale
31 Gennaio 2025 su Democraziaoggi
Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “socialismo Diritti Riforme ODV”
Non sono interessata a dipanare questioni squisitamente tecnico-giuridico-costituzionali, non ne ho le competenze né sono argomenti che mi appassionano. Ci sono autorevoli voci da ascoltare, non certo la mia. C’è però un insegnamento, a mio modesto avviso, che deriva prepotente dalla […]
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Il governo impugna la legge regionale sulle aree idonee, ma…
31 Gennaio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Il governo ha dunque impugnato davanti alla Corte costituzionale la legge regionale sulle aree idonee. Non c’è da meravigliarsi. L’esecutivo rimane sulla scia di una tradizione sedimentata degli organi centrali volto alla compressione dell’autonomia regionale. La questione è resa possibile da un sistema costituzionale barocco, che intreccia la potestà legislativa regionale con quella nazionale, […]
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Trump, l’Europa e la crisi del modello americano – di
Michele Rutigliano su PoliticaInsieme.
https://www.politicainsieme.com/trump-leuropa-e-la-crisi-del-modello-americano-di-michele-rutigliano/
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Dare un’anima alla politica
Una bella sala. Pubblico numeroso, attento e partecipe.
La frase più citata: “La politica è organizzare la speranza. E per sperare negli uomini bisogna amarli” (Tina Anselmi).
Una buona riuscita dell’incontro. L’organizzazione non è stata e non è mai una passeggiata.
A sa prossima!
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Nel suo intervento di benvenuto, il preside della Facoltà mons. Mario Farci, ha comunicato che l’intera registrazione dell’incontro sarà disponibile tra qualche giorno nello spazio YouTube della Facoltà Teologica. Vi faremo sapere. Saludos
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Nel giorno della Memoria
Martedì 28 gennaio 2025
Carissimi,
ieri abbiamo scritto questa lettera agli Ebrei nel “Giorno della Memoria” che qui vi inviamo per conoscenza, con cordiali saluti
Raniero La Valle
DA: “PRIMA LORO”: LETTERA AGLI EBREI NEL GIORNO DELLA MEMORIA
MAI PIU’
Cari Amici delle Comunità Ebraiche di Israele e della Diaspora,
al giungere del “Giorno della Memoria”, riteniamo di potervi esprimere anche a nome di innumerevoli nostri contemporanei e a nome dei 310 illustri mittenti che hanno voluto scrivervi la lettera del 27 novembre scorso (e se qualcuno non si riconoscesse in questo ulteriore dialogo può non mantenervi la sua firma) l’affetto e la solidarietà commossa che tale celebrazione rinnova verso di voi. La Shoà non sarà mai cancellata dal martirologio della storia umana. Noi abbiamo compreso la vostra vibrante reazione a sentire parlare di genocidio in relazione alla guerra di Gaza; infatti benché di analoghi eventi sia stata purtroppo costellata la storia anche prima della Shoà, il genocidio perpetrato dai nazisti contro gli Ebrei è inassimilabile a qualsiasi altro per crudeltà, numero e diabolica pretesa di scientificità, ultimità e finalismo. Da questa aberrazione è scaturito l’irretrattabile “mai più” che tutti ci accomuna.
Perché allora la parola è tornata? Perché, ad onta della Convenzione per la prevenzione e la repressione di tale orribile delitto, che fu la prima delle grandi decisioni postbelliche, la pratica di tale crimine associata al livello estremo cui è giunta la guerra moderna, è stata implicitamente ammessa nei media e ostentata agli occhi di tutti, se non addirittura legittimata come giustificata e non sanzionabile. Secondo il criterio più specifico adottato dalla Convenzione dell’ONU, che è l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte (anche in parte), un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale, genocidi sono stati in passato quelli degli Indiani d’America o degli Armeni, prima dell’abisso della Shoà volta a distruggere gli Ebrei in quanto Ebrei; c’è stata poi l’intenzione di distruggere i Giapponesi in quanto Giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, i Cambogiani in quanto Cambogiani per nascita e cultura a Phnom Penh, gli Israeliani in quanto Israeliani in Palestina, i Palestinesi in quanto Hamas a Gaza e, da ultimo, ai nostri giorni, l’eccidio dei Congolesi a milioni per la sfortuna di vivere in un Congo ricco di stagno, tungsteno, tantalio, oro e altri metalli necessari all’elettronica del mondo intero, nel silenzio dei più. La guerra stessa oggi, con le testate nucleari sulle punte dei fucili, si può assimilare al genocidio. È dunque contro questo nuovo flagello dell’umanità, contro questa normalizzazione di guerre genocide, che tutti insieme, Ebrei e Gentili, dovremmo levarci e combattere, risolvendo intanto il contenzioso aperto tra noi.
Di questo fa parte senza dubbio la questione palestinese, a cui per molto tempo si è creduto (da qualcuno anche in Israele) si potesse dare risposta con la soluzione dei due Stati. Oggi, salvo eventi straordinari, si è fatto evidente che questa soluzione è stata resa impossibile. Anche gli avvenimenti di Jenin lo dimostrano. Non si apre allora qui la strada maestra della riconciliazione e condivisione, di Terra e di mensa, cioè di vita, dei due popoli in lotta?
È stato emozionante vedere al momento del rilascio delle quattro donne soldato israeliane a Gaza, l’intreccio dei colori israeliani e palestinesi, lo scambio di gesti, fossero pure artefatti, come se l’odio fosse finito; così come lo è stato il vedere i fiumi di palestinesi uscire dalle carceri israeliane, come se un unico Stato, per Ebrei e Palestinesi, fosse già esistente, anche se troppi Palestinesi aventi casa in prigione.
Perché non dovrebbe essere possibile in Palestina, o se volete in Giudea, Samaria, Galilea, uno Stato giusto e accogliente, casa di tutti? Potrebbe e forse dovrebbe non essere uno Stato laico, secolare e autoidolatrico, quale è nelle ideologie della modernità occidentale; potrebbe essere uno Stato confederale, né secolare né teocratico, né religioso né aconfessionale, né integralista né agnostico, ma potrebbe essere uno Stato abramico o “abramitico” come, secondo la Promessa, dovrebbero essere tutti gli Stati e i territori atti ad accogliere e a far vivere insieme tutte le famiglie della terra. Esso potrebbe essere dotato di ordinamenti innovativi, riconosciuti e tutelati dalla comunità internazionale; e se l’intreccio di Ebrei e Palestinesi, anche al di là del territorio dello Stato, si realizzasse altresì in una convivenza più diffusa nel vasto mondo esterno, si potrebbero adottare misure atte a mantenere una giusta proporzione tra popolazione arabo-palestinese ed ebrea-israeliana in Palestina. O non si può fare nient’altro che quello che è stato già fatto?
Ciò vorrebbe dire una riconciliazione e una pace anche al di là di quella tra Israeliani e Palestinesi. Qualcuno potrebbe chiedere, come ha fatto la comunità ebraica di Bologna rispondendo alla nostra precedente lettera, perché proprio un piccolo Paese come Israele dovrebbe farsi carico di una risposta al problema di 5-6 milioni di profughi gettati nel mondo che nessun Paese finora è riuscito a risolvere. La risposta ci pare sia che non c’è un altro popolo che ha avuto il mandato di tessere l’unità umana. Non tocca a noi ricordare i testi della vostra grande tradizione protesa alla pace e all’universalità dell’intera famiglia delle nazioni.
Oggi, dopo la tregua di Gaza, voi siete stati esposti a una gravissima provocazione, proveniente dal neoeletto Capo della più grande potenza militare della Terra, che vi esorta a estirpare l’intera popolazione di Gaza da quella terra tormentata, e nello stesso tempo vi invia le armi e i dollari per farlo. Purtroppo anche qualcuno dotato di autorità nel governo di Israele ha detto che si tratta di un’idea “meravigliosa”. Si tratterebbe di un orrore deciso e programmato a freddo, quale non si è dato nemmeno nella pulizia etnica del Sudafrica prima della sua conversione all’umano. E non comprendiamo come i costruttori di amene villette sulla costa deliziosa di Gaza, potrebbero non essere inquietati dalla percezione che quel risultato felice sarebbe stato conseguito in seguito e per effetto di un doppio flagello, il genocidio, subito ieri dagli Ebrei in Europa e l’estirpazione violenta oggi dei due milioni di superstiti a Gaza. Ci sembra che in questo momento il passaggio cruciale nel rapporto tra Israele e la comunità internazionale stia nel respingere senza ambiguità questa proposta presentata come la soluzione definitiva della questione palestinese, e paradossalmente frutto della tregua di Gaza. E ci sembra che anche l’Italia, pur nel rapporto ambiguo stabilito tra il presidente Trump e la presidente del Consiglio Meloni, dovrebbe respingere questo aberrante progetto politico, che griderebbe vendetta alla luce della nostra Costituzione e della nostra identità nazionale.
Infine un accenno a un problema interno alle Chiese. Papa Francesco ha detto, celebrando la settimana per l’unità dei cristiani, che la Chiesa cattolica è disposta ad adottare qualsiasi data per la Pasqua, superando le “diatribe” del passato, pur di celebrarla nello stesso giorno nelle diverse confessioni cristiane. La data della Pasqua degli Ebrei non si discute: ma non potrebbe aprirsi un dialogo anche su questo, in vista della futura unità? Dopo tutto è celebrando la “Pasqua dei Giudei” che Gesù è stato consegnato alla morte dal brutale e pilatesco potere romano.
Rinnovando la nostra condivisione con Voi nel Giorno della Memoria, vi inviamo i più cordiali saluti
Lo Scriba per “Prima loro”
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————Evento imperdibile——
Documentazione
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… il Papa dice “questa non è guerra, ieri sono stati bombardati i bambini, questa è crudeltà, voglio dirlo perché tocca il cuore”
Ai firmatari e interlocutori della Lettera ai nostri contemporanei Ebrei
A 30 MIGLIA LA SALVEZZA
Roma, 28 dicembre 2024.
Cari Amici,
facendo seguito alla corrispondenza intercorsa dopo la nostra lettera del 27 novembre scorso “ai nostri contemporanei del popolo ebraico della diaspora”, vi scriviamo spinti dall’ulteriore corso degli eventi. Ci sembra che essi ci stiano ponendo una questione di massima urgenza: ci sono da salvare i rapporti di fiducia e di amore storicamente ricostruiti tra le Genti di tutto il mondo e il popolo ebraico di Israele e della Diaspora, contro le ricadute devastanti che stanno avendo sul sentimento comune le attuali condotte dello Stato di Israele, seguite al criminale attacco di Hamas del 7 ottobre a Gaza.
Non può continuare una guerra così, perfino il Papa dice “questa non è guerra, ieri sono stati bombardati i bambini, questa è crudeltà, voglio dirlo perché tocca il cuore”. È proprio vero, perfino la guerra si offende, abbiamo detto altra volta, se chiamiamo “guerra” ciò che oggi essa è diventata su vari fronti di lotta. E la reazione del governo di Israele è stata durissima, si è detto “deluso” del Papa, ha legittimato la strage perché nel “contesto della lotta di Israele contro il terrorismo jihadista”, ha riconosciuto la crudeltà, ma degli altri non della sua. E Francesco, che di amore per gli Ebrei ne ha più di tutta la Chiesa, ha ripetuto all’Angelus del 22 dicembre: “Con dolore penso a Gaza, a tanta crudeltà, ai bambini mitragliati, ai bombardamenti di scuole e ospedali…”, E, ancora una volta, ha ricordato i “bambini mitragliati” nell’omelia della Messa dii Natale dopo l’apertura della Porta Santa, mentre a Gaza è stato distrutto l’ultimo ospedale rimasto.
Con Gianni Ibba a trovare il vero padre Domenico!
Questa mattina presso il Convento dei frati francescani minori di Sant’Antonio in Quartu S.Elena, insieme con alcuni amici, abbiamo accompagnato il nostro scrittore a incontrare padre Domenico Atzei, frate francescano di 92 anni. Qual è la notizia? Padre Domenico, o meglio qualcuno che ne ricorda la persona, è stato inserito, a sua insaputa, tra i personaggi del romanzo di Gianni “L’ordito e la trama”, ambientato come si sa nell’Ottocento, a partire dai primi anni. Nel romanzo padre Domenico e’ un illustre professore universitario di botanica dell’Ateneo di Cagliari, come in effetti è stato ed è (attualmente in pensione) nella sua vita reale, seppure dell’Universita’ di Sassari. Precisamente nel romanzo, padre Domenico è lo zio di uno dei due principali protagonisti, il medico Emilio Asproni di Bono, del quale ha positivamente influenzato la formazione non solo professionale. La realtà alimenta l’immaginazione fantasiosa, generando situazioni avvincenti. Giova rileggere il libro soffermandoci sulle pagine che vedono la presenza dell’immaginario padre Domenico. Vedremo quale sarà la lettura del libro da parte del frate a cui Gianni l’ha doverosamente omaggiato.
L’incontro è stato una piacevole occasione per sentire da padre Domenico il racconto, seppure in estrema sintesi, della sua vita francescana, anche ricordando il suo sodalizio con padre Agostino Pirri (1930-2023), che fu con lui ordinato sacerdote il 14 luglio 1957.
“Gli eroi son tutti giovani e belli”. Gianni Ibba su “L’ordito e la trama”.
Emilio Asproni, medico, 26 anni, nativo di Bono [1778].
Residente a Cagliari prima della latitanza (26 marzo 1804).
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Lorenzo Sulis, avvocato, 25 anni, nativo di Nuoro [1779].
Residente a Cagliari prima della latitanza (26 marzo 1804).
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Nelle foto, una ricostruzione fantasiosa dei volti dei due immaginari protagonisti, realizzata con l’applicazione dell’Intelligenza artificiale maneggiata da Franco Meloni con l’aiuto di Bobo Meloni (all’insaputa dell’autore del libro).
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L’ordito e la trama di Gianni Ibba
E’ in libreria “L’ordito e la trama”, romanzo di carattere storico dell’esordiente Gianni Ibba, Aipsa Edizioni (18 €). L’autore nella prefazione scrive che il suo libro “è figlio del Covid”; lo ha infatti pensato e scritto nei quattro anni in cui imperversava il morbo, come divertente e creativo passatempo nella cattività (in realtà un pretesto che, si parva licet, ricorda quello del Decameron di Boccaccio).
Consigli per gli acquisti
L’ordito e la trama, di Gianni Ibba, Aipsa Edizioni €18.
Emilio Asproni, medico, 26 anni, nativo di Bono [1778].
Residente a Cagliari prima della latitanza (26 marzo 1804).
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Lorenzo Sulis, avvocato, 25 anni, nativo di Nuoro [1779].
Residente a Cagliari prima della latitanza (26 marzo 1804).
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Nelle foto, una ricostruzione fantasiosa dei volti dei due immaginari protagonisti, nonché un improbabile quadro con l’autore, realizzate con l’applicazione dell’Intelligenza artificiale maneggiata da Franco Meloni con l’aiuto a distanza di Bobo Meloni (all’insaputa dell’autore del libro).
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Regali natalizi. Consigli per gli acquisti. Libri
1.
L’ordito è la trama, di Gianni Ibba, Aipsa Edizioni €18.
Emilio Asproni, medico, 26 anni, nativo di Bono [1778].
Residente a Cagliari prima della latitanza (26 marzo 1804).
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Lorenzo Sulis, avvocato, 25 anni, nativo di Nuoro [1779].
Residente a Cagliari prima della latitanza (26 marzo 1804).
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Nelle foto, una ricostruzione fantasiosa dei volti dei due immaginari protagonisti, realizzata con l’applicazione dell’Intelligenza artificiale maneggiata da Franco Meloni con l’aiuto di Bobo Meloni (all’insaputa dell’autore del libro).
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2.
L’incontenibile forza della gentilezza, di Ottavio Olita, Isolapalma Edizioni, €22.
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3.
Oltre ogni confine, di Pier Paolo Loi, Multimage, €11. Acquisti online
Letteratura
”La luna piena illuminava ancora la città in attesa di essere sostituita dal sole nel freddo mattino del 26 marzo 1804, lunedì santo, mentre una anonima barca di pescatori lasciava la calata di Bonaria diretta verso un brigantino in attesa appena fuori dal porto di Cagliari. A bordo della piccola imbarcazione, oltre ai tre membri dell’equipaggio, sedevano due uomini, scuri in volto, racchiusi nei loro mantelli di lana.”
Anticipazioni. In libreria L’ordito e la trama, romanzo d’esordio di Gianni Ibba
Silvano Tagliagambe: “ gli abitanti della Sardegna possono disporre di tutti i mezzi per assumere una consapevolezza ancora maggiore del ruolo che possono svolgere oggi e in futuro nell’area cruciale del Mediterraneo per contribuire a orientare in senso positivo l’avvenire”.
L’articolo-dialogo che segue si riferisce all’ultimo libro di Silvano Tagliagambe, pubblicazione articolata, fascinosa e molto rigorosa e, così sembra a me, lavoro che può essere di ulteriore stimolo nel dibattito sulla Sardegna [rp].
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Tra Mediterraneo e Sardegna il rilancio del presente
di Roberto Paracchini
-Voce. Davvero i tuoi bisbisbissavoli vivevano del tutto isolati in Sardegna?
-Autore. No, ma che dici?
-Voce. Veramente non lo dico io ma lo narrano in tanti affermando che la Sardegna, essendo un’isola, non poteva che essere isolata; ed raccontano anche che voi tutti siete figli di una Sardegna arcaica.
-Autore. Allora capovolgiamo il paradigma.
-Voce. Paradigma?
-Autore. Sì, indica una visione d’insieme quando è dominante su tutti gli aspetti di interpretazione di una determinata realtà.
-Voce. Mi vuoi forse dire che è ininfluente che la Sardegna sia circondata dal mare?
-Autore. No, anzi, il contrario. Prova a metterti sul litorale e volgi lo sguardo non al tracciato terrestre ma a quello marino. Ti sembrerà di mandare lo sguardo all’infinito, tra viaggi e scoperte e non certo di essere in un luogo isolato.
-Voce. D’accordo, ma tutti i discorsi che voi sardi fate sulla mancata continuità territoriale?
-Autore. Non confondere i problemi attuali dei trasporti con quello che il Mediterraneo è stato nei secoli per la Sardegna.
-Voce. Una parte di voi sostiene, però, che la Sardegna sia stata per decenni molto arretrata anche perché più isolata per le difficoltà dei collegamenti.
-Autore. Non esattamente. Innanzi tutto tieni presente che i dibattiti sulla storia della Sardegna sono molto ampi…
-Voce. Quindi?
-Autore. Quindi nel leggere i fatti storici dobbiamo decifrare, colmare i vuoti, cercare di mettere assieme i frammenti, analizzare e studiare con l’aiuto dell’archeologia e anche, come vedremo, della mitologia e della genetica. E questo non è affatto facile e ci vogliono ricerche e tempo, non conclusioni affrettate.
-Voce. In un libro che mi è capitato di sfogliare ho letto che nei primi decenni del Novecento il linguista Max Leopold Wagner, autore anche del primo dizionario di lingua sarda, prese come paradigma di tutta l’isola la Sardegna più arcaica e la sua lingua, il nuorese; e anche lo storico Marc Bloch sottolineò l’isolamento e l’arcaicità della Sardegna…
-Autore. Vedo che sei molto curiosa ma, scusa, tu chi sei?
Elogio della mitezza
L’articolo si incentra principalmente sul saggio di Norberto Bobbio “Elogio della mitezza”. In un momento in cui la mitezza pare lontanissima dalla contemporaneità, Bobbio la rivaluta mostrandone, in modo quasi preveggente per l’oggi, il suo aspetto potente e rivoluzionario. L’articolo è sviluppato sotto forma di dialogo.
Elogio della mitezza
di Roberto Paracchini
- …, già e come si fa? Come si fa a parlare del futuro…?
- Si cerca di immaginarlo partendo da elementi del presente.
- Così però si rischia di pensare un futuro cupo, troppo cupo.
- E chi lo dice?
- Beh, il presente non è certo bello: guerre, distruzioni e cattiverie gratuite, violenza, razzismo, discriminazioni, povertà, crisi climatica e tanto tanto altro ancora. Greta Thunberg e i tantissimi giovani che vedono in lei un punto di riferimento, hanno perfettamente ragione a protestare.
- Sì: sembra proprio che stiate facendo di tutto per preparare loro un bruttissimo futuro.
- Ma chi parla, chi entra nei miei pensieri?
- Calma, stai solo riflettendo.
- Già con una voce che non sono io e che risponde a quello che penso…
- Innanzi tutto io non sono una voce ma Qfwfq. Quindi tranquillizzati.
- O, cielo!, chi parla!
- Te lo detto, sono Qfwfq.
- Chi?
- Potrei offendermi, sono il prodotto della fantasia di un grande scrittore, Italo Calvino.
- Ah…, davvero?
- Sì, “Le cosmicomiche”.
- Ma che faccio, dialogo con Qfwfq?
- E che c’è di strano, secondo il mio autore esisto da tempo immemorabile.
- Ma sei un prodotto della fantasia!
- Appunto ed è di questo che hai bisogno, ti trovi di fronte a un’impasse…
- ?
- Col terrore del foglio bianco.
- Beh, forse la questione è complessa.
- Ovvio, è difficile orientarsi in questo mondo, tanto meno scriverne. Ne so qualcosa io, prodotto dalla fantasia e dalle ossessioni di chi mi ha dato i natali.
- Va beh, finalmente un sogno letterario. Peccato che poi finisca.
- E chi l’ha detto, deciderai tu.
- Forse forse resterei nel sogno…
- D’accordo, la consapevolezza delle brutture del vostro presente fa male, ma le avete prodotte voi.
- Lo so…, lo so ma non ti ci mettere anche tu; credimi, c’è da impazzire.
- E per che cosa credi che sia qui. Però non incolpare altri della tua incapacità di capire.
- Vedi tu? Ormai tutto è fuori registro, abnorme e sempre più incomprensibile e tu pure, cara/o Qfwfq, forse fuggita/o da un libro e che ora dialoghi con me.
- Io non fuggo, semmai tu, che vigliaccamente rinunci a capire.
- Non offendere, ho solo un momento di sconforto.
- “Sapere aude!”, scriveva un vostro grande filosofo, l’illuminista Immanuel Kant: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Ma tu questo coraggio non sembri averlo.
- Già, la fai facile tu che vivi in un mondo di fantasia…
- Ma è proprio questa che ti manca. La fantasia.
- Sarebbe?
- Che cosa credi che sia l’intelligenza? Se non quel qualcosa che ti permette di immaginare mondi altri, forse inusitati ma non per questo meno possibili?
- Quindi?
- Non devi scoraggiarti.
- Però, se ci si guarda attorno…
- Non farti ingabbiare dal qui ed ora. Te lo ridico: abbi il coraggio di usare la tua intelligenza, quindi di immaginare altro non rifiutando la potenza della fantasia. E ricorda: la realtà è fatta da tutte le determinazioni del possibile, anche da quelle che ora non ci sono ma che potrebbero esserci.
- Semplice da dirsi, per te che vivi in un racconto.
- Non è esatto, io vivo in tutti coloro che mi leggono, o mi hanno letto, o mi leggeranno. Io non sono di nessuno ma per tutti.
- Ovvero?
- La fantasia è patrimonio comune.
- Allora spiegami, come si fa ad affrontare questo mondo fatto di guerre, distruzioni e cattiverie impensabili?… Come si fa a viverci? Come si fa a non venire schiacciati dalla sua pesantezza? Come si fa a costruire o inventare un pur piccolo granello di sabbia che contribuisca a renderlo almeno un po’ meno ingiusto?
- Mi ripeto: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Lo scrittore che mi ha dato i natali, Italo Calvino, pur parlando di letteratura, ha insegnato anche a me, suo prodotto di penna, molte cose.
- Allora, Qfwfq, visto che ormai, meticciando realtà e fantasia, mi hai avviluppato nel tuo mondo, sii generoso e spiega pure a me.
- Il mio Calvino nel libro Sei lezioni americane, alla voce leggerezza, racconta che la pesantezza del mondo si supera non con fughe nel sogno o nell’irrazionale, ma cambiando approccio, quindi avendo più fantasia e guardando il mondo “con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza”.
- Bene, e come fare?
- Forse cominciando a riflettere sul fatto che siete tutti imprigionati da un’idea fissa: che in ogni momento della vostra vita c’è chi vince e chi perde, chi arriva primo e chi no, e chi irrimediabilmente si smarrisce per strada. E che siete tutti ingabbiati in questa bizzarra e crudele gara, tanto che sembra normale, se non scontato, anche l‘uso della forza, della furbizia e della spregiudicatezza…
- Seppure malinconicamente, mi vien da dire che questa logica del vincere o del perdere sembra proprio la più diffusa nella realtà in cui viviamo.
- Già, vincere… Sai l’etimologia di questo verbo richiama la radice weik che implica un combattere continuo e infine, appunto, un vincitore, da cui la configurazione di uno spazio di dominio in cui uno soggioga l’altro e dove c’è chi lega e chi viene legato. E’ questo il mondo a cui aspiri?
- Certo che no! E non sono il solo a non volerlo. Ma sempre più persone stanno perdendo la fiducia e la speranza in un possibile cambiamento.
- Allora muovetevi, seguite l’esempio dei giovani.
- Facile a dirsi, però…
- Niente è fattibile se non si inizia. Un primo passo è cambiare linguaggio: non più vincere, né convincere, ma persuadere. La più timida persuasione che nella sua etimologia indica, sì, anche un’azione, ma verso un qualcosa di dolce e delicato supportato, direi io, da argomentazioni non apodittiche.
- Scusa Qfwfq ma per battere e sconfiggere la sfiducia e l’indifferenza non pensi occorra invece usare un linguaggio che “buchi” l’attenzione: forte e deciso?
- No, penso sarebbe un atteggiamento sbagliato. Sai, basta accendere la tv o collegarsi a un qualsiasi social per essere subito investiti e travolti da tanti linguaggi barricadieri che bucano, sì, l’attenzione come dici tu, ma che quasi subito svaniscono lasciando ben poco, se non un sapore amaro e un bel po’ di fastidio quando va bene; confusione, rabbia e astio più spesso.
- E tu che proponi?
- Festina lente, affrettati lentamente: agisci, sì, ma dopo aver riflettuto. Nessun assalto all’arma bianca, sia pure solo verbale.
- Quindi?
- Come afferma il mio Calvino, occorre “guardare il mondo con un’altra ottica”. In pratica bisogna cambiare paradigma, abbandonare il linguaggio bellicoso e avere il coraggio di guardare altrove. E potete farlo prendendo esempio da un altro gigante della cultura italiana e mondiale, il filosofo Norberto Bobbio; e scommettere con lui sulla mitezza.
- Caspita, Qfwfq, la mitezza? È come se proponessi una rivoluzione copernicana.
- Esatto.
- Spiega.
- In un mondo di sopraffazioni continue va precisato che “la mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei propri meriti, che giustifica la sopraffazione”, come sottolinea Bobbio nel saggio Elogio della mitezza.
- D’accordo, la mitezza, però sembra un qualcosa di molto, direi troppo lontano dal mondo dell’oggi.
- Non credo, le cose che sembrano più inaccessibili, sono spesso quelle con cui viviamo nella nostra quotidianità, pur non vedendole.
- Non capisco, ogni tanto mi perdo…
- Se vai a prendere un caffè gradisci che chi te lo serve, faccia un sorriso, che tu ricambi perché un sorriso è contagioso come una piccola coccola. Oppure ti viene spontaneo aiutare il tuo vicino di casa se lo vedi in difficoltà con la spesa o aiutare una persona incerta ad attraversare la strada e tante altre piccole grandi cose. Uso volutamente “piccole grandi” perché sono le (apparentemente) piccole cose che ci fanno grandi. Ed è proprio in queste che si forgia la mitezza, una postura del comportamento meno aggressiva e più riflessiva. Sai, come specifica Bobbio, la mitezza è “una disposizione d’animo che rifulge solo alla presenza dell’altro: il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé”. In altre parole: il mite aiuta a limitare l’arroganza dell’altro, in quanto esempio vivente che i rapporti interpersonali possono essere meno spigolosi e trasformarci in persone che ascoltano.
- E pensi che questo possa aiutare a superare la sfiducia e a formare un ambiente meno indifferente?
- Molto probabile. Sai l’indifferenza ha spesso come base la difficoltà nei rapporti interpersonali. Quando affermo che dovremmo usare il termine persuadere e non con-vincere, penso che si debba iniziare dalla nostra quotidianità dove in continuazione facciamo scelte che ci relazionano agli altri…
- Non ti seguo.
- Non ti capita mai di avere qualche problema e di sentirti come adirato col mondo?
- Beh, sì.
- In genere questo vuol dire che dentro di te c’è qualche “nodo” irrisolto, forse un eco di quell’inquietante “zona grigia” di cui parla Primo Levi.
- Non capisco che vuoi dire.
- Quel che forse sai anche tu: se riesci a relazionarti con qualcuno senza aggressività, quel “nodo” diventa più leggero, non che lo risolvi, ma ti si attenua, soprattutto se nella relazione con l’altro non entri in un quadro competitivo in cui ognuno vuole convincere l’altro di qualcosa. In altre parole, il mite è colei o colui che non vuole convincere nessuno, semmai persuadere.
- Mi stai dicendo che la persuasione si sposa con la mitezza e non con la vittoria…
- Certo. Sai, grazie al mio Calvino sono un testimone senza tempo dell’evoluzione dell’universo e di vittorie e catastrofi ne ho visto tante, dai buchi neri alla formazione di nuove stelle. Ma ho anche osservato che per quella strana “cosa”, che chiamate homo sapiens, più che i grandi eventi che hanno creato l’universo, contano le carezze.
- Che è, Qfwfq, mi stai diventando sentimentale…
- La fantasia è anche sentimento, parola che va accostata al verbo sentire, che significa avere consapevolezza di sé e dell’altro; e che è spesso anche il prodotto di una carezza. Gesto che, a sua volta, richiama una postura mite verso l’altro, che deriva da caro, amato. Tutti significati ben lontani dal vincere-soggiogare-fare prigioniero.
- Perdonami, Qfwfq, ma se vuoi cambiare qualcosa, così facendo non rischi di assumere un atteggiamento, sì, carezzevole, ma poco efficace?
- Per niente, semmai il contrario: la vittoria sottomettendo, blocca, ferma e cristallizza la realtà, soggiogando chi non la pensa come te e bloccandone le possibili scelte; e inibendo così la realizzazione di nuovi percorsi. Non credi invece che le nostre azioni, come spiega il fisico e filosofo Heinz von Foester, dovrebbero sempre essere volte ad agire “in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta”?
- Ammettiamo che sia d’accordo, ma come agire in questo senso?
- Con la mitezza, su cui punta Bobbio. Usando le parole di Carlo Mazzantini, un suo amico filosofo, Bobbio sottolinea che “la mitezza è l’unica suprema potenza (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. Quindi con tutta la sua libertà di scelta.
- Perdonami, Qfwfq, però per Norberto Bobbio “la mitezza non è una virtù politica”.
- Ed è per questo che è molto importante. Per lui, “la politica non è tutto. L’idea che tutto sia politica è semplicemente mostruosa”. Ma proprio qui sta per Bobbio la potenza della mitezza che, appunto, non è una virtù politica.
- Forse mi sono perso qualcosa, ho difficoltà a seguirti. Ti rigiro il moto Festina lente…
- Giusto, diamo un po’ di contesto. In Elogio della mitezza, quando Bobbio parla di politica, pensa soprattutto al Principe di Macchiavelli in cui gli “animali simbolo dell’uomo politico sono (…) il leone e la volpe”; e pensa a Hobbes e al suo homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro l’uomo), che “nello stato di natura è l’inizio della politica”. Tutti esempi in cui “non c’è posto tra loro per i miti”.
- Perdonami l’ingenuità e la banalità, ma come fa il mite a competere con questa “muscolosa” politica, soprattutto se vuole cambiarla? Non verrebbe spazzato via come un fuscello?
- Il problema è mal posto. Il mite, spiega Bobbio, “non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di sconfiggere, e alla fine, di vincere. È completamente al di fuori dello spirito della gara, della concorrenza, della rivalità e quindi anche della vittoria”.
- Continuo a non capire.
- Bobbio non nasconde affatto la prosaicità della storia e, quindi, della politica, piena di arroganza, protervia e prepotenza. Così come non nasconde, citando il filosofo Friedrich Hegel, che ai “fondatori di stati”, agli “eroi”, è stato permesso tutto, “anche l’uso della violenza”.
- Quindi?
- Bobbio cerca una via d’uscita coerente, una via d’uscita per il nuovo millennio direi, e la trova nella mitezza…
- Una virtù, però, che considera “non politica”.
- Sì, ed è proprio in questo suo (della mitezza) essere fuori dalla politica intesa come lotta e competizione, che sta la sua forza e la sua potenza. Come già accennato, la vita per Bobbio non si riduce alla politica ed è in questo spazio non politico, in cui i rapporti interpersonali non puntano a prevaricare e dominare l’altro, che può fiorire la mitezza in tutta la sua potenza.
- E che cos’è questo “spazio non politico”?
- In Elogio della mitezza, l’autore non lo precisa in modo esplicito, ma afferma di considerare molto importante “quello che c’è al di là della politica” dove si trova, appunto, la virtù della mitezza. Direi che per Bobbio si tratta di uno spazio che non è della politica tradizionale e nemmeno del privato dato che la mitezza “rifulge solo alla presenza dell’altro”; e che, quindi, può essere considerato uno luogo intermedio tra i due. Uno spazio determinante nella vita nelle persone perché in esso vivono i rapporti interpersonali, di cui la mitezza si nutre per definizione. Direi che questo spazio assomiglia a quello infra teorizzato dalla filosofa Hanna Arendt e per lei indispensabile per lo sviluppo democratico. E quale humus migliore della mitezza per stimolare la riflessione e la crescita delle persone?
- Oggi, però, sembra che più della riflessione domini la velocità e che tutto il resto (basta dare un’occhiata ai social) diventi subito obsolescente.
- Certo, ma quel che più conta credo sia riuscire a innescare cambiamenti virtuosi e contagiosi. A noi tutti e mi ci metto anch’io con l’illuminismo del mio Calvino, oggi non serve un qualcosa che faccia rumore e che appaia e scompaia come la voglia di immediatezza prodotta dai clic reiterati. Occorre invece un qualcosa che abbia potenza potente nel senso etimologico di capace di effetti, di autorità, ricco e nobile, autorevole insomma.
- Rieccoci, spiega meglio: potenza e mitezza a me sembrano due concetti agli antipodi.
- Per spiegarlo Bobbio si rifà alle parole del suo amico filosofo Mazzantini che come abbiamo già visto diceva che la mitezza “è l’unica suprema ‘potenza’ (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. E in più aggiungeva: “Il violento non ha impero perchè toglie a coloro ai quali fa violenza il potere di donarsi”. Chiaro?
- Non proprio.
- Allora seguimi ancora un attimo: chi comanda e domina fa fare agli altri solo quello che lui vuole, come se il dominato fosse diventato un suo terminale. In questo modo, però, la forza del suo comando resta, appunto, solo forza che piega con la violenza colui che viene dominato. Così il violento conquista, soggioga e trasforma il corpo del dominato ma, si potrebbe dire con un linguaggio forse improprio, non la sua anima: la sua vera volontà e la sua personalità restano inviolate.
- Prima hai accennato al tema del” donarsi”, chiarisci per cortesia.
- Dietro questa affermazione penso ci sia il discorso sul dono e sulla gratuità. In sintesi il donare, in questo caso, implica il fare qualcosa senza avere alcuna contropartita: un’azione svincolata da un qualsiasi vantaggio. A ben guardare si tratta di un comportamento che noi facciamo molto più spesso di quel che sembri durante la nostra quotidianità, come atto di attenzione verso gli altri con una telefonata affettuosa o un messaggio delicato che mandiamo o che ci arriva inaspettato, o una gentilezza inusuale o mille altre piccole cose. Ed è proprio la gratuità di questi gesti che li rende doni e, direi, doni contagiosi nel senso che spingono i destinatari a comportarsi nello stesso modo…
- Ma hai appena detto che non c’è contropartita.
- Infatti, perché i destinatari della contagiosità del dono non sono coloro che hanno fatto il dono, ma altri. Se poi lo diventano anche loro, è perché pure loro fanno parte del mondo “altri”.
- E un atteggiamento mite li stimola, i doni?
- Sì, ne è un propulsore: per Bobbio la mitezza “è una donazione”, e si tratta “di una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata”.
- Bene, torniamo un attimo sulla potenza della mitezza.
- Chi fa violenza toglie al dominato il potere di donarsi dimostrando così di non avere impero, nel senso di autorità e autorevolezza, su colui che soggioga; e questo perchè non controlla la sua libertà più grande, quella di potersi donare, appunto.
- Insomma, in questo quadro concettuale, è il mite il vero potente?
- Esatto, ma si tratta di una potenza fatta di autorevolezza, senza dominio e soprattutto, come spiega Bobbio, che sviluppa socialità. “Dunque – continua il filosofo riprendendo le parole di Mazzantini – ‘lasciare essere l’altro quello che è’ è virtù sociale nel senso proprio, originario, della parola”, che crea alleanza, base e trampolino per una nuova politica.
(Roberto Paracchini)
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Norberto Bobbio.
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