Editoriali
ONU. Non esiste alternativa al multilateralismo / La persecuzione di Francesca Albanese
Il 2025 dovrebbe essere un anno di festa, dedicato all’80° anniversario delle Nazioni Unite (ONU). Ma rischia di passare alla storia come l’anno del crollo dell’ordine internazionale costruito dal 1945.
Le crepe erano già visibili. Dopo le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan, l’intervento in Libia e la guerra in Ucraina, alcuni membri permanenti del Consiglio di Sicurezza hanno banalizzato l’uso illegale della forza. L’incapacità di affrontare il genocidio a Gaza rappresenta una negazione dei valori più fondamentali dell’umanità. L’incapacità di superare le divergenze alimenta una nuova escalation di violenza in Medio Oriente, il cui capitolo più recente include l’attacco all’Iran.
Il dominio del più forte minaccia anche il sistema commerciale multilaterale. Dazi doganali massicci interrompono le catene del valore e precipitano l’economia globale in una spirale di prezzi elevati e stagnazione. L’Organizzazione Mondiale del Commercio è stata smantellata e nessuno ricorda più il Doha Development Round.
Il crollo finanziario del 2008 ha evidenziato il fallimento della globalizzazione neoliberista, ma il mondo è rimasto ancorato al regime di austerità. La decisione di salvare gli ultra-ricchi e le grandi aziende a spese dei cittadini comuni e delle piccole imprese ha aggravato le disuguaglianze. Negli ultimi 10 anni, i 33.900 miliardi di dollari accumulati dall’1% più ricco della popolazione mondiale equivalgono a 22 volte le risorse necessarie per sradicare la povertà globale.
Lo strangolamento della capacità d’azione dello Stato ha portato al discredito delle sue istituzioni. L’insoddisfazione è diventata terreno fertile per narrazioni estremiste che minacciano la democrazia e promuovono l’odio come progetto politico.
Molti Paesi hanno tagliato i programmi di cooperazione invece di raddoppiare gli sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030. Le risorse sono insufficienti, i costi elevati, l’accesso è burocratico e le condizioni imposte non rispettano le realtà locali.
Non si tratta di beneficenza, ma di correggere disuguaglianze radicate in secoli di sfruttamento, ingerenza e violenza contro i popoli dell’America Latina e dei Caraibi, dell’Africa e dell’Asia. In un mondo con un PIL combinato di oltre 100.000 miliardi di dollari, è inaccettabile che oltre 700 milioni di persone continuino a soffrire la fame e a vivere senza elettricità o acqua pulita.
I paesi ricchi sono i principali contributori storici alle emissioni di carbonio, ma saranno i paesi più poveri a soffrire maggiormente a causa del cambiamento climatico. Il 2024 è stato l’anno più caldo della storia, a dimostrazione che la realtà si sta muovendo più velocemente dell’Accordo di Parigi. Gli obblighi vincolanti del Protocollo di Kyoto sono stati sostituiti da impegni volontari e le promesse di finanziamento assunte alla COP15 di Copenaghen, che prevedevano 100 miliardi di dollari all’anno, non si sono mai concretizzate. Il recente aumento della spesa militare annunciato dalla NATO rende questa possibilità ancora più remota.
Gli attacchi alle istituzioni internazionali ignorano i benefici concreti che il sistema multilaterale ha portato alla vita delle persone. Se oggi il vaiolo è stato debellato, lo strato di ozono è stato preservato e i diritti dei lavoratori sono ancora tutelati in gran parte del mondo, è grazie all’impegno di queste istituzioni.
In tempi di crescente polarizzazione, espressioni come “deglobalizzazione” sono diventate comuni. Ma è impossibile “deplanetizzare” la nostra vita condivisa. Non ci sono muri abbastanza alti da preservare isole di pace e prosperità circondate da violenza e miseria.
Il mondo di oggi è molto diverso da quello del 1945. Sono emerse nuove forze e si sono presentate nuove sfide. Se le organizzazioni internazionali sembrano inefficaci, è perché la loro struttura non riflette più la realtà attuale. Le azioni unilaterali ed escludenti sono esacerbate dal vuoto di leadership collettiva. La soluzione alla crisi del multilateralismo non è abbandonarlo, ma rifondarlo su basi più giuste e inclusive.
Questa è la consapevolezza che il Brasile, la cui vocazione è sempre stata quella di contribuire alla cooperazione tra le nazioni, ha dimostrato durante la sua presidenza del G-20 lo scorso anno e continua a dimostrare quest’anno con le presidenze dei BRICS e della COP30: è possibile trovare una convergenza anche in scenari avversi.
È urgente insistere sulla diplomazia e ricostruire le strutture di un vero multilateralismo, capace di rispondere al grido di un’umanità che teme per il proprio futuro. Solo così smetteremo di essere testimoni passivi dell’aumento delle disuguaglianze, dell’insensatezza delle guerre e della distruzione del nostro pianeta.
*Luiz Inácio Lula da Silva, Presidente della Repubblica Federativa del Brasile.
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Quando verrà scritta la storia del genocidio a Gaza, una delle paladine più coraggiose e schiette della giustizia e del rispetto del diritto internazionale sarà Francesca Albanese, la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, che l’amministrazione Trump sta sanzionando. Il suo ufficio ha il compito di monitorare e denunciare le violazioni dei diritti umani commesse da Israele contro i palestinesi.
Albanese, che riceve regolarmente minacce di morte e sopporta campagne diffamatorie ben orchestrate da Israele e dai suoi alleati, cerca coraggiosamente di ritenere responsabili coloro che sostengono e sostengono il genocidio. Denuncia quella che definisce “la corruzione morale e politica del mondo” che permette al genocidio di continuare. Il suo ufficio ha pubblicato rapporti dettagliati che documentano i crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania, uno dei quali, intitolato ” Genocidio come cancellazione coloniale “, ho ristampato come appendice nel mio ultimo libro, ” Un genocidio annunciato “.
Ha informato le organizzazioni private di essere “penalmente responsabili” per aver aiutato Israele a compiere il genocidio a Gaza. Ha annunciato che, se fosse vero, come è stato riportato, che l’ex primo ministro britannico David Cameron ha minacciato di ritirarsi dalla Corte Penale Internazionale (CPI) e di non finanziarla dopo che quest’ultima aveva emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, Cameron e l’altro ex primo ministro britannico Rishi Sunak potrebbero essere accusati di reato ai sensi dello Statuto di Roma. Lo Statuto di Roma criminalizza coloro che cercano di impedire che i crimini di guerra vengano perseguiti.
Ha chiesto ai massimi funzionari dell’Unione Europea (UE) di rispondere delle accuse di complicità in crimini di guerra per il loro sostegno al genocidio, affermando che le loro azioni non possono essere affrontate impunemente. È stata una paladina della flottiglia Madleen che ha cercato di rompere il blocco di Gaza e consegnare aiuti umanitari, scrivendo che l’imbarcazione intercettata da Israele trasportava non solo rifornimenti, ma anche un messaggio di umanità.
Potete vedere l’intervista che ho fatto ad Albanese: https://www.youtube.com/watch?v=wbakVaOGgOk&t=12s&pp=2AEMkAIB.
Il suo ultimo rapporto elenca 48 aziende e istituzioni, tra cui Palantir Technologies Inc., Lockheed Martin, Alphabet Inc. (Google), Amazon, International Business Machine Corporation (IBM), Caterpillar Inc., Microsoft Corporation e il Massachusetts Institute of Technology (MIT), insieme a banche e società finanziarie come BlackRock, assicuratori, società immobiliari e enti di beneficenza, che, violando il diritto internazionale, stanno guadagnando miliardi dall’occupazione e dal genocidio dei palestinesi.
Potete leggere il mio articolo sul più recente rapporto di Albanese qui .
Il Segretario di Stato Marco Rubio ha condannato il suo sostegno alla CPI, quattro dei cui giudici sono stati sanzionati dagli Stati Uniti per aver emesso mandati di arresto per Netanyahu e Gallant lo scorso anno. Ha criticato Albanese per i suoi sforzi nel perseguire cittadini americani o israeliani che sostengono il genocidio, affermando che non è idonea a svolgere il ruolo di relatrice speciale. Rubio ha anche accusato Albanese di aver “diffuso sfacciato antisemitismo, espresso sostegno al terrorismo e aperto disprezzo per gli Stati Uniti, Israele e l’Occidente”. Le sanzioni molto probabilmente impediranno ad Albanese di recarsi negli Stati Uniti e congeleranno tutti i suoi beni nel Paese.
L’attacco contro Albanese preannuncia un mondo senza regole, un mondo in cui stati canaglia, come gli Stati Uniti e Israele, sono autorizzati a commettere crimini di guerra e genocidi senza alcuna responsabilità o controllo. Smaschera i sotterfugi che usiamo per ingannare noi stessi e cercare di ingannare gli altri. Smaschera la nostra ipocrisia, la nostra crudeltà e il nostro razzismo. Nessuno, d’ora in poi, prenderà sul serio i nostri impegni dichiarati per la democrazia, la libertà di espressione, lo stato di diritto o i diritti umani. E chi può biasimarli? Parliamo esclusivamente il linguaggio della forza, il linguaggio dei bruti, il linguaggio del massacro di massa, il linguaggio del genocidio.
“Gli atti di uccisione, le uccisioni di massa, l’inflizione di torture psicologiche e fisiche, la devastazione, la creazione di condizioni di vita che non permetterebbero alla gente di Gaza di sopravvivere, dalla distruzione degli ospedali, agli sfollamenti forzati di massa e alla mancanza di una casa, mentre la gente veniva bombardata quotidianamente, e alla fame: come possiamo leggere questi atti isolatamente?”, ha chiesto Albanese in un’intervista che ho fatto con lei quando abbiamo discusso del suo rapporto, “Genocidio come cancellazione coloniale”.
I droni militarizzati, gli elicotteri da combattimento, i muri e le barriere, i posti di blocco, le spirali di filo spinato, le torri di guardia, i centri di detenzione, le deportazioni, la brutalità e la tortura, il rifiuto dei visti d’ingresso, l’esistenza da apartheide che deriva dall’essere clandestini, la perdita dei diritti individuali e la sorveglianza elettronica, sono familiari tanto ai migranti disperati lungo il confine messicano, o che tentano di entrare in Europa, quanto ai palestinesi.
Questo è ciò che attende coloro che Frantz Fanon chiama “i dannati della terra”.
Coloro che difendono gli oppressi, come Albanese, saranno trattati come oppressi.
*Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, corrispondente estero per quindici anni del New York Times, dove ha ricoperto il ruolo di capo dell’ufficio per il Medio Oriente e quello per i Balcani. In precedenza, ha lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore del programma televisivo “The Chris Hedges Report”.
OtherNews
Via Panisperna 207, Roma – Italy
www.other-news.info
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Fonte
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Una recente intervista a Francesca Albanese:
https://www.youtube.com/watch?v=H2UX5wIb3RE
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https://mettilafirma.it/francesca-albanese-nobel-per-la-pace-firma-anche-tu/
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Ribadiamo il nostro No alla deriva autoritaria insita nel decreto sicurezza; allo stravolgimento della Costituzione rappresentato dal premierato, che spingerebbe l’Italia verso l’autocrazia; all’autonomia regionale differenziata che spaccherebbe l’Italia e negherebbe uguaglianza di diritti ai suoi cittadini, che si ostinano a voler realizzare aggirando la sentenza della Consulta 192/2024; e all’intervento sulla magistratura in Costituzione con il ddl Nordio che porterebbe a metterne in discussione l’autonomia, che è indispensabile perché possa esercitare il suo ruolo di controllo e di garanzia della legalità e dei diritti.
L’impegno del Cdc per la pace e la difesa dei diritti
La lotta per la democrazia costituzionale nel quadro dello Stato di diritto, è la ragione d’essere del Coordinamento, ed è al centro delle attività che abbiamo svolto in questi anni, ma non può esistere la democrazia in un solo paese. L’evoluzione del quadro internazionale getta delle ombre sinistre e pregiudica gravemente la vita della democrazia in Italia e negli altri paesi a noi vicini. Del resto esiste un’osmosi fra l’Ordinamento internazionale ed i principi supremi della Costituzione definiti negli art. 10 e 11. La lotta per il diritto è una costante storica, ma, mai come in questo momento, la lotta per la pace coincide con la lotta per la democrazia ed i diritti inviolabili dell’uomo. Da quando è ritornata la guerra in Europa ci siamo uniti alle numerose voci per il cessate il fuoco. Il 30 giugno 2022 abbiamo tenuto un convegno al Senato (Quali scelte politiche per riportare la pace in Europa) con studiosi, diplomatici, militari, denunciando l’atteggiamento bellicoso irresponsabile di Europa e NATO volto ad alimentare la guerra anziché aprire al negoziato.
Dopo il 7 ottobre e l’attacco massiccio di Israele a Gaza, nel convegno che si è svolto al Senato il 6 febbraio 2024 (Cessate il fuoco ora a Gaza e in Ucraina) abbiamo avanzato delle proposte concrete per prevenire il genocidio e prefigurare un percorso di pace oltre il cessate il fuoco. Purtroppo l’orizzonte internazionale è andato sempre più peggiorando. Il conflitto fra Russia ed Ucraina si è intensificato superando ogni linea rossa, con un bilancio di oltre un milione fra morti e feriti per ciascuna parte. La distruzione della vita a Gaza è proseguita con una intensità e una crudeltà inimmaginabile nel silenzio complice dei governi europei (salvo la Spagna). Gli ordini impartiti dalla Corte Internazionale di giustizia al governo israeliano, volti a scongiurare il genocidio sono rimasti lettera morta. Dopo aver incendiato tutto il Medio Oriente, Israele ha attaccato l’Iran, trascinandosi dietro anche gli USA. Si è verificato così il paradosso di uno Stato, dotato illegalmente di armi nucleari, che aggredisce uno Stato aderente al Trattato di non proliferazione e sottoposto al controllo ispettivo dell’AIEA, contestandogli un’arma nucleare che l’aggredito non possiede. Il Cancelliere tedesco Merz ha apprezzato quest’ulteriore violazione del diritto internazionale di Israele, mentre il Segretario generale della NATO Rutte si è rifiutato di condannare il bombardamento americano considerandolo lecito. Il disprezzo delle regole del diritto internazionale – così platealmente ribadito – travolge le istituzioni di garanzia come la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte penale internazionale che vengono apertamente delegittimate a fronte dell’insofferenza dei principali attori internazionali ad ogni forma di controllo o di responsabilizzazione.
L’Amministrazione Trump contrariamente a quanto dichiarato in campagna elettorale, quando affermava che il cessate il fuoco era a portata di mano, ha rifornito di bombe e sorretto l’aggressività del governo israeliano che ha causato altre morti e distruzioni a Gaza aggravato dall’ignobile ricatto della fame sulla popolazione inerme e il conflitto non si è ancora arrestato. Il fatto è che il “partito” del riarmo e della guerra, saldamente insediato in gran parte delle Cancellerie, nei vertici dell’UE e nel Parlamento europeo ha accolto con grande disappunto la scelta della nuova amministrazione americana di ritirarsi dalla guerra per procura combattuta contro la Russia, al punto che il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 12 marzo sul fermo sostegno all’Ucraina ha espresso “sgomento per quanto riguarda la politica dell’amministrazione statunitense di riappacificarsi con la Russia.” La risposta europea al disimpegno americano è stato il piano Re Arm Europe/Readiness 2030, presentato dalla Von der Layen che propugna una straordinaria corsa al riarmo dei paesi europei proponendo la mobilitazione di 800 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per la produzione e l’acquisto di armi. Lo scopo di questo processo di riarmo è quello di prepararci alla guerra, come ha dichiarato il 18 marzo la stessa Ursula Von der Layen durante un discorso alla Royal Danish Military Academy a Copenaghen, concetto ribadito dal Premier inglese Starmer che condivide la corsa al riarmo. Questo sviluppo si inserisce nel quadro di un vero e proprio delirio antirusso, cui si è aggiunto quello anticinese, che ha contagiato tutti i vertici dell’Unione europea, al punto che il Parlamento, nella deliberazione del 2 aprile, ha attribuito alla Russia “l’intenzione di dichiarare guerra ai paesi europei o di cercare di destabilizzarli”, dichiarando – senza ombra di pudore – che il regime russo rappresenta: “la minaccia più grave e senza precedenti per la pace nel mondo, nonché per la sicurezza ed il territorio dell’UE e dei suoi Stati membri”. I vertici europei stanno cercando in tutti i modi di silurare il processo di pace in Ucraina, pretendendo che i negoziati debbano seguire l’approccio di conseguire “la pace attraverso la forza”. Mentre a carico della Russia veniva adottato il 18mo pacchetto di sanzioni, nessuna censura è stata mossa ad Israele. L’unione Europea non ha neanche sospeso il Trattato di associazione UE-Israele per l’opposizione di alcuni paesi, fra cui l’Italia. Infine il 25 giugno il Summit della NATO all’Aja ha concordato, con l’adesione anche del governo italiano, l’impegno dei paesi membri ad incrementare le spese militari fino al 5% del PIL entro il 2035. Il Coordinamento per la democrazia costituzionale non è un movimento per la pace ma è vincolato al dettato e ai principi dell’articolo 11 della Costituzione e di fronte ai pericoli ed alle minacce di guerra, al rischio di estensione dei conflitti in corso, alla sostituzione del welfare con il warfare, all’oltraggio del genocidio, tutte le articolazioni di impegno civile sono per loro natura. parte di un movimento collettivo per la pace perché la pace è il fondamento di tutti i diritti. In Italia il movimento per la pace si è svegliato con molto ritardo ed ha dovuto superare le ambiguità della situazione politica che vede quasi tutte le forze politiche animate da sindrome bellicista. Un po’ alla volta sta emergendo un forte dissenso di fronte al bellicismo delle classi dirigenti e al loro silenzio vile rispetto al genocidio in Palestina. Grazie ad un’iniziativa promossa dall’ARCI è finalmente sorto un coordinamento europeo: Stop ReArm Europe, che raggruppa partiti, associazioni e movimenti decisi a dare battaglia contro la follia del riarmo e della preparazione della guerra, contro la tolleranza per le atrocità di Israele e contro i risvolti autoritari delle politiche interne. Così proponiamo che il Coordinamento si impegni alla realizzazione di un’iniziativa patrocinata dalla fondazione Basso e altri per realizzare un’iniziativa di riforma e di rilancio delle sedi internazionali e del metodo di Helsinky 75 e Oslo 93 per risolvere pacificamente i conflitti, senza ricorrere alle armi e alle guerre.
Il Coordinamento per la Democrazia costituzionale ha aderito a Stop ReArm Europe fin dall’inizio ed ha partecipato al primo appuntamento pubblico nazionale, aderendo alla manifestazione del 21 giugno, convocata in polemica con il vertice NATO. Attualmente sono 484 le organizzazioni aderenti a stop reArm Italia. E’ auspicabile che in futuro le diverse aggregazioni uniscano le loro mobilitazioni su obiettivi comuni. Il piano Re Arm Europe/Readiness 2030, è il più grande stravolgimento fiscale dal dopoguerra. In generale, per l’Europa tutta, questa scelta è una vera e propria sciagura destinata a distruggere quel che resta del modello sociale europeo. Il riarmo proposto porterebbe ad uno stravolgimento delle priorità e degli obiettivi economici e sociali, sarebbe una vera distorsione degli obiettivi anche per quanto riguarda il clima. Questo è lo stravolgimento. A differenza di quello che dichiara Meloni, il piano non è sostenibile. L’Italia ha già un debito elevato ed è sotto procedura di infrazione. Quindi le risorse per l’aumento della spesa militare dovrebbero derivare dalla diminuzione di quella sociale, come quella sanitaria già insufficiente.
Il Coordinamento Stop Re Arm Italia sta preparando un kit di strumenti utili per conoscere, far conoscere ed informare. Non esiste nessuna struttura dirigistica, come per la campagna contro la riforma Renzi, la mobilitazione deve partire dal basso e contare sull’attività volontaria. Accanto alla lotta contro il riarmo va ripresa la campagna per il disarmo, in particolare riducendo le testate nucleari, come ha anche ricordato Papa Francesco in una delle sue ultime esternazioni
Infine ribadiamo il nostro No alla deriva autoritaria insita nel decreto sicurezza; allo stravolgimento della Costituzione rappresentato dal premierato, che spingerebbe l’Italia verso l’autocrazia; all’autonomia regionale differenziata che spaccherebbe l’Italia e negherebbe uguaglianza di diritti ai suoi cittadini, che si ostinano a voler realizzare aggirando la sentenza della Consulta 192/2024; e all’intervento sulla magistratura in Costituzione con il ddl Nordio che porterebbe a metterne in discussione l’autonomia, che è indispensabile perché possa esercitare il suo ruolo di controllo e di garanzia della legalità e dei diritti. Siamo a fianco dei magistrati nel contrasto a questo stravolgimento della Costituzione e lo saremo anche nel referendum costituzionale che ci auguriamo seguirà questa forzatura da parte della maggioranza e del governo Meloni.
Siamo convinti che la democrazia vada difesa, oltre che dall’introduzione di una legge elettorale proporzionale senza premio di maggioranza, allargando il campo di intervento delle forme di democrazia diretta, prevedendo la raccolta di firme online per le Lip e per i referendum, nonché il voto online per quest’ultimo e abbattendo la possibilità di ricorrere all’astensione indotta dall’alto, studiando le soluzioni più opportune.
Il Comitato direttivo del coordinamento per la democrazia costituzionale
Roma 4 luglio 2025
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Gli intellettuali servono, ma il Pd non deve dimenticarsi della società
di Alfiero Grandi su Domani, 5/6/2025
Vanno accolte le suggestioni della lettera di Nadia Urbinati e Carlo Trigilia a Elly Schlein con l’obiettivo di “riattivare il circuito tra politica e cultura”, per costruire un progetto alternativo alle destre.
La lettera inizia con una valutazione positiva, condivisibile, sul ruolo della segretaria del Pd, su cui ragiona anche un articolo di Gianni Cuperlo.
L’elezione di Shlein da parte dei non iscritti, in contrasto con le indicazioni prevalenti dentro il Pd, era una conferma di una insoddisfazione di elettrici ed elettori verso la deriva ondivaga e governista ad ogni costo del Pd, tra cui il taglio dei parlamentari che – come previsto – ha rappresentato un duro colpo al ruolo stesso del parlamento, con l’aggravio di una legge elettorale demenziale. La deriva del Pd ha contribuito al dilagare delle astensioni ed evidenziato la forte richiesta di una svolta politica.
La nuova segreteria ha ottenuto risultati, dato risposte, su cui si soffermano Urbinati, Trigilia e Cuperlo.
Aggiungo alcune considerazioni. Coinvolgere gli intellettuali nella costruzione di un progetto alternativo è fondamentale, tuttavia i partiti debbono comunque fare scelte politiche per la costruzione di un’iniziativa nella società e una coalizione alternativa potrebbe mobilitare energie straordinarie.
E’ un momento di grandi incertezze. Pensiamo ai comportamenti erratici di Trump. Occorrono indicazioni positive comuni per infondere fiducia e per dimostrare che un’alternativa è possibile.
La prima scelta politica è costruire una coalizione alternativa in cui coesistano sensibilità e ruoli diversi che convergono su un programma. In questa situazione occorre un vero e proprio progetto che va oltre l’obiettivo di vincere le elezioni, che non sarebbe poco in presenza di uno spostamento a destra, non solo in Italia.
Quindi gli intellettuali debbono essere un riferimento per il Pd ma ancora di più per la costruenda coalizione. In altre parole occorre che tutti condividano l’onere e l’onore di lavorare per coinvolgere le energie intellettuali.
E’ inevitabile che le proposte politiche vengano fatte dai partiti disponibili e insieme definendo modalità di decisione, in particolare sui punti irrisolti. Non si può calare dall’alto un programma, occorre definire modalità di partecipazione, anzitutto degli intellettuali ma non solo, per sciogliere con regole certe i punti aperti.
Occorre un impegno straordinario di innovazione politica su punti come pace, Europa, Gaza, Ucraina, per elencarne solo alcuni. Trump obbliga a posizioni nette e coraggiose. La crisi delle sedi internazionali (Onu e non solo) e dei metodi per regolare i contenziosi (Helsinky 1975, Oslo 1993, ecc.) è iniziata quando le potenze hanno scelto di decidere da sole (Kosovo, Afghanistan, Iraq, Ucraina, ecc.), mobilitando pattuglie di volenterosi ma ignorando le sedi internazionali.
La gravità della crisi delle sedi internazionali è confermata dall’ostracismo di Israele verso l’UNRWA a Gaza, gettando la popolazione in una condizione ancora più orribile, inaccettabile.
Un progetto di riforma dell’Onu e delle organizzazioni internazionali è urgente, basta pensare all’attacco Usa all’OMS e dovrebbe essere un punto centrale dell’iniziativa europea che a sua volta ha bisogno di un cambiamento.
La Presidente della commissione europea usa i voti ottenuti da una sorta di centro sinistra per attuare uno slittamento a destra dell’Europa su terreni fondamentali come riarmo, ambiente, migranti. La pace non esiste nell’ottica dell’iniziativa europea. Von der Leyen ha detto prima di Meloni che per la pace bisogna prepararsi alla guerra.
Una riforma politica dell’Europa è indispensabile e possibile perché il rearm europe (nome originario) ha svelato che i trattati si possono cambiare o almeno interpretare, visto che strumenti come Pnrr, Fondo sociale, Bei sono stravolti per il riarmo.
Agitare lo spauracchio di un attacco russo all’Europa serve a giustificare la deriva guerrafondaia. La coesistenza si garantisce con trattati, garanzie reciproche e diplomazia.
Difficile ? Certo, ma la pace si prepara con la pace. Occorre coraggio, capacità innovativa sulla pace come sulle scelte che riguardano i fondamentali sociali: istruzione, sanità, ricerca, previdenza, migranti, contrasto alla povertà, a partire dai bambini. I diritti fondamentali vanno garantiti e tradotti in reddito sociale o differito per non essere soli in una società iperconnessa.
Libertà, diritti civili inalienabili, partecipazione delle persone per contrastare l’astensionismo e valorizzando i referendum per decidere, anziché cercare di sterilizzarli. La partecipazione va esaltata, bisogna avere fiducia nelle persone. La partecipazione può sciogliere nodi politici e preparare la mobilitazione. Gli intellettuali sono decisivi ma insieme occorre una larga, forte partecipazione. Per sciogliere i punti controversi si può votare sulle scelte.
Svolta è anzitutto far scegliere ad elettrici ed elettori i loro rappresentanti.
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Costituente Terra intensifica il suo impegno
Giovanna Procacci, Domenico Rizzuti e Fulvio Vassallo hanno mandato da pochi giorni alle stampe, per l’editore Castelvecchi, una nuova edizione di “Processo alla solidarietà”.
“La Giustizia e il caso Riace” doveva essere l’occasione per chiudere e capire un processo iniziato di fronte al Tribunale di Locri e conclusosi – almeno così pensavamo – proprio di recente davanti alla Corte di Cassazione. Quella abnorme condanna ricevuta in primo grado era stata finalmente ribaldata e cancellata: rimaneva una condanna, con pena sospesa, per falso in una determina comunale – che non aveva cagionato alcun danno e che gli stessi giudici avevano riconosciuto essere stata commessa in buona fede. A tacere poi di quanto la Cassazione ha detto rispetto alle intercettazioni su cui si era retto l’intero impianto accusatorio: erano illegittime e non utilizzabili.
Un nuovo abuso dello strumento penale, però, si è ripresentato proprio nella decisione appena emessa da quello stesso Tribunale di Locri che aveva condannato Lucano a oltre tredici – tredici – anni di carcere: forzando la lettera della legge “Severino”, hanno ritenuto la condanna per falso sufficiente a farlo decadere da sindaco. Perché sì, fino a qualche giorno fa non solo la giustizia, ma anche le persone avevano riconosciuto il valore del modello Riace e delle idee che portava con sé, eleggendolo a parlamentare europeo e nuovamente a sindaco.
È giusto ed opportuno che “la valutazione delle sentenze, quando non avviene in base all’utilità contingente o al gradimento soggettivo, cosa pericolosa che genera attacchi inaccettabili al corpo giudiziario” sia vista come un doveroso esercizio di democrazia, che serve anche a quest’ultimo, anche perché “la verità processuale formalmente riconosciuta dal sistema non può pretendere di essere verità assoluta”. Questa linea ha sempre contrassegnato ogni passaggio dell’interminabile odissea giudiziaria di Mimmo Lucano.
Noi continueremo a ragionare, a partire dal volume ora in stampa, su questo processo, perché ben restituisce le torsioni che sta subendo il diritto e lo stato di diritto, sotto il peso di una congiuntura antidemocratica che, usando le parole di Luigi Ferrajoli, fa del disprezzo del diritto una sua prerogativa.
Ma è importante ribadire come questa sentenza non colpisca solo Lucano, ma con lui tutte le persone che lo hanno votato e quelle che non lo hanno potuto fare, ma hanno comunque creduto nell’esperienza di Riace e nella sua capacità di opporsi alla logica dell’odio e del razzismo, utile a chi costruisce il proprio consenso trasformando l’avversario – e così i deboli – in nemico.
Noi ci opporremo: il mondo dell’accoglienza, della convivenza, dell’ibridazione tra culture e storie diverse, della rivitalizzazione delle aree più fragili, della tutela dell’ambiente, della pace e del disarmo, della difesa del pianeta, troverà giustizia non solo nelle aule giudiziarie ma anche nel Paese.
Per questo, diventa ancora più importante l’appuntamento del 5 agosto a Riace di Costituente Terra: accanto a Luigi Ferrajoli tante amiche e amici, esperte ed esperti, associazioni, movimenti, insieme per affrontare le grandi emergenze e rivendicare, ancora una volta, che anche quella di Riace, come la Costituzione della Terra, non è utopia, ma la sola strada percorribile.
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DIFENDIAMO L’ONU!
Il 26 giugno si è svolto online, convocato dalla Fondazione PerugiAssisi, un incontro che, in occasione dell’80° anniversario della istituzione delle Nazioni Unite, ha inteso chiamare a raccolta la società civile in difesa di quella istituzione, oggi pesantemente criticata e soggetta a politiche nazionali intese a delegittimarla e indebolirla.
L’incontro si colloca all’interno di un progetto che, ha evidenziato Flavio LOTTI, la Fondazione PerugiaAssisi intende sviluppare, mettendo in programma per i giorni 9-11 ottobre una “Assemblea ONU dei Popoli” e quindi introducendo nel titolo della tradizionale marcia del 12 ottobre anche i temi del diritto internazionale e del ruolo delle Nazioni Unite.
Tutti gli interventi (da Marco Mascia, del Coordinamento delle Università per la Pace, a Franco Ippolito, Fondazione Lelio e Lisli Basso, da Jean Fabre, ex alto funzionario ONU, a Chantal Meloni, Università La Statale di Milano) hanno concordato sulla necessità di intervenire con fermezza e in ogni occasione per ribadire la centralità delle Nazioni Unite e la sua indispensabilità proprio nel momento in cui i principi del diritto internazionale sono sotto attacco e le spinte nazionaliste rischiano di prendere il sopravvento sulle forme di dialogo e cooperazione che le due guerre mondiali dimostrarono essere indispensabili all’umanità intera.
In questo contesto, CostituenteTerra non poteva far mancare il proprio contributo. Ribadito che il progetto di Costituzione della Terra prende le mosse dalla carta ONU del 1945, ne ricalca molti passaggi fondamentali e ne difende l’essenza, abbiamo messo in luce come i 100 articoli del progetto siano una “utopia realista” e intendano colmare il vuoto che ha reso le Nazioni Unite deboli: la mancanza di organi universali di garanzia insieme democratici ed efficaci, figli di una cittadinanza universale e liberi dalle spinte nazionaliste che tendono a piegarli agli interessi particolari e a metterli nel nulla quando non piacciono. Abbiamo affermato di condividere in pieno il progetto della Fondazione PerugiAssisi e anticipato che il 24 ottobre CostituenteTerra organizzerà una iniziativa per rilanciare il progetto di costituzionalismo universale e che il contributo della cultura giuridica e dell’associazionismo democratico potrà dare a quell’evento un contributo fondamentale.
PER UNA INIZIATIVA DI PACE
Il 27 giugno scorso l’Istituto Luigi Sturzo ha ospitato un incontro intitolato “Per una iniziativa di Pace”, promosso da Fondazione Lelio e Lisli Basso, CRS, Fondazione Di Vittorio e associazione Salviamo la Costituzione nel cinquantennale della firma dell’accordo di Helsinki che vide al tavolo 35 Paesi europei, USA e URSS, con la Cina in veste di osservatore. Un accordo che ha prodotto solo in parte gli effetti sperati, ma ha rappresentato un passaggio politicamente e culturalmente centrale nel panorama internazionale.
E’ stato, infatti, osservato da tutti i partecipanti che Helsinki rappresenta un riferimento ancora attualissimo riguardo al metodo che fu adottato e che può ancora ispirare l’azione di coloro che si oppongono ai processi nazionalisti e violenti in atto.
Molti interventi hanno espresso grandissima preoccupazione per la cultura della forza che attraversa la politica a livello nazionale e internazionale, ma si è anche evidenziato che in Italia come in Europa esistono movimenti e iniziative che vanno in direzione contraria e debbono trovare modo di collegarsi e cooperare.
La proposta di Franco Ippolito di organizzare in autunno una giornata che richiami l’accordo di Helsinki e proponga ai cittadini e alla politica una via di pace è stata condivisa e ciascun intervento ha portato un proprio punto di vista. L’idea di coinvolgere movimenti e associazioni a livello europeo è stata considerata più che appropriata, anzi necessaria, se intendiamo trasformare l’incontro del prossimo autunno nel primo passo di un progetto destinato a incidere (una “conferenza costituente”).
CostituenteTerra ha espresso condivisione per l’analisi effettuata e per l’esigenza di un coordinamento fra associazioni che inneschi un progetto di democrazia dal basso in grado sia di diffondere cultura di pace e consapevolezza della universalità dei diritti sia di interloquire con i rappresentanti politici nazionali e internazionali.
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E’ online
Che succede?
Giovanna Procacci, Domenico Rizzuti e Fulvio Vassallo hanno mandato da pochi giorni alle stampe, per l’editore Castelvecchi, una nuova edizione di “Processo alla solidarietà”.
“La Giustizia e il caso Riace” doveva essere l’occasione per chiudere e capire un processo iniziato di fronte al Tribunale di Locri e conclusosi – almeno così pensavamo – proprio di recente davanti alla Corte di Cassazione. Quella abnorme condanna ricevuta in primo grado era stata finalmente ribaldata e cancellata: rimaneva una condanna, con pena sospesa, per falso in una determina comunale – che non aveva cagionato alcun danno e che gli stessi giudici avevano riconosciuto essere stata commessa in buona fede. A tacere poi di quanto la Cassazione ha detto rispetto alle intercettazioni su cui si era retto l’intero impianto accusatorio: erano illegittime e non utilizzabili.
Un nuovo abuso dello strumento penale, però, si è ripresentato proprio nella decisione appena emessa da quello stesso Tribunale di Locri che aveva condannato Lucano a oltre tredici – tredici – anni di carcere: forzando la lettera della legge “Severino”, hanno ritenuto la condanna per falso sufficiente a farlo decadere da sindaco. Perché sì, fino a qualche giorno fa non solo la giustizia, ma anche le persone avevano riconosciuto il valore del modello Riace e delle idee che portava con sé, eleggendolo a parlamentare europeo e nuovamente a sindaco.
È giusto ed opportuno che “la valutazione delle sentenze, quando non avviene in base all’utilità contingente o al gradimento soggettivo, cosa pericolosa che genera attacchi inaccettabili al corpo giudiziario” sia vista come un doveroso esercizio di democrazia, che serve anche a quest’ultimo, anche perché “la verità processuale formalmente riconosciuta dal sistema non può pretendere di essere verità assoluta”. Questa linea ha sempre contrassegnato ogni passaggio dell’interminabile odissea giudiziaria di Mimmo Lucano.
Noi continueremo a ragionare, a partire dal volume ora in stampa, su questo processo, perché ben restituisce le torsioni che sta subendo il diritto e lo stato di diritto, sotto il peso di una congiuntura antidemocratica che, usando le parole di Luigi Ferrajoli, fa del disprezzo del diritto una sua prerogativa.
Ma è importante ribadire come questa sentenza non colpisca solo Lucano, ma con lui tutte le persone che lo hanno votato e quelle che non lo hanno potuto fare, ma hanno comunque creduto nell’esperienza di Riace e nella sua capacità di opporsi alla logica dell’odio e del razzismo, utile a chi costruisce il proprio consenso trasformando l’avversario – e così i deboli – in nemico.
Noi ci opporremo: il mondo dell’accoglienza, della convivenza, dell’ibridazione tra culture e storie diverse, della rivitalizzazione delle aree più fragili, della tutela dell’ambiente, della pace e del disarmo, della difesa del pianeta, troverà giustizia non solo nelle aule giudiziarie ma anche nel Paese.
Per questo, diventa ancora più importante l’appuntamento del 5 agosto a Riace di Costituente Terra: accanto a Luigi Ferrajoli tante amiche e amici, esperte ed esperti, associazioni, movimenti, insieme per affrontare le grandi emergenze e rivendicare, ancora una volta, che anche quella di Riace, come la Costituzione della Terra, non è utopia, ma la sola strada percorribile.
Pace nel mondo. Insieme per la pace disarmata
Sabato, 29 giugno 2025, si è svolto il primo evento promosso dal comitato sardo “Insieme per la pace disarmata”.
AL mattino, dalle ore 9:30 alle 13:20, l’Assemblea aperta che ha coinvolto relatori e pubblico in una animata partecipazione. Il teatro di Sant’Eulalia al completo per tutto lo svolgimento dei lavori. Hanno introdotto i lavori Cinzia Guaita (Warfree – Lìberu dae sa gherra) e Maria Lucia Piga (Sociologa – Università di Sassari), con una breve presentazione del comitato “Insieme per la pace disarmata” e il contenuto in sintesi del documento fondativo. Maria Lucia Piga ha moderato gli interventi dei relatori.
Teatro di SanT’Eulalia, 29 giugno 2025 – Foto comitat0 “Insieme per la pace disarmata”
Si sono succeduti Giorgio Beretta (OPAL Brescia – Rete Pace e Disarmo), in collegamento online, nella relazione L’Italia degli armamenti – L’esportazione italiana di armamenti nel contesto europeo e internazionale ha messo l’accento sulla spesa per la produzione e l’esportazione di armenti nel mondo e in Italia. In particolare come dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, la crescita sia esponenziale, con un salto qualitativo a partire dall’operazione militare su Gaza condotta dall’Idf. La fabbrica RWM ha moltiplicato la produzione di bombe, di proiettili e di droni killer di tecnologia israeliana.
Ha proseguito Graziano Bullegas (Italia Nostra – Sardegna) con la relazione La guerra comincia qui – Sardegna come hub cruciale per la macchina bellica occidentale. La presenza della RWM, fabbrica d’armamenti, che anche in modo illegale, con l’occupazione di territorio senza tener conto di vincoli erariali e ambientali. Ha anche raccontato della lotta delle associazioni sarde attraverso la denuncia di questi fatti e il processo nei riguardi dei responsabili.
Marina Muscas (“Insieme per la pace disarmata” – gruppo Scuola) ha presentato la Lettera alle scuole e alla società civile perché la scuola sia il luogo in cui si educhi alla pace, secondo il dettame della Costituzione e della Carta dell’Onu, e come hanno insegnato maestri quali Aldo Capitini, la Montessori, don Lorenzo Milani, Gianni Rodari, per citarne solo alcuni. Ha denunciato anche la militarizzazione che coinvolge le scuole di ogni ordine e grado con la propaganda sul valore della difesa della patria attraverso corsi, stage, ecc.
Pasquale Pugliese (Filosofo – Movimento Nonviolento) col suo inervento Se vuoi la pace prepara la pace formando ai saperi della nonviolenza, avrebbe dovuto partecipare in presenza, ma il volo del suo aereo è stato annullato. Ci siamo dovuti accontentare di sentirlo online. Non è vero che la pace si prepara preparandosi alla guerra. Bisogna far conoscere la nonviolenza, nei suoi contenuti più veri, nelle metodologie di superamento nonviolento dei conflitti, a partire dall’analisi della violenza strutturale e culturale, dalla quale può aver ha origine la violenza diretta. Naturalmente, bisogna insegnare ai giovani a coltivare la capacità critica, saper riconoscere la propaganda, la capacità di distinguere tra leggi giuste e ingiuste (“l’obbedienza non è più una virtù”, direbbe don Milani). La campagna del Movimento Nonviolento sull’obiezione alla guerra ha dato buoni frutti, aiutando gli obiettori di coscienza ucraini e russi.
Pasquale Pugliese – Foto comitato “Insieme per la pace disarma
Aide Esu (Sociologa – Università di Cagliari – Rete Università per la Pace) ha svolto la relazione su L’occupazione militare in Sardegna. Una relazione curata, precisa sulla reale consistenza delle servitù militari in Sardegna. Si tratta di una vera e propria occupazione del territorio sardo con le basi militari, i poligoni interforze, la chiusura di un territorio marino davanti al salto di Quirra – San Lorenzo pari alla superficie dell’intera Sardegna. Territori che si ampliano durante le esercitazioni militari periodiche.
L’intervento di Ahlam Hmaidan (Attivista palestinese per i diritti umani e la pace) Tra Sardegna, Giordania e Palestina ha coinvolto anche emozionalmente l’assemblea. Sarda e palestinese (o sardapalestinese), Ahlam ha messo l’accento sulla determinazione che i sardi devono avere nel difendere la propria terra, prendersene cura, resistere ai tentavi di colonizzazione continui – colonizzazione militare, ma anche energetica – e in questo essere solidali con il popolo palestinese. Questa doppia appartenenza è assolutamente arricchente. “Sono grata alla vita di poter vivere in una terra come la Sardegna – ha affermato – Ma è necessario fermare il genocidio che si sta compiendo a Gaza e in Cisgiordania”. Un lungo applauso spontaneo dalla sala e qualche grido: “Palestina libera!”.
Ahlam Amaidan – Foto “comitato “Insieme per la pace disarmata”
Ha concluso gli interventi programmati il dottor Domenico Scanu (Radiologo – ISDE – Medici per l’Ambiente) con la sua relazione Inquinamento ambientale da attività belliche e fattori di rischio sanitario. Difficile riassumere il suo intervento, ma di certo la guerra guerreggiata, ma anche la guerra che si prepara con le fabbriche di ordigni, le esercitazioni militari nei poligoni militari, in terra e in cielo e in mare, producono un grande inquinamento ambientale che, insieme alla deforestazione, favorisce i cambiamenti climatici. L’inquinamento prodotto genera rischi sanitari per le popolazioni, per i soldati che combattono, per i civili che ne subiscono gli effetti su larga scala.
I lavori del mattino si sono conclusi con una serie di interventi dalla sala, coordinati da Danilo Cocco – (Le radici del Sindacato, area alternativa in CGIL), che hanno posto domande e aggiunto riflessioni e proposte relative agli argomenti trattati.
Serata all’insegna dell’arte per la pace disarmata
Serata in Piazza sant’Eulalia – Foto comitato “Insieme per la pace diasarmata”
Dalle 18 alle 22 in Piazza Sant’Eulalia la Serata artistico-culturale con musica, danza, teatro, pittura, testimonianze” si è svolto un momento altamente significati con performace di gruppi musicali. Hanno partecipato:
Popolo nomade: Fabrizio Calia (voce solista), Roberto Massidda (Basso), Achille Napoleone (tastiere); Daniel’s Sound & The Southern Miners: Federico Lecca (Percussioni), Matteo Mura (Chitarra), Daniele Di Stefano (Chitarra Acustica), Roberto Massidda (Basso); Cantautori Umanitari: Lidia Frailis, Angelo Cremone; Andrea Andrillo
(cantautore); Frank Fosso – testimonianza dal Camerun; Il Crogiuolo Teatro: Rita Atzeri; Maria Luisa Businco (attrice); Pierpaolo Loi (poeta); Carovana SMI: Giulia Cannas, Donatella Cabras; Theandric Teatro Nonviolento: Virginia Siriu; Viamentana Teatro: Giuliano Pornasio; Arnaldo Scarpa (Warfree – Lìberu dae sa gherra); (Luigi Lai (artista, pittore muralista); Teatro del Sale: Alessandro Melis. Conduzione e regia: Monica Caula, Arnaldo Scarpa, Claudio Chessa. Suono e impianti: Antonio Congiu.
Sono intervenute in estemporanea le sorelle Giuliana e Maura Goddi della pasticceria Durche che hanno offerto parole di pace per il popolo palestinese e dolci squisiti alle persone presenti.
Performance Teatro del Sale – Foto comitato “Insieme per la pace disarmata”
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Pierpaolo Loi
Maestro di scuola elementare, oggi in pensione. Ho studiato teologia conseguendo la Licenza in Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica della Sardegna. Mi sono laureato in Filosofia all’Università statale di Cagliari. Da più di quarant’anni sono membro attivo della Rete Radiè Resch, Associazione di solidarietà internazionale. Impegnato nel dialogo ecumenico e interreligioso, da anni faccio parte del Comitato promotore della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico. Coltivo il sogno di contribuire all’ avvento di una cultura della Nonviolenza, della Pace e del Dialogo. Ho pubblicato: D’amore e di lotte. Poesie. Edizioni La Zisa, Palermo 2019; Oltre ogni confine, di volti di luoghi di inquietudini e di sogni, Multimage, la casa editrice dei diritti umani, Firenze 2023.
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Insieme per la pace disarmata
Insieme per la pace disarmata.
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(Ver. 1.2 – approvazione online del 17/06/2025)
Comitato “Insieme per la Pace disarmata”
Evento regionale per la pace a Cagliari – 29 Giugno 2025
Le organizzazioni firmatarie del presente documento convengono di costituire insieme un nuovo comitato informale che assume la denominazione di “Insieme per la Pace disarmata”. Il comitato si pone come primo obiettivo collettivo lo svolgimento di un evento per la pace con carattere regionale, a Cagliari, il prossimo 29 giugno, organizzato in due momenti:
- Dalle 9,30 alle 13: assemblea aperta presso il Teatro Sant’Eulalia ed eventualmente presso la Sala del “Teatro del Sale” in Via Falzarego;
- Dalle 18 alle 22: evento di sensibilizzazione pubblica all’aperto, con contributi artistici e di vario genere.
Le organizzazioni aderenti si riconoscono nel seguente
Documento fondativo
La pace, la vita, la salute, il lavoro, la casa, l’ambiente, la giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale, le libertà civili e politiche, le libertà di espressione, di opinione e di protesta sono diritti irrinunciabili di ogni individuo, a prescindere dalla nazionalità, dalla residenza, dall’etnia, dal genere, dalla religione e da qualsiasi altra caratteristica personale o di gruppo. Intendiamo perciò contribuire a realizzarne la tutela e la piena attuazione adottando ogni iniziativa politica, sociale, culturale, ecc., utile al bene comune, insieme alla lotta nonviolenta attiva contro ogni ingiustizia.
Crediamo che la Pace si ottenga con l’impegno di ogni cittadina e cittadino, corpo intermedio, istituzione nazionale e sovranazionale, volto alla costruzione del bene comune dei popoli, all’inclusività, alla cooperazione ed alla solidarietà, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione, all’esigibilità sostanziale dei diritti delle persone. Perciò intendiamo impegnarci tutti e tutte insieme, nei nostri ambiti, per contribuire alla costruzione di un mondo più a misura di ogni persona umana.
La nostra azione è tesa ad evitare ogni violenza, istituzionale, di gruppo o individuale, ogni guerra e ogni atto di terrorismo, affrontandone ed eliminandone le cause attraverso l’esercizio della politica a tutti i livelli e adottando la nonviolenza attiva quale metodo per la risoluzione dei conflitti.
Vogliamo impegnarci nella promozione di una cultura e di una pedagogia della pace, del disarmo, della nonviolenza che influisca sulle coscienze, sull’educazione e sulla politica, che costruisca relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondate sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti, nell’incontro creativo delle differenze e delle divergenze e nel superamento del mito della guerra, del nemico, della vittoria.
Rispetto ad ogni guerra, e ad ogni atto di violenza, stiamo sempre dalla parte delle vittime. Ciò vale per tutte le guerre in ogni parte del mondo: il conflitto armato tra Russia e Ucraina, le guerre del Sud-Sudan, dello Yemen e del Congo, il massacro in atto in Palestina, ecc., ecc..
In ogni conflitto armato vediamo vittime innocenti, sia tra i civili non combattenti che tra il personale militare, spesso mandato a combattere e morire contro la sua volontà, in nome di falsi ideali patriottici, a causa della prepotenza di chi li governa. Noi stiamo attivamente dalla loro parte in maniera nonviolenta, convinti che il ripudio della guerra, sancito anche dall’art.11 della Costituzione Italiana, sia necessariamente da interpretare riorientando ogni sforzo istituzionale e di popolo verso la costruzione della pace.
La guerra è un crimine contro l’umanità; noi rifiutiamo una morale astratta e chiediamo la tutela del diritto delle persone alla vita e alla libertà in sintonia con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esprimiamo una fortissima preoccupazione per il piano di riarmo europeo inteso non solo come mezzo per risolvere positivamente le controversie, ma addirittura come opportunità di sviluppo.
Chiediamo che l’ONU riprenda la missione originaria di luogo di confronto e di soluzione pacifica delle controversie e lo faccia senza posizioni dominanti per nessuno.
Rifiutiamo ogni piano di riarmo europeo o nazionale e ogni tentativo di far passare l’idea che con una maggiore presenza di armi e di forze armate si possa perseguire la pace. La produzione di armi segue le leggi del mercato, perciò più armi si producono, più verranno utilizzate, in maniera da poterne produrre ancora e ancora.
Rifiutiamo la propaganda bellica di ogni tipo, attuata attraverso una sempre più frequente presenza delle forze armate nelle scuole e nelle università e mediante una pervicace commistione tra iniziative sanitarie, sportive, culturali, artistiche e forze armate. Cittadini e cittadine non sono clienti da imbonire ma persone consapevoli, titolari di diritti, alle quali non si può dare per pietà ciò che sarebbe dovuto per legge, come una sanità efficiente ed una società vivibile in tutti i suoi aspetti.
Ci opponiamo all’uso del territorio della Sardegna a fini di addestramento militare e di sperimentazione di nuove tecnologie belliche, o civili potenzialmente pericolose, alla produzione ed esportazione di ordigni bellici, alle speculazioni energetiche e industriali di qualsiasi genere, svolte senza rispetto alcuno per la volontà delle persone che abitano i territori coinvolti e per l’ambiente naturale terrestre e marino della nostra isola. Chiediamo la riconversione civile e sostenibile della RWM Italia S.p.a., fabbrica di armamenti di proprietà del gruppo tedesco Rheinmetall, situata tra i comuni di Iglesias e Domusnovas, insieme alla bonifica e alla restituzione ai sardi delle aree attualmente soggette a servitù militari.
Vogliamo impegnarci a promuovere nella nostra isola lo sviluppo di un’economia pacifica e sostenibile, che ne salvaguardi anche le lingue e le tradizioni, attualizzandole dinamicamente, e che consideri il suo l’ambiente naturale e sociale come eredità da preservare e ripristinare in maniera da poterlo lasciare a chi verrà dopo di noi senza pregiudicarne il futuro. Preservando l’ambiente difendiamo la salute.
Elenco delle organizzazioni firmatarie (17/06/2025)
1. ADIQUAS. ASSOCIAZIONE DIFESA QUALITÀ AMBIENTE E
SALUTE. NURAXI FIGUS
2. ANPI Carbonia
3. ANPI Provinciale di Cagliari
4. ANPI sezione di Iglesias
5. APS Oscar Romero
6. APS RIMETTIAMO RADICI
7. ARCI SARDEGNA APS
8. Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII zona Sardegna-Lazio-Campania
9. Associazione Amicizia Italia -Cuba
10. Associazione Antonio Gramsci Cagliari
11. Associazione culturale 25 Aprile
12. Associazione Culturale Carovana S. M. I. (Suono Movimento Immagine)
13. ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE MEDICI PER L’AMBIENTE -
ISDE ITALIA – SEZIONE SARDEGNA
14. Associazione per Antonio Gramsci di Ghilarza
15. Associazione Sarda Contro l’emarginazione
16. Assotziu Consumadoris Sardigna
17. Casa del popolo Carbonia
18. Circolo Territoriale Sardo Costituente Terra
19. COBAS SCUOLA SARDEGNA
20. Collettivo Comunista (marxista-leninista) di Nuoro
21. Collettivo Malarittas
22. Comitato Fermiamo la guerra Sassari
23. Comitato Riconversione Rwm
24. Comunità La Collina – Serdiana
25. Confederazione Sindacale Sarda- CSS
26. Due ruote di speranza
27. Gabriele Casu – Bioarchitettura e Paesaggio
28. Gruppo di lettura di Monserrato
29. Italia Nostra Sardegna
30. Le Radici del Sindacato – Sardegna, area alternativa in CGIL
31. Link Legami di Fraternità APS
32. Maieutica Aps
33. MEDICINA DEMOCRATICA Sardegna
34. Mesa Noa Food Coop Società Cooperativa
35. Movimento dei Focolari – Iglesias
36. Movimento Nonviolento Sardegna
37. Movimento Umanità Nuova Sardegna
38. Non una di meno – nodo di Cagliari
39. Odv consultiamoci
40. Oscar Romero Associazione di Promozione Sociale
41. Partito Comunista Italiano – Sardegna
42. Partito della Rifondazione Comunista della Sardegna
43. Potere al Popolo Sardegna
44. Quartu No Tyrrhenian Link
45. Rete Insegnanti Sardegna
46. Rete Radié Resch, Associazione di solidarietà internazionale – Cagliari
47. Rete Warfree – Lìberu dae sa gherra
48. Rivista Camineras
49. Sa Defenza
50. Sardegna chiama Sardegna
51. Sardegna Possibile
52. Sardigna Libera /Rete Sarda difesa Sanità Pubblica
53. Sardigna Natzione Indipendentzia
54. Scuola Civica di Politica La Città in Comune
55. Sinistra Futura Sardegna
56. Studio archicart@
57. TAJRA’ APS
58. TA VOLA SARDA DELLA PACE
59. Teatro del Sale Cagliari
60. Terra di Canaan
61. Theandric Teatro Nonviolento
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Nasce l’Associazione UniCa Alumni: e’ cosa buona e giusta!
———Oggi nasce l’Associazione UniCa Alumni——-
[Articolo aggiornato] Su Aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=165923
di Franco Meloni, già dirigente dell’Universitá degli Studi di Cagliari.
Inizialmente senza clamore, poi accompagnato da un gran battage l’Universitá di Cagliari vara una bella iniziativa, non nuova nel panorama degli Atenei in Italia e nel mondo, ma certamente per il nostro (*). Si tratta della costituzione della Comunità UniCa Alumni. Viene sinteticamente descritta in un apposito spazio nel sito web dell’Ateneo: un progetto che intende “mantenere vivo il legame con chi ha attraversato l’Ateneo, ma anche per creare nuove occasioni di incontro, scambio e crescita comune: un’associazione che si propone di riconoscere, valorizzare e connettere le esperienze di chi ha studiato, insegnato o lavorato all’interno dell’Ateneo; un luogo d’incontro, memoria e futuro, dove le storie si intrecciano e le competenze si ritrovano”. Bellissimo! Pensate: io sono stato legato all’Università di Cagliari per oltre 40 anni, sommando, per la parte che non si sovrappone, un percorso da studente (dal 1 novembre 1969 in Economia e Commercio, fino alla laurea) con quello di lavoratore del comparto amministrativo (assunzione per concorso il primo gennaio 1974), con lo sviluppo di carriera da impiegato d’ordine a dirigente, fino al pensionamento avvenuto nel maggio 2010.
Ebbene devo dire con rammarico che dal momento del pensionamento sono scomparso dal radar dell’Ateneo, recidendo ogni legame con lo stesso.
Solo nel cuore è rimasto un posto incancellabile per un’esperienza, al tirare le somme, considerate luci ed ombre, davvero ricca ed esaltante: per gli aspetti professionali, culturali e soprattutto umani, quelli in assoluto più appaganti e duraturi. Proprio come è scritto nel progetto Alumni Unica: “Un legame che continua oltre il tempo e lo spazio universitario”. Ecco allora l’occasione, che a me come a tanti, si offre per ricuperare quel legame vitale, riannodando il fil rouge laddove si era spezzato, per fortuna non irrimediabilmente. Mi ci ritrovo pienamente e voglio viverne il percorso fin dall’esordio, secondo le esplicite indicazioni riportate nel sito web: “nei prossimi mesi costruiremo insieme strumenti, servizi e occasioni per restare in contatto, condividere opportunità e sentirsi ancora parte di una comunità”. Sono consapevole della serietà dell’impresa, dell’impegno che richiede, considerato che “Il futuro dell’Università vive anche attraverso chi ne ha fatto parte”
Spero e credo che questo messaggio venga colto per tutta l’importanza che merita dagli ex studenti ora laureati, dai docenti e dai colleghi del personale tecnico, amministrativo e dirigente, giovani e anziani (come me), che hanno vissuto una parte della loro vita nel nostro Ateneo, a condizione che vi abbiano conseguito un titolo di laurea o superiore.
Attendiamo quindi con interesse e curiosità il lancio ufficiale del progetto “Associazione UniCa Alumni”, che avviene oggi venerdì 27 giugno alle ore 17.30 presso lo spazio Exma di via Logudoro 71.
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L’evento è aperto e gratuito e sarà disponibile anche in diretta streaming sul canale YouTube dell’Università di Cagliari
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(*) L’Università di Cagliari vara quest’associazione, unitamente con la Fondazione universitaria che prenderà avvio auspicabilmente in tempi brevi [la legge che consente le fondazioni universitarie e’ del 2000 e il relativo regolamento del 2001: ci ritorneremo], con circa 25 anni di ritardo! Meglio tardi che mai, si dirà. Certo, comunque onore al Rettore e agli organi di governo dell’Ateneo. Vedremo se le realizzazioni concrete saranno corrispondenti alle aspettative. Noi ci siamo!
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Lo Statuto: https://sites.unica.it/alumni/files/2025/05/Associzione-UniCa-Alumni_statuto.pdf
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Informazioni utili
E’ stata di recente attivata la procedura per l’iscrizione all’Associazione UniCa Alumni: sul sito web dedicato: https://sites.unica.it/alumni/come-iscriversi/
La quota di iscrizione annuale per il primo anno è fissata direttamente dalle norme transitorie dello Statuto in 20 euro.
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Fonte: https://sites.unica.it/alumni/
—————————Un tocco di Aladin————
Che succede? Dove va il mondo? E noi?
Antonio Gramsci — “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri“.
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Il lavoro sporco di Israele e la terza guerra mondiale
L’affermazione del Cancelliere Merz che: “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi” seppellisce il principio ordinatore delle relazioni internazionali e riabilita la legge della giungla. Il mantra dell’aggredito e dell’aggressore è misteriosamente scomparso di fronte all’aggressione condotta da USA e Israele contro l’Iran.
di Domenico Gallo
(23.6.2025)
Quando il cancelliere tedesco Merz dichiara che “Israele fa il lavoro sporco per noi”, si deve accendere un campanello d’allarme. Questa dichiarazione è una spia che qualcosa non funziona nella nostra visione della democrazia e dello Stato di diritto. È necessario chiarire alcuni punti fondamentali.
È un dato di fatto che il progetto di ordine internazionale, preannunciato dalla Carta Atlantica (14 agosto 1941), partorito con la Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945) e fondato sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), non si è mai completamente realizzato e adesso sta attraversando una crisi profonda che ne mette in dubbio persino l’esistenza giuridica dei suoi assiomi principali. L’ordine internazionale prefigurato dalla Carta ONU in qualche modo raccoglieva la sfida del perseguimento di una pace stabile ed universale fra le Nazioni da realizzarsi attraverso il diritto, sulla falsariga dell’insegnamento di Hans Kelsen in Peace through Law. La novità principale del nuovo diritto internazionale post-bellico consisteva nella messa al bando della guerra, proclamata categoricamente dall’art. 2, comma 4, della Carta di San Francisco: «I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.»
La Carta delle Nazioni unite non ha messo la guerra fuori dalla Storia (non avrebbe potuto), ma l’ha messa fuori dal diritto, espungendo dalle prerogative della sovranità lo ius ad bellum, o quanto meno degradandolo. Su questa scia è intervenuta la Costituzione italiana che, con gli artt. 10 e 11, ha messo la guerra fuori dall’ordinamento. Si è trattato di una scelta politica che ha cambiato la natura del diritto realizzando la fusione fra la tecnica giuridica e un’istanza etica di valore universale. La Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del delitto di Genocidio (9 dicembre 1948) e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) hanno completato questo processo, quest’ultima attraverso l’inserimento nel diritto internazionale di una tavola di valori che mette al centro la dignità di ogni essere umano, in questo modo ponendo le basi del diritto internazionale dei diritti umani. Questa è stata la vera lezione positiva che l’umanità ha tratto uscendo dalla notte della Seconda guerra mondiale, la gloria del Novecento (come scriveva Italo Mancini), il patrimonio morale che l’Occidente (compresi i Paesi all’epoca socialisti) ha costruito per l’umanità intera. Oggi dobbiamo constatare che questo patrimonio morale è stato completamente dilapidato proprio da quei paesi che rivendicano i c.d. “valori” dell’Occidente. Con esso è stata demolita l’idea stessa posta a fondamento dell’Ordinamento nato sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, cioè che il diritto debba regolare le relazioni internazionali, assicurando la convivenza pacifica fra le Nazioni.
Quando il Cancelliere tedesco Merz ha dichiarato: “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi”, senza che nessun paese europeo abbia avuto nulla da obiettare, con questa frase agghiacciante, è stato seppellito il principio ordinatore delle relazioni internazionali e rivendicata la legge della giungla. Questa dichiarazione ha scoperchiato l’insostenibile falsità della formula del “mondo fondato sulle regole” adoperata come una clava per alimentare la guerra per procura condotta dall’Occidente collettivo contro la Russia utilizzando il sangue degli ucraini. Ha smascherato l’ipocrisia delle giaculatorie europee e della NATO sulla guerra combattuta per ottenere il rispetto del diritto internazionale e la faziosità dei 18 pacchetti di sanzioni adottati a carico della Russia a fronte di nessuna sanzione ad Israele per fermare il genocidio dei palestinesi a Gaza. Il Mantra dell’aggredito e dell’aggressore è misteriosamente scomparso di fronte all’aggressione condotta da Israele contro l’Iran. Nessuno ha pensato di inviare delle armi all’Iran per difendersi dall’aggressione israeliana e nessuno ha invocato l’art. 51 della Carta dell’ONU (che consente la difesa collettiva) per sostenere il Paese aggredito.
Al contrario, si sostiene lo Stato aggressore per aiutarlo a difendersi dalla reazione dell’aggredito, chiudendo gli occhi sull’orribile mattanza in corso a Gaza. Questa dichiarazione è l’equivalente di una piena confessione dell’uso strumentale di norme e principi del diritto internazionale, adoperati contra ius, come schermo giuridico per alimentare la guerra in Ucraina, anziché per porvi fine. Quali sono le regole del “mondo fondato sulle regole” invocato da Stoltenberg, dal suo successore Rutte, dalla von der Layen e compagnia bella? Se i principi universali del diritto non valgono per noi che li abbiamo prodotti nel secolo scorso a beneficio di tutta l’umanità, non valgono per nessuno, l’unica regola è la forza al posto del diritto. È proprio questa la regola a cui si riferisce Merz quando esprime apprezzamento per l’aggressione di Israele. Purtroppo l’effetto della legge della giungla sarà il caos e una condizione di guerra permanente.
La provocazione bellica compiuta da Israele, e rivendicata con arroganza dal suo ambasciatore presso le Nazioni Unite, svolge la funzione di detonatore di un conflitto più ampio, punta a coinvolgere direttamente gli Stati Uniti nella guerra, trascinandosi dietro, all’occorrenza anche gli Stati europei più volenterosi (come la Germania). È inutile nasconderci che ci sarebbe un esito disastroso, anche se le altre potenze come Russia e Cina restassero a guardare. L’Amministrazione Usa dapprima ha preso tempo, poi si è accodata a Israele bombardando i principali siti nucleari (reali o presunti) iraniani. La possibilità che si riesca a scongiurare un’esplosione di violenza bellica dalle conseguenze inimmaginabili e imprevedibili si fa sempre più flebile.
La speranza è che sotto i turbanti degli Ayatollah alberghi quel minimo di saggezza che manca nella testa dei leader europei come Merz e che, a suo tempo, mancò a Saddam Hussein, che per orgoglio rifiutò quella ritirata strategica che avrebbe gettato sabbia negli ingranaggi della macchina bellica che gli americani avevano predisposto nel Golfo.
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Guerra
La Rete Italiana Pace Disarmo (che è partner della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari – ICAN) condanna gli attacchi degli Stati Uniti a tre impianti nucleari in Iran. Questa azione sconsiderata avvicina il mondo al disastro nucleare e sottolinea l’urgente necessità di rifiutare le armi nucleari e la copertura che esse forniscono alle aggressioni militari.
Le strutture nucleari, sia civili che militari, non devono mai essere prese di mira. Tali attacchi non solo violano il diritto umanitario internazionale, ma rischiano anche gravi conseguenze radiologiche per le persone e l’ambiente, sia all’interno dell’Iran che ben oltre i suoi confini.
L’Iran è parte del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica o altre autorità internazionali non hanno dimostrato che l’Iran abbia sviluppato armi nucleari. L’Iran era anche in piena conformità con un accordo che limitava severamente le sue attività nucleari (il JCPOA o “Iran Deal”) fino a quando gli Stati Uniti non si sono ritirati dal Trattato. Eppure è stato ipocritamente attaccato da due Stati dotati di armi nucleari: Israele, che non ha mai firmato il TNP e che si ritiene possieda 90 armi nucleari, e gli Stati Uniti, che possiedono circa 3.700 testate nucleari. Gli Stati Uniti stanno violando i loro obblighi di disarmo, così come gli altri otto Stati dotati di armi nucleari. Questi attacchi rischiano di spingere altri Stati a dotarsi di armi nucleari.
“Un attacco militare contro impianti nucleari aumenta notevolmente il rischio globale e dovrebbe essere condannato dal Governo Italiano – sottolinea l’Esecutivo di Rete Pace Disarmo – Questa escalation dimostra quanto rapidamente la cosiddetta ‘deterrenza’ ceda il passo a una forza pericolosa e destabilizzante. Stiamo giocando con il fuoco radioattivo”.
Chiediamo al governo italiano di escludere immediatamente qualsiasi supporto logistico a queste operazioni, anche negando il permesso ai bombardieri statunitensi B-2 stealth o B-52 che attaccano l’Iran di transitare sullo spazio aereo italiano o rifornirsi nelle nostre basi. L’Italia non deve facilitare, assistere o consentire questi attacchi – direttamente o indirettamente.
Se le armi nucleari dovessero essere usate in questo conflitto – sia da Israele che dagli Stati Uniti – le conseguenze umanitarie sarebbero immediate e devastanti. Anche una sola detonazione nucleare su una città ucciderebbe all’istante centinaia di migliaia di persone, sovraccaricherebbe tutti i sistemi medici e contaminerebbe l’ambiente per decenni. Un conflitto nucleare regionale causerebbe un inverno nucleare, interromperebbe in modo massiccio la produzione alimentare globale, provocherebbe carestie e sfollamenti di massa e rischierebbe un’ulteriore escalation. Il Bulletin of the Atomic Scientists avverte che siamo più vicini alla guerra nucleare di quanto non lo siamo mai stati dai tempi della Guerra Fredda – e gli eventi recenti dimostrano quanto rapidamente questo rischio possa concretizzarsi.
“Questa è la terrificante realtà di un mondo che continua a tollerare il possesso di armi nucleari da parte di qualsiasi Stato. L’unica strada per la sicurezza è il disarmo. L’Italia dovrebbe urgentemente firmare e ratificare il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari e opporsi a tutti gli atti di aggressione nucleare”, conclude l’Esecutivo di Rete Pace Disarmo.
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Segretario Generale dell’ONU: L’attacco degli Stati Uniti contro l’Iran è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale
Giu 22, 2025 08:06 Europe/Rome
António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite
Da Pars Today– Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha espresso profonda preoccupazione per l’aggressione degli Stati Uniti contro i centri nucleari dell’Iran.
António Guterres, Segretario Generale dell’ONU, nella mattinata di domenica, in seguito all’attacco americano contro le installazioni nucleari iraniane, ha dichiarato: “L’uso della forza da parte degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran rappresenta un’escalation pericolosa in una regione già sull’orlo del precipizio.” Secondo quanto riportato da Pars Today, Guterres ha aggiunto che “questa azione costituisce una minaccia diretta alla pace e alla sicurezza globale.”
Guterres ha avvertito che esiste un rischio crescente che il conflitto possa rapidamente sfuggire al controllo, con conseguenze catastrofiche per i civili, per la regione e per il mondo intero.
Il Segretario Generale ha rivolto un appello agli Stati membri affinché evitino un’ulteriore escalation e rispettino i loro obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale. “In questo momento critico, è fondamentale prevenire il caos” – ha sottolineato.
Ha poi ribadito: “Non esiste una soluzione militare. L’unica via possibile è quella diplomatica. L’unica speranza è la pace.”
All’alba di domenica, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato attraverso un messaggio sui social media l’attacco del suo Paese contro i centri nucleari dell’Iran.
In risposta a questa azione brutale, l’Organizzazione dell’Energia Atomica della Repubblica Islamica dell’Iran ha affermato in un comunicato che il percorso di sviluppo dell’industria nucleare iraniana non sarà interrotto.
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ANPI: Trump-Netanyahu bellicismo criminale e catastrofico
22 Giugno 2025 – Pagliarulo Presidente Nazionale ANPI – Su Democraziaoggi.
«L’attacco ai siti nucleari segna in modo indelebile l’avventurismo e l’irresponsabilità di Trump al servizio della politica bellicista e criminale di Netanyahu, è una catastrofica violazione del diritto internazionale, sancisce che l’Iran è il Paese aggredito. È possibile ora un’espansione del conflitto che coinvolga il Pakistan, potenza atomica. L’eventuale ritorsione iraniana col blocco dello stretto di Hormuz darebbe un colpo pesantissimo all’economia globale. Nel momento più grave per la pace mondiale dalla fine del secondo conflitto, faccio appello al governo italiano affinché in nessun caso dia disponibilità per l’uso delle basi NATO e americane che ospitiamo sul nostro territorio. Facciamo nostre le parole di pace e disarmo del Cardinale Parolin. È il momento di un ritorno alla ragione affinché cessi una follia che può portare alla terza guerra mondiale.»
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Gaza
I genocidi cominciano con le parole. È dal 1843 che si dice che la Palestina fosse una «terra senza popolo». Oggi quella menzogna propagandistica rischia di avverarsi: distruggendo il popolo palestinese. I genocidi cominciano con le parole. Smettendo di chiamare le cose con il loro nome: per esempio, smettendo di chiamare ‘umani’ i Palestinesi, e iniziando in ogni modo a degradarli fino a rendere accettabile l’idea di ucciderli tutti. I genocidi si possono fermare con le parole. Noi non abbiamo altra forza, se non quella delle parole. Noi siamo ai margini, siamo i senza potere: siamo i 50.000 sudari, e le luci di notte. Siamo qui, non nei palazzi romani: per ricordare incessantemente, a chi il potere ce l’ha, cosa dice la Costituzione, cosa dice la nostra comune umanità.
Se vogliamo che il nostro Governo, e i governi occidentali, ci ascoltino, e fermino lo Stato di Israele, allora dobbiamo chiamare genocidio il genocidio. Perché così diremo che i nostri ministri finiranno un giorno alla sbarra come complici, del genocidio, per la mancata prevenzione cui l’Italia era obbligata, in quanto alleato di Israele. E dobbiamo chiamare genocidio il genocidio anche per onorare i morti: uccisi anche in culla SOLO per il fatto di essere palestinesi.
Ma quando si usa questa parola, nel discorso pubblico italiano scatta una censura. E proprio qua, nei luoghi di uno dei più atroci eccidi nazisti, bisogna avere il coraggio di parlare chiaramente. Un’intera classe dirigente (giornalisti, politici, professori…) impedisce che si riferisca quella parola a Israele perché questo sarebbe ‘antisemita’ e offenderebbe i sopravvissuti all’Olocausto. È un argomento falso, e oscenamente strumentale.
Ci siamo educati a vicenda – per anni, ogni Giorno della Memoria – a ripetere “mai più”. Ci siamo detti che se Auschwitz fosse stato sotto gli occhi del mondo, il mondo sarebbe insorto. Ebbene, oggi accade di nuovo: davanti ai nostri occhi. Perché, come diceva Hannah Arendt, il male dell’Olocausto non fu assoluto e senza paragoni, ma invece fu banale, comune, ripetibile all’infinito: perché profondamente umano. Perché la disumanità sta nel cuore dell’uomo: e nessuno ne è immune per appartenenza nazionale.
Le dichiarazioni dei capi di Israele non lasciano dubbi. Il presidente Herzog, ha detto che «è un’intera nazione là fuori responsabile. Questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera». Poco prima, il ministro della Difesa Gallant aveva giustificato la decisione di tagliare acqua, cibo, elettricità e benzina a Gaza, affermando che «stiamo combattendo con animali umani, e agiamo di conseguenza».
Accanto alle parole, così chiare nel loro atroce progetto di soluzione finale, ci sono i fatti. Dei 5 indicatori che prevede la Convenzione sul Genocidio del 1948, a Gaza ne ricorrono certamente 4. Cui si aggiunge la distruzione sistematica del patrimonio culturale: chiaro segno di volontà di sradicamento definitivo di un popolo dalla faccia della terra. Ebbene, Israele ha pianificato e sta compiendo un genocidio: lo ha detto anche la presidente della Società internazionale di studi sul genocidio. Contraddire la scienza è negazionismo, terrapiattismo morale.
Davvero possiamo pensare che nascondere questa terrificante evidenza oggettiva sia un modo di difendere la memoria dei 6 milioni di ebrei assassinati dal nazismo? Chi può arrogarsi il diritto di parlare per loro? Israele non ha questo mandato storico e morale, e anzi con ciò che compie a Gaza oltraggia sanguinosamente la memoria delle vittime della Shoah. Meno ancora questo mandato ce l’hanno i poteri occidentali: che usano la Shoah per proteggere i propri interessi coloniali.
Pensiamo davvero di onorare le 1830 vittime del nazismo in questa terra, tacendo su quello che succede a Gaza? Pensiamo davvero di nascondere la verità, e peggio ancora di farlo in nome di chi entrò nelle camere a gas naziste? Pensiamo di onorare la nostra promessa di ‘mai più’ facendolo avvenire ancora?
Giuseppe Dossetti fondò la sua comunità accanto alle vittime del nazismo, perché per sempre si meditasse sulla Shoah. E prese casa a Gerico, per essere accanto al popolo palestinese: denunciando con forza i crimini di Israele. Due cose tra le quali non c’è contraddizione, ma perfetta coerenza. Siamo qua per ricordarlo. E anche per esercitare quella «resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione», che Dossetti avrebbe voluto mettere nella Costituzione stesso come «diritto e dovere di ogni cittadino».
Oggi il Governo italiano è di fatto complice del genocidio a Gaza, violando innumerevoli principi della sua, della nostra, Costituzione. Siamo qui per dirlo forte. Siamo qui per praticare il diritto e dovere di resistenza. Siamo qui per resistere per Gaza: e la nostra resistenza è la parola che dice la verità. La parola che dice lo scandalo indicibile: e cioè che il Governo italiano, continuando a vendere armi a Israele, è co-autore del genocidio.
Il sangue di Gaza ricade anche su di noi, cittadini liberi di una democrazia che può scegliere da che parte stare. Per questo non possiamo, non dobbiamo, tacere. In nome di tutte le vittime di ogni genocidio, in nome dei morti che giacciono sepolti in questa terra, vi scongiuriamo, signori del Governo italiano: fermate il genocidio del popolo palestinese – questo genocidio israeliano, europeo, occidentale. Fatelo ora, perché non c’è più tempo!
È l’intervento svolto in occasione della marcia da Marzabotto a Monte Sole per Gaza del 15 giugno 2025
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E’ online
IL 21 GIUGNO FACCIAMO DA ARGINE ALLA FOLLIA Dobbiamo fermare l’aggressione preventiva di Israele all’Iran, agita nel disprezzo delle trattative in corso, impedire il massacro a Gaza e le violenze dei coloni in Cisgiordania, opporci al piano di riarmo voluto dalla Ue e dalla Nato.
IL 21 GIUGNO FACCIAMO DA ARGINE ALLA FOLLIA
E’ SEMPRE PIU’ GUERRA
Israele ha attaccato anche l’Iran, compiendo una ennesima e intollerabile violazione della legalità internazionale. Con l’attacco israeliano e la risposta iraniana si è aperto un nuovo tragico fronte di guerra. Il rischio di escalation è altissimo. La guerra può diventare globale.
Grazie alla mobilitazione internazionale si sono aperte incrinature, tardive e timide ma significative, nel sostegno al genocidio a Gaza. E, mentre cresce lo sdegno e l’impegno dell’opinione pubblica internazionale per Gaza, Netanyahu con l’attacco all’Iran prova a ricomporre a suo favore il blocco occidentale. Sta trascinando il mondo in guerra.
Sono ore drammatiche. E’ una deriva inaccettabile. Non si può stare a guardare.
Abbiamo l’obbligo di fermare la guerra, va fermato il genocidio, il riarmo, vanno fermati il sistema e la cultura di guerra, la deriva autoritaria. Gli interessi economici e strategici dei Governi e dei poteri che scelgono il riarmo e la guerra sono contro l’umanità. Israele fa ciò che vuole perché Usa ed Europa glielo permettono: questa complicità deve finire. Alla guerra fra Israele e Iran va posto fine, ora.
Si stanno svolgendo sit-in e manifestazioni promosse da diverse organizzazioni e reti. Invitiamo a realizzarli nella forma ‘verso la manifestazione nazionale del 21 giugno a Porta San Paolo, Roma’. E invitiamo tutti e tutte alla mobilitazione.
IL 21 GIUGNO FACCIAMO DA ARGINE ALLA FOLLIA
Questa tragica escalation è un motivo in più per fare il possibile, in tutti i territori, per garantire la massima partecipazione al corteo del 21 giugno.
Il 21 giugno abbiamo la possibilità e il dovere di offrire insieme un punto di riferimento saldo e forte non solo agli attiviste e alle attiviste, ma alle tante persone che guardano con paura, orrore e preoccupazione ciò che sta accadendo, e a coloro che non si arrendono alla cultura e alla pratica della guerra sempre più pervasiva e devastante.
Il 21 giugno abbiamo una occasione per alzare insieme la voce e dire che si sta varcando una soglia di non ritorno: questa follia fa fermata, da chiunque abbia la possibilità e gli strumenti per opporsi all’orrore.
Il 21 giugno è solo l’inizio: a casa non possiamo tornare, con il mondo che ci circonda. Questa coalizione raccoglie ormai più di 400 aderenti, continueremo insieme.
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LO STATO DELLA PARTECIPAZIONE
Tantissimi territori che sono al lavoro con buoni risultati, e le richieste per partecipare stanno crescendo in questi giorni e in queste ore.
Ci arrivano segnalazioni di difficoltà a reperire pullman, ma si collabora per superare questi ostacoli. Invitiamo tutti i gruppi e le organizzazioni sui territori a mettersi in contatto fra di loro, per aiutarsi e trovare soluzioni insieme, come già tanti stanno facendo.
Vi invitiamo a riempire questo file condiviso (ancora assolutamente provvisorio, dove mancano ancora tantissime cose) per comunicare informazioni su pullman, posti in treno e altri mezzi di trasporto organizzati: https://docs.google.com/document/d/12OzQ6uu5gAaPrABOEEjPN3rDh2SelbHijHn2ne72yCE/edit?tab=t.0
Per inserire le informazioni sul documento condiviso inviate la richiesta per modificare il file: aprite il file e cliccate su “Richiedi accesso in modifica”
Dopo le fatiche del 31 maggio, del 7 giugno e del referendum anche le organizzazioni più impegnate in questi appuntamenti hanno aggiunto i loro sforzi per organizzare e sostenere la partecipazione. Se non l’avete già fatto, contattate anche loro.
Con ciò che sta accadendo, dobbiamo essere tanti e tante. Che nessuno resti a casa.
Invito:
invitiamo tutti a contribuire alle spese, per come vi è possibile, per organizzare i trasporti. E’ una manifestazione auto-organizzata e auto-finanziata. Anche piccoli contributi possono essere utili ad abbassare i costi e aiutare la partecipazione. Sui territori, rivolgetevi alle organizzazioni che stanno organizzando l’arrivo a Roma. Nazionalmente, scrivete a stoprearmitalia@gmail.com
Nota:
vi inviamo qui i link dove trovate tutti gli sconti che in questo periodo sono possibili sui treni, Trenitalia e Italo. Forse potete trovare soluzioni utili:
Trenitalia: https://www.trenitalia.com/it/informazioni/la-guida-del-viaggiatore/offerte-commerciali.html#accordion-4
Italo: https://www.italotreno.com/it/offerte-treno
IL CORTEO
Il corteo partirà da Porta San Paolo alle ore 14:00. Farà caldo, portate ombrelli per ripararvi dal sole.
Il corteo sarà aperto da un grande camion, che sarà seguito da due striscioni unitari della manifestazione, e poi da un bandierone della pace e della Palestina.
La composizione della prima parte del corteo la discuteremo nella prossima riunione. Dopo questa prima parte organizzata, pensiamo che le delegazioni potranno posizionarsi in ordine di arrivo o per affinità, senza un ordine rigido prestabilito, in ordine di arrivo o di affinità.
La piazza conclusiva del corteo sarà comunicata nelle prossime ore, sono ancora in corso le ultime trattative con la Questura visto l’aumento della partecipazione prevista.
GLI INTERVENTI DELLE RETI E ORGANIZZAZIONI
Brevi interventi dei rappresentanti delle reti e organizzazioni associative, politiche, sindacali aderenti si svolgeranno durante il corteo, dal camion di apertura. Gli interventi saranno ripresi, registrati e trasmessi in diretta.
Le organizzazioni che intendono proporsi per intervenire scrivano a Elena Mazzoni: ellykurt@yahoo.it Tenete presente che siamo 400 aderenti + i promotori, e che il corteo non è infinito, quindi auto-regolatevi, per favore. Ci sono molti altri modi per evidenziare i propri contenuti nel corteo.
LE CONCLUSIONI
Non ci sarà un palco, la parte conclusiva della manifestazione si svolgerà sul camion di apertura. Le conclusioni saranno molto brevi:
1 intervento di 3 minuti per Ferma Il Riarmo (letto da una attivista giovane)
1 intervento di 3 minuti per gli altri promotori di Stop Rearm Europe (letto da una attivista giovane)
1 collegamento di 2 minuti con la coordinatrice di Stop Rearm Europe Katerina Anastasiou che sarà a L’Aja per la manifestazione in occasione del vertice Nato,
1 intervento di 4 minuti di Omar Suleiman (Comunità Palestinese della Campania, co-promotrice della manifestazione “Tutti giù per terra di Napoli” che è stata spostata per convergere a Roma),
1 intervento di 4 minuti di Francesca Fornario, e altri due brevi interventi di personalità/artisti in via di conferma.
ps: altri esponenti palestinesi parleranno ovviamente parlare dal camion durante il percorso del corteo
ps 2: la scelta di un palco “leggero” risponde alla scelta di rappresentare anche in questo modo lo stile e la metodologia della convergenza (il più possibile orizzontale, non gerarchica, aperta)
IL SUONO DELLE BOMBE SU GAZA E IL DIE-IN
In un momento ancora da decidere (all’arrivo del corteo o lungo il percorso), trasmetteremo alcuni minuti di suoni delle bombe su Gaza. L’audio è stato registrato a Gaza dall’ingegnere del suono, palestinese di Gaza, Oussama Rima. E’ stato montato, e ci è stato regalato, dalla campagna catalana Unsilence Gaza – coordinata da NOVACT, nostri alleati nella campagna europea Stop Rearm Europe.
Chiederemo a chi avrà camion o amplificazioni lungo il corteo di coordinarsi per ritrasmettere lungo tutto il corteo l’audio dei bombardamenti. E a tutte le persone di farlo attraverso l’audio dei propri telefoni. Vi invieremo presto informazioni tecniche in merito.
Chiederemo a tutto il corteo di stendersi per terra per realizzare un die-in mentre risuona il suono delle bombe. Portate con voi un lenzuolo, o qualcosa su cui stendervi!
La lista degli aderenti (che non è mai del tutto aggiornata perchè aumentano di ora in ora) e altre informazioni le trovate qui:
https://docs.google.com/document/d/1bqu1D-pDfqJd9RvUyF8Z9k1Ggayx6-DaM7i3DOf15WI/edit?tab=t.0
Per qualsiasi cosa, scrivete a stoprearmitalia@gmail.com
Buon lavoro
il gruppo organizzatore
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Tutte e tutti in piazza San Paolo a Roma il 21 giugno
Dobbiamo fermare l’aggressione preventiva di Israele all’Iran, agita nel disprezzo delle trattative in corso, impedire il massacro a Gaza e le violenze dei coloni in Cisgiordania, opporci al piano di riarmo voluto dalla Ue e dalla Nato. La manifestazione del 21 giugno fa parte della settimana di mobilitazione europea, indetta dalle oltre 400 reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche che hanno sottoscritto l’appello StopRearmEurope, che si terrà tra il 21 e il 29 giugno in occasione del vertice Nato a L’Aja e vedrà convergere tante identità impegnate per la pace, per la giustizia sociale e climatica, per i diritti e la difesa della democrazia.
L’attacco di Israele all’Iran travolge le relazioni e la legalità internazionale, apre la strada a un’escalation incontrollabile nel Medio Oriente, può trascinarci alle soglie di una nuova devastante guerra mondiale. La comunità internazionale finora non è stata capace di interrompere il genocidio dei palestinesi in corso e questo ha incoraggiato la deriva delirante del governo Netanyahu.
Il progetto ReArm Europe promosso dalla Commissione europea, la ulteriore pretesa della Nato – evidenziato anche dal recente incontro Meloni-Rutte – di portare la spesa bellica al 5% del Pil – porterà ad un contenimento drastico della spesa sociale determinando un ulteriore impoverimento delle popolazioni del nostro Continente e l’abbandono del contrasto all’alterazione climatica.. Non sarà sufficiente la concessione – che fu negata alla Grecia nel 2015 – di derogare ai rigidi vincoli di bilancio. Se si volesse rafforzare la difesa europea basterebbe una razionalizzazione della cospicua spesa già in atto e un coordinamento delle forze dei singoli stati.
Invece si pratica una virata dal welfare al warfare, contraria alla Costituzione italiana, ai Trattati europei, all’idea stessa di Europa dei padri fondatori. Questa corsa al riarmo, condivisa con la Gran Bretagna e altri Paesi europei, viene motivata per prepararsi a una guerra contro la Russia sulla base di valutazioni infondate sul pericolo di un’aggressione russa ai paesi della Ue. Non solo è una follia, ma impedisce un ruolo di pace che la Ue dovrebbe assumere nei confronti della conflitto russo ucraino
Contro questa follia si deve levare alta la voce dei popoli per imporre la via delle trattative e della ricerca della pace. No al riarmo europeo. Aiuti umanitari immediati a Gaza e riconoscimento ora dello stato palestinese. Arresto immediato della guerra portata da Israele all’Iran. Interruzione degli accordi militari e di collaborazione con Israele.
Per questi obiettivi il 21 giugno invitiamo tutte e tutti a partecipare alla manifestazione che si svolgerà a Roma a partire dalle h. 14 da Porta San Paolo.
La presidenza del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
Roma, lunedì 16 giugno 2025
Che succede?
Comitato “Insieme per la pace disarmata”
Evento regionale per la pace a Cagliari – 29 Giugno 2025.
[versione non definitiva]
Le organizzazioni firmatarie del presente documento convengono di costituire insieme un nuovo comitato informale che assume la denominazione di “Insieme per la pace disarmata”
. Il comitato si pone come primo obiettivo collettivo lo svolgimento di un evento per la pace con carattere regionale, a Cagliari, il prossimo 29 giugno, organizzato in due momenti:
- Dalle 9,30 alle 13: assemblea aperta presso il Teatro Sant’Eulalia;
- Dalle 18 alle 23: evento di sensibilizzazione pubblica all’aperto, con contributi artistici e di vario genere (spazio ancora da individuare).
Le organizzazioni aderenti si riconoscono nel seguente
Manifesto politico
1. La pace, la vita, la salute, il lavoro, la casa, l’ambiente, la giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale, le libertà civili e politiche, le libertà di espressione, di opinione e di protesta sono
diritti irrinunciabili di ogni individuo, a prescindere dalla nazionalità, dalla residenza, dall’etnia, dal genere, dalla religione e da qualsiasi altra caratteristica personale o di gruppo.
Intendiamo perciò contribuire a realizzarne la tutela e la piena attuazione adottando ogni iniziativa politica, sociale, culturale, ecc., utile al bene comune, insieme alla lotta non violenta attiva contro ogni ingiustizia.
2. Crediamo che la Pace si ottenga con l’impegno di ogni cittadina e cittadino, corpo intermedio, istituzione nazionale e sovranazionale, volto alla costruzione del bene comune dei popoli, all’inclusività, alla cooperazione ed alla solidarietà, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione, all’esigibilità sostanziale dei diritti delle persone. Perciò intendiamo impegnarci tutti e tutte insieme, nei nostri ambiti, per contribuire alla costruzione di un mondo più a misura di ogni persona umana.
3. La nostra azione è tesa ad evitare ogni violenza, istituzionale, di gruppo o individuale, ogni guerra e ogni atto di terrorismo, affrontandone ed eliminandone le cause attraverso l’esercizio della politica a tutti i livelli e adottando la non violenza attiva quale metodo per la risoluzione dei conflitti.
4. Vogliamo impegnarci nella promozione di una cultura e di una pedagogia della pace, del disarmo, della nonviolenza che influisca sulle coscienze, sull’educazione e sulla politica, che costruisca relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondate sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti, nell’incontro creativo delle differenze e delle divergenze e nel superamento del mito della guerra, del nemico, della vittoria.
5. Rispetto ad ogni guerra, e ad ogni atto di violenza, stiamo sempre dalla parte delle vittime.
Ciò vale per tutte le guerre in ogni parte del mondo: il conflitto armato tra Russia e Ucraina, le guerre del Sud-Sudan e dello Yemen, del Congo, il massacro in atto in Palestina, ecc.
6. In ogni conflitto armato vediamo vittime innocenti, sia tra i civili non combattenti che tra il personale militare, spesso mandato a combattere e morire contro la sua volontà, in nome di falsi ideali patriottici, a causa della prepotenza di chi li governa. Noi stiamo attivamente dalla loro parte in maniera nonviolenta, convinti che il ripudio della guerra, sancito anche dall’art.11 della Costituzione Italiana, sia necessariamente da interpretare riorientando ogni
sforzo istituzionale e di popolo verso la costruzione della pace.
7. La guerra è un crimine contro l’umanità; noi rifiutiamo una morale astratta e chiediamo la tutela del diritto delle persone alla vita e alla libertà in sintonia con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esprimiamo una fortissima preoccupazione per il piano di riarmo europeo inteso non solo come mezzo per risolvere positivamente le controversie, ma addirittura come opportunità di sviluppo.
8. Chiediamo che l’ONU riprenda la missione originaria di luogo di confronto e di soluzione pacifica delle controversie e lo faccia senza posizioni dominanti per nessuno.
9. Rifiutiamo ogni piano di riarmo europeo o nazionale e ogni tentativo di far passare l’idea che con una maggiore presenza di armi e di forze armate si possa perseguire la pace. La produzione di armi segue le leggi del mercato, perciò più armi si producono, più verranno utilizzate, in maniera da poterne produrre ancora e ancora.
10. Rifiutiamo la propaganda bellica di ogni tipo, attuata attraverso una sempre più frequente presenza delle forze armate nelle scuole e nelle università e mediante una pervicace commistione tra iniziative sanitarie, sportive, culturali, artistiche e forze armate. Cittadini e cittadine non sono clienti da imbonire ma persone consapevoli, titolari di diritti, alle quali non si può dare per pietà ciò che sarebbe dovuto per legge, come una sanità efficiente ed una società vivibile in tutti i suoi aspetti.
11. Ci opponiamo all’uso del territorio della Sardegna a fini di addestramento militare e di sperimentazione di nuove tecnologie belliche, o civili potenzialmente pericolose, alla produzione ed esportazione di ordigni bellici, alle speculazioni energetiche e industriali di qualsiasi genere, svolte senza rispetto alcuno per la volontà delle persone che abitano i territori coinvolti e per l’ambiente naturale terrestre e marino della nostra isola. Chiediamo la riconversione civile e sostenibile della fabbrica di armamenti presente nel sud-ovest dell’isola, insieme alla bonifica e alla restituzione ai sardi delle aree attualmente soggette a servitù militari.
12. Vogliamo impegnarci a promuovere nella nostra isola lo sviluppo di un’economia pacifica e sostenibile, che ne salvaguardi anche le lingue e le tradizioni, attualizzandole dinamicamente, e che consideri il suo l’ambiente naturale e sociale come eredità da preservare e ripristinare in maniera da poterlo lasciare a chi verrà dopo di noi senza pregiudicarne il futuro. Preservando l’ambiente difendiamo la salute.
Elenco delle organizzazioni firmatarie…
Cari amici,
Il referendum è stato sconfitto. Ma è ben altro che una sconfitta della sinistra. È una sconfitta degli stranieri che non possono diventare cittadini, devono rimanere “non persone” in un ordinamento dove anche le Banche sono persone. Sono migranti senza diritti quando sono venuti in uno Stato di diritto. Sono profughi venuti in nome del primo dei diritti che è quello alla vita, e hanno trovato il disprezzo dei diritti e le morti sul lavoro. Vivono in città che si gloriano dei “valori della destra”, e sono città senza valori così che quanti le guardano da fuori, magari dal mare, si stupiscono ed esclamano, come dice la Bibbia:
“ Questa è la città gaudente,
che se ne stava sicuro
e pensava: “Io e nessun altro”!
Qualcuno le passa vicino
fischia di schermo e agita la mano ”.
Ed è stata anche una sconfitta dei precari, degli underdog. Sono sottoccupati, sottopagati, sottostimati, e devono restarlo per tutta la vita, altro che diventare presidenti del consiglio.
È stata una sconfitta dei licenziati senza giusta causa. Senza causa si può pretendere di restare al potere, ma se ti tolgono il lavoro senza giusta causa non c’è un potere che giustamente ti difenda.
Ma al di là dei risultati, tutti si rallegrano o deprecano che non sia raggiunto il quorum, e gli uni vogliono ridurlo o addirittura abolirlo dimenticando la saggezza dei costituenti, gli altri vogliono alzare perfino il quorum delle firme necessarie per chiedere il referendum.
Ma il vero problema è: perché il quorum, che prima funzionava, adesso non funziona più? Il quorum è il prodotto e il segnale di una democrazia perfetta, non regge, almeno in quella misura, in una democrazia deperita.
La democrazia è deperita e il quorum non si raggiunge non a causa dei quesiti, magari mal compresi, ma perché si è rotta la coesione sociale. Quando i referendum funzionavano era perché c’era la coscienza di essere una comunità chiamata a decidere su problemi a tutti comuni, privati e pubblici, dal divorzio all’ordine pubblico al nucleare; ci si divideva certo nella scelta (il referendum era fatto apposta) ma a nessuno veniva in mente di fare un dispetto agli altri non andando a votare. Eravamo una Nazione, che aveva l’assillo della sua unità; all’inizio c’era perfino l’idea del monopolio pubblico della radio e della TV, per la paura che non si creasse una lingua comune, che ancora non c’era, o che la cacofonia dei messaggi rompesse l’armonia di fondo di una cultura condivisa: certo era una democrazia ancora acerba, ma in cammino, tanto è vero che l’obiettivo comune, perfino tra comunisti e anticomunisti, era una “democrazia compiuta”. La democrazia, e il voto, non erano ancora la rissa per cui la ragione degli uni è per forza il torto degli altri. Questa era la Nazione, non c’era bisogno di nominarla ogni minuto. Poi si è cominciato a smontarla, con l’idolatria dell’individualismo, le televisioni di Berlusconi, le privatizzazioni selvagge, la Lega Nord, “Forza Etna”, il maggioritario, chi vince vince tutto, chi perde perde tutto, lo “spoil system”, fino alla minaccia del premierato, tutti mezzi per rompere i legami sociali. E anche l’orrore per lo straniero, che non si permette di credersi italiano, è il segnale che la Nazione non c’è più, è già perduta, altrimenti l’integrazione sarebbe il suo orgoglio. E la Premier insiste nel professarsi come capo della Nazione, proprio mentre finisce di smontarla.
Nel sito Prima Loro pubblichiamo un articolo sul genocidio a Gaza, di Elena Basile.
Con i più cordiali saluti,
da “Prima Loro” (Raniero La Valle).
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Comitato “Insieme per la pace disarmata”
Comitato “Insieme per la pace disarmata”
Evento regionale per la pace a Cagliari – 29 Giugno 2025.
Le organizzazioni firmatarie del presente documento convengono di costituire insieme un nuovo comitato informale che assume la denominazione di “Insieme per la pace disarmata”
. Il comitato si pone come primo obiettivo collettivo lo svolgimento di un evento per la pace con carattere regionale, a Cagliari, il prossimo 29 giugno, organizzato in due momenti:
- Dalle 9,30 alle 13: assemblea aperta presso il Teatro Sant’Eulalia;
- Dalle 18 alle 23: evento di sensibilizzazione pubblica all’aperto, con contributi artistici e di vario genere (spazio ancora da individuare).
Le organizzazioni aderenti si riconoscono nel seguente
Manifesto politico
1. La pace, la vita, la salute, il lavoro, la casa, l’ambiente, la giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale, le libertà civili e politiche, le libertà di espressione, di opinione e di protesta sono
diritti irrinunciabili di ogni individuo, a prescindere dalla nazionalità, dalla residenza, dall’etnia, dal genere, dalla religione e da qualsiasi altra caratteristica personale o di gruppo.
Intendiamo perciò contribuire a realizzarne la tutela e la piena attuazione adottando ogni iniziativa politica, sociale, culturale, ecc., utile al bene comune, insieme alla lotta non violenta attiva contro ogni ingiustizia.
2. Crediamo che la Pace si ottenga con l’impegno di ogni cittadina e cittadino, corpo intermedio, istituzione nazionale e sovranazionale, volto alla costruzione del bene comune dei popoli, all’inclusività, alla cooperazione ed alla solidarietà, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione, all’esigibilità sostanziale dei diritti delle persone. Perciò intendiamo impegnarci tutti e tutte insieme, nei nostri ambiti, per contribuire alla costruzione di un mondo più a misura di ogni persona umana.
3. La nostra azione è tesa ad evitare ogni violenza, istituzionale, di gruppo o individuale, ogni guerra e ogni atto di terrorismo, affrontandone ed eliminandone le cause attraverso l’esercizio della politica a tutti i livelli e adottando la non violenza attiva quale metodo per la risoluzione dei conflitti.
4. Vogliamo impegnarci nella promozione di una cultura e di una pedagogia della pace, del disarmo, della nonviolenza che influisca sulle coscienze, sull’educazione e sulla politica, che costruisca relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondate sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti, nell’incontro creativo delle differenze e delle divergenze e nel superamento del mito della guerra, del nemico, della vittoria.
5. Rispetto ad ogni guerra, e ad ogni atto di violenza, stiamo sempre dalla parte delle vittime.
Ciò vale per tutte le guerre in ogni parte del mondo: il conflitto armato tra Russia e Ucraina, le guerre del Sud-Sudan e dello Yemen, del Congo, il massacro in atto in Palestina, ecc.
6. In ogni conflitto armato vediamo vittime innocenti, sia tra i civili non combattenti che tra il personale militare, spesso mandato a combattere e morire contro la sua volontà, in nome di falsi ideali patriottici, a causa della prepotenza di chi li governa. Noi stiamo attivamente dalla loro parte in maniera nonviolenta, convinti che il ripudio della guerra, sancito anche dall’art.11 della Costituzione Italiana, sia necessariamente da interpretare riorientando ogni
sforzo istituzionale e di popolo verso la costruzione della pace.
7. La guerra è un crimine contro l’umanità; noi rifiutiamo una morale astratta e chiediamo la tutela del diritto delle persone alla vita e alla libertà in sintonia con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esprimiamo una fortissima preoccupazione per il piano di riarmo europeo inteso non solo come mezzo per risolvere positivamente le controversie, ma addirittura come opportunità di sviluppo.
8. Chiediamo che l’ONU riprenda la missione originaria di luogo di confronto e di soluzione pacifica delle controversie e lo faccia senza posizioni dominanti per nessuno.
9. Rifiutiamo ogni piano di riarmo europeo o nazionale e ogni tentativo di far passare l’idea che con una maggiore presenza di armi e di forze armate si possa perseguire la pace. La produzione di armi segue le leggi del mercato, perciò più armi si producono, più verranno utilizzate, in maniera da poterne produrre ancora e ancora.
10. Rifiutiamo la propaganda bellica di ogni tipo, attuata attraverso una sempre più frequente presenza delle forze armate nelle scuole e nelle università e mediante una pervicace commistione tra iniziative sanitarie, sportive, culturali, artistiche e forze armate. Cittadini e cittadine non sono clienti da imbonire ma persone consapevoli, titolari di diritti, alle quali non si può dare per pietà ciò che sarebbe dovuto per legge, come una sanità efficiente ed una società vivibile in tutti i suoi aspetti.
11. Ci opponiamo all’uso del territorio della Sardegna a fini di addestramento militare e di sperimentazione di nuove tecnologie belliche, o civili potenzialmente pericolose, alla produzione ed esportazione di ordigni bellici, alle speculazioni energetiche e industriali di qualsiasi genere, svolte senza rispetto alcuno per la volontà delle persone che abitano i territori coinvolti e per l’ambiente naturale terrestre e marino della nostra isola. Chiediamo la riconversione civile e sostenibile della fabbrica di armamenti presente nel sud-ovest dell’isola, insieme alla bonifica e alla restituzione ai sardi delle aree attualmente soggette a servitù militari.
12. Vogliamo impegnarci a promuovere nella nostra isola lo sviluppo di un’economia pacifica e sostenibile, che ne salvaguardi anche le lingue e le tradizioni, attualizzandole dinamicamente, e che consideri il suo l’ambiente naturale e sociale come eredità da preservare e ripristinare in maniera da poterlo lasciare a chi verrà dopo di noi senza pregiudicarne il futuro. Preservando l’ambiente difendiamo la salute.
Elenco delle organizzazioni firmatarie…
Sardegna povera: povera Sardegna!
Riassunto [Nota stampa Crenos]: https://crenosterritorio.unica.it/wp-content/uploads/2025/06/RC32-Note-stampa.pdf
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NOTE RIASSUNTIVE
Economia della Sardegna – 32° Rapporto 2025
Demografia: mortalità in lenta diminuzione ma decrescita inarrestabile.
L’analisi demografica conferma le criticità strutturali della Sardegna: nel 2024 si contano 7.037 nascite e il tasso di natalità scende a 4,5 nati ogni mille abitanti. Si tratta del valore più basso in Italia, dove si registrano 6,3 nati ogni mille abitanti, a sua volta ultima tra le nazioni dell’Unione Europea (media UE: 8,2).
Il 2024 è il secondo anno in cui si registra un calo del numero delle morti rispetto agli elevatissimi valori degli anni precedenti, ma i decessi, pari a 18.449, si confermano elevati: il tasso di mortalità per la Sardegna, sostanzialmente invariato nell’ultimo anno (11,8 morti ogni mille abitanti), aumenta la sua distanza dal dato italiano (pari a 11), in diminuzione. Anche nel 2024 la Sardegna è la regione con il maggiore aumento del numero delle morti rispetto al quinquennio 2015-2019. Nel 2024 il tasso standardizzato di mortalità in Sardegna, calcolato scorporando gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, è in linea con quello nazionale e mostra una migliorata condizione rispetto al quinquennio 2015-2019, comunemente assunto a riferimento. La nostra Regione mostra però ancora alcune fasce di età in cui i tassi di mortalità permangono più elevati ed è di conseguenza penultima in Italia per miglioramento delle condizioni generali di sopravvivenza rispetto al periodo di riferimento.
Sul fronte migratorio, il saldo tra chi si trasferisce in Sardegna e chi la lascia rimane positivo nel 2024 ma è in calo: la mobilità regionale è molto contenuta e incapace di contrastare la diminuzione della popolazione.
Dal punto di vista strutturale, nel 2024 prosegue il processo di invecchiamento della popolazione, in atto ormai da molti anni, e l’età media dei residenti al 1° gennaio 2025 sale a 49,2 anni. Se accostiamo questo dato alla progressiva riduzione dei giovani, emerge forte il mutamento del rapporto intergenerazionale: in Sardegna infatti ogni 100 giovani sotto i 15 anni ci sono 281 residenti di 65 anni o più. L’insieme di questi tratti determina un appesantimento del carico sociale ed economico sulla componente anagraficamente attiva della popolazione: all’inizio del 2025 in Sardegna ogni 100 persone in età lavorativa ci sono 59,2 individui a carico, la maggioranza dei quali nella fascia più anziana della popolazione.
Ancora distanti le regioni più dinamiche dell’Unione.
Nel 2023 il PIL per abitante della Sardegna è pari al 72% della media dell’Unione (l’Italia il 98%); l’Isola è 169a su 242 regioni, in miglioramento rispetto all’anno precedente ma sempre nel gruppo “regioni meno sviluppate” dal punto di vista della distribuzione dei fondi europei per la politica di coesione.
Le nostre stime del PIL per abitante mostrano una crescita dell’1,1% sul dato del 2022, in linea con la media nazionale (+0,9%). Il divario di reddito con le regioni settentrionali rimane profondo: il PIL per abitante è pari a 21.821 euro in Sardegna, contro i 37.497 delle regioni del Nord-ovest e i 35.412 del Nord-est.
I consumi delle famiglie nel 2022 indicano una spesa per abitante di 15.518 euro (nostre stime), relativamente stabili rispetto all’anno precedente (+0,4%, in linea col dato nazionale pari a +0,6%). Sono in aumento i consumi di servizi (per l’abitazione, salute, trasporti, comunicazioni, ma anche ricettivi e di ristorazione e imputabili anche alla domanda turistica), che crescono del 4,3%, mentre calano gli acquisti di beni alimentari, prodotti per la cura della persona o della casa e medicinali (-4,2%). La spesa per i beni con utilizzo pluriennale (arredamento, autovetture, elettrodomestici, abbigliamento, calzature e libri), è sostanzialmente invariata.
La struttura produttiva: imprese micro e in calo, export più diversificato.
Le imprese attive nel 2024 sono 142.673, circa 1.700 in meno rispetto all’anno precedente.
L’indice di densità imprenditoriale è per la prima volta in calo (91,1 imprese ogni mille abitanti), ma in Sardegna rimane elevato rispetto alle altre aree del Paese. L’alto numero di imprese è determinato dalla scala dimensionale estremamente ridotta (in media vi sono 2,9 addetti per impresa), che si riflette nella preponderante presenza di microimprese: queste sono oltre il 96% del totale e assorbono oltre il 60% del totale degli addetti (nel Centro-Nord il dato è pari al 38%). Dal punto di vista settoriale si conferma la specializzazione regionale nel comparto agricolo (24% del totale delle imprese) e nei settori collegati al turismo (10%), mentre i settori legati alle attività svolte prevalentemente in ambito pubblico e ai servizi non destinabili alla vendita incidono per il 30% del valore aggiunto complessivo, quota che non ha equivalente in ambito nazionale e supera anche quella del Mezzogiorno.
Sul fronte del commercio con l’estero, si segnala il calo del valore dell’export dei prodotti petroliferi (5,3 miliardi di euro nel 2024, -4% rispetto all’anno precedente), che comunque si conferma quota prevalente delle esportazioni della Sardegna (78% del totale). I restanti settori sono invece in crescita: i prodotti della chimica di base (180 milioni di euro, +42% rispetto al 2023), altri prodotti in metallo (200 milioni, +42%), del settore lattiero-caseario (165 milioni, +1%), dell’industria degli elementi da costruzione in metallo (119 milioni, +40%), dell’industria estrattiva di metalli non ferrosi
(84 milioni, +5%), delle macchine di impiego generale (76 milioni, + 60%).
L’evidenza che emerge dai dati sulle imprese in Sardegna è un tessuto imprenditoriale con tratti di fragilità: una dimensione estremamente ridotta e una composizione settoriale che vede una prevalenza di imprese attive nei settori a più bassa produttività e legate alla
produzione di beni non altrimenti commerciabili se non attraverso la domanda esterna che si esprime in loco.
Nel 2024 in Sardegna aumentano sia le forze di lavoro che l’occupazione e diminuisce la disoccupazione.
Le forze di lavoro tra i 15 e 64 anni crescono di oltre lo 0,6%, invertendo la tendenza dei precedenti due anni, trainate soprattutto dall’aumento di partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne. Il numero di occupati aumenta di oltre 14mila unità, in maniera significativa per entrambi i generi, portando il tasso di occupazione al 57,7% (62,2% in Italia).
La disoccupazione si riduce del 16,6% (con 53.236 disoccupati), riduzione di oltre due punti percentuali superiore alla media nazionale, portando il tasso di disoccupazione complessivo
all’8,3% (6,5% in Italia), con tassi di disoccupazione tra i laureati e le laureate praticamente in linea al resto del Paese.
Cresce significativamente l’occupazione nel settore del commercio, alberghi e ristoranti e nelle costruzioni mentre si riduce negli altri servizi. Le retribuzioni (misurate nel 2022) si avvicinano al dato nazionale (soprattutto per le donne).
La struttura settoriale dell’occupazione in Sardegna continua a differire significativamente da quella nazionale. L’incidenza dell’industria in senso stretto rimane meno della metà del valore nazionale, mentre l’incidenza dell’agricoltura raggiunge il 6% contro il 3,4% dell’Italia. Le costruzioni reagiscono al forte calo dell’occupazione registrato nel 2023 con un aumento del 17,5% ed è significativo l’aumento del 16% nel settore del commercio, alberghi e ristoranti con oltre 20.700 unità aggiuntive. Il dato delle retribuzioni, fermo al 2022, mostra un recupero della
retribuzione media in Sardegna rispetto al dato nazionale (rimasto stazionario), soprattutto grazie al quasi allineamento per le donne.
Il lavoro part-time ed a tempo determinato si riduce mentre aumenta il lavoro indipendente.
Rispetto al dato nazionale, la Sardegna registra una elevata incidenza del lavoro atipico: i) il part-time, interessa il 21,1% dell’occupazione, valore di 4 punti percentuali superiore al dato
nazionale; ii) quasi un terzo del lavoro maschile si svolge in forma indipendente mentre a livello nazionale ci si ferma ad un quarto; iii) il lavoro a tempo determinato incide al 16%, valore di 1,3 punti percentuali superiore alla media nazionale. Al netto di una struttura occupazionale caratterizzata da elevata atipicità, nel 2024 si è assistito ad un significativo calo dell’incidenza del part-time, soprattutto tra le donne, ed è stata particolarmente forte la riduzione dell’uso di contratti a tempo determinato con un calo dell’incidenza di ben 2,8 punti percentuali. Continua invece a crescere l’incidenza del lavoro indipendente tra gli uomini.
Aumenta la spesa sanitaria, l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è sufficiente ma l’Isola mantiene il primato per rinuncia alle prestazioni sanitarie.
Nel 2023 la spesa sanitaria pubblica in Sardegna è cresciuta, raggiungendo i 3,8 miliardi di euro. La spesa pro capite (2.421 euro per abitante) è aumentata del 2,5% rispetto al 2022.
Tuttavia, in rapporto al PIL, la spesa è scesa dal 9,6% al 9,2%. Sul fronte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), il Sistema Sanitario Regionale sardo ha raggiunto per la prima volta dal 2019 la soglia minima di adempimento di 60 punti in tutte e tre le macroaree: prevenzione (65), distrettuale (67) e ospedaliera (60). Permane invece una criticità strutturale sulla rinuncia alle cure: con un tasso del 13,7%, la Sardegna resta la regione con il valore più alto d’Italia, un primato negativo che detiene dal 2017. Anche il divario di genere è evidente: nel 2023, le donne sarde hanno mostrato una probabilità di rinuncia alle cure superiore del 30% rispetto ai pazienti uomini.
Tempi lunghi e ostacoli economici: le criticità dell’accesso alle cure in Sardegna.
In Sardegna nel 2022 si è registrato un peggioramento generalizzato dei tempi di attesa per i ricoveri programmati in regime ordinario e in day hospital, con ritardi significativi per interventi oncologici (tumore alla mammella e colon-retto), cardiovascolari (bypass coronarico) e per la chemioterapia. La gestione delle liste d’attesa appare meno efficace proprio nei casi più urgenti. Nonostante una spesa sanitaria pro capite superiore alla media nazionale, il SSR sardo fatica a garantire livelli adeguati di efficienza, evidenziando criticità strutturali e organizzative.
Oltre ai tempi lunghi, un ostacolo crescente all’accesso alle cure è di natura economica: l’Isola registra un elevato tasso di rinuncia per motivi legati ai costi.
PNRR e sanità territoriale in Sardegna: CoT operative, ma ritardi su Case e Ospedali di Comunità.
Il PNRR ha destinato 440,9 milioni di euro alla Sardegna per la sesta missione dedicata alla Salute. Gli interventi riguardano tre pilastri della medicina territoriale: le Centrali Operative Territoriali (CoT), le Case di Comunità e gli Ospedali di Comunità. Le Centrali Operative
Territoriali, incaricate di coordinare i servizi sanitari locali, sono quasi tutte completate e operative, in linea con le tempistiche previste. Al contrario, Case e Ospedali di Comunità presentano ritardi significativi, dovuti a rallentamenti nella rendicontazione e al prevalere delle fasi burocratiche su quelle esecutive. Gran parte del lavoro svolto finora riguarda infatti aspetti amministrativi, mentre i lavori concreti, più onerosi dal punto di vista finanziario, sono ancora in corso o non iniziati.
Accessibilità agli ospedali in Sardegna: buoni tempi medi di percorrenza, ma criticità per le emergenze.
L’analisi dei dati geospaziali sull’accessibilità alle 38 strutture ospedaliere sarde tramite trasporto su strada mostrano che nel 2023 il 64% dei sardi (oltre 1 milione di persone) può raggiungere un ospedale entro 15 minuti. Il 29% impiega tra 15 e 30 minuti e il 7% (circa 105mila persone) oltre 30 minuti. Tuttavia, se si considera l’accesso alle sole strutture con medicina d’urgenza, presenti in appena 21 ospedali, emerge che solo il 57% dei sardi raggiunge un pronto soccorso in meno di 15 minuti, il 28% tra 15 e 30 minuti, mentre il 14% (oltre 200mila persone) impiega più di 30 minuti. Di questi, più di 33mila sardi, residenti prevalentemente nelle aree interne e nelle zone costiere ad alta densità turistica, necessitano oltre 45 minuti.
Cresce l’offerta dei servizi per la prima infanzia, ma resta carente l’assistenza domiciliare destinata agli anziani.
Nel 2022, la Sardegna ha registrato un aumento significativo nell’accesso ai servizi socio-educativi per i bambini tra 0 e 2 anni, con un incremento dal 19,5% del 2021 al 23,5% del 2022.
L’Isola supera così le altre regioni del Mezzogiorno, grazie alla saturazione dell’offerta già esistente e a un aumento del numero di posti disponibili. Tuttavia, parte del miglioramento è dovuta al calo demografico: nel 2022, i bambini nella fascia 0-2 anni erano 25.402, circa 1.000 in meno rispetto al 2021. Anche la copertura comunale dei servizi è aumentata, passando dal 23,3% del 2018 al 40% nel 2022. Si registra però una crescita della spesa privata e un calo del finanziamento pubblico. Sul fronte dell’assistenza agli anziani, la situazione è più critica: solo il 15,6% dei comuni offre servizi di Assistenza Domiciliare Integrata, che raggiungono appena lo 0,1% degli over 65.
Raccolta differenziata in crescita, ma restano alti i costi di smaltimento.
Nel 2023 la Sardegna ha raggiunto il 76,3% di raccolta differenziata, proseguendo la tendenza positiva degli anni precedenti. Oristano si conferma la provincia sarda più virtuosa con l’81,3%, seguita da Nuoro (79,6%), Sud Sardegna (79,4%), la Città Metropolitana di Cagliari (78,2%) e Sassari (71,1%). La produzione totale di rifiuti urbani è calata a 713.876,675 tonnellate, pari a 453 kg per abitante. L’Isola si distingue dunque per la qualità della gestione dei rifiuti, ma i costi di smaltimento restano alti. A incidere sono soprattutto i costi di raccolta e trasporto delle frazioni differenziate.
Trasporto pubblico extraurbano poco attrattivo: pochi utenti, bassa soddisfazione e accessibilità limitata.
In Sardegna, il trasporto pubblico di linea continua a essere poco attrattivo: nel 2023 solo il 12,6% dei pendolari ha utilizzato mezzi pubblici per motivi di lavoro o studio. Anche l’uso del treno è limitato: solo il 14,1% dei residenti ha viaggiato almeno una volta in ferrovia, dato superato solo dalla Sicilia (13,8%). A influire negativamente sono le difficoltà percepite negli spostamenti e la scarsa soddisfazione degli utenti. Nel 2024, il 13% dei sardi ha dichiarato di avere molta difficoltà a raggiungere i luoghi desiderati con mezzi pubblici, in aumento rispetto al 9,6% del 2023. Anche la qualità percepita del servizio extraurbano, sia su gomma sia su ferro, è generalmente bassa. Nel settore del trasporto non di linea, nel 2023 erano attivi 1.113 NCC e 310 taxi. Il servizio NCC è più diffuso nei piccoli comuni, mentre i taxi sono concentrati nei centri urbani più grandi.
Turismo: settore chiave dell’economia sarda.
I dati provvisori del Servizio della Statistica Regionale per il 2024 registrano aumenti a doppia cifra sia degli arrivi (+11%) sia delle presenze (+10%) rispetto al 2023. L’incremento, come lo scorso anno, è trainato principalmente dalla componente straniera, che cresce in misura maggiore (+17%) rispetto alla componente italiana (+3%). La Sardegna mostra un andamento migliore della media italiana, dove la crescita delle presenze si attesta al 3% (dati provvisori
ISTAT), ma in linea con le stime di crescita internazionali dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO, 2025). Confrontando i dati del 2024 con quelli pre-pandemia, in Sardegna sia la componente italiana sia quella straniera superano i livelli del 2019. Gli arrivi totali registrano +12% e le presenze +3%. Nel 2024, una buona notizia è sicuramente la ripresa della domanda estera, grazie alla quale la quota di presenze straniere sul totale si riavvicina alla media italiana e si attesta al 51%, come nel 2019. A crescere maggiormente sono i turisti provenienti dalla Polonia (+45%), dagli Stati Uniti (+34%) e dal Regno Unito (+27%). Tuttavia, i principali bacini di provenienza si riconfermano la Germania, la Francia e la Svizzera.
Aumenta la destagionalizzazione dei flussi turistici.
Per quanto riguarda il problema della stagionalità dei flussi, si segnala che questa nell’ultimo decennio sembra essere migliorata. Infatti, il picco di presenze nel mese di agosto del 2015
rappresentava il 29% delle presenze totali, mentre nel 2024 la stessa quota è meno del 24%.
Inoltre, nel 2024 rispetto al 2023 aumentano le presenze nei mesi di spalla: +21% a maggio e +40% ad ottobre. Due notizie positive arrivano dall’indagine Istat Viaggi e Vacanze relativa al 2023. La Sardegna si conferma quinta nella classifica delle mete preferite dagli italiani per i soggiorni lunghi nei mesi estivi e per la prima volta è quinta anche nella stessa classifica per i mesi primaverili. Questo è sicuramente un ottimo segnale dell’allungamento della stagione,
che non deriva solo dalle presenze straniere, ma anche da quelle italiane.
Che succede?
Cari amici,
da un po’ di giorni l’ultima parte dei TG della sera ci raccontano storie di omicidi, femminicidi, lapidazioni, accoltellamenti; Sembra che stia diventando oggi più che mai attuale il lamento di padre David Maria Turoldo che fa da emblema al nostro sito: “C’è troppo scialo di morte”. La ricezione di queste notizie nel sistema comunicativo è nella forma della cronaca nera e inutilmente se ne dibattono le cause politiche, individuate nella mancanza dell’educazione sessuale nelle scuole o nell’immaturità delle famiglie, ma non si sospetta che ci sia di mezzo una questione etica cioè di come le persone costruiscono la loro identità morale, le loro gerarchie dei valori e la loro spiritualità.
Tuttavia non si tratta solo di una questione che resta nell’ambito privato, perché ugualmente, e forse non indipendente, un analogo scialo di morte è in corso nella vita pubblica e nella comunità, se ancora la si può chiamare così, internazionale: guerre su guerre, non parliamo di Gaza, ecco che in Europa, all’ora dei negoziati, l’Ucraina coi suoi incredibili cavalli di Troia (che costano pochi dollari come ci assicurano) bombarda la Russia fino alla Siberia, sicura caparra della “punizione” russa. E qui sono i droni accatastati accanto all’obiettivo per un anno e mezzo; in Libano, con Israele, furono i cercapersone fatti esplodere accanto alle casse dei supermercati dai Servizi Segreti: la morte ce l’hai a lungo accanto senza saperlo, fino a che qualche Intelligenza Artificiale (perciò non umana) la farà deflagrare. E nel Sudan dimenticato i morti sono a milioni e il segretario generale della NATO dice che non siamo né in pace né in guerra, e il primo ministro inglese programma bombardieri nucleari tattici e dice che bisogna prepararsi alla guerra e l’Europa si intesta la “prontezza” alla guerra ma con una dilazione a quattro anni che, come nota Marco Travaglio, è un ossimoro. Ma queste non sono più guerre perché le guerre hanno uno scopo, queste sono crudeltà, come le ha battezzate papa Francesco prima di morire; non hanno scopo perché la guerra di Gaza non può “finire il lavoro” di eliminare tutto l’incomodo popolo palestinese e, a parte i mercanti d’armi, nessuno può pensare che il mondo sarebbe migliore senza la sconfitta della Russia dall’Ucraina; ma se le guerre sono senza scopo, esse sono “stupide” come dice Trump, e allora l’unico loro vero scopo è di uccidere: con il cercapersone, con i droni, con la fame, con la distruzione degli ospedali e il bombardamento di folle che strappano il cibo, ma è un lavoro lungo perché a Gaza siamo appena a 60.000 morti su due milioni di cittadini, mentre tra Russia e Ucraina non c’è altro negoziato che sui morti, scambiati a Istanbul, tanto per cominciare, 6000 cadaveri per parte.
Con le guerre senza scopo i piccoli uomini e donne che governano l’Europa e Israele e quelli un po’ più grandi che governano l’America la Russia e la Cina non sanno più che cosa fare: però noi vediamo che cosa hanno fatto o forse che cosa noi abbiamo fatto: abbiamo riportato il mondo a quello che secondo Hobbes era lo stato di natura, intendendo per natura uno stato di cose incivile e non umano, in cui vige una situazione di uccidibilità generalizzata di tutti contro tutti: situazione che sempre secondo Thomas Hobbes e Carl Schmitt gli uomini avrebbero risolto con “un colpo di genio ermeneutico” fondando lo Stato moderno che si è arrogato il monopolio della violenza mentre ai cittadini offre sicurezza e chiede soggezione. Ma ormai, a questo stadio a cui è giunta la guerra, questa funzione degli Stati è finita perché ormai l’uccidibilità generalizzata sono loro a provocarla, generalizzarla e riprivatizzarla. Questo vuol dire che i piccolissimi uomini e donne che ci governano sono ormai puri e semplici ministri di morte, e dunque che siamo giunti al tempo in cui, come ieri si inventò lo Stato, così oggi si deve inventare qualche altra cosa, forse la grande Federazione delle famiglie umane unite, forse la pace disarmata e disarmante.
Nel sito pubblichiamo un articolo sul contrasto all’immigrazione .
Da “Prima Loro” (Raniero La Valle).
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Risultati scarsi, la destra al governo si rifugia nella prepotenza
Alfiero Grandi
1 Giugno 2025 WWW.STRISCIAROSSA.IT
Il governo cambia pelle. La continuità è il racconto di un paese che non esiste, in cui tutto va per il meglio, mentre anche nelle relazioni internazionali l’Italia è ai margini, inefficace. L’ansia di costruire una credibilità internazionale del governo lascia il passo a una marginalità evidente, la rivendicazione di essere un ponte tra Usa ed Europa è un’autoesaltazione esagerata. Mentre sono evidenti la ritrosia a prendere iniziative forti per fermare la strage in corso a Gaza compiuta da un alleato come Nethanyau, l’imbarazzo a fare i conti con le follie di Trump non solo sui dazi (contrastate dai magistrati) dipinto addirittura come un riferimento politico, per non parlare dello stallo europeo nel prendere iniziative per la pace in Ucraina nel vuoto che sta lasciando l’inconcludente iniziativa americana.
Sfumano le grandi riforme istituzionali dell’assetto dello Stato
All’inizio il governo Meloni ha usato la grande maggioranza ottenuta in parlamento per dare credibilità a proposte di legge bandiera per le 3 destre al governo: autonomia regionale differenziata alla Calderoli, attacco all’autonomia della magistratura, elezione diretta del Presidente del Consiglio, da trasformare in un capo assoluto del governo, che per di più potrebbe contare su un parlamento subalterno, iniziando la costruzione di una vera e propria “capo-crazia” (Ainis) non lontana da un’autocrazia.
Meloni e Orban
Il luccicore di queste proposte oggi è appannato. La Consulta ha bocciato largamente la legge di Calderoli, il quale oggi cerca di rimontare con un progetto di legge correttivo che ha la sfacciataggine di raccontare all’Italia che i livelli di prestazione che verranno (a chiacchiere) garantiti non costeranno un euro in più. Siamo da capo: alcune regioni forti potrebbero prendersi i poteri perché hanno le risorse mentre altre non potranno farlo. I cittadini sarebbero sempre più diversi tra loro a seconda se risiedono nelle regioni più ricche o in quelle deboli e per di più i cittadini rivolgerebbero le loro critiche alle regioni inadempienti anziché al governo nazionale.
Ora nel mirino c’è la magistratura
L’attacco all’autonomia della magistratura ha conquistato la prima fila tra le modifiche delle destre alla Costituzione, da realizzare ora perché il governo è convinto di vincere il referendum popolare previsto dall’articolo 138 e perché i controlli della magistratura sugli atti del governo gli risultano insopportabili. Ultimo caso la sentenza della Cassazione sui centri di detenzione per i migranti in Albania. Il governo ha deciso di portare avanti l’attacco all’autonomia della magistratura partendo dalla separazione delle carriere ma proponendo il sorteggio della loro rappresentanza nel Csm (anzi dei Csm) per indebolire l’autonomia della magistratura nella nostra Repubblica.
Il premierato per ora marcia sul posto, in attesa, perché questa proposta è vittima anzitutto delle sue contraddizioni. Alcune nel testo, come il rapporto stretto con la legge elettorale e ancora di più il contrasto evidente con il ruolo del Presidente della Repubblica che si vorrebbe drasticamente ridimensionare ma Mattarella è molto apprezzato in Italia e all’estero. Rischiare lo scontro frontale con il Presidente della Repubblica potrebbe essere un guaio per il governo Meloni, per questo sta esaminando altre strade come cambiare prima la legge elettorale, una sorta di acconto sul premierato, e spostare il referendum popolare a dopo le elezioni del 2027. Deve essere chiaro che le destre puntano a essere decisive nell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nella prossima legislatura.
Sulle modifiche istituzionali e costituzionali siamo entrati in una nuova fase. Il governo Meloni ha perso lo slancio del 2022 e usa la maggioranza parlamentare (15% di premio di maggioranza) come un randello sull’opposizione. È evidente l’ansia del governo Meloni di non riuscire a spiegare al paese come mai malgrado tanto potere si sia realizzato così poco nelle politiche concrete.
L’Istat dimostra che il Paese è sempre più in difficoltà
L’ultimo rapporto Istat dimostra che l’Italia è in difficoltà, ha un peggioramento nelle condizioni di vita, i poveri superano i 6 milioni, i redditi da lavoro e da pensione sono in riduzione, non a caso i metalmeccanici sono costretti ad un altro sciopero generale per il contratto. Si rischia perfino di non usare bene i fondi del PNRR o di doverli restituire in parte.
Da questo deriva la frenesia di fare in fretta (e male) con decreti legge affastellati, combinati con i voti di fiducia, diventati una regola, e riducendo il parlamento a un ruolo subalterno al governo, visto che è “obbligato” ad approvare quello su cui il governo chiede la fiducia.
Un tecnicismo rivela la fretta e il clima da caserma in parlamento. Pur di fare approvare in fretta le modifiche della Costituzione sulla magistratura la presidenza del Senato – a maggioranza – ha deciso che il “canguro” (un emendamento del governo che assorbe tutti gli altri) può essere usato già in commissione che è la sede più importante di confronto nell’esame delle proposte di legge. Così si vuole tagliare il dibattito e ottenere un’approvazione rapida delle proposte di legge, il confronto parlamentare con le opposizioni può attendere.
Il manganello per relegare l’opposizione sociale in un recinto
Viene usato il manganello imponendo le decisioni, relegando l’opposizione in un recinto senza darle la possibilità di incidere. Anziché essere parlamento, cioè discussione, è il dominio del noi contro voi, una sorta di nuovo, invisibile muro di Berlino, che cambia la sostanza del funzionamento della democrazia. Le opposizioni stanno ritrovando voce e qualche sintonia in più e questo è positivo, ma debbono trovare la forza di una sintesi che renda evidente all’Italia che una alternativa alle destre è possibile ed è una speranza da sostenere. Un primo appuntamento importante sono i 5 referendum dell’8/9 giugno, ricordando sempre che la partecipazione al voto elettorale e quello ai referendum è diverso. Con i referendum si decide una scelta con un Si o un No, in modo preciso e in questo caso sono diritti di chi lavora e dei migranti per favorirne l’integrazione.
Anche sul decreto sicurezza il governo ha deciso di troncare la discussione per imporre 14 nuovi reati e 9 aggravamenti di pena. Il governo ha trasformato in decreto legge le norme su cui il parlamento stava discutendo da 14 mesi. Difficile sostenere l’urgenza del decreto. L’argomento è stato sottratto al parlamento per accreditare un’iniziativa dura, per fare la faccia feroce con le aree marginali, per colpire le proteste e il dissenso, mentre verso i colletti bianchi ha cancellato il reato dell’abuso d’ufficio, ha reso complicate le indagini dei magistrati riducendo a 15 giorni le intercettazioni.
Evidentemente il clima nel paese è cambiato e si vuole ottenere strumenti di repressione che comportano più galera in un paese che ha le carceri che scoppiano. Una deriva securitaria. Il professor Rondelli ha affermato in parlamento che ogni svolta autoritaria è anticipata da strette repressive giustificate con l’obiettivo della sicurezza, un avviso all’Italia.
Siamo oltre la metà della legislatura e da settori amici il governo viene rimproverato di avere perso tempo e quindi reagisce preoccupato perché il carniere dei risultati non è così forte, solo quello dei tanti condoni, ed usa i numeri in parlamento con arroganza, “dimenticando” l’enorme regalo di maggioranza parlamentare ricevuto, non di voti.
È emerso un lato autoritario per la preoccupazione di avere pochi argomenti a favore e pochi risultati da rivendicare. Che bisogno c’era delle destre al governo per tenere i conti pubblici in ordine ? Bastavano un Monti o un Draghi. Anche perché i conti pubblici in ordine Giorgetti li realizza sequestrando il drenaggio fiscale sulla differenza tra redditi reali, che sono calati, e i redditi nominali che crescono un poco ma vengono ridotti dal prelievo.
La propaganda sostituisce le scelte, viene messa all’indice l’opposizione, spesso insultata, si vuole argomentare senza possibilità di replica, sono tutte tecniche autoconsolatorie. Difficile non vedere similitudini autoritarie con Trump e il suo fastidio per chi la pensa in altro modo, per fortuna anche negli Usa ci sono magistrati coraggiosi.
Magistratura e provvedimenti definiti per la sicurezza sono ora al centro dell’iniziativa di un governo in difficoltà, nervoso, ansioso di fare presto ad ogni costo.
Contrastiamo fino in fondo la proposta sulla “sicurezza”, che vuole impedire le manifestazioni di protesta, i picchetti degli operai che difendono il loro lavoro, vuole cacciare dalle case occupate sbattendo sotto i ponti i più deboli, e prepariamoci ad appoggiare i magistrati contro chi li vorrebbe separati nelle carriere, sorteggiati per azzerare il valore della loro rappresentanza, sotto il controllo disciplinare di una commissione estranea, in sostanza subalterni. Non a caso il Ministro Nordio ha iniziato a criticare sentenze e decisioni dei magistrati, il passo successivo è quello di un governo che punta a dare direttive ai magistrati, sicuramente a quelli inquirenti, mandando in soffitta la loro autonomia dal potere esecutivo.
Più aumentano le difficoltà e sono scarsi i risultati, più aumenta la deriva autoritaria e prepotente della maggioranza delle destre.
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