Monthly Archives: gennaio 2019

Oggi mercoledì 23 gennaio 2019

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Regionali. Ecco uno che dice cose di sinistra. Intervista a Vindice Lecis: “Combattiamo per un’alternativa di Sinistra in Sardegna”
23 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Newsletter

Scegliete oggi chi volete servire (Gs 24,15)
logo76Notizie da
Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 132 del 22 gennaio 2019

LA SCELTA

Care Amiche ed Amici,
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Elezioni sarde

lampada aladin micromicroPersa un’occasione per presentarsi uniti pur nel rispetto delle diversità, ecco (negli allegati) le tre liste elettorali dell’Area indipendentista-identitaria-alternativa, alle quali auguriamo il massimo di consensi dell’elettorato perché abbiano un risultato positivo e utile, nell’interesse dei Sardi e della Sardegna.
Ma il nostro appello va oltre: VOTATE, VOTATE le liste e i candidati che volete, purché CONTRO la Destra! Per essere chiari il nostro appello è a favore delle Liste di Autodeterminatzione, del Partito dei Sardi, di Sardi Liberi, ma anche del Movimento 5 Stelle, del Centro Sinistra e di Sinistra Sarda. Scegliete il candidato presidente (Andrea Murgia, Paolo Maninchedda, Mauro Pili, Francesco Desogus, Massimo Zedda, Vindice Lecis) e i due consiglieri (una donna e un uomo) che più vi convincono e nel rispetto delle regole elettorali VOTATELI!
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Allegati

Anci – proposte per il riuso del patrimonio culturale abbandonato

logo-anciCITTÀ E TERRITORIO » TEMI E PROBLEMI » SPAZIO PUBBLICO
Riuso del patrimonio pubblico in abbandono: serve una strategia nazionale
di MARIO GUERRIERO su eddyburg.

ANCI chiede di rivedere alcune norme nazionali per favorire pratiche di riuso in grado di generare identità e produzione culturale, coesione ed innovazione sociale. Sarebbe il caso di farlo, ora. Biblius.net, dicembre 2018. (m.b.)
[segue]

EconomiaCheFare? Per uscire dalla crisi occorre rifondare l’Economia.

pensatoreCrisi dell’economia italiana e prospettive di una sua ripresa

di Gianfranco Sabattini

E’ vero, Pierluigi Ciocca è uno dei pochi economisti italiani a poter dire, senza correre il rischio d’essere smentito, di avere intuito in tempi non sospetti la “gravità” di quanto stava accadendo al sistema economico italiano, cercando di “comprenderne cause prossime e lontane”, per lanciare l’allarme onde evitare che si creassero le condizioni che avrebbero condotto l’economia del Paese nel tunnel della crisi del 2007/2008.
Si tratta di una crisi, quella dell’economia dell’Italia che, a parere di Ciocca, si è trasformata in un “fenomeno molto complesso, radicato nel profondo del corpo sociale ben oltre le determinanti strettamente economiche”, che ha richiesto un tempo non breve per emergere e mostrare gli aspetti delle diverse fasi in cui si è articolata. Del processo giunto al “capolinea” nel 2007/2008, Ciocca, già vice direttore della Banca d’Italia, in “Tornare alla crescita. Perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla”, offre una “testimonianza” con una raccolta di scritti variamente datati, dando il senso della gradualità con cui il Paese ha preso coscienza delle difficoltà che caratterizzano oggi la sua economia.
Attualmente – afferma Ciocca – “l’Italia non produce più di quanto produceva quindici anni fa; la disoccupazione, non solo quella dei cosiddetti giovani, è alta, il lavoro mal pagato, precario; la povertà si estende; l’evasione fiscale impazza; il debito pubblico spaventa i mercati; la questione meridionale si è incrudita; la produttività delle imprese ristagna. La cultura, le istituzioni, la politica, la società civile stentano a scuotersi”. Tutto ciò accade nonostante che la storia economica insegni che quella italiana è un’economia afflitta da “strutturali elementi di fragilità”, dovuti essenzialmente al fatto che essa (l’economia) insiste su un suolo accidentato e instabile, sotto il quale scarseggiano le risorse strategiche e sopra il quale si è formata una base produttiva strutturalmente debole.
La storia economica, perciò, dovrebbe insegnare alla società civile, e soprattutto all’establishment dominante, che il benessere materiale acquisito è molto instabile, in quanto dipende “sia dall’intensità dell’impegno dei produttori – imprese e lavoratori – sia dal contesto in cui essi sono inseriti”.
L’Italia – sostiene Ciocca – ha visto formarsi e crescere il proprio sistema produttivo in due momenti particolarmente felici delle sua storia unitaria: nel periodo 1900-1913, con l’età giolittiana, e in quello 1950-1969, con il cosiddetto miracolo economico del secondo dopoguerra. In entrambi i periodi indicati, il Paese ha potuto avvalersi di una finanza pubblica equilibrata, di notevoli investimenti in infrastrutture materiali ed immateriali, di un quadro giuridico appropriato, reso conforme alla dinamica dell’economia, e della risposta positiva delle imprese alle sfide della concorrenza. Le congiunture prevalentemente economiche, proprie dei due periodi, sono state sorrette dai progressi culturali, istituzionali e politici, che sono valsi a compensare gli svantaggi strutturali che caratterizzavano la crescita economica del Paese.
L’opposto di quanto è accaduto nell’età giolittiana e con il miracolo economico del dopoguerra si è verificato in altre fasi della storia politico-economica dell’Italia, quali quelle del periodo autoritario dell’età Crispina (1887-1896), di quello, ugualmente autoritario, dell’era fascista (1922-1943) e di quello compreso tra il 1990 e in nostri giorni. Per il superamento dell’empasse attuale, l’ammonimento che può essere tratto dall’esperienza positiva vissuta dal Paese nei periodi in cui la propria economia è cresciuta e si è consolidata, suggerisce che venga rilanciata la determinazione dei produttori (imprese e lavoratori) e rinnovato il contesto culturale, istituzionale e politico a supporto del rilancio della crescita.
Secondo Ciocca, cercare il momento a partire dal quale ha avuto inizio l’involuzione dell’economia nazionale dai suoi fondamentali, consolidatisi nel secondo dopoguerra, non ha molto senso; tuttavia, il punto di cesura può essere identificato nella crisi della lira sul mercato dei cambi, occorsa nel 1992, l’anno a partire dal quale la moneta nazionale ha perso la capacità di tenuta riguardo al suo ruolo nel governo stabile dell’economia.
Tra la fine degli anni ottanta e il 1992, la tenuta della lira era stata assicurata dalla Banca d’Italia con la pratica di alti tassi di interesse; ciò portava ad escludere che la competitività dell’economia nazionale fosse ottenuta attraverso lo svilimento del cambio, ovvero attraverso la svalutazione della lira. In tal modo, le imprese – afferma Ciocca – sono state costrette a conservarsi competitive, percorrendo “la strada maestra della produttività e del contenimento dei costi, salariali in primo luogo”. L’efficacia delle misure adottate dalla Banca d’Italia è venuta meno nell’estate del 1992, allorché l’azione della magistratura contro gli “scandali finanziari” e la conseguente crisi dei partiti hanno determinato il cedimento della valuta nazionale, costringendo il governo ad adottare le misure correttive degli squilibri di bilancio che i mercati finanziari sollecitavano.
Nel settembre del 1992, infatti, per contrastare gli esiti della crisi valutaria, il governo ha svalutato il cambio di riferimento della lira, decidendo anche di uscire dal sistema monetario europeo, ossia dall’accordo europeo sui cambi fissi. Il rientro nell’accordo, nel 1996, avvenuto ad un cambio sottovalutato, è valso a radicare negli imprenditori l’idea che si potesse reggere la concorrenza conservando un cambio flessibile; un modo più agevole, questo, di quello “lastricato di rischi”, impliciti ad un’accumulazione di capitale, realizzata mediante investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) per l’acquisizione di una maggiore efficienza.
Tali condizioni di operatività del sistema produttivo nazionale hanno determinato l’emersione di una moderazione salariale antinflazionistica e di un aumento della spesa pubblica che, congiuntamente ad una crescita dell’inflazione e all’ottenimento di crescenti concessioni statali favorevoli ai privati, hanno consolidato presso gli imprenditori l’aspettativa di un “profitto facile”; una situazione, questa, che ha dato luogo al “fenomeno strano” che ha caratterizzato il funzionamento del sistema economico nazionale, il quale, pur registrando un basso tasso di crescita, ha consentito da parte delle imprese la realizzazione di alti tassi di profitto.
Ci si è illusi di poter uscire da tale situazione con l’adesione dell’Italia alla moneta unica europea; questa, secondo le aspettative di molti, faceva sperare che la stabilità monetaria, i bassi tassi d’interesse e la fissità irrevocabile dei cambi avrebbero sollecitato i produttori ad investire molto di più in “R&S”, per migliorare la produttività delle imprese e i livelli salariali della forza lavoro occupata; ma le aspettative non si sono realizzate. Il nuovo secolo, infatti, ha fatto registrare una crescita mediocre, punteggiata da “due micidiali recessioni nel 2008-2009 e nel 2012-2013” e da una ripresa, “tanto lenta quanto incerta”, dal 2014-2018. Tutto ciò, secondo Ciocca, a causa del fatto che le “risposte della politica al problema economico italiano come problema di crescita sono state insufficienti”.
Le scelte politiche, dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, si sono configurate, a parere di Ciocca, non riconducibili a un “modello strutturale di crescita” dell’economia italiana che avesse fatto dipendere “la variazione del progresso tecnico dalle quattro variabili considerate ‘esogene’: finanza pubblica, infrastrutture, concorrenza, dinamismo d’impresa”. Queste variabili costituiscono delle forze che, per quanto esogene, sono però anch’esse di natura economica, legate, a propria volta, a determinanti meta-economiche (culturali, istituzionali, politiche), facenti parte anch’esse del corpo sociale e, in quanto tali, rilevanti per il rilancio della crescita.
Tuttavia, anche una politica economica di vasto respiro, imperniata sull’uso delle risorse in “R&S” per il miglioramento dell’efficienza produttiva del sistema economico, potrebbe non bastare a rilanciare la crescita, se il mondo dei produttori, “di fronte alla natura e allo spessore della stasi produttiva in cui l’economia italiana versa”, non operasse – afferma Ciocca – “uno scatto di volontà”, attraverso il quale “tornare a ricercare il profitto non per facili vie [...], ma per la strada maestra dell’efficienza, dell’investimento, dell’innovazione, del progresso tecnico”; tenendo conto che il percorso della strada maestra può essere reso agevole e continuo dal ruolo che possono svolgere, direttamente o attraverso i loro effetti sull’efficienza, sull’investimento e sull’innovazione, le variabili meta-economiche espresse dalla cultura, dalle istituzioni e dalla politica.
Ciò è suggerito dal fatto che la ricerca della corrente istituzionalista della teoria economica ha evidenziato che, ovunque il capitalismo è propulsivo, risulta positiva l’influenza sulla variabili strettamente economiche di quelle meta-economiche, alle quali va riconosciuto il ruolo determinante svolto durante il processo di crescita dell’economia italiana, sia nel periodo dell’era giolittiana che in quello del miracolo italiano del secondo dopoguerra.
Per il futuro, Ciocca è del parere che difficilmente l’economia italiana potrà tornare a crescere, se il contesto globale del Paese non sarà in grado di esprimere una cultura, un’organizzazione istituzionale e una politica capaci di trasmettere sulle variabili economiche endogene ed esogene quegli impulsi dinamici che hanno saputo precedentemente produrre, nella certezza che, se ciò non dovesse avvenire, il problema economico dell’Italia continuerà a rimanere “problema della crescita irrisolto”.
Viceversa, se il contesto meta-economico sarà reso appropriato, l’economia italiana potrà superare, in tempi non lunghi, l’empasse attuale, rilanciando la crescita che, a parere di Ciocca, potrebbe tornare stabilmente ad aumentare “a un ritmo non lontano dal 3% l’anno, il vero potenziale di sviluppo economico del Paese”. Data per scontata la creazione di un nuovo contesto meta-economico appropriato, quali sono le condizioni necessarie perché l’Italia possa tornare a crescere?
Ciocca ne indica sette, che egli giudica necessarie. Esse sono le seguenti: riequilibrio del bilancio, investimenti pubblici, nuovo diritto dell’economia, profitto di produttività, perequazione retributiva, una strategia per il Sud, una diversa politica europea. Chiedendosi se tali condizioni siano realizzabili, Ciocca sottolinea che l’indebitamento netto della Pubblica amministrazione, in cima alle preoccupazioni degli italiani, è in calo dal 2014; mentre è ancora più contenuto il disavanzo strutturale (esprimente il disavanzo della stessa Pubblica amministrazione, al netto degli effetti del ciclo, che permette di valutare se il deficit pubblico del Paese sia dovuto alla congiuntura economica o alla struttura della sua economia).
Diversa è la valutazione riguardo al debito consolidato dello Stato (attualmente superiore al 130% del PIL), il più alto d’Europa, dopo quello greco; esso deve necessariamente scendere, perché la conseguente diminuzione degli interessi consenta l’aumento dell’avanzo primario, creando lo spazio necessario per finanziare gli investimenti pubblici, da effettuarsi in funzione dell’aumento della produttività del tessuto produttivo; condizione, questa, che può essere facilmente soddisfatta con la diminuzione del debito pubblico ed una maggior discrezionalità nel determinare la composizione della spesa pubblica, tenuto conto che “la composizione del bilancio è di competenza di governi e parlamenti dei singoli Paesi, non delle autorità europee”.
Sul piano dell’ordinamento giuridico dell’economia, Ciocca sottolinea la necessità che siano accelerate e finalizzate alla crescita le procedure previste nei casi di crisi aziendali, evitando la dissipazione del capitale ed affidando le procedure concorsuali ad “autentici esperti”, la cui azione, in alternativa a quella della magistratura, sappia garantire una più conveniente riallocazione delle risorse delle imprese in difficoltà.
Con il miglioramento dei conti pubblici e i maggiori investimenti dello Stato orientati ad aumentare l’efficienza e la competitività delle imprese, potrà essere riavviato il motore della crescita economica di lungo periodo; condizione, questa, che pare ineludibile, se si vuole realmente perequare l’iniqua distribuzione del prodotto sociale tra i cittadini, inaugurare una nuova strategia d’intervento nelle regioni meridionali e accrescere la credibilità dell’azione di governo da parte delle autorità europee.
Com’è possibile constatare, gli obiettivi indicati da Ciocca prefigurano per il Paese una prospettiva che non può che essere condivisa; sorge però il dubbio che tali obiettivi possano di per sé portare automaticamente a rimuovere la piaga della disoccupazione, che costituisce l’altra faccia della medaglia del problema della crescita.
Al riguardo, non può sfuggire il fatto che la lotta contro la disoccupazione comporterà sicuramente (considerate le forze oggi prevalenti alla base del funzionamento delle società industriali, quali sono quelle espresse dall’automazione del processi produttivi) maggiori difficoltà rispetto al passato. Il rilancio della crescita dell’economia italiana e l’efficace azione contro la disoccupazione strutturale dovranno essere perciò fortemente supportati da un cambiamento di quelle variabili che Ciocca indica come variabili meta-economiche; ciò al fine di motivare i produttori e i responsabili dell’attività di governo a convincersi che le politiche ridistributive tradizionali del prodotto sociale dovranno essere necessariamente innovate, se si vorrà evitare che il rilancio della crescita e la lotta contro la disoccupazione avvengano in essenza di fatti e scelte traumatici.

Oggi martedì 22 gennaio 2019

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Cari pentastellati, attenti! Anche per voi gli errori non pagano!
22 Gennaio 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
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Andrea Frailis ha vinto. Auguri e buon lavoro!

67823e59-6445-44c5-8ed2-c8969d5827adElezioni suppletive del collegio di Cagliari e dintorni (Comuni di Cagliari, Burcei, Maracalagonis, Monserrato, Quartu, Quartucciu, Sinnai e Villasimius):
- pochi, pochissimi i votanti (15,54%) e questo è male, molto male;
- ha vinto Andrea Frailis, per il centro-sinistra, e questo è bene, benissimo perché contro la destra, la pessima destra a trazione Lega.
Congratulazioni e buon lavoro al nuovo deputato Andrea Frailis!

Oggi lunedì 21 gennaio 2019

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lampadadialadmicromicro132Elezioni suppletive. Andrea Frailis ha vinto: Auguri e buon lavoro!
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democraziaoggiAlle elezioni “domestiche” vince il candidato più noto. Andrea Frailis è il nuovo deputato di Cagliari. Astensione record.
21 Gennaio 2019
Red su Democraziaoggi.
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Chiara Saraceno: «Non chiamiamolo più reddito di cittadinanza» Intervista. La sociologa, autrice de “Il lavoro non basta. La povertà in Europa negli anni della crisi”: «Contro i poveri è usato un linguaggio indecente. Non sono fannulloni che stanno sul divano da pungolare. Sono persone che hanno diritti fondamentali. Oggi sono necessari un reddito di base, salari dignitosi, una riforma dei trasferimenti per i costi dei figli e quella delle detrazioni fiscali»

7f667dec-59bd-44c1-9e54-90f4a4b7ec5f Chiara Saraceno

Roberto Ciccarelli su il manifesto, EDIZIONE DEL 19.01.2019,
PUBBLICATO 18.1.2019, AGGIORNATO 19.1.2019, 9:02
[segue]

Che succede?

c3dem_banner_04IL MANIFESTO EUROPEISTA DI CALENDA E OLTRE
20 Gennaio 2019 by Forcesi | su C3dem
Il testo del manifesto di Carlo Calenda per una lista unica delle forze europeiste alle elezioni europee. La sua intervista a Repubblica (“Il mio manifesto per una lista europeista stavolta ha unito tutto il Pd”). Carlo Bertini, “Manifesto europeista: boom di adesioni” (La Stampa). Stefano Folli, “Renzi il freddo nella partita dell’Euiropa” (Repubblica). Goffredo De Marchis, “I renziani bocciano Calenda. Niente lista unica con Leu” Repubblica). Andrea Orlando, “Noi europei progressisti, un fronte indistinto è un errore” (Manifesto). David Allegranti, “Il listone di Calenda e l’Ulivo senza olive” (Foglio). Nicola Zingaretti, “Per far ripartire l’Italia primo obiettivo è il lavoro” (Corriere della sera). Maurizio Martina, “Io, leader a tempo pieno, posso unire il partito col riformismo radicale” (Repubblica). Dario Franceschini, “E’ giusto unire le forze , ma il logo resterà. Vorrei in squadra anche Bonino e Pisapia” (Corriere della sera). Da Michele Salvati alcune note sulla sulla sinistra liberale: “Libertàeguale, quali compiti per il futuro”.

Storie di immigrazione (sarda)

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Libro: LA PRIMA VOLTA CHE HO VISTO IL MARE (Gianni Loy, 2018)
18 gennaio 2019 Antonello Zanda Recensione su TeOrema
Sintetico ed essenziale, il libretto La prima volta che ho visto il mare. Storie di immigrazione in forma teatrale partendo da Seui di Gianni Loy, pubblicato da Domus De Janas, vede la luce dopo le rappresentazioni che nel 2018[1] hanno fatto conoscere al pubblico la pièce teatrale dello scrittore e sceneggiatore cagliaritano. Emigrare, spostarsi in cerca di una vita migliore, attraversare il mare. Questo il tema, declinabile dal lettore, volente o no, sul dibattito politico attuale. (segue)

Cattolici e Politica

A 100 anni dall’Appello ai “liberi e forti” di don Sturzo riprende il dibattito sui cattolici in politica.
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Il punto di vista di Noi Siamo Chiesa

Cattolici e politica a 100 anni dall’Appello “agli uomini liberi e forti”: ripensare criticamente la nostra storia per andare avanti. No al partito cattolico.

Una nuova positiva ricerca in una situazione più difficile

Facilitato dal centesimo anniversario [18 gennaio] dell’Appello agli “uomini liberi e forti” con il quale don Luigi Sturzo ed altri davano vita al Partito Popolare un vivace dibattito si è aperto negli ultimi tre mesi sulla presenza dei cattolici in politica. Vi partecipano in tanti, dal Presidente della CEI Bassetti a esponenti dell’associazionismo, all’Avvenire con un dibattito che vi si sta svolgendo. Ci sembra un fatto positivo questo tentativo di una nuova riflessione. Tanti sono i motivi che lo determinano. Anzitutto il permanente forte disagio sociale indotto dalla crisi che interpella tutti, la coesione sociale che sembra peggiorare con l’emergere diffuso di individualismi e di localismi, le paure enfatizzate, i muri che sembrano prevalere sui ponti tra i singoli e le organizzazioni, una diffusa lontananza dalla politica o addirittura l’antipolitica, insomma uno sfilacciamento del tessuto comune della nazione. Come non interrogarsi magari con troppo ritardo?

Inoltre accresce le preoccupazioni l’esito politico del voto del quattro marzo che ha portato a un governo abbastanza imprevisto con inedite alleanze che consentono interventi di discriminazione contrarie ai principi costituzionali e con un Parlamento in cui i punti di riferimento considerati “cattolici”, ufficialmente sponsorizzati, sono ben minori di quanto non lo fossero nella legislatura precedente. Inoltre ha creato problema l’uso del rosario, del crocifisso, del presepe e di riferimenti al Vangelo nella propaganda politica insieme a interventi sui migranti contrari a qualsiasi senso di umanità.

Come essere cristiani oggi in politica?

Come allora fare politica? Come esservi da cristiani oggi? Una domanda di sempre che ha ora una nuova urgenza dopo tante contraddizioni del passato. La coscienza cristiana viene interpellata all’interno stesso del corpo ecclesiale quando si constata quanto vi è presente il consenso alla politica leghista o ad opzioni concrete di tipo “materialista”. Dopo il partito “cattolico” c’è stato un sostanziale accordo delle autorità ecclesiastiche con le forze dominanti. All’intervento indiretto mediante l’unità politica dei cattolici è subentrato una presenza diretta in politica usando il paravento del cosi detto “progetto culturale” .

Il vecchio corso Ruini-Bagnasco è però finito lasciando alle spalle un modo di rapportarsi con la politica fatto di discutibili accordi e di antagonismi con la cultura definita “laicista” mentre la vecchia e valida “scelta religiosa” del postconcilio veniva sostanzialmente accantonata. Ora la nuova ricerca su come esserci in politica deve fare i conti con una situazione di smarrimento, ed anche di vera e propria confusione. Però la consideriamo complessivamente positiva perché la sua alternativa, costituita dalla possibile chiusura nelle sacrestie e nell’amministrazione dei sacramenti, è quanto di più lontano ci possa essere dalla “Chiesa in uscita” di papa Francesco. Il papa ha detto nel suo poco ascoltato discorso alla Chiesa italiana nel Convegno di Firenze del 2015: “mi piace una Chiesa italiana inquieta sempre più vicina ai dimenticati, agli abbandonati, agli imperfetti” e “non bisogna credere troppo nelle strutture, nelle proprie certezze, bisogna avere capacità di incontro e di dialogo”.

Riforma della Chiesa per una buona presenza in politica

Ciò premesso, la riforma della Chiesa che auspichiamo da sempre, nella linea della Gaudium et Spes e dello spirito del Concilio, è intrecciata a fondo col problema della politica. Quando nel recente passato, per decenni, il riferimento leale al Concilio fu nei fatti abbandonato dai vertici della Chiesa fu diversa e più difficile la presenza dei cristiani nella politica italiana. Dovettero spesso remare controcorrente i cattolici democratici al cui interno si è sempre collocata la riflessione del movimento “Noi Siamo Chiesa”. Quanto possiamo dire ora come contributo al dibattito riteniamo non possa prescindere dal ripercorrere il nostro passato, quello remoto e quello recente. Il dimenticarselo –lo si fa troppo spesso- sarebbe fatto grave. La storia della Chiesa e del mondo cattolico ha radici che condizionano l’oggi e che -conosciute al meglio- possono permetterci di guardare meglio all’avvenire. Questa riflessione ci è facilitata e quasi imposta da questa scadenza del 18 gennaio dell’Appello ai “liberi e ai forti” di cui possiamo ora vedere tutta la modernità e il coraggio nelle circostanze storiche in cui avvenne. Se letto con attenzione, può dare anche per l’oggi indicazioni importanti. Rimandiamo in proposito all’interessante editoriale di “Aggiornamenti sociali” di questo mese. Il ripensare ad esso in modo non rituale, richiede uno sguardo sincero e a tutto campo sul passato.

Rivisitare a fondo la storia

La rivisitazione non può non essere di lungo periodo. Ci fu la tenace resistenza del papato a cedere il potere temporale contro l’opinione della corrente liberale, quella di Rosmini e di Manzoni. Poi, dopo il venti settembre, il papato si attardò per troppo tempo nel “non expedit” facilitando molto la deriva del nuovo Stato italiano verso una gestione “laicista”, oligarchica e militare che, pur tra qualche modernizzazione del paese, colpì il popolo con una repressione feroce nel 1898, portò alla spedizione in Libia nel 1911 e al vero e proprio colpo di stato del 24 maggio del 1915. Poi la felice esperienza dei popolari non fu sostenuta e don Sturzo fu costretto all’esilio. Quanto era nelle cose da tempo, cioè la soluzione della “questione romana”, avvenne nel peggiore dei modi, mediante l’accordo col fascismo, che fu molto rafforzato dalla firma dei Patti Lateranensi. I popolari degli anni’20 e molti altri ritornarono protagonisti quando la Resistenza, a cui molti cattolici avevano molto meritoriamente partecipato, diede ai cattolici il compito di contribuire ad organizzare la Repubblica. La storia del partito dei cattolici ha visto da una parte la tenace fede nel difficile percorso della democrazia in Italia in un quadro internazionale deciso dai grandi equilibri della guerra fredda, dall’altra la pressione costante del clericalismo incombente soprattutto negli anni cinquanta. Il Concilio accettò il ruolo della democrazia e dei valori laici e il superamento di una visione ecclesiocentrica e nazionale della presenza in politica ma la successiva involuzione del post concilio ha avuto conseguenze nella situazione italiana.

Mancanza di laicità

Nella progressivo e lento esaurimento del partito unico dei cattolici e poi nella seconda repubblica è stata la mancanza di vera laicità che ha, a nostro giudizio, creato problemi per un rapporto leale e propositivo con problemi e situazioni emergenti nella società italiana. Facciamo un elenco: lo scontro nei confronti delle leggi sul divorzio e sull’interruzione volontaria di gravidanza (con i referendum del 1974 e del 1981), la pretesa di inserire le “radici cristiane“ nella Costituzione europea , l’ostilità ad una necessaria ed urgente legge sulla libertà religiosa, la legge n.40 e poi quelle sulle unioni civili e sul testamento biologico. Una serie di campagne, spesso intemperanti, hanno costretto i cattolici democratici ad una impegnativa azione di contraddizione con la gerarchia senza che fosse loro concesso un contradditorio serio ed una comunicazione adeguata delle loro riflessioni di segno contrario che credevano evangelicamente ispirate.

L’occasione persa con il nuovo Concordato

La grande occasione persa fu persa al momento della firma del nuovo Concordato nel 1984 con la successiva istituzione del sistema dell’ottopermille e la disciplina dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Questa modernizzazione dei rapporti Stato-Chiesa, che ha modificato solo aspetti secondari rispetto a quelli precedenti, ha consolidato il regime esistente in contraddizione esplicita col ben noto cap. 76 della Gaudium et Spes che parla della rinuncia dei privilegi da parte della comunità ecclesiale per dare sincerità alla propria testimonianza di fede. Omogenea a questa linea è stata, da parte dei vertici ecclesiastici sempre ispirati dal Card. Ruini con alle spalle papa Wojtyla, da una parte la diffidenza nei confronti delle vaste alleanze democratiche che hanno avuto i cristiani come protagonisti (anche quando esse sono riuscite ad andare al governo della nazione), dall’altra la simpatia per gli “atei devoti”, la nessuna contraddizione nei confronti dei cosidetti “movimenti” sempre mobilitati a senso unico ed infine la convergenza, neanche troppo dissimulata col centrodestra.

Una purificazione necessaria

Ai tempi di Francesco noi pensiamo che non si possa andare avanti senza “purificare” in partenza la buona volontà di fare buona politica. Bisogna guardare al passato. Altrimenti tutto viene dimenticato o giustificato, gli errori vengono coperti dal richiamo alla natura della Chiesa, sempre maestra e guida a cui si deve sempre obbedienza e rispetto, tollerando in nome della sua pretesa “sacralità” ogni cosa. Noi proponiamo che in questa nuova discussione sui cattolici in politica si discuta della nostra storia, si inizi almeno a discutere, non si faccia finta di niente, non si faccia finta di essere all’anno zero, non si considerino fastidiosi quelli che fanno domande su come gli orientamenti del passato si affermarono. E’ necessaria una vera e propria “purificazione” con tutti i conseguenti elementi di autocritica o di confessione del peccato o, come minimo, di tanto clericalismo. Ciò premesso ci permettiamo, in questo momento di disorientamento e di ricerca, di fare qualche proposta e qualche puntualizzazione.

O col Vangelo o con Salvini

La prima questione urgente, dell’oggi, riguarda l’opportunità, anzi la necessità, che si mettano subito in discussione senza “se” e senza “ma” le simpatie diffuse tra i cattolici della domenica nei confronti della politica contro i migranti che è ormai diventata legge e che sta per essere messa in pratica. L’alternativa “o si sta con Salvini o si sta col Vangelo” deve diventare senso comune nella comunicazione ecclesiale. E’ il senso comune leghista che deve essere contrastato non solo a parole con interventi per l’accoglienza che ora esistono solo a macchia di leopardo nelle nostre comunità ecclesiali. Quei vescovi e quei parroci che tacciono sappiano che invece devono parlare. La laicità che vogliamo non è quella di fare finta di niente in ragione del rispetto dell’autonomia delle istituzioni. Al contrario ci sembra che si debba considerare concretamente la possibilità di predicare e di praticare anche la “disobbedienza costituzionale” e l’obiezione di coscienza di fronte alla attuale politica sui migranti.

La ricchezza dell’attuale presenza sociale

La seconda questione, positiva, è che, in questo momento difficile per la nostra società, minoranze attive sono protagoniste dei principali interventi di contrasto alle sofferenze e di attivazione su aspetti malati del nostro vivere civile. Queste realtà sono prevalentemente, espressione di cattolici militanti. Ci riferiamo agli interventi a favore dei profughi, nei confronti delle varie dipendenze (droga, alcool, gioco d’azzardo, usura ecc..), nei confronti delle povertà vecchie e nuove, dei disabili, contro i poteri criminali, nelle organizzazioni a tutela dei diritti umani e per interventi nel terzo mondo, nel movimento per la pace e il disarmo e nella proposta della nonviolenza. Per fare alcuni nomi: Libera, S.Egidio, le Caritas, CNCA, Pax Christi.

Estendere e rafforzare gli interventi

Questi interventi, sempre molto insufficienti a coprire le necessità e a sopperire alle carenze dell’intervento pubblico, sono una ricchezza. Essi dovrebbero essere presenti in modo diffuso e generalizzato in tutte le strutture ecclesiali. Altri settori dovrebbero aggiungersi o maggiormente svilupparsi. Quello principale deve riguardare le questioni del lavoro e dell’occupazione che segnano la vita, più faticosa e difficile di prima, di una maggioranza nel nostro paese, poi quello della tutela della natura sulla scia della Laudato Si che è attualmente insufficiente, quello di promozione della condizione femminile e di contrasto alla violenza di genere, quello della condizione economica e sociale della famiglia che è anche causa della crisi della natalità e nei cui confronti l’intervento pubblico è più che debole, nonostante che le istituzioni siano state gestite nel nostro paese per decenni da cattolici dichiarati. L’educazione ai valori costituzionali dovrebbe essere pretesa per ogni ordine di scuola. La formazione all’impegno sociale e politico, nelle parrocchie e nelle associazioni, deve essere rilanciata dopo essere stata trascurata per anni. Essa può avere come primo sbocco l’impegno nella democrazia delle amministrazioni locali, terreno privilegiato da sempre dell’impegno politico di base che viene da lontano e che è stato ispirato proprio dall’insegnamento di don Sturzo. La laicità deve essere considerata e praticata come “valore” di ispirazione evangelica, lontana dalla così detta laicità “positiva” (cioè clericale) ma anche dalla cultura radicale esterna al riconoscimento della rilevanza sociale delle religioni.

No al partito cattolico

L’idea di un nuovo partito cattolico o qualcosa che gli somigli è da abbandonare così come le candidature “cattoliche” sponsorizzate dalle gerarchie o dai movimenti. L’esperienza del passato, quella della prima repubblica, non è ripetibile, la coesione politica non ci sarebbe, ci sarebbe al massimo la buona volontà di fare qualcosa. I recenti tentativi, più o meno mascherati, (quelli degli incontri dell’associazionismo a Todi nel 2011 e nel 2012) non sono neppure decollati, la simpatia per Monti e la sua lista non ha dato risultati, la presenza di tipo identitario di Comunione e Liberazione è finita senza avere dato buona prova, il consenso elettorale da tempo non è più precostituito e guarda ai fatti e alle persone, oltre che ad essere condizionato da stati emotivi. Il consenso per un nuovo partito sarebbe del tutto a rischio, non c’è il cemento ideale necessario che c’era (l’anticomunismo) e quello, eventuale, di oggi sarebbe molto debole. Si porrebbero soprattutto e giustamente problemi di laicità. Ci pare che quanto già si fa e il tanto che ancora non si fa per quanto riguarda la presenza sociale dei cattolici e, indirettamente, della Chiesa possa essere il minimo comune denominatore possibile in questa fase. Come punti di riferimento per scacciare i fantasmi e per riproporre mattoni su cui costruire ci sembrano utili sette riflessioni di Antonio Spadaro sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica (esse si riferiscono a: paura, ordine, migrazioni, popolo, democrazia, partecipazione, lavoro) ed anche alcuni punti del discorso di Mattarella di fine anno sulla coesione sociale. Dobbiamo anche constatare che un aiuto in questa direzione lo può dare il nuovo corso dell’ ”Avvenire” che, dopo anni di troppo rigida ortodossia politica ed ecclesiastica, tratta ora tematiche con maggiore libertà ed attenzione alle situazioni concrete.

Una presenza che non ignora la geopolitica

L’ipotesi a cui pensiamo è quello di una generalizzata e forte attivazione del tessuto cattolico sulle tematiche sociali, in controtendenza con le mobilitazioni di massa, con le parole d’ordine, coi richiami identitari, e che parta dalla riflessione critica sulla storia della Chiesa e dei cattolici in politica. Essa può essere ritenuta insufficiente ma non ne vediamo altre, almeno in questa fase storica. Può essere una forte risorsa per la nostra repubblica perché ancorata nei principi e nei valori della Costituzione, testo che rimane sempre l’espressione dell’anima migliore del cattolicesimo nel suo confronto coi problemi della convivenza civile. Tuttavia questa linea non potrebbe esprimere tutte le sue potenzialità senza un attenzione militante alla situazione internazionale e ai nuovi equilibri fortemente conflittuali che si stanno determinando nella geopolitica complessiva. L’intensificazione dei conflitti, le disuguaglianze generate dalla globalizzazione a livello planetario insieme ai muri che si stanno costruendo in tante parti mentre il denaro circola del tutto liberamente e domina il mondo, il riarmo nucleare in corso (che tutti i governi italiani di prima e di ora accettano) sono tematiche centrali per l’universalismo cristiano a cui qualsiasi anche minima azione di intervento deve riferirsi. Questa sì è la costante che deve caratterizzare la presenza dei cristiani in politica.

Soggetti nuovi per un nuovo mondo possibile

Infine ci piace riprendere dal sito di Chiesadituttichiesadeipoveri una riflessione che delinea con parole intense la prospettiva generale che deve essere davanti ai cristiani e che condividiamo. “Se i problemi di oggi, come instancabilmente avverte papa Francesco, sono i popoli frantumati, la guerra mondiale nascosta, artificialmente tenuta in piedi dalla produzione e dal commercio delle armi, se i problemi sono la società dell’esclusione, l’economia che uccide, la globalizzazione dell’indifferenza, l’ideologia dello scarto di esuberi, disoccupati, anziani, profughi, migranti, la persistente disparità tra uomo e donna e quella tra cittadino e straniero, allora ci vuole ben altro che un partito cattolico. Ci vogliono soggetti politici nuovi, non identitari, non separati, non confessionali, internazionalisti e a vocazione universale, però credenti che un mondo è possibile. Non solo che un altro mondo è possibile, ma che questo mondo è possibile, lo si può raddrizzare” (News letter del 19 dicembre).

La Chiesa povera e dei poveri

La Conferenza Episcopale, che ha invitato i laici a darsi da fare, non sia più protagonista sullo scenario politico, si limiti a parlare, quando sia veramente necessario, col Vangelo nella mano destra e il giornale nella mano sinistra (per esempio sulla questione dei profughi), abbandoni qualsiasi velleità di continuare con le vecchie campagne che pretendevano di imporre un pensiero unico ai cattolici, inizi a non ostacolare più come in passato ma a favorire una legge sulla libertà religiosa che riconosca i legittimi diritti alle nuove religioni e sappia riflettere concretamente su cosa vogliono dire le parole di papa Francesco sulla chiesa povera e distante, per vocazione e testimonianza, dal Potere. La “Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri”, della allocuzione di papa Giovanni dell’11 settembre 1962 che proponeva la linea ispiratrice del Concilio deve essere il nostro costante punto di riferimento.

Roma, 17 gennaio 2019 NOI SIAMO CHIESA
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Che succede?

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20 Gennaio 2019 by Forcesi | su C3dem
Raffaele Nogaro, “Chiesa reagisci!” (Adista Segni Nuovi). Tre interventi sul Corriere di Bologna: Giovanni Nicolini, “E’ il momento di unire i cattolici in un partito contro la paura”. Francesco Rosano, “I cattolici ripartono dalle scuole diocesane”; Olivio Romanini, “La sfida dei cattolici e la vera posta in gioco”. Su Libero un articolo di Luca Volontè, “Rifondare la Margherita non è una buona idea”. Angelo Panebianco, “I cattolici e la classe dirigente” (Corriere della sera). Sull’appello di Sturzo ai liberi e forti l’Avvenire pubblica tre interventi: Luca Diotallevi, Ernesto Preziosi e Leonardo Bianchi (“L’appello a ricucire con valori forti”). Emanuele Macaluso, “I liberi e i forti 100 anni dopo” (Il dubbio). Mario Ajello, “Assalto a Sturzo, ultima trincea di Chiesa e politica” (Messaggero). Noi Siamo Chiesa, “A 100 anni dall’Appello. No al partito cattolico”. Flavio Felice, “La lezione di Sturzo” (Il Giornale).

Matera

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Matera capitale della cultura

Ciò di cui ha bisogno [il nostro continente] non è solo un luogo incantevole (dai Castelli della Loira ai mulini a vento dell’Andalusia, l’Europa ne è piena) ma un laboratorio di idee, un luogo di formazione, un centro di elaborazione culturale che lo aiuti a tirarsi fuori dal gran casino in cui è stato capace un’altra volta di ficcarsi.
L’Europa trabocca di istituti di credito, ristoranti biologici e vecchi monumenti trasformati in resort. È invece povera di centri di formazione per la cittadinanza, di scuole innovative, di istituti culturali d’eccellenza che siano liberi, multidisciplinari (dalla crisi attuale si esce solo con un approccio capace di intrecciare un vero dialogo tra scienziati, umanisti, artisti, economisti, politologi), e abbastanza ricchi di risorse da diventare influenti. Se Matera, naturalmente a modo proprio, sarà in grado di preparare e raccogliere una sfida di questa portata diventerà uno dei centri di gravità del continente, non solo per il 2019.

Nicola Lagioia, la Repubblica, 16 gennaio 2019, p.27, ripreso da eddyburg.
Matera, uno, dieci, cento anni da Capitale
Su C3dem

Oggi domenica 20 gennaio 2019

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——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Baricco élites, ribellismo, lotta per la redistribuzione
20 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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