POLITICA
Oggi giovedì 7 dicembre 2023
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Aveva ragione Lussu: i mali dei sardi son colpa dei sardi stessi
7 Dicembre 2023
A.P. Su Democraziaoggi
Aveva ragione Emilio Lussu a dire che i responsabili dei mali dei sardi sono i sardi stessi, e tanto era convinto di questo che si è fatto seppellire a Roma. Ma perché dico questo? Semplice, oggi in cui c’è a Roma e a Cagliari un governo di destra con nostalgie fascistoidi, qui si fa di […]
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Guerra in Israele e Palestina. Un’inutile strage
Un futuro meno tetro è possibile?
News>VP Vita e Pensiero, Plus+01.01.1970: https://rivista.vitaepensiero.it//news-vp-plus-un-futuro-meno-tetro-e-possibile-6357.html
di Riccardo Redaelli
I corpi dei bambini uccisi non hanno bandiera. Sono una sconfitta per tutti, quale sia la loro nazionalità o appartenenza religiosa. E sarebbe osceno fare differenze. Ma le migliaia di piccoli uccisi – molti nel brutale, inumano attacco voluto da Hamas il 7 ottobre scorso, moltissimi nella terribile risposta di Israele, qualcuno infine, come il piccolo Kfir, l’ostaggio più piccolo rapito dai terroristi palestinesi, ucciso sembra dalle bombe del suo stesso Paese – testimoniano come le leadership di entrambi gli schieramenti abbiano sempre scelto la violenza e la prova di forza rispetto alla via delle trattative e del tentare una convivenza fra i due popoli. […]
Cop28 Dubai. Inizia oggi e termina il 12 dicembre 2023
Verso le elezioni sarde
Regionali. Zedda & C. stop ai giochini. Devono decidere da che parte stare
29 Novembre 2023 – A.P. Su Democraziaoggi
Poche chiacchiere! Per battere la destra ci vuole unità. Divisi si perde. Di fronte a questa elementare verità, Zedda & C. hanno assunto una postura strana e anche scomoda in questa tormentata fase iniziale verso le elezioni regionali. Strana perché sono stati partecipi del tavolo del centrosinistra, ma poi se ne sono staccati per seguire […]
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Oggi lunedì 27 novembre 2023
In Sardegna ci vuole una svolta anche nel centrosinistra. Le anticaglie rancorose alla Soru vanno archiviate
27 Novembre 2023 – A.P. Su Democraziaoggi
Il PD, anche per bocca della sua segretaria nazionale, ha rilanciato a Cagliari con garbo e convinzione un messaggio a Soru & C. Si può discutere sul programma, integrarlo, migliorarlo. Non ci sono pregiudiziali, tutto si può aggiustare, niente è indiscutibile, salva la scelta della candidata alla presidenza, Alessandra Todde. Sembra una posizione ragionevole, […]
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Dobbiamo essere per la pace
Amos Oz: “A voi europei tocca riservare ogni oncia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d’ora. Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace”.
Contro il fanatismo
di Roberto Paracchini
C’era una volta un bambino che amava molto osservare le persone. E poi c’era un gelato, che a quel bambino piaceva molto. E c’era anche una promessa: “Se fai il buono ti compriamo il gelato”. E c’era pure un locale, un Caffè, dove quel bambino veniva portato dai genitori che “dovevano discutere con i loro amici”, come gli raccontavano. E a quel bambino non piaceva molto starsene lì con tutti quei grandi sette giorni su sette. “Allora dovevo pur fare qualcosa di me stesso, per non urlare o dar fuori di matto”. Sì, certo c’era la promessa del gelato, ma non bastava. “Così me ne stavo lì seduto, come un piccolo detective, a osservare il via vai del locale – gente che entrava, gente che usciva… e come uno Sherlock Holmes, ne studiavo gli abiti, le facce, i gesti, le scarpe, rimiravo le borsette e ingannavo l’attesa inventando piccole storie su questa gente, fantasticando sulla loro provenienza o sui rapporti tra quelle due donne e quell’uomo seduti al tavolino d’angolo…”.
Passano gli anni. Forse 50 o 60. E quel bambino, nato a Gerusalemme nel 1939, si chiama oggi Amos Oz: a 15 anni decise di cambiare il cognome originario Klausner in Oz, che in ebraico significa “forza”, poi entrò nel kibbutz Hulda dove scelse di andare in rotta coi genitori, fortemente di destra, e dove visse per i successivi 30 anni. Quel bambino, poi ragazzo, poi giovane adulto, con gli anni divenne l’Amos Oz scrittore che in molti conoscono e amano anche per la capacità di entrare nell’animo dei suoi personaggi facendoceli intimamente vivere: uno degli autori più importanti della letteratura contemporanea, morto nel 2018.
Passati tutti quegli anni e arrivati ai primi del XXI secolo, Oz confessò in alcune conferenze tenute a Tubinga (recentemente ripubblicate in Italia da Feltrinelli col titolo Contro il fanatismo) che continuava a comportarsi “così” come allora: “Quando mi capitano i cosiddetti ‘tempi morti’, in aeroporto o quando mi trovo in sala d’attesa dal dentista, o in coda da qualche parte… Ancora fantastico. E credetemi, è un passatempo utile, non solo per uno scrittore: per chiunque di noi. Accadono davvero tante cose, in ogni angolo di strada, in ogni coda in attesa dell’autobus, in qualunque sala d’aspetto di un ambulatorio, o in un Caffè… Tanta di quella umanità attraversa ogni giorno il nostro campo visivo, mentre per gran parte del tempo noi restiamo indifferenti, non ce ne accorgiamo neppure, vediamo ombre invece di persone in carne e ossa. Perciò, con l’abitudine di osservare gli estranei, e con un pizzico di fortuna, finirete presumibilmente per scrivere dei racconti congetturando intorno a quello che la gente si fa a vicenda, a come ci si appartiene a vicenda”.
Ed è proprio su questa importante constatazione, su “come ci si appartiene a vicenda”, che Oz costruisce la sua visione della letteratura, certamente, ma anche il suo modo di vivere la vita e, si potrebbe dire, il suo insegnamento. “Ogni mattina – racconta nel libro citato – faccio una piccola passeggiata nel deserto, prendo una tazza di caffè, mi siedo alla scrivania e comincio a domandarmi: ‘Come mi sentierei se fossi lei? Come dev’essere stare dentro la sua pelle?’ – questo è ciò che devi fare se vuoi scrivere anche il più semplice dei dialoghi: devi spartire non soltanto la tua fedeltà, ma persino i tuoi sentimenti tra diversi personaggi”. E non solo, “parafrasando D. H. Lawrence (…) per scrivere un romanzo bisogna essere capaci di assumersi una mezza dozzina di conflitti e sentimenti contraddittori e opinioni, con lo stesso grado di convinzione, veemenza ed empatia”.
Considerazioni, queste ultime, che gli attori teatrali ben conoscono, ma che in Amos Oz diventano non solo il propulsore della sua grande letteratura, ma anche il terreno per entrare nel dramma e nella tragedia dei luoghi in cui è vissuto. “Allora, forse – afferma – sono equipaggiato un po’ meglio degli altri per capire, con il mio punto di vista ebraico-israeliano, come ci si sente a essere un palestinese sradicato, come ci si sente ad essere un arabo palestinese cui degli ‘alieni di un altro pianeta’ hanno portato via la terra natale. E come ci si sente a essere coloni israeliani in Cisgiordania? Sì, talvolta mi infilo nei panni di quella gente oltranzista, o quanto meno ci provo”.
Nel 1967, Oz assieme a pochissime altre persone, “molto prima che fosse fondato il movimento Pace Adesso, qualche settimana dopo la spettacolare vittoria militare d’Israele nella guerra dei Sei Giorni, iniziò “a propugnare una soluzione binazionale, una Palestina accanto a Israele, cosa che in quei giorni di euforia nazionale in Israele veniva guardata non solo come un tradimento, ma anche come una manifestazione di totale idiozia”. Invece, per l’autore de “Lo stesso mare” e di tanti altri favolosi romanzi, “solo colui che ama può diventare un traditore. Il tradimento non è il contrario dell’amore, è una delle sue tante opzioni. Traditore è colui che cambia agli occhi di coloro che non possono cambiare e non cambierebbero mai e odiano cambiare e non lo concepiscono, a parte il fatto che vogliono continuamente cambiare te: così la penso io”.
“In altre parole – spiega Oz – agli occhi del fanatico il traditore è chiunque cambi. Triste alternativa quella fra il diventare un fanatico o un traditore. In un certo senso non essere fanatici significa essere un traditore agli occhi dei fanatici”. E così, “traditore lo sei comunque. Qualunque cosa tu faccia, tradisci o la tua arte o il tuo senso di dovere civile”. Ma per Oz la soluzione esiste ed è il compromesso. Per molti il compromesso “puzza, è disonesto. Non nel mio vocabolario. Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte”. Per lo scrittore il fanatismo “dilaga ovunque. Non mi riferisco alle ovvie manifestazioni di fondamentalismo e oltranzismo… No, perché il fanatismo è praticamente dappertutto, e nelle sue forme più silenziose e civili è presente tutto intorno a noi, e fors’anche dentro di noi”. Poi Oz fa una serie di esempi tra cui quello, portato al paradosso, di certi pacifisti: “Conosco quei pacifisti, alcuni miei colleghi del movimento per la pace in Israele, capaci di spararmi in testa solo perché ho auspicato una strategia lievemente diversa per il processo di pace con i palestinesi”. Sia chiaro, spiega, “non voglio certo intendere che ogni opinione convinta sia una forma di fanatismo. Certo che no. Però penso che il seme del fanatismo si annidi immancabilmente nella rettitudine inflessibile, piaga di molti secoli”. E nemica inflessibile del compromesso.
Nei romanzi di Oz nessuno è un’isola, chiuso e impermiabile al mondo, ma tutti sono una penisola, legati alla terra del proprio modo di essere e all’oceano, gli spazi del cambiamento. “Se nei miei romanzi c’è messaggio metapolitico, è sempre, in un modo o nell’altro, il messaggio di un compromesso, un compromesso doloroso, e della necessità di scegliere tra vita e morte, fra l’imperfezione della vita e la perfezione di una morte gloriosa”, che tutto sommerge, si potrebbe aggiungere, come un macigno di “rettitudine inflessibile”. E non è certo un caso, sottolinea lo scrittore, che i fanatici non abbiamo senso dell’umorismo. “In vita mia non ho ancora visto un fanatico dotato di senso dell’umorismo”. Questo anche perché “l’umorismo implica la capacità di ridere di sé stessi”. Umorismo come antidoto al fanatismo e al fondamentalismo, che nasce anche da una profonda conoscenza dell’ebraismo (tra le altre cose Oz ha insegnato letteratura ebraica nell’università Ben Gurion, nel Negev). “Nella vita quotidiana degli anni quaranta – ricorda – ognuno pensava di appartenere a Gerusalemme nel vero senso del termine, mentre gli altri erano considerati alla stregua di una presenza ammissibile, di sfondo”. E le “tensioni interconfessionali erano tali che ci si poteva o diventare matti oppure sviluppare un ottimo senso dell’umorismo. O ancora un senso di relatività. La convinzione insomma che ognuno ha la sua storia, ma non ce n’è una più valida o avvincente dell’altra”.
Pure qui ritorna lo spazio di un Caffè come luogo di dialogo e di produzione di storie, come quella che vede discutere animatamente alcune persone, tra cui se ne nota una più vecchia degli altri che se ne sta in silenzio, ma che si scopre essere Dio. L’avventore più vicino “ha una domanda da fargli, ovviamente molto pressante. Dice: ‘Caro Dio, per favore dimmi una volta per tutte, chi possiede la vera fede? I cattolici o i protestanti o forse gli ebrei o magari i mussulmani? Chi possiede la vera fede?’. Allora Dio, in questa storia risponde: ‘A dirti la verità, figlio mio, non sono religioso, non lo sono mai stato, la religione nemmeno m’interessa’”. Insomma, prosegue Oz, “c’è una vena di anarchia non soltanto in Israele, ma credo piuttosto nel retaggio culturale dell’ebraismo”.
Una percezione di relatività, che nasce anche dal senso dell’umorismo, è indispensabile allo scrittore per capire le ragioni degli altri. Quand’era piccolo, Oz ricorda che le prime parole in inglese da lui pronunciate “sono state British, go home!, che noi marmocchi gerosolimitani (nativi di Gerusalemme – ndr) gridavamo gettando sassi contro le pattuglie inglesi a Gerusalemme nella nostra ‘intifada’ del 1945, 1946 e 1947”. Poi la storia è diventata ancora più complessa: “Come non far maturare un senso di relatività, un senso della prospettiva e anche una triste ironia sul fatto che gli occupati possono diventare occupanti, gli oppressi oppressori, le vittime di ieri aggressori? Con quanta facilità i ruoli si ribaltano”. E la storia si incancrenisce.
“Fra noi e i palestinesi – scrive nell’ultimo suo piccolo e illuminante saggio Resta ancora tanto da dire – c’è da più di cent’anni una ferita aperta, anzi c’è una ferita infetta, piena di pus. Un ascesso, ormai”. Ma “non si cura una ferita con un bastone… Non è ammissibile continuare a infierire in questo modo su una ferita aperta, sperando che così si rimargini, che smetta di sanguinare”. Certo, “la sopraffazione non di rado va fermata con la forza… Ma nessuna ferita si cura con un bastone”. Da pacifista coerente, Oz spiega che “una ferita va curata” e che “prima di tutto bisogna trovare la lingua della cura. Che non è quella dell’oppressione, né quella della deterrenza, non è la lingua del ‘dare una lezione’”. Per lo scrittore è una lingua più semplice: “Soffri. Lo so. Soffro anch’io. Su, ricominciamo insieme”.
Nella guerra arabo-israeliana del 1948, il punto – sostiene – non è di chi sia la responsabilità del conflitto. “Il punto è la tragedia. Che siano da accusare le dirigenze arabe, o i sionisti, o entrambi, resta il fatto che nel 1948 centinaia di migliaia di palestinesi persero le loro case. So bene che nello stesso anno, durante la stessa guerra, quasi un milione di ebrei orientali dei paesi arabi persero anche loro le case e molti di loro vennero cacciati via e arrivarono in Israele”. E prima e in parte assieme a loro, molti ebrei abbracciarono l’idea sionista ma con un ventaglio vastissimo di posizioni e interpretazioni, tanto da far dire ad Oz, seppure “cum grano salis, (…) che Israele non è un paese e nemmeno una nazione. È una feroce, schiamazzante collezione di argomentazioni, un perpetuo seminario di strada”.
“Ma allora che cos’è il sionismo? – si domanda retoricamente lo scrittore in Resta ancora tanto da dire, consapevole che è questa la domanda che molti gli pongono – Non riesco a rispondervi se non con la consapevolezza che non abbiamo un altrove”. Come dire che il sionismo nasce tra gli ebrei perseguitati da secoli, poi sterminati dal nazismo e infine rifiutati da tutti gli altri paesi, come gli stessi genitori di Oz.
In questo contesto il conflitto Israelo-palestinese era e resta una tragedia. Dopo la guerra del 1948 “un buon numero” di ebrei orientali, “finì in quelle stesse case che erano appartenute agli arabi palestinesi”. In pratica, “dopo tre quattro, cinque anni trascorsi nei campi di transito, gli ebrei sopravvissuti che venivano dall’Iraq, dal Nord Africa e dall’Egitto, Siria e Yemen ebbero finalmente una casa e un lavoro, mentre i profughi palestinesi no. La questione rimane aperta, e con dolore”.
Ed è per questo che questa lunga storia non ha “buoni da una parte e cattivi dall’altra. Non è un film western, e nemmeno un western capovolto”. C’è invece, “una tragedia: il contrasto tra un diritto e l’altro”. Un diritto e l’altro, entrambi calpestati, infatti “una delle cose che rendono il conflitto israeliano-palestinese particolarmente grave, è il fatto che esso sia essenzialmente un conflitto tra due vittime. Due vittime dello stesso oppressore. E qui Oz on ha dubbi. “L’Europa che ha colonizzato il mondo arabo, l’ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura, che l’ha controllato e usato come base d’imperialismo, è la stessa Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti”.
La storia poi diventa particolarmente crudele, racconta Oz, perché queste due vittime di uno stesso oppressore non solidarizzano tra loro, ma si odiano. Da un lato “l’ebreo, in particolare l’ebreo israeliano, è dipinto come un’estensione dell’Europa: bianca, sofisticata, tirannica, colonizzatrice, crudele, senza cuore”. E non come “un gruppo sparuto di sopravvissuti e profughi mezzo isterici, braccati da terribili incubi, traumatizzati non solo dall’Europa, ma anche dal modo in cui siamo stati trattati nei paesi arabi e islamici”. Dall’altro lato, “parimenti noi, ebrei israeliani, non consideriamo gli arabi, nello specifico i palestinesi, per quello che sono, e cioè vittime di secoli di oppressione, sfruttamento, colonialismo e umiliazione. E invece li vediamo come dei cosacchi da pogrom, dei nazisti con i baffi, abbronzati e con indosso la kefijah”.
A fronte di tutto questo “vige su entrambi i fronti una profonda ignoranza: non di carattere politico, su scopi e obiettivi, ma relativa al vissuto di traumi che le due vittime hanno subito”. Da un lato il movimento nazionale palestinese, per molti anni, “ha mancato di riconoscere l’autenticità del legame ebraico con la terra di Israele. Perché non ha voluto riconoscere che il moderno Israele non è affatto un prodotto dell’impresa coloniale”. Dall’altro, parimenti “aggiungo subito che sono altrettanto critico verso le generazioni di sionisti israeliani che hanno mancato di riconoscere l’esistenza di un popolo palestinese, un popolo vero con veri, legittimi diritti. Così, entrambe le leadership, tanto passate quanto presenti, sono colpevoli di non aver compreso la tragedia, o se non altro di non averla spiegata ai propri popoli”.
Che fare, infine? Oz chiude Contro il fanatismo con una esortazione quanto mai attuale: “A voi europei tocca riservare ogni oncia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d’ora. Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace”.
Roberto Paracchini
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La Pace è solo un’utopia?
LA VIA STRETTA
di Anna Foa
Una strada di Betlemme
C’è ancora la possibilità di percorrere la via sempre più stretta che passa tra i sostenitori di Netanyahu e quelli di Hamas, di battersi ancora per la creazione accanto allo Stato di Israele di quello palestinese, per una civile convivenza tra israeliani e palestinesi, contro ogni razzismo e suprematismo, ma anche contro ogni terrorismo fondamentalista come quello di Hamas? Oppure il tempo è scaduto, scaduto nel bagno di sangue e di orrore del 7 ottobre, ma forse anche prima, nel lungo governo Netanyahu e poi nella sua alleanza con fascisti e razzisti, nel suo progetto di rosicchiare poco a poco i territori dell’Autorità palestinese e di sbarazzarsi, alla fine, degli stessi palestinesi in Israele, quelli che sono cittadini israeliani e che avrebbero dovuto esserlo, anche se così non è, a tutti gli effetti? Nel supporto senza limiti ai coloni e alle loro continue violenze senza che l’esercito o la polizia vi si opponessero? Nella pretesa, che rende i coloni ebrei tanto simili ai terroristi di Hamas, di agire in nome di Dio?
Oggi giovedì 9 novembre 2023
Regionali. Nel campo largo c’è chi non accetta le regole e indebolisce la battaglia contro la destra
9 Novembre 2023 – A.P. su Democraziaoggi.
La quasi totalità delle associazioni, movimenti, partiti del campo largo del centrosinistra hanno espresso gradimento per Alessandra Todde. Ma c’è subito chi si sfila, della serie o approvate la mia proposta o io vado via. Certo Liberu può fare ciò che vuole, ma questo non è l’atteggiamento giusto per stare in una coalizione ampia, dove è certa una pluralità di opinioni. […]
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The Economy of Francesco: Radici, sfide e prospettive
Giovedì 9 e venerdì 10 novembre si terranno due giornate di studio dal tema “The Economy of Francesco: Radici, sfide e prospettive”. L’evento, organizzato dal Progetto Policoro della Diocesi di Cagliari in collaborazione con la Facoltà di Scienze Giuridiche, Economiche e Politiche dell’Università di Cagliari, intende promuovere due momenti di riflessione con i giovani e gli studiosi del territorio rispetto ai temi dell’Economia civile e di come alcuni principi ispiratori dell’Economia di Francesco possano essere applicati concretamente nel quotidiano attraverso la guida di esperti del settore.
Convegno Adriano Olivetti e la Sardegna – Dibattito
Convegno su Adriano Olivetti. Dibattito
Rileggendo Adriano Olivetti: che non era utopico ma oggi, forse, lo è.
di Gianni Loy
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La coalizione di centro sinistra si schiera in maggioranza per Alessandra Todde. Una buona scelta che auspichiamo faccia trovare l’unità del tavolo anche da parte di chi portava altri candidati. Uniti si vince: questa è una certezza, non sprechiamo l’occasione, per la Sardegna, per i Sardi!
REGIONALI. CENTROSINISTRA SARDO VERSO L’INVESTITURA DI ALESSANDRA TODDE.
GIOVEDÌ NUOVO TAVOLO PER UFFICIALITÀ. MA “DUBBI” Di PROGRESSISTI, LIBERU E +EUROPA (DIRE) Cagliari, 6 novembre 2023.
Ancora manca l’ufficialità, ma l’investitura della pentastellata Alessandra Todde a candidata governatore del centrosinistra sardo è in dirittura d’arrivo: il via libera potrebbe arrivare questo giovedì, con la deputata pronta a confrontarsi con il tavolo del campo largo, già convocato. È ciò che emerge alla fine della riunione del campo largo oggi nella sede del Pd di Cagliari, incontro di tre ore che, viste le premesse, si è concluso in maniera positiva: oltre alla convergenza su Todde di 12 sigle su 15, nessuno dei partiti ha abbandonato il tavolo. Certo, i distinguo non mancano: Progressisti, Liberu e +Europa continuano a storcere il naso sul nome della deputata del M5s – e hanno necessità di un confronto interno alle proprie segreterie prima di arrivare a una decisione definitiva – ma la coalizione tiene e, come detto, la strada sembra già tracciata. “Il tavolo è unito, anche le forze politiche che negli ultimi giorni avevano palesato alcune difficoltà, erano presenti alla riunione- spiega il segretario regionale del Pd, Piero Comandini -. Il M5s ha fatto il nome di Alessandra Todde, che ha visto la condivisione della maggior parte delle forze politiche.
Costituente Terra – Chiesa di tutti Chiesa dei Poveri
Costituente Terra Newsletter n. 137 del 2 novembre 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.318 del 2 novembre 2023
QUANTI NAUFRAGI
Cari amici,
non c’è una gerarchia delle tragedie. Ma nemmeno per mettercene sul cuore una, possiamo dimenticare o tacere le altre. Perciò, mentre assistiamo attoniti alla strage di Gaza, e nel vederne svelate le finalità nel progetto dello Stato di Israele di “dislocare l’intera popolazione palestinese nel deserto del Sinai” (nonostante la memoria storica della deportazione degli ebrei a Babilonia) dedichiamo questa newsletter alle ultime notizie sui naufragi nel Mediterraneo che ci trasmette dalla ONG “Mediterranea” Mattia Ferrari: da un naufragio all’altro!
The day after. Riflessioni (e proposte) personali del “dopo Convegno”
di Franco Meloni
Il convegno su “Adriano Olivetti e la Sardegna. Attualità di una prospettiva umanistica” che si è concluso sabato 28 mattina ha sollecitato una grande quantità di approfondimenti su tematiche che si possono riproporre e su altre ulteriori, che richiedono una serie di nuove auspicabili iniziative.
Io provo ad avanzare qualche riflessione, si tratta per ora solo di suggestioni.
Innanzitutto una premessa che traggo dalla relazione del cardinale Arrigo Miglio: ci ha detto che Adriano Olivetti nella sua incessante e innovativa attività imprenditoriale, sociale e politica incontrò molti ostacoli e decisi oppositori, tra questi anche la Chiesa di Ivrea, che mal sopportava il suo intervento nel campo sociale (similmente i Sindacati, specie la Cisl, che lo vedevano invadere il proprio ambito, per non dire dei grandi partiti). Ma mons. Miglio, originario del Canavese e, in tempi più recenti del periodo di A. Olivetti, Vescovo di Ivrea, ha parlato soprattutto del rapporto con la Chiesa eporediese. Ebbene, nel tempo, i rapporti di ostilità si convertirono in collaborazione, sia con Adriano Olivetti in vita (che si convertì al cattolicesimo, non certo per convenienza, rimanendo profondamente laico), sia dopo la sua morte (1960), quando, sei anni dopo, divenne Vescovo di Ivrea mons. Luigi Bettazzi e, successivamente, mons. Arrigo Miglio. Una evoluzione analoga ha avuto in generale, in Italia, il mondo della Cultura laica, da una parte, e della Chiesa conciliare dall’altra, e non solo, dove da una contrapposizione tra laici e cattolici si è passati a un fecondo rapporto di dialogo. Ovviamente sono consapevole che il discorso è complesso e che sto ragionando per semplificazioni, che comunque mi consentono di affermare che il nostro convegno ne è una prova. Infatti, semplificando, in questo convegno si sono incontrati sostanzialmente due mondi, quello laico e quello cattolico. Gli intellettuali che hanno partecipato e animato il Convegno (relatori e no) appartengono a uno dei due mondi o a entrambi, ma, in questo ragionamento mi piace così schematizzare: Il mondo laico rappresentato dai diversi apporti dell’Università di Cagliari e di Sassari, il mondo cattolico rappresentato dagli esponenti della Facoltà teologica della Sardegna, presente sia nel comitato scientifico sia attraverso padre gesuita Giuseppe Riggio, che ha proposto – seppur costretto dalla tirannia del tempo – significative conclusioni. Lo ha fatto in una forma davvero intelligente, in quanto è riuscito a coinvolgere tutte le (poche) coraggiose persone che hanno resistito, sabato, fino alla fine del convegno, in tutto una ventina. Nel breve dibattito finale si sono registrati dieci interventi, che hanno proposto interessanti riflessioni. Io ne ho avanzate due: la prima riguarda la tematica del lavoro, molto spinosa, anzi drammatica, pensando soprattutto ai giovani e agli espulsi di ogni età dal mondo del lavoro. Il Mondo, e, in Italia, il Sud e la Sardegna in modo particolare, è afflitto dalla mancanza di lavoro, dal precariato, da compensi ai lavoratori non dignitosi, in presenza di vergognose discriminazioni e ingiustificate ineguaglianze. E, giustamente, al contrario, il Papa e la Chiesa sostengono il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (cfr Papa Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, 192), concetto riproposto come titolo della 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, tenutasi a Cagliari nei gg. 26-29 ottobre 2017, che non si discosta, anzi completa, uno dei motti programmatici, laici, del mondo del lavoro: “lavorare tutti, lavorare meno, lavorare meglio“. Adriano Olivetti praticava questi concetti, come abbiamo sentito in diverse relazioni del convegno, in modo anticipatorio rispetto alle normative attuali sul lavoro che attengono alla responsabilità sociale dell’impresa e al welfare aziendale.
Ne vogliamo riparlare e costruire qualche iniziativa?
La seconda suggestione riguarda il concetto di sussidiarietà, anche esso praticato – sebbene non chiamato nello stesso modo da Adriano Olivetti. Ricordo che il principio di sussidiarietà fu per primo introdotto dalla chiesa cattolica, precisamente nella Rerum Novarum di Leone XIII (1891). Il principio è stato “costituzionalizzato” dalla riforma costituzionale del 2001, articolo 118, laddove si parla sia di sussidiarietà verticale, che riguarda i vari livelli istituzionali: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e di sussidiarietà orizzontale che attiene alla partecipazione dei cittadini alla vita sociale per il raggiungimento degli interessi di carattere generale (*) Proprio basandoci su questo principio, su cui si fonda l’attività del Terzo Settore, possiamo pensare di riformare la politica, oggi tanto estranea al comune cittadino. Oggi la “Teoria di Comunità” elaborata e in certa parte sperimentata da Adriano Olivetti e dai suoi collaboratori, anche scontando dolorosi insuccessi, come il deludente risultato dell’avventura elettorale nelle Politiche del 1958, nella quale fu coinvolto il Psdaz. Proprio da quella sconfitta, superandone il trauma, poteva nascere un robusto movimento popolare sardo (ce n’è da dire e da fare!). Purtroppo la morte di Adriano Olivetti chiuse ogni possibilità per una prospettiva virtuosamente percorribile. Che il nostro Convegno ha l’ardire di rilanciare!
Ne vogliamo riparlare e costruire qualche iniziativa?
Lancio infine una proposta, che mi sembra abbiamo praticato in questa “due giorni convegnistica”, cioè una chiamata all’impegno di tutti noi (gli organizzatori), con il coinvolgimento di altri che vogliano aggiungersi, per l’istituzione anche nella nostra città di una “cattedra dei non credenti“ sul modello che tanto avuto successo e utilità, pensato e realizzato anni fa dal cardinale Carlo Maria Martini, nel suo mandato di arcivescovo di Milano. Evidentemente, mutando ciò che c’è da mutare, tenendo conto delle persone e delle risorse di cui disponiamo. L’iniziativa si iscriverebbe nei percorsi sinodali della Chiesa universale e di quella italiana e sarda.
Voglio concludere con una celebre frase, a me tanto cara, del credente cardinale Martini, in totale sintonia con il non credente filosofo Norberto Bobbio: «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza»
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(*) Cost., art.118 ult. comma (…) Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
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Articolo pubblicato in contemporanea su Aladinpensiero e su il manifesto sardo: media partner del Convegno.
Su il manifesto sardo:
https://www.manifestosardo.org/riflessioni-del-dopo-convegno-su-adriano-olivetti-e-la-sardegna/
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Oggi sabato 28 ottobre 2023
Con le loro autocandidature Soru e Zedda sfasciano la coalizione di centrosinistra
28 Ottobre 2023 A.P. su Democraziaoggi.
In una intervista di ieri al Corriere della sera Soru ripropone la sua candidatura alla guida della Sardegna. E, com’è nel suo stile, la avanza come pretesa, il cui mancato accoglimento ha una sola conseguenza: lui si candida lo stesso.
Naturalmente egli enuncia una giustificazione alla sua prepotenza: la scelta del candidato alla presidenza non può […]
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Guterres dice solo la verità
CONFLITTO ISRAELE – HAMAS
25 OTTOBRE 2023 su http://www.fanpage.it – https://www.fanpage.it/esteri/cosa-ha-detto-davvero-il-segretario-generale-dellonu-guterres-su-hamas-e-israele/
Cosa ha detto davvero il segretario generale dell’ONU Guterres su Hamas e Israele
Il discorso integrale pronunciato ieri dal Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres: “Ho condannato inequivocabilmente gli atti di terrore terrificanti e senza precedenti compiuti da Hamas in Israele il 7 ottobre”. Tuttavia “gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”.
A cura di Davide Falcioni