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Costituente Terra – Chiesa di tutti Chiesa dei Poveri

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 137 del 2 novembre 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n.318 del 2 novembre 2023
QUANTI NAUFRAGI
Cari amici,
non c’è una gerarchia delle tragedie. Ma nemmeno per mettercene sul cuore una, possiamo dimenticare o tacere le altre. Perciò, mentre assistiamo attoniti alla strage di Gaza, e nel vederne svelate le finalità nel progetto dello Stato di Israele di “dislocare l’intera popolazione palestinese nel deserto del Sinai” (nonostante la memoria storica della deportazione degli ebrei a Babilonia) dedichiamo questa newsletter alle ultime notizie sui naufragi nel Mediterraneo che ci trasmette dalla ONG “Mediterranea” Mattia Ferrari: da un naufragio all’altro!

L’intervista del TG1 a Papa Francesco

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L’intervista è disponibile on demand su RaiPlay

The day after. Riflessioni (e proposte) personali del “dopo Convegno”

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di Franco Meloni
Il convegno su “Adriano Olivetti e la Sardegna. Attualità di una prospettiva umanistica” che si è concluso sabato 28 mattina ha sollecitato una grande quantità di approfondimenti su tematiche che si possono riproporre e su altre ulteriori, che richiedono una serie di nuove auspicabili iniziative.
Io provo ad avanzare qualche riflessione, si tratta per ora solo di suggestioni.
Innanzitutto una premessa che traggo dalla relazione del cardinale Arrigo Miglio: ci ha detto che Adriano Olivetti nella sua incessante e innovativa attività imprenditoriale, sociale e politica incontrò molti ostacoli e decisi oppositori, tra questi anche la Chiesa di Ivrea, che mal sopportava il suo intervento nel campo sociale (similmente i Sindacati, specie la Cisl, che lo vedevano invadere il proprio ambito, per non dire dei grandi partiti). Ma mons. Miglio, originario del Canavese e, in tempi più recenti del periodo di A. Olivetti, Vescovo di Ivrea, ha parlato soprattutto del rapporto con la Chiesa eporediese. Ebbene, nel tempo, i rapporti di ostilità si convertirono in collaborazione, sia con Adriano Olivetti in vita (che si convertì al cattolicesimo, non certo per convenienza, rimanendo profondamente laico), sia dopo la sua morte (1960), quando, sei anni dopo, divenne Vescovo di Ivrea mons. Luigi Bettazzi e, successivamente, mons. Arrigo Miglio. Una evoluzione analoga ha avuto in generale, in Italia, il mondo della Cultura laica, da una parte, e della Chiesa conciliare dall’altra, e non solo, dove da una contrapposizione tra laici e cattolici si è passati a un fecondo rapporto di dialogo. Ovviamente sono consapevole che il discorso è complesso e che sto ragionando per semplificazioni, che comunque mi consentono di affermare che il nostro convegno ne è una prova. Infatti, semplificando, in questo convegno si sono incontrati sostanzialmente due mondi, quello laico e quello cattolico. Gli intellettuali che hanno partecipato e animato il Convegno (relatori e no) appartengono a uno dei due mondi o a entrambi, ma, in questo ragionamento mi piace così schematizzare: Il mondo laico rappresentato dai diversi apporti dell’Università di Cagliari e di Sassari, il mondo cattolico rappresentato dagli esponenti della Facoltà teologica della Sardegna, presente sia nel comitato scientifico sia attraverso padre gesuita Giuseppe Riggio, che ha proposto – seppur costretto dalla tirannia del tempo – significative conclusioni. Lo ha fatto in una forma davvero intelligente, in quanto è riuscito a coinvolgere tutte le (poche) coraggiose persone che hanno resistito, sabato, fino alla fine del convegno, in tutto una ventina. Nel breve dibattito finale si sono registrati dieci interventi, che hanno proposto interessanti riflessioni. Io ne ho avanzate due: la prima riguarda la tematica del lavoro, molto spinosa, anzi drammatica, pensando soprattutto ai giovani e agli espulsi di ogni età dal mondo del lavoro. Il Mondo, e, in Italia, il Sud e la Sardegna in modo particolare, è afflitto dalla mancanza di lavoro, dal precariato, da compensi ai lavoratori non dignitosi, in presenza di vergognose discriminazioni e ingiustificate ineguaglianze. E, giustamente, al contrario, il Papa e la Chiesa sostengono il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (cfr Papa Francesco, Esort. apost. Evangelii gaudium, 192), concetto riproposto come titolo della 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, tenutasi a Cagliari nei gg. 26-29 ottobre 2017, che non si discosta, anzi completa, uno dei motti programmatici, laici, del mondo del lavoro: “lavorare tutti, lavorare meno, lavorare meglio“. Adriano Olivetti praticava questi concetti, come abbiamo sentito in diverse relazioni del convegno, in modo anticipatorio rispetto alle normative attuali sul lavoro che attengono alla responsabilità sociale dell’impresa e al welfare aziendale.
Ne vogliamo riparlare e costruire qualche iniziativa?
La seconda suggestione riguarda il concetto di sussidiarietà, anche esso praticato – sebbene non chiamato nello stesso modo da Adriano Olivetti. Ricordo che il principio di sussidiarietà fu per primo introdotto dalla chiesa cattolica, precisamente nella Rerum Novarum di Leone XIII (1891). Il principio è stato “costituzionalizzato” dalla riforma costituzionale del 2001, articolo 118, laddove si parla sia di sussidiarietà verticale, che riguarda i vari livelli istituzionali: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e di sussidiarietà orizzontale che attiene alla partecipazione dei cittadini alla vita sociale per il raggiungimento degli interessi di carattere generale (*) Proprio basandoci su questo principio, su cui si fonda l’attività del Terzo Settore, possiamo pensare di riformare la politica, oggi tanto estranea al comune cittadino. Oggi la “Teoria di Comunità” elaborata e in certa parte sperimentata da Adriano Olivetti e dai suoi collaboratori, anche scontando dolorosi insuccessi, come il deludente risultato dell’avventura elettorale nelle Politiche del 1958, nella quale fu coinvolto il Psdaz. Proprio da quella sconfitta, superandone il trauma, poteva nascere un robusto movimento popolare sardo (ce n’è da dire e da fare!). Purtroppo la morte di Adriano Olivetti chiuse ogni possibilità per una prospettiva virtuosamente percorribile. Che il nostro Convegno ha l’ardire di rilanciare!
Ne vogliamo riparlare e costruire qualche iniziativa?
Lancio infine una proposta, che mi sembra abbiamo praticato in questa “due giorni convegnistica”, cioè una chiamata all’impegno di tutti noi (gli organizzatori), con il coinvolgimento di altri che vogliano aggiungersi, per l’istituzione anche nella nostra città di una “cattedra dei non credenti“ sul modello che tanto avuto successo e utilità, pensato e realizzato anni fa dal cardinale Carlo Maria Martini, nel suo mandato di arcivescovo di Milano. Evidentemente, mutando ciò che c’è da mutare, tenendo conto delle persone e delle risorse di cui disponiamo. L’iniziativa si iscriverebbe nei percorsi sinodali della Chiesa universale e di quella italiana e sarda.

Voglio concludere con una celebre frase, a me tanto cara, del credente cardinale Martini, in totale sintonia con il non credente filosofo Norberto Bobbio: «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza»

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(*) Cost., art.118 ult. comma (…) Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
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Articolo pubblicato in contemporanea su Aladinpensiero e su il manifesto sardo: media partner del Convegno.
Su il manifesto sardo:
https://www.manifestosardo.org/riflessioni-del-dopo-convegno-su-adriano-olivetti-e-la-sardegna/
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Per rilanciare i contenuti del Convegno

[pagina in costruzione] Dopo i saluti istituzionali,
img_4922ha introdotto i lavori Francesca Crasta, proponendo una prospettiva filosofica alla base del pensiero olivettiano, img_4920
mentre Beniamino de’Liguori Carino, Segretario generale della Fondazione Olivetti ha parlato dell’eredità culturale di Adriano Olivetti img_4941.

PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA

img_4881PONTIFICIA FACOLTÀ TEOLOGICA – Lunedì 23 ottobre 2023 si terrà l’inaugurazione del nuovo Anno Accademico 2023-2024 della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e degli Istituti Superiori di Scienze Religiose di Cagliari e di Sassari/Tempio Ampurias Euromediterraneo a essa collegati. Dopo la Concelebrazione Eucaristica, che sarà presieduta alle ore 17 nella chiesa “Cristo Re”, a Cagliari, da S.E. Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari, con i Vescovi della Sardegna, ci sarà la consueta cerimonia nell’Aula Magna della Facoltà con la prolusione del Preside, don Mario Farci, e la proclamazione dell’apertura del nuovo Anno Accademico alla presenza dei docenti, personale e studenti della Facoltà, e di diverse autorità accademiche,
civili e militari.
- Di seguito la locandina dell’Inaugurazione dell’Anno
Accademico

Laudate Deum

img_4650ESORTAZIONE APOSTOLICA
LAUDATE DEUM

DEL SANTO PADRE FRANCESCO

A TUTTE LE PERSONE DI BUONA VOLONTÀ
SULLA CRISI CLIMATICA

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Il testo integrale sulla Sala stampa della Santa Sede: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/04/0692/01509.html#ita
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Quando finisce la notte?

img_4398Quando finisce la notte?
settimananews.it/ecumenismo-dialogo/quando-finisce-la-notte/
17 settembre 2023
di Tomas Halík
Il 14 settembre Tomas Halík ha tenuto una relazione in occasione della XIII Assemblea generale della Federazione luterana mondiale.

Sorelle e fratelli!

Il cristianesimo è alle soglie di una nuova riforma. Non sarà la prima, né la seconda, né l’ultima. La Chiesa è, secondo le parole di sant’Agostino, “semper reformanda“. Ma, soprattutto in momenti di grandi cambiamenti e crisi nel nostro mondo, è compito profetico della Chiesa riconoscere e rispondere alla chiamata di Dio in relazione a questi segni dei tempi.

Da Lutero, grande maestro della paradossale saggezza della croce e discepolo dei grandi mistici tedeschi, dobbiamo imparare in questi tempi a essere sensibili a come la potenza di Dio si manifesta: “sub contrario” – nelle nostre crisi e debolezze. “La mia grazia ti basta“: queste parole di Cristo all’apostolo Paolo valgono anche per noi, ogni volta che siamo tentati di perdere la speranza nelle notti buie della storia.

La riforma, la trasformazione della forma, è necessaria quando la forma ostacola il contenuto, quando inibisce il dinamismo del nucleo vivo. Il nucleo del cristianesimo è il Cristo risorto e vivente, che vive nella fede, nella speranza e nell’amore degli uomini e delle donne nella Chiesa e oltre i suoi confini visibili. Questi confini devono essere ampliati e tutte le nostre espressioni esteriori di fede devono essere trasformate se ostacolano il nostro desiderio di ascoltare e comprendere la parola di Dio.

Fratelli e sorelle

img_4562Lezione domenicale
di Gianni Loy
Sarà perché ho frequentato a lungo la Chiesa, ma ricordo che fin da giovane ho maturato anticorpi, così non mi sono mai lasciato suggestionare, e tantomeno convincere, da chi mi parla con il rosario in mano.
Sarà perché le chiese sono sempre meno frequentate che i missionari di oggi hanno ripreso ad andare per le strade, ad esibire croci, rosario e medagliette della madonna. Cercano di risvegliare il nostro sentimento di pietà, il nostro buon cuore, la nostra solidarietà.
In materia di emigrazione, per esempio. Si presentano – uno in particolar modo – in barba e camicia, per dirci che gli esuli africani e asiatici starebbero meglio a casa loro. Forse per risvegliare, in un sol colpo, pietà e solidarietà. Ma se sul congiuntivo ci ho già fatto la croce, anche il condizionale non mi convince più tanto: stanno meglio o potrebbero star meglio? Se “potrebbero star meglio” significa che a casa loro stanno male, nel senso che soffrono e muoiono, imbarcarli per riportarli indietro non mi pare la soluzione migliore.
Sempre nel nome del Signore, come ai tempi delle vecchie crociate verso il medio-oriente, agitano la guerra santa contro gli scafisti, i nuovi untori che incitano quanti starebbero meglio a casa loro a venirsene in Europa, nel paese di Bengodi. Come a dire che, se non fosse per questi mascalzoni, questi milioni di persone se ne sarebbero rimasti tranquilli a casa loro …

Documentazione. Convegno dell’Ucsi in occasione del X anniversario della visita in Sardegna di Papa Francesco

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Formazione, il 21 settembre a Cagliari il racconto della visita di Papa Francesco nel 2013

img_3144 Dieci anni fa, era il 13 marzo 2013, l’allora cardinale di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio era stato eletto papa. E, per la prima volta nella storia, ha deciso di chiamarsi Francesco. Poco più di due mesi dopo, in piazza san Pietro, il Santo Padre aveva annunciato la sua intenzione di visitare nel successivo mesedi settembre il Santuario di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari.

A dieci anni dalla visita di Papa Francesco a Cagliari (22/09/2013)

img_4321A dieci anni dalla visita di Papa Francesco a Cagliari (22/09/2013), giovedì 21 settembre 2023 l’UCSI (giornalisti cattolici), attraverso la sua federazione regionale, promuove un Convegno presso la Facoltà di Teologia della Sardegna. La manifestazione si terrà dalle ore 17 alle ore 20 del giorno stabilito. Hanno già dato l’adesione numerose organizzazioni cattoliche e laiche, tra cui l’Ordine dei giornalisti della Sardegna, l’associazione cattolica Giuseppe Toniolo, l’associazione Amici sardi della Cittadella di Assisi. Presto ulteriori dettagli.
- Di seguito il programma della visita e i testi dei discorsi pronunciati il 22 settembre 2013 a Cagliari da Papa Francesco: https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2013/inside/documents/papa-francesco-cagliari-20130922.html .

Per Agostino, frate francescano, padre, fratello, amico.

img_3346img_3839Per padre Agostino Pirri.

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CANTO DI PENTECOSTE.

Luigi Bettazzi, Vescovo, Costruttore di Pace

img_3818a cura di Gianni Alioti
… verso l’alba di oggi, domenica 16 luglio 2023, è morto, quasi all’età di cento anni, monsignor Luigi Bettazzi, costruttore di pace. Vescovo emerito di Ivrea, la diocesi dove aveva esercitato il suo ruolo pastorale dal 1966 al 1999.

Nel 1968 il vescovo di Ivrea assunse la presidenza nazionale di Pax Christi e nel 1978 ne diventò presidente internazionale, fino al 1985.

Monsignor Luigi Bettazzi era l’ultimo dei padri conciliari e leale testimone del Concilio Vaticano II, come racconta in questa lunga e bella intervista a Riccardo Maccioni, pubblicata dal quotidiano Avvenire l’11 ottobre 2022.

«IL VATICANO II CHE HO VISSUTO»
A 60 ANNI DALL’APERTURA DEL CONCILIO, PARLA IL VESCOVO LUIGI BETTAZZI, EMERITO DI IVREA.

Quasi sempre a definire la grandezza di un evento sono le statistiche: quanti partecipanti e da quali Paesi, i giornalisti accreditati, i litri d’acqua che verranno bevuti. Nell’immaginario collettivo, nel cuore della gente semplice, invece, l’11 ottobre 1962, il giorno di apertura del Concilio Vaticano II, è segnato soprattutto dalle parole di Giovanni XXII, dal “discorso della luna”.

Quell’invito tenerissimo a portare ai bambini la carezza del Papa, la spinta a dire una parola buona a chi è nella tristezza, sono un’eredità trasmessa dai genitori ai figli e conosciuta anche da tanti ragazzi di oggi. Un messaggio meraviglioso, certo, ma che andrebbe quantomeno collegato all’allocuzione “ Gaudet Mater Ecclesiae” in cui, inaugurando l’assise, il Pontefice sottolineava come la Chiesa, nel combattere gli errori, «preferisse usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore». Una svolta, l’annuncio di un cambiamento profondo di cui forse non si resero conto neppure tutti i padri conciliari.

Allora, monsignor Luigi Bettazzi, emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi aveva 39 anni. Avrebbe partecipato direttamente al Concilio nella seconda sessione.

«L’11 ottobre 1962 – spiega il presule che compirà 99 anni il 26 novembre – risultò soprattutto un giorno di folclore, con gli oltre 2.000 vescovi del mondo che entravano processionalmente in San Pietro, apparati nei modi più vistosi (in particolare quelli di rito orientale) . Si pensava che in poco tempo avrebbero approvato le decine di documenti preparati da apposite Commissioni. Io stesso ne ero convinto: negli ultimi tempi, per la sollecitazione di papa Giovanni al cardinale arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro di inserire qualche suo prete nelle Commissioni preparatorie, mi trovai nella Commissione dei Seminari, dove gli esperti (tra cui il famoso domenicano francese padre Congar) avevano preparato una decina di documenti. E mi resi conto che si trattava di problemi quasi ovvi, ad esempio la preminenza della teologia di san Tommaso d’Aquino o la più intransigente severità in ambito sessuale».

Lei entrò in Concilio durante la seconda sessione, il 29 settembre 1963, una settimana prima del 4 ottobre quando sarebbe stato consacrato vescovo ausiliare di Bologna. Pastore giovanissimo per i parametri di oggi.

Sì entrai in Concilio quando stavo per compiere 40 anni (in ambito missionario v’erano alcuni vescovi anche un po’ più giovani, in Europa lo si diveniva in genere dopo i 50 anni). L’assemblea era raccolta in lunghi banchi a gradini nel corridoio centrale della Basilica, con il posto assegnato secondo la data della propria nomina vescovile: presso l’altare i cardinali e i patriarchi, poi giù giù, verso l’ingresso, gli arcivescovi e i vescovi; ovviamente agli inizi ero tra gli ultimi. Mi trovai immerso nell’episcopato mondiale, con vescovi autoctoni dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina, e capii perché la Chiesa si definiva cattolica, cioè universale, mentre pensavamo quasi che la Chiesa fosse Roma con l’annessione di tutto il mondo. E subito mi resi conto della libertà con cui si discuteva, nei corridoi laterali lungo le soste (v’erano pure due bar di analcolici), ma anche al centro, nel corso dei dibattiti sui documenti che venivano man mano distribuiti. Era stato lo stesso papa Giovanni a incoraggiare questa libertà di discussione, rimandando di qualche giorno la votazione per le Commissioni dei vescovi circa i vari argomenti, contro quelle proposte dalla Segreteria praticamente dalla Curia Vaticana – e rimandando d’autorità a rifare il Documento sulla Rivelazione, rifiutato da una maggioranza troppo esigua per essere accettata dalle norme imposte alla discussione. Ci rendemmo anche conto che, ad avviare le discussioni erano in genere i vescovi più organizzati, come i tedeschi e gli olandesi, abituati a dialogare con i protestanti, o i francesi e i belgi, abituati a muoversi in ambienti di laicità. Gli americani del Nord insistevano per la libertà religiosa, quelli meridionali per una Chiesa attenta ai poveri.

Cos’è rimasto soprattutto del Concilio? Penso ovviamente in particolare alle Costituzioni.

Sui sedici Documenti che sono stati emessi, più che alle tre Dichiarazioni ed ai nove Decreti, sono appunto le Costituzioni che segnano la novità, ma ancora insufficienti, nella vita della Chiesa. Come noto sono sulla Divina Liturgia, sulla Divina Rivelazione, sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Così La Liturgia non è più vista come l’insieme delle norme per il culto, bensì come l’orientamento per la preghiera comune dei cristiani, con la lingua dei singoli popoli ed una maggiore comprensione e semplificazione dei riti, ma – è da dire – senza una più ampia conversione di mentalità, per cui ancora oggi si vorrebbe qua e là tornare alle antiche formule, come più devote e convincenti. Così la Bibbia, la cui lettura veniva sconsigliata ai singoli cristiani come rischio di eccessiva familiarità con i protestanti, viene invece messa in mano a tutti i battezzati, ma sempre con le esitazioni di chi sa che non è facile comprendere quanto è stato scritto millenni fa con mentalità molto diverse dalla nostra. La Costituzione sulla Chiesa ne rivoluziona il concetto: essa viene affrontata in primo luogo non più come «società perfetta» fondata sulla gerarchia, ma come popolo di Dio, in cui ogni battezzato è parte importante, mentre la gerarchia, pur caratterizzata dal Sacramento dell’Ordine, è al servizio della vita della comunità cristiana, nelle singole esperienze e nella loro collettività.

Gaudium et spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, è come tutti sanno la Costituzione pastorale. Un testo sicuramente legato al tempo storico in cui fu redatto ma che resta anche molto attuale. Per esempio in rapporto allo stile di essere comunità centrata sul Vangelo. O nel richiamo alla necessità di dialogare a tutto tondo con la cultura contemporanea, partendo dall’antropologia.
Fin dagli inizi dichiara che le gioie e le speranze (in latino “ Gaudium et spes”) «le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Tutta la Costituzione continua ad esporre la dottrina del Vangelo come una conferma e uno sviluppo di quanto è “genuinamente umano”; dopo aver riflettuto sulla dignità della persona umana, sulla comunità umana e la sua attività, passa da alcuni esempi, dal matrimonio e la famiglia alla cultura, dalla vita economica alla politica, dalla comunità internazionale alla pace. E qui alcuni vescovi (ad esempio il cardinale Feltin arcivescovo di Parigi e il cardinale Alfrink di Utrecht) chiedevano la condanna della guerra, di ogni guerra (che in tempi atomici è una follia, come aveva dichiarato papa Giovanni nella “ Pacem in terris”), con la resistenza, ad esempio, dei vescovi degli Usa ( allora impegnata nella guerra anticomunista in Vietnam) che supplicavano: «non pugnalate alle spalle i nostri giovani che in Estremo Oriente stanno difendendo la civiltà cristiana». Eppure in questa Costituzione vi è l’unica condanna (come invece gli anatemi degli altri Concili contro gli errori del tempo), ed è quella (al n 80) contro “la guerra totale” come oggi è di fatto ogni guerra: ogni atto di guerra che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione.

Congar diceva che si sarebbe pienamente capito il Concilio 50 anni dopo. Oggi ci siamo…

È vero che dopo cinquant’anni la pastorale di papa Francesco richiama il Concilio. La sinodalità si rifà alla collegialità della “ Lumen gentium”, ampliando la responsabilità dei vescovi con il Papa a quella di ogni battezzato per la vita della chiesa, mentre l’attenzione ai poveri, agli scarti del mondo, realizza quella Chiesa dei poveri avviata nel Concilio ma che papa Paolo frenava, nel timore di interpretazioni politiche per la guerra fredda allora in corso tra Usa e Urss, promettendo che ne avrebbe trattato in un’enciclica, che fu la “ Populorum progressio” del 1967, che peraltro tratta della pace, più che della povertà.

Lei aderì al patto delle catacombe. In che modo è stato di ispirazione per la sua vita? E ha cementato legami con gli altri firmatari?

Visto che il Papa esitava a trattare della Chiesa dei poveri, il Movimento interessato, che in Roma aveva sede al Collegio belga, verso la fine del Concilio (il 16 novembre 1965) promosse un libero incontro di Vescovi alle Catacombe di Domitilla. Vi si trovò una quarantina di vescovi venuti occasionalmente a conoscenza dell’iniziativa. Il vescovo belga, monsignor Himmer di Tournai presiedette l’Eucaristia e presentò alla fine un documento secondo cui ogni singolo vescovo si impegnava esemplarmente ad una vita più povera (nell’abitazione e nei mezzi di trasporto, ad una pastorale più vicina ai lavoratori manuali ed ai settori più emarginati, e a far gestire le finanze sue e diocesane da laici affidabili. Quarantadue firmammo (casualmente ero l’unico italiano) e ci impegnammo a far firmare da vescovi amici, così che al Papa furono portate oltre 500 firme. Non ci ritrovammo più se non con gli amici di prima (ero nel gruppo di una ventina di vescovi, da ogni parte del mondo, ispirati da fratel Charles De Foucauld, oggi santo).
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Aggiungo al ricordo di monsignor Luigi Bettazzi l’interessantissimo articolo di Luca Rolandi e Michele Ruggiero scritto sulla rivista ‘La porta di vetro’

https://www.laportadivetro.com/post/luigi-bettazzi-profeta-di-pace-e-ultimo-testimone-del-concilio-vaticano-ii

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img_3820Citazione di Bettazzi su Aladinpensiero: http://www.aladinpensiero.it/?p=138145
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Luigi Bettazzi a Cagliari per la Marcia per la Pace organizzata da Pax Christi il 31 dicembre 2019.
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Su Avvenire online: https://www.avvenire.it/amp/av/pagine/monsignor-luigi-bettazzi
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Su Famiglia Cristiana: https://www.famigliacristiana.it/articolo/bettazzi-il-ricordo-del-gruppo-editoriale-san-paolo-la-sua-testimonianza-preziosa-anche-per-loggi.aspx
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PoliticaInsieme

img_3122logo-politicainsieme di Stefano Zamagni.
1.Svolgo qui una breve riflessione sul mondo di oggi, percorso da venti di guerra, e sul tema specifico della pace. Prendo le mosse da due frasi che servono a definire i contorni del mio pensiero. La prima è nel Vangelo di Matteo e dice: “Beati i costruttori di pace”. E’ un’espressione densa di significato per tanti aspetti. Ma soprattutto ci ricorda che la pace è possibile ma deve essere costruita. Ogni giorno. La pace inoltre è un dono non una donazione. La seconda frase viene dalla Populorum progressio di Paolo VI e suona: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Quando papa Montini, nel 1967, scrive questa enciclica siamo nel bel mezzo della guerra fredda. Cosa ha voluto significare Paolo VI? Che la pace ha un nome nuovo ed è lo sviluppo, lo sviluppo di tutti i popoli. Dobbiamo intenderci su che cosa significhi la parola sviluppo. Lo sviluppo è diverso dalla crescita. La crescita non è un attributo solo umano, anche animali o piante crescono. Lo sviluppo invece è caratteristica specifica dell’essere umano. Dalla lingua latina ne capiamo il significato, perché la s davanti a una parola svolge la stessa funzione della a privativa iniziale nella lingua greca. Sviluppo vuol dire togliere i viluppi. E i viluppi sono le catene, i lacci, che impediscono la dilatazione degli spazi di libertà delle persone. Il concetto di sviluppo è dunque legato a doppio filo al concetto di libertà o se preferite di liberazione. Tutto questo per dire che il messaggio importante è che se vogliamo la pace dobbiamo adoperarci per allargare gli spazi di libertà delle persone. Non basta invocare la pace, per ottenerla.

Oggi nel mondo si combattono 169 guerre, anche se la nostra attenzione è tutta fissata sulla guerra in Ucraina, perché ci coinvolge da vicino. Ecco, a partire da queste due considerazioni sulla pace, la tesi che intendo sostenere è questa: con l’Ucraina ci troviamo di fronte alla prima guerra globale della storia. Secondo me non è corretto parlare di terza guerra mondiale, ma di guerra globale. La guerra si definisce globale quando gli effetti della stessa gravano anche su Paesi innocenti che non hanno avuto alcun ruolo, né diretto né indiretto, nello scatenamento della guerra stessa e soprattutto quando la causa profonda della stessa non risiede unicamente nei paesi belligeranti.

Solidarietà. Suor Anna: il primo tirocinio con Democrazia Proletaria

img_3669Suor Anna Cogoni, l’eskimo e il velo «Io, sempre dalla parte degli ultimi»
Una vocazione dedicata a ragazzi senza famiglia, donne in fuga dalla violenza e papà separati rimasti senza un tetto né soldi.
Piera Serusi, su L’Unione Sarda, lunedì 26 giugno 2023.
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