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Elogio della mitezza

img_6523L’articolo si incentra principalmente sul saggio di Norberto Bobbio “Elogio della mitezza”. In un momento in cui la mitezza pare lontanissima dalla contemporaneità, Bobbio la rivaluta mostrandone, in modo quasi preveggente per l’oggi, il suo aspetto potente e rivoluzionario. L’articolo è sviluppato sotto forma di dialogo.

Elogio della mitezza
di Roberto Paracchini
- …, già e come si fa? Come si fa a parlare del futuro…?
- Si cerca di immaginarlo partendo da elementi del presente.
- Così però si rischia di pensare un futuro cupo, troppo cupo.
- E chi lo dice?
- Beh, il presente non è certo bello: guerre, distruzioni e cattiverie gratuite, violenza, razzismo, discriminazioni, povertà, crisi climatica e tanto tanto altro ancora. Greta Thunberg e i tantissimi giovani che vedono in lei un punto di riferimento, hanno perfettamente ragione a protestare.

- Sì: sembra proprio che stiate facendo di tutto per preparare loro un bruttissimo futuro.
- Ma chi parla, chi entra nei miei pensieri?
- Calma, stai solo riflettendo.
- Già con una voce che non sono io e che risponde a quello che penso…
- Innanzi tutto io non sono una voce ma Qfwfq. Quindi tranquillizzati.
- O, cielo!, chi parla!
- Te lo detto, sono Qfwfq.
- Chi?
- Potrei offendermi, sono il prodotto della fantasia di un grande scrittore, Italo Calvino.
- Ah…, davvero?
- Sì, “Le cosmicomiche”.
- Ma che faccio, dialogo con Qfwfq?
- E che c’è di strano, secondo il mio autore esisto da tempo immemorabile.
- Ma sei un prodotto della fantasia!
- Appunto ed è di questo che hai bisogno, ti trovi di fronte a un’impasse…
- ?
- Col terrore del foglio bianco.
- Beh, forse la questione è complessa.
- Ovvio, è difficile orientarsi in questo mondo, tanto meno scriverne. Ne so qualcosa io, prodotto dalla fantasia e dalle ossessioni di chi mi ha dato i natali.
- Va beh, finalmente un sogno letterario. Peccato che poi finisca.
- E chi l’ha detto, deciderai tu.
- Forse forse resterei nel sogno…
- D’accordo, la consapevolezza delle brutture del vostro presente fa male, ma le avete prodotte voi.
- Lo so…, lo so ma non ti ci mettere anche tu; credimi, c’è da impazzire.
- E per che cosa credi che sia qui. Però non incolpare altri della tua incapacità di capire.
- Vedi tu? Ormai tutto è fuori registro, abnorme e sempre più incomprensibile e tu pure, cara/o Qfwfq, forse fuggita/o da un libro e che ora dialoghi con me.
- Io non fuggo, semmai tu, che vigliaccamente rinunci a capire.
- Non offendere, ho solo un momento di sconforto.
- “Sapere aude!”, scriveva un vostro grande filosofo, l’illuminista Immanuel Kant: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Ma tu questo coraggio non sembri averlo.
- Già, la fai facile tu che vivi in un mondo di fantasia…
- Ma è proprio questa che ti manca. La fantasia.
- Sarebbe?
- Che cosa credi che sia l’intelligenza? Se non quel qualcosa che ti permette di immaginare mondi altri, forse inusitati ma non per questo meno possibili?
- Quindi?
- Non devi scoraggiarti.
- Però, se ci si guarda attorno…
- Non farti ingabbiare dal qui ed ora. Te lo ridico: abbi il coraggio di usare la tua intelligenza, quindi di immaginare altro non rifiutando la potenza della fantasia. E ricorda: la realtà è fatta da tutte le determinazioni del possibile, anche da quelle che ora non ci sono ma che potrebbero esserci.
- Semplice da dirsi, per te che vivi in un racconto.
- Non è esatto, io vivo in tutti coloro che mi leggono, o mi hanno letto, o mi leggeranno. Io non sono di nessuno ma per tutti.
- Ovvero?
- La fantasia è patrimonio comune.
- Allora spiegami, come si fa ad affrontare questo mondo fatto di guerre, distruzioni e cattiverie impensabili?… Come si fa a viverci? Come si fa a non venire schiacciati dalla sua pesantezza? Come si fa a costruire o inventare un pur piccolo granello di sabbia che contribuisca a renderlo almeno un po’ meno ingiusto?
- Mi ripeto: sapere aude, abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. Lo scrittore che mi ha dato i natali, Italo Calvino, pur parlando di letteratura, ha insegnato anche a me, suo prodotto di penna, molte cose.
- Allora, Qfwfq, visto che ormai, meticciando realtà e fantasia, mi hai avviluppato nel tuo mondo, sii generoso e spiega pure a me.
- Il mio Calvino nel libro Sei lezioni americane, alla voce leggerezza, racconta che la pesantezza del mondo si supera non con fughe nel sogno o nell’irrazionale, ma cambiando approccio, quindi avendo più fantasia e guardando il mondo “con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza”.
- Bene, e come fare?
- Forse cominciando a riflettere sul fatto che siete tutti imprigionati da un’idea fissa: che in ogni momento della vostra vita c’è chi vince e chi perde, chi arriva primo e chi no, e chi irrimediabilmente si smarrisce per strada. E che siete tutti ingabbiati in questa bizzarra e crudele gara, tanto che sembra normale, se non scontato, anche l‘uso della forza, della furbizia e della spregiudicatezza…
- Seppure malinconicamente, mi vien da dire che questa logica del vincere o del perdere sembra proprio la più diffusa nella realtà in cui viviamo.
- Già, vincere… Sai l’etimologia di questo verbo richiama la radice weik che implica un combattere continuo e infine, appunto, un vincitore, da cui la configurazione di uno spazio di dominio in cui uno soggioga l’altro e dove c’è chi lega e chi viene legato. E’ questo il mondo a cui aspiri?
- Certo che no! E non sono il solo a non volerlo. Ma sempre più persone stanno perdendo la fiducia e la speranza in un possibile cambiamento.
- Allora muovetevi, seguite l’esempio dei giovani.
- Facile a dirsi, però…
- Niente è fattibile se non si inizia. Un primo passo è cambiare linguaggio: non più vincere, né convincere, ma persuadere. La più timida persuasione che nella sua etimologia indica, sì, anche un’azione, ma verso un qualcosa di dolce e delicato supportato, direi io, da argomentazioni non apodittiche.
- Scusa Qfwfq ma per battere e sconfiggere la sfiducia e l’indifferenza non pensi occorra invece usare un linguaggio che “buchi” l’attenzione: forte e deciso?
- No, penso sarebbe un atteggiamento sbagliato. Sai, basta accendere la tv o collegarsi a un qualsiasi social per essere subito investiti e travolti da tanti linguaggi barricadieri che bucano, sì, l’attenzione come dici tu, ma che quasi subito svaniscono lasciando ben poco, se non un sapore amaro e un bel po’ di fastidio quando va bene; confusione, rabbia e astio più spesso.
- E tu che proponi?
- Festina lente, affrettati lentamente: agisci, sì, ma dopo aver riflettuto. Nessun assalto all’arma bianca, sia pure solo verbale.
- Quindi?
- Come afferma il mio Calvino, occorre “guardare il mondo con un’altra ottica”. In pratica bisogna cambiare paradigma, abbandonare il linguaggio bellicoso e avere il coraggio di guardare altrove. E potete farlo prendendo esempio da un altro gigante della cultura italiana e mondiale, il filosofo Norberto Bobbio; e scommettere con lui sulla mitezza.
- Caspita, Qfwfq, la mitezza? È come se proponessi una rivoluzione copernicana.
- Esatto.
- Spiega.
- In un mondo di sopraffazioni continue va precisato che “la mitezza è il contrario dell’arroganza, intesa come opinione esagerata dei propri meriti, che giustifica la sopraffazione”, come sottolinea Bobbio nel saggio Elogio della mitezza.
- D’accordo, la mitezza, però sembra un qualcosa di molto, direi troppo lontano dal mondo dell’oggi.
- Non credo, le cose che sembrano più inaccessibili, sono spesso quelle con cui viviamo nella nostra quotidianità, pur non vedendole.
- Non capisco, ogni tanto mi perdo…
- Se vai a prendere un caffè gradisci che chi te lo serve, faccia un sorriso, che tu ricambi perché un sorriso è contagioso come una piccola coccola. Oppure ti viene spontaneo aiutare il tuo vicino di casa se lo vedi in difficoltà con la spesa o aiutare una persona incerta ad attraversare la strada e tante altre piccole grandi cose. Uso volutamente “piccole grandi” perché sono le (apparentemente) piccole cose che ci fanno grandi. Ed è proprio in queste che si forgia la mitezza, una postura del comportamento meno aggressiva e più riflessiva. Sai, come specifica Bobbio, la mitezza è “una disposizione d’animo che rifulge solo alla presenza dell’altro: il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé”. In altre parole: il mite aiuta a limitare l’arroganza dell’altro, in quanto esempio vivente che i rapporti interpersonali possono essere meno spigolosi e trasformarci in persone che ascoltano.
- E pensi che questo possa aiutare a superare la sfiducia e a formare un ambiente meno indifferente?
- Molto probabile. Sai l’indifferenza ha spesso come base la difficoltà nei rapporti interpersonali. Quando affermo che dovremmo usare il termine persuadere e non con-vincere, penso che si debba iniziare dalla nostra quotidianità dove in continuazione facciamo scelte che ci relazionano agli altri…
- Non ti seguo.
- Non ti capita mai di avere qualche problema e di sentirti come adirato col mondo?
- Beh, sì.
- In genere questo vuol dire che dentro di te c’è qualche “nodo” irrisolto, forse un eco di quell’inquietante “zona grigia” di cui parla Primo Levi.
- Non capisco che vuoi dire.
- Quel che forse sai anche tu: se riesci a relazionarti con qualcuno senza aggressività, quel “nodo” diventa più leggero, non che lo risolvi, ma ti si attenua, soprattutto se nella relazione con l’altro non entri in un quadro competitivo in cui ognuno vuole convincere l’altro di qualcosa. In altre parole, il mite è colei o colui che non vuole convincere nessuno, semmai persuadere.
- Mi stai dicendo che la persuasione si sposa con la mitezza e non con la vittoria
- Certo. Sai, grazie al mio Calvino sono un testimone senza tempo dell’evoluzione dell’universo e di vittorie e catastrofi ne ho visto tante, dai buchi neri alla formazione di nuove stelle. Ma ho anche osservato che per quella strana “cosa”, che chiamate homo sapiens, più che i grandi eventi che hanno creato l’universo, contano le carezze.
- Che è, Qfwfq, mi stai diventando sentimentale…
- La fantasia è anche sentimento, parola che va accostata al verbo sentire, che significa avere consapevolezza di sé e dell’altro; e che è spesso anche il prodotto di una carezza. Gesto che, a sua volta, richiama una postura mite verso l’altro, che deriva da caro, amato. Tutti significati ben lontani dal vincere-soggiogare-fare prigioniero.
- Perdonami, Qfwfq, ma se vuoi cambiare qualcosa, così facendo non rischi di assumere un atteggiamento, sì, carezzevole, ma poco efficace?
- Per niente, semmai il contrario: la vittoria sottomettendo, blocca, ferma e cristallizza la realtà, soggiogando chi non la pensa come te e bloccandone le possibili scelte; e inibendo così la realizzazione di nuovi percorsi. Non credi invece che le nostre azioni, come spiega il fisico e filosofo Heinz von Foester, dovrebbero sempre essere volte ad agire “in modo di accrescere il numero totale delle possibilità di scelta”?
- Ammettiamo che sia d’accordo, ma come agire in questo senso?
- Con la mitezza, su cui punta Bobbio. Usando le parole di Carlo Mazzantini, un suo amico filosofo, Bobbio sottolinea che “la mitezza è l’unica suprema potenza (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. Quindi con tutta la sua libertà di scelta.
- Perdonami, Qfwfq, però per Norberto Bobbio “la mitezza non è una virtù politica”.
- Ed è per questo che è molto importante. Per lui, “la politica non è tutto. L’idea che tutto sia politica è semplicemente mostruosa”. Ma proprio qui sta per Bobbio la potenza della mitezza che, appunto, non è una virtù politica.
- Forse mi sono perso qualcosa, ho difficoltà a seguirti. Ti rigiro il moto Festina lente…
- Giusto, diamo un po’ di contesto. In Elogio della mitezza, quando Bobbio parla di politica, pensa soprattutto al Principe di Macchiavelli in cui gli “animali simbolo dell’uomo politico sono (…) il leone e la volpe”; e pensa a Hobbes e al suo homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’altro l’uomo), che “nello stato di natura è l’inizio della politica”. Tutti esempi in cui “non c’è posto tra loro per i miti”.
- Perdonami l’ingenuità e la banalità, ma come fa il mite a competere con questa “muscolosa” politica, soprattutto se vuole cambiarla? Non verrebbe spazzato via come un fuscello?
- Il problema è mal posto. Il mite, spiega Bobbio, “non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di sconfiggere, e alla fine, di vincere. È completamente al di fuori dello spirito della gara, della concorrenza, della rivalità e quindi anche della vittoria”.
- Continuo a non capire.
- Bobbio non nasconde affatto la prosaicità della storia e, quindi, della politica, piena di arroganza, protervia e prepotenza. Così come non nasconde, citando il filosofo Friedrich Hegel, che ai “fondatori di stati”, agli “eroi”, è stato permesso tutto, “anche l’uso della violenza”.
- Quindi?
- Bobbio cerca una via d’uscita coerente, una via d’uscita per il nuovo millennio direi, e la trova nella mitezza…
- Una virtù, però, che considera “non politica”.
- Sì, ed è proprio in questo suo (della mitezza) essere fuori dalla politica intesa come lotta e competizione, che sta la sua forza e la sua potenza. Come già accennato, la vita per Bobbio non si riduce alla politica ed è in questo spazio non politico, in cui i rapporti interpersonali non puntano a prevaricare e dominare l’altro, che può fiorire la mitezza in tutta la sua potenza.
- E che cos’è questo “spazio non politico”?
- In Elogio della mitezza, l’autore non lo precisa in modo esplicito, ma afferma di considerare molto importante “quello che c’è al di là della politica” dove si trova, appunto, la virtù della mitezza. Direi che per Bobbio si tratta di uno spazio che non è della politica tradizionale e nemmeno del privato dato che la mitezza “rifulge solo alla presenza dell’altro”; e che, quindi, può essere considerato uno luogo intermedio tra i due. Uno spazio determinante nella vita nelle persone perché in esso vivono i rapporti interpersonali, di cui la mitezza si nutre per definizione. Direi che questo spazio assomiglia a quello infra teorizzato dalla filosofa Hanna Arendt e per lei indispensabile per lo sviluppo democratico. E quale humus migliore della mitezza per stimolare la riflessione e la crescita delle persone?
- Oggi, però, sembra che più della riflessione domini la velocità e che tutto il resto (basta dare un’occhiata ai social) diventi subito obsolescente.
- Certo, ma quel che più conta credo sia riuscire a innescare cambiamenti virtuosi e contagiosi. A noi tutti e mi ci metto anch’io con l’illuminismo del mio Calvino, oggi non serve un qualcosa che faccia rumore e che appaia e scompaia come la voglia di immediatezza prodotta dai clic reiterati. Occorre invece un qualcosa che abbia potenza potente nel senso etimologico di capace di effetti, di autorità, ricco e nobile, autorevole insomma.
- Rieccoci, spiega meglio: potenza e mitezza a me sembrano due concetti agli antipodi.
- Per spiegarlo Bobbio si rifà alle parole del suo amico filosofo Mazzantini che come abbiamo già visto diceva che la mitezza “è l’unica suprema ‘potenza’ (…) che consiste nel lasciare l’altro quello che è”. E in più aggiungeva: “Il violento non ha impero perchè toglie a coloro ai quali fa violenza il potere di donarsi”. Chiaro?
- Non proprio.
- Allora seguimi ancora un attimo: chi comanda e domina fa fare agli altri solo quello che lui vuole, come se il dominato fosse diventato un suo terminale. In questo modo, però, la forza del suo comando resta, appunto, solo forza che piega con la violenza colui che viene dominato. Così il violento conquista, soggioga e trasforma il corpo del dominato ma, si potrebbe dire con un linguaggio forse improprio, non la sua anima: la sua vera volontà e la sua personalità restano inviolate.
- Prima hai accennato al tema del” donarsi”, chiarisci per cortesia.
- Dietro questa affermazione penso ci sia il discorso sul dono e sulla gratuità. In sintesi il donare, in questo caso, implica il fare qualcosa senza avere alcuna contropartita: un’azione svincolata da un qualsiasi vantaggio. A ben guardare si tratta di un comportamento che noi facciamo molto più spesso di quel che sembri durante la nostra quotidianità, come atto di attenzione verso gli altri con una telefonata affettuosa o un messaggio delicato che mandiamo o che ci arriva inaspettato, o una gentilezza inusuale o mille altre piccole cose. Ed è proprio la gratuità di questi gesti che li rende doni e, direi, doni contagiosi nel senso che spingono i destinatari a comportarsi nello stesso modo…
- Ma hai appena detto che non c’è contropartita.
- Infatti, perché i destinatari della contagiosità del dono non sono coloro che hanno fatto il dono, ma altri. Se poi lo diventano anche loro, è perché pure loro fanno parte del mondo “altri”.
- E un atteggiamento mite li stimola, i doni?
- Sì, ne è un propulsore: per Bobbio la mitezza “è una donazione”, e si tratta “di una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata”.
- Bene, torniamo un attimo sulla potenza della mitezza.
- Chi fa violenza toglie al dominato il potere di donarsi dimostrando così di non avere impero, nel senso di autorità e autorevolezza, su colui che soggioga; e questo perchè non controlla la sua libertà più grande, quella di potersi donare, appunto.
- Insomma, in questo quadro concettuale, è il mite il vero potente?
- Esatto, ma si tratta di una potenza fatta di autorevolezza, senza dominio e soprattutto, come spiega Bobbio, che sviluppa socialità. “Dunque – continua il filosofo riprendendo le parole di Mazzantini – ‘lasciare essere l’altro quello che è’ è virtù sociale nel senso proprio, originario, della parola”, che crea alleanza, base e trampolino per una nuova politica.

(Roberto Paracchini)
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img_6525Norberto Bobbio.
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Italo Calvino

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Oggi giovedì 21 marzo 2024.

img_3099Anche i musulmani hanno diritto di santificare le loro feste. Parola della Costituzione
21 Marzo 2024
A.P. Su Democraziaoggi
Avete letto di quella scuola di Pioltelo in Lombardia, dove il preside ha deciso un giorno di vacanza in occasione della fine del ramadan. La ragione? Molto semplice. Circa la metà degli alunni sono musulmani, e dunque per loro la fine del ramadam è una ricorrenzam. importante, un po’ come per noi il natale […]
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Scuola chiusa per il Ramadan, l’arcivescovo di Cagliari: «Positivo il rispetto del fatto religioso»
Giuseppe Baturi, segretario della Cei, sul caso di Pioltello: niente lezioni nell’ultimo giorno del mese celebrato dai musulmani.
- Su L’Unione Sarda online
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Andrea Pubusa Nel segno di Lussu Per una carta costituzionale dei Sardi. Recensione
20 Marzo 2024
Fernando Codonesu su Democraziaoggi.
Nel suo nuovo libro dedicato alla storia e alle vicende politiche dei protagonisti della Sardegna e dei Sardi negli ultimi due secoli, da Angioy ad oggi, passando per Tuveri, Asproni, Gramsci, Bellieni, Lussu, Umberto Cardia, Simon Mossa, Soddu e altri, Andrea Pubusa compie un percorso lungo, denso di fatti significativi […]
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Franco Oliverio

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Fondazione Anna Ruggiu onlus
Aladinpensiero News

COMUNICATO STAMPA
Vent’anni fa, il 22 marzo del 2004, moriva all’improvviso Franco Oliverio. Medico cagliaritano noto, oltreché per la sua professione, per essere stato sempre in prima linea nelle lotte sociali a favore dei disagiati. A partire dalla fine degli anni 60, quando ha aperto un ambulatorio nel quartiere di S.Elia, è sempre stato presente in tutte le iniziative di sostegno ai disagiati, di animazione contro il diffondersi della droga che, dalla metà degli anni 70, è stato un vero flagello per la città, contro le mafie. Ha preso posizione contro la cieca repressione che, a quei tempi, finiva per emarginare ancora di più i giovani, anziché recuperali. È stato uno degli animatori delle manifestazioni per il diritto alla casa, partita da S. Elia con la contestazione del progetto di traferire gli abitanti di S. Elia in un’altra periferia, per farne un quartiere di lusso. È stato presente in occasione degli avvenimenti di S. Elia in occasione della visita del Papa, salvando giovani e séstesso, dal rischio di essere arrestati per una contestazione al Papa che, in realtà, non era mai avvenuta …
Franco Oliverio è da iscrivere, a buon diritto, nell’albo dei più illustri cittadini cagliaritani. Il suo ricordo costituisce un esempio di testimonianza per il riscatto di tutte le persone che vivono in condizioni di emarginazione e di disagio sociale.

Gli amici, in accordo con la famiglia, lo ricorderanno in una manifestazione – organizzata dalla Fondazione Anna Ruggiu onluse da Aladin pensiero news – che si svolgerà il prossimo venerdì’, 22 marzo, in occasione del ventennale della sua morte, nella sala della Fondazione di Sardegna di in Via San Salvatore da Horta, alle ore 17.

In testa la locandina dell’evento

Per l’organizzazione

Gianni Loy – Franco Meloni

- Fondazione Anna Ruggiu, Viale Sant’Ignazio n. 38. 09123 – Cagliari. Tel. 3207232122.
Fondazione.a.ruggiu@tiscali.il

- Aladinpensiero news

http://www.aladinpensiero.it

aladinpensiero@gmail.com

Anticipazioni

0ada1d7d-bf27-463b-a6c1-5f56c1c07ad0Il libro sarà presentato venerdì 22 settembre a Iglesias (a cura del Comitato di riconversione RWM per la Pace e il lavoro sostenibile) e sabato 23 settembre a Cagliari (a cura de il manifesto sardo con la collaborazione di Aladinpensiero e di altre organizzazioni). Sarà presente l’autrice Futura D’Aprile, giornalista.
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Futura D’Aprile è nata a Taranto il 13 dicembre 1993.
Laureata in Giornalismo presso l’Università La Sapienza di Roma, negli anni ha pubblicato per diverse testate in italiano e in inglese. Collabora con Domani, Il Fatto Quotidiano, Linkiesta e Tpi.
Si occupa di Medio oriente, con focus particolare su Turchia e Siria, questione curda, relazioni internazionali, conflitti e Difesa. Ha scritto dei reportage dalla Palestina, dal Kurdistan turco e dalla Turchia.
A settembre 2022 è uscito il suo primo libro (che presenterà a Iglesias e Cagliari), “Crisi globali e affari di piombo”, con prefazione di Alex Zanotelli: una panoramica sull’industria italiana della Difesa, sulle leggi preposte a regolare il commercio di materiale bellico e sulla consuetudine di aggirarle.
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Libri in vetrina

c5651ac3-6c32-408b-8996-b8767c340264Un’avventura nel palazzo della memoria.
A cura di Claudio Castaldi

a73b6c5f-3d65-40cd-ac50-a5c852f5feb6Presso la Pontificia facoltà Teologica della Sardegna è stato presentato il nuovo libro del prof. Daniele Vinci dal titolo: “Dieci passi nel palazzo della memoria. Guida alle mnemotecniche con immagini e testi dell’arte della Memoria”, Metis Accademy Press, Cagliari 2023, 272p.

RECENSIONE

pascucci
PICCOLA FENOMENOLOGIA DEL CICLISMO SU STRADA

di Gianni Loy

Caro Paolo,
ho ricevuto e già gustato, a lunghi sorsi, la tua “Piccola fenomenologia del ciclismo”, che poi tanto piccola non è. La lettura mi ha riportato indietro degli anni, un poco più in là di quelli della tua iniziazione alle discipline sportive. Io, per esempio, Fausto Coppi l’ho visto dal vivo (si fa per dire, ero ancora bambino) in occasione di un circuito esibizione svoltosi a Cagliari nella seconda metà degli anni 50. Ed ho vissuto dal vivo anche quello strano campionato del mondo di Reims del 1958, minuto per minuto sulla stampa e in televisione. Aspettavamo, forse, Fausto Coppi, anche se sapevamo quanto fosse impietoso lo scorrere del tempo; ed invece usci inaspettatamente dal mazzo un cronoman, Ercole Baldini. Ma più probabilmente, per tornare alle tue categorie, fu la vittoria di una squadra, Fausto in testa, che riuscì a bloccare la corsa alle spalle dei fuggitivi. Il più grande? Il più forte? Merckx era ancora di là da venire il paese era diviso tra i tifosi di Bartali e quelli di Coppi. Io, seppure ancora bambino, ero tra questi ultimi e plaudivo al refrain che circolava al quel tempo: “Prima Coppi e poi Leoni, e dopo un’ora di distacco, arriva Bartali distaccato”. Ma cosa mi spinse tra i tifosi di Coppi, tuttavia, proprio non lo so. Sensazioni?
Ciò, in principio, per dirti quanto mi trovo in sintonia con il tuo gradevole e divertente (sì, anche divertente) manuale sul ciclismo.
[segue]

Montiferru: dae su fogu a s’isperu

sotgiu-montiferru-2Custu liberu
Custu liberu, fatu cun su contributu de sa Regione Sarda, Imprentas 2021-22, cherede faghere connoschere mezzus a sos pizzinnos sos logos de su Montiferru attraessados dae su fogu in su mese de triulas de su 2021. Deo appo iscrittu sa primma parte de su liberu e soe su coordinadore, sa sigunda parte l’ana fatta sas mastras e sos pizzinnos de sas sette biddas de su Montiferru.
Su liberu cuminzada cun unu contu, Su Betzu Mannu, milli annos de istoria contados a sos pizzinnos dae su patriarca vegetale, s’ozzastru de Tanca Manna. (Sighi)

Ajo’ a cresia. Giovedì la presentazione a Cagliari del libro di Mario Girau.

9a053029-6bf2-468d-b8de-03b0c4216e0402acc10b-9299-46eb-a310-1458af127c21[Dalla presentazione] “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perchè sono dei testimoni”. Nasce da queste parole di Paolo VI al “Consilium de Laicis” il 2 ottobre 1974 la raccolta di 18 brevi biografie di uomini e donne protagonistri della Chiesa di Cagliari e sarda.
Vescovi, sacerdoti (diocesani e religiosi) e suore che hanno evangelizzato con l’esempio gli ambienti in cui sono stati inviati dai superiori. Formano la maggioranza silenziosa che occupa la prima linea della Chiesa e insieme con i laici incarnano i valori cristiani del quotidiano.
Uomini e donne che non hanno cercato i riflettori, anzi proprio in contrario, ma soltanto fatto i missionari, impegnati ad annunciare Cristo – nelle strade della città, nei piccoli e grandi centri isolani, nei quartieri ad alto tasso di emarginazione o nel mondo della scuola e delle professioni, nelle comunità parrocchiali, tra gli ultimi della città e tra i predestinati al successo – con la parola e la vita a giovani, adulti, alle famiglie. Preti, suore e vescovi che hanno camminato a fianco del povero, guidato le comunità loro affidate, parrocchie, oratori, anche diocesi.
Stampa, giornali, televisione, ricercatori e scrittori, impegnati a inseguire i “grandi” dimenticando i piccoli i “gregari di Dio”, che però svolgono un ruolo fondamentale nella vita delle persone e delle comunità: storicizzano la Chiesa. [segue]

Gianni Garrucciu presenta il suo libro sulla fame nel mondo

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Ch’e’ successo, che succede, che succederà?

955b1a97-27f7-4ed5-9843-c668091073acSECONDO ME
A proposito delle Cronache di una pandemia raccontate da Francesca Mulas
.
di Gianni Loy

In attesa di scoprire se e come il coronavirus avrà trasformato il nostro mondo, fragile eppure infrangibile, già sappiamo di non sapere quasi nulla della pandemia. Non sappiamo se ci sarà una seconda fase, se gli asintomatici possano tramettere il virus. Non sappiamo se la presenza di anticorpi garantisca l’immunità, né quale sia la sia la distanza di sicurezza, tantomeno se i guanti siano utili o fattore di rischio. Non sappiamo se i farmaci di cui si parla siano efficaci, né siamo certi sulla causa delle morti sospette registrate nel dicembre del 2019. Non sappiamo quando sarà davvero disponibile un vaccino, né perché la mortalità delle donne sia inferiore a quella degli uomini. Tantomeno sappiamo perché il tasso di mortalità sia elevato in Italia e assai più basso in Germania e non è ancora ben chiaro cosa sia davvero accaduto in Cina. Insomma, non sappiamo quasi niente. Conosciamo il numero dei morti, è vero, seppure approssimato per difetto, e una certa predilezione del virus per le persone anziane.
Tutto ciò ha prodotto un singolare effetto, quello di esaltare la soggettività di voglia cimentarsi nella valutazione di quanto è accaduto e continua ad accadere. Sempre più spesso, di conseguenza, ogni ragionamento sulla pandemia viene introdotto dalla formula magica: “secondo me….”. Si tratta di un diritto, quello della libertà di espressione, che trova fondamento nella Costituzione. Una libertà suscettibile di limitazioni, come tutte, ma stabilire quali esse siano non è facile. Così, in attesa che un sovranismo in salsa ungherese riesca a imbavagliare le opinioni, la libertà di critica è salva. Non sono tutte rose, per dirla tutta, perché alcuni dettagli della pandemia continuano a essere trattati, anche da noi, alla stregua del segreto di Stato. L’informazione sulla diffusione del virus è affidata scarni bollettini ufficiali, del tutto privi di dettagli. L’appuntamento delle sei forniva numeri in formato non facilmente decifrabile; gli esperti, dopo aver frettolosamente impilato il numero dei morti, ci tranquillizzavano spiegando che a morire erano solo le persone anziane con patologie pregresse, poi si esaltavano nel fornirci dettagli di scarso interesse, come il numero delle tende piantate nel peristilio dei pronto soccorso, i reparti realizzati in pochi giorni nelle fiere, il numero delle ambulanze a disposizione e quello dei pazienti traferiti da una regione all’altra. Tale overdose di informazioni, come spesso capita, ha generato, in realtà, un deficit di informazione e, quindi, una certa confusione. Il genio italico ha fatto il resto, ciascuno ha potuto dire la sua, seppur con cautela, mettendo le mani avanti: Secondo me…
Così in qualche momento, proprio durante la pandemia, il numero degli esperti – che include dilettanti, amatori, naif e complottisti –ha superato il numero dei contagiati.

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[segue]

“La signora della stazione”: pubblicato il romanzo di Dolores Deidda.

la-signora-cover E’ stato pubblicato il romanzo di Dolores Deidda “La signora della stazione” che racconta, in particolare, le vicissitudini della sua famiglia e della madre negli anni ’40, quelli della guerra, e nei primi anni ’50 (r.d.).
Di seguito riprendiamo dal sito web dell’editore la bella intervista fatta a Dolores .book-sprint
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Intervista all’autore – Dolores Deidda
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1.Ci parli un po’ di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nata in un piccolo paese di montagna, nella zona della Sardegna chiamata Barbagia. Ma già a dodici anni avevo cambiato cinque residenze, dati i continui trasferimenti della mia famiglia. A Cagliari ho frequentato il liceo classico e mi sono laureata in Storia e Filosofia. Subito dopo mi sono trasferita a Roma dove ho sostenuto il mio impegno sociale con attività di studi e ricerca. Attività che ha continuato a prevalere nel mio impegno professionale in Italia e all’Estero. Per alcuni anni ho lavorato a Bruxelles e mi sono specializzata nelle politiche di Sviluppo e Coesione dell’UE.
Ho sempre scritto molto, ma i miei testi sono stati prevalentemente di carattere tecnico e utilizzano un linguaggio assai diverso da quello letterario. Ho deciso di scrivere un romanzo, non credendoci molto, quando ho avuto del tempo a disposizione dopo aver ridotto l’impegno lavorativo.

2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho degli orari prestabiliti. Alle volte gli spunti narrativi mi arrivano al risveglio del mattino e sento l’urgenza di aprire il computer per annotarli e semmai risistemarli successivamente. Altre volte è nella notte, il momento del silenzio, che trovo il filo per ricominciare a scrivere.

3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Il mio principale riferimento letterario del ‘900 è Marguerite Jourcenar, una scrittrice franco-belga di enorme rigore intellettuale, spessore culturale e talento narrativo. Un modello di perfezione cui è difficile avvicinarsi. Altri scrittori che apprezzo molto sono il latino-americano Marco Vargas Llosa e Jhon Maxwell Coetzee, sudafricano.
[segue]

Gianni Loy e il fascino dell’imperfezione di Dio

222c412a-63d6-42af-bc00-cf41f202aee4Il silenzio e la poesia nell’ultimo libro di Gianni Loy

di Ricardo Escudero Rodríguez

La lettura dell’ultimo libro di Gianni Loy, “L’ultima notte a Hellissandur”, edito da Condaghes, mi ha affascinato. Sia per la scrittura, dotata di un ricco e preciso vocabolario, sia per la bellezza e l’espressività delle figure letterarie.
Nella scrittura si percepiscono, in maniera inequivocabile, il grande amore dell’autore per la poesia e la sua anima di poeta. Non amo i libri scritti con prosa facile o troppo banale. Mi piacciono gli autori che curano sia la forma che la trama del racconto e riescono a creare un equilibrio tra ciò che raccontano ed il modo con cui lo esprimono.
Passando al contenuto del libro, l’autore, proprio all’inizio, fa una dichiarazione di principio: “Vita non è solo ciò che sperimento tutti i giorni. Vita è tutto quello che mi passa per la mente”. In una mente inquieta, come quella dell’autore, dotata di grande curiosità e sensibilità, passano sicuramente molte cose, molte emozioni. [segue]

“Incontri”

elisabeth-e-cristina-27-02-2020Presentazione del libro di Elizabeth Green e Cristina Simonelli “Incontri”
Libreria Paoline – Via Garibaldi, 60
Cagliari giovedì 27 febbraio 2020 18.00
Intervengono:

Elizabeth E. Green
Pastore della Chiesa Battista e autrice del libro

Cristina Simonelli
Docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e autrice del libro

Introduce e coordina:

Michele Corona
Biblista
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Fuori luogo e fuori tempo
di Cristina Simonelli
in “Il Regno delle donne” – www.ilregno.it – del 13 febbraio 2020 [segue]

Per un possibile nuovo umanesimo

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Eguaglianza e democrazia

di Gianfranco Sabattini

Mai, come in questi ultimi anni, la democrazia ha dovuto affrontare l’aggravarsi del mai risolto problema della disuguaglianza; a questo tema Aldo Schiavone, dedica un ponderoso volume dal titolo: “Eguaglianza. Una nuova visione sul filo della storia”. L’autore inizia l’analisi partendo dai tempi dell’antica civiltà greca, dove tra il VI e il V secolo a.C. hanno incominciato a delinearsi i caratteri dell’uguaglianza, un concetto che, con la sua evoluzione, avrebbe improntato di sé gran parte della storia dell’intero Occidente, antico e moderno.
La prima riflessione intorno al concetto di uguaglianza è iniziata con la nascita della “polis”, ovvero con il costituirsi della prima forma di organizzazione politica che ha portato i cittadini “a stringere tra loro vincoli molto stretti, reciproci e paritari”, sino a sviluppare una socialità divenuta il “contesto di una peculiare gestione del potere”: la democrazia; ciò è valso ad affermare una generalizzata simmetria tra tutti i cittadini racchiusi nella polis, ma anche ad aprire un dibattito su quali fossero i limiti di questa condizione.
Il discorso sulla delimitazione del campo di applicazione dell’uguaglianza, sviluppatosi all’interno dell’organizzazione dell’antica città greca, ha preso una piega radicale, che ha assegnato all’uguaglianza un “carattere ‘naturale’” della condizione del cittadino; ma il fatto che tale carattere implicasse l’estensione dell’uguaglianza oltre i confini della polis ha impedito che il discorso fosse ulteriormente approfondito. Comunque, si è trattato di una problematica, quella insorta con il discorso intorno al concetto di uguaglianza e dei confini della sua applicazione, arrivata – sia pure in modo decontestualizzato – sino a noi, ma che, secondo Schiavone, “per l’essenzialità del suo contenuto, avrebbe finito col non abbandonare mai più la storia d’Europa e dell’Occidente”. La forza oggettiva del dibattito antico, che estendeva la condizione di uguaglianza a tutti gli esseri umani, è giunta infatti sino ai tempi moderni, inclusa la possibile estensione della cittadinanza oltre i confini della polis sino a ricomprendere l’intera specie umana.
Il discorso sulla condizione dell’uguaglianza e sulla sua estensione è stato ripreso, ma in tutt’altro modo indirizzato, sulle rive del Tevere, per via del fatto che la storia sociale e culturale di Roma – osserva Schiavone – si è sviluppata “in una direzione completamente diversa rispetto a quella greca”, a causa delle specificità connesse alla formazione e al consolidarsi di una differente struttura politica, al cui consolidamento ha avuto un peso decisivo l’azione di aristocrazie opulente e aggressive, che è valsa a fissare “un modello culturale e organizzativo centrato sulla figura solitaria del capostipite maschio, intorno al quale ruotava un intero sistema di subordinazioni e di scambi – economici e matrimoniali”.
La città ha così preso forma sulla base di un compromesso tra due distinte forme di potere: il primo, espresso, come presupposto, dalla situazione di preminenza dei singoli capi-gentes; il secondo, di natura politica, nascente dalla formazione di istituzioni incardinate prevalentemente su alcune forme assembleari. A tale compromesso tra le due forme di potere ha corrisposto una tipo di cittadinanza politica che garantiva – sostiene l’autore – “un suo fondo egualitario, nonostante l’evidente sbilanciamento oligarchico”. Si è trattato di una situazione che, a causa dei tale sbilanciamento, era successivamente destinata a mutare.
Il mutamento è stato reso possibile dalla profonda trasformazione culturale iniziata in Europa con l’Umanesimo e proseguita con il Rinascimento, i cui tratti esenziali hanno concorso a definire la cosiddetta modernità. Nel nuovo quadro mentale umanistico-rinascimentale, radicalmente diverso da quello della tradizione antica, è cambiata sostanzialmente, all’interno delle organizzazioni politiche, la “posizione dell’uomo”, la cui condizione ha cessato d’essere dettata “da un organico radicamento all’interno di reti familiari o di corpi civici agglutinati e vischiosi a causa delle gerarchie di status, dei legami (anche politici) comunitari, e della forza delle relazioni di parentela”; ciò ha reso possibile la formazione di un nuovo ambiente culturale e sociale all’interno del quale ha avuto inizio lo sviluppo di un nuovo discorso sull’uguaglianza, anche se ancora molto lontano da quello che prevarrà tra il XIX e il XX secolo.
Dal tardo Cinquecento e per tutto il Seicento, il concetto di uguaglianza ha continuato ad essere liberato dai residui feudali, sino a diventare, grazie al pensiero dell’Illuminismo francese del Settecento, l’idea centrale del discorso pubblico, dopo l’iniziale esperienza greca. Il ricupero della dimensione politica dell’uguaglianza è stato l’esito finale di molte convergenze, soprattutto di lungo periodo, culminate nell’impatto della Rivoluzione francese, prima, e della Rivoluzione Industriale, poi; ques’ultima, in particolare, ha contribuito ad affermare la connessione che, nella nascente organizzazione capitalistica della società, si è consolidata tra individuo e lavoro. E’ stato infatti il costituirsi del nuovo ambiente culturale e sociale formatosi dopo le due rivoluzioni (quella francese e quella industriale) che è stato possibile definire una nuova condizione umana dei singoli individui.
Si è trattato di una definizione che ha considerato l’uomo – afferma Schiavone – “come soggetto che innazitutto lavora, e lavorando definisce sé stesso, e insieme produce e acquisisce ricchezza (diventandone proprietario)”. E’ stata questa una specificità divenuta propria dell’individuo operante all’interno delle società industriali, formatesi tra il XIX e il XX secolo, “interamente costruite sulla base di rapporti di cooperazione conflittuale fra capitale e lavoro – e dunque segnate dalla lotta di classe che si sviluppava all’interno di contesti particolarmente complessi”. In questi contesti, l’idea di uguaglianza è venuta a configurarsi come una “grande questione sociale, in grado di coinvolgere interi popoli”; in altri termini, essa è diventata una questione legata alla centralità del lavoro, esenziale per il riconoscimento della dignità e dei diritti di ogni singolo soggetto. In questo senso, perciò, l’idea di uguaglianza è diventata, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, “l’icona ideologica dei contrasti, ma anche della capacità di emancipazione, di liberazione e di lotta sociale di un’intera epoca”.
E’ stato dunque all’interno delle società industriali che l’idea di uguaglianza si è legata alla “lotta di classe” teorizzata da Karl Marx, divenuta uno dei motori della storia di quelle società; una storia che ha avuto – nota Schiavone – un preludio nelle rivoluzioni del 1848, per raggiungere il “suo culmine con la Rivoluzione russa dell’ottobre 1917 e con la successiva instaurazione del comunismo in Russia”; un evento, quest’ultimo, che ha avuto come epilogo, circa settant’anni dopo la morte di Lenin, il crollo dell’URSS, determinato sostanzialmente dall’eccessivo autoritarismo della società sovietica, che era valso a restringere la libertà individuale e a negare i principi economici liberistici sui quali si erano affermate le società industriali.
Nel lungo periodo, al crollo del comunismo sovietico non è stato estraneo, tra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso, l’affermarsi di un paradigma organizzativo della socialità, alternativo a quello adottato dall’Unione Sovietica. Il nuovo paradigma ha implicato un’idea di uguaglianza diversa da quella che si era affermata con il pensiero marxista; si è trattato di una diversità che ha implicato – rileva Schiavone – una “sperimentazione politica e sociale di un modo flessibile ed espansivo di essere uguali [...], senza tuttavia immettere nella società dosi eccessive di coazione [...], e senza sovvertirne i fondamenti economici [liberistici]”.
Il nuovo contesto organizzativo della società è stato caratterizzato da un nesso stretto, formatosi dopo l’avvento del pensiero teorico di John Maynard Keynes e l’azione politica del socialismo democratico, tra “politica, democrazia e lavoro, fondato su un’idea di quest’ultimo come esperienza antropologica unificante e intrinsecamente ugualitaria, come carattere distintivo dell’umano”. Questo nuovo contesto sociale ha attribuito al soggetto-lavoratore la garanzia di “un miglior rapporto distributivo fra redditi di lavoro e redditi di capitale” ed ha anche consentito di realizzare un’identificazione del lavoratore con il cittadino: una garanzia che ha ampliato il significato del concetto di uguaglianza, “al di là del solo riconoscimento dei diritti politici, e della parità di fronte alla legge”; si è trattato di una garanzia che, non mettendo in dubbio la struttura capitalistica della società, ha assicurato la compensazione degli “squilibri, dal lato della distribuzione – attraverso la fiscalità e la spesa pubblica – sia sotto forma di aumenti salariali, sia di servizi collettivi, sia infine di ammortizzatori sociali e di sostegni economici individualizzati”. La forma istituzionalizzata di questa garanzia, però, racchiudeva in sé un limite, costituito dal fatto che tutte le società industriali democratiche correlassero le politiche di riequilibrio sociale a una forma di lavoro “storicamente determinato”.
Gli Stati sociali costruiti in Occidente dopo il secondo conflitto mondiale hanno subito, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, gli effetti destabilizzanti delle trasformazioni sociali seguite ai progressi tecnologici che hanno investito il mondo produttivo e distrutto i “presupposti materiali e ideali” sui quali erano stati costruiti “i paradigmi moderni di uguaglianza”; ciò ha aperto “la strada a nuove dismisure”, che hanno eroso “in modo irreversibile il retroterra sociale e culturale sul quale era stata costruita la moderna idea di uguaglianza”. La fine della società del lavoro ha dato origine – per Schiavone – a “un tremendo vuoto di identità al centro della tradizione occidentale”, che sta incrinando, dopo l’affievolimento del ruolo positivo svolto dal socialismo democratico, “la forza democratica dell’Occidente” e la sua capacità di rispondere alle sfide poste dall’insorgenza dei nuovi problemi.
A parere di Schiavone, rispetto alla nuova situazione venutasi a creare con la crisi della società del lavoro, la prospettiva che sembra delinearsi per il futuro “porta a superare l’idea di uguaglianza dalla forma storica e antropologica dell’individuale, con cui ha problematicamente convissuto per l’intera modernità”; un superamento, cioè, che porta a considerare l’uguaglianza non più come dimensione sociale insopprimibile dell’uomo in quanto singolo, né a tentare di superarla con una modello (dimostratosi fallimentare) di società collettiva, ma a una sua ridefinizione in funzione dell’individuo inteso come risultato del “dispiegarsi intrinsecamente oggettivo e intra-individuale del vivere umano nell’interezza della sua complessità”. Scegliere questa prospettiva – sottolinea Schiavone – non significa “immaginare di cancellare l’individualità dal nostro futuro”, significa solo, nella fase di crisi che sta attraversando l’Occidente, definire sul piano etico politico e giuridico la forma intra-individuale del soggetto, inteso “come prodotto storico” che può essere “messo in prospettiva, relativizzato, consapevolmente integrato in un processo più ampio”.
Ricondurre l’uguaglianza al carattere impersonale del soggetto intra-individuale può diventare, secondo Schiavone, l’obiettivo di una nuova epoca che, se governato in modo opportuno, può consentire di porre rimedio “alla dissoluzione delle strutture di classe delle vecchie società capitalistiche” e mettere in moto “ricomposizioni solidali dell’umano prima inconcepibili”, da cui possono “emergere elementi espansivi di oggettiva, impersonale uguaglianza, rispetto a ogni tipo di differenza individuale”.
Sarebbe questa, conclude Schiavone, una rivoluzione dell’impersonale, che darebbe luogo a un nuovo umanesimo, sulla base del quale cominciare a pensare a un nuovo “patto di uguaglianza, per salvare il futuro della democrazia; [...]. Un patto che sappia farsi programma politico [...], e parta non dalla parità degli individui, ma dall’illimitata eguale divisibilità della cose [...], da condividersi equamente fra tutti i viventi. Un patto stretto, non nel nome di una classe, o di un qualunque soggetto che per indicare sé stesso debba escludere altri dalla definizione [...], ma del comune umano come soggetto e come valore includente e globale”.
Quella che propone Schiavone è una proiezione condivisibile della struttura della società futura, all’interno della quale conciliare l’idea di uguaglianza con i caratteri dei moderni sistemi industriali; la edificazione di una tale società, però, come lo stesso Schiavone ricorda, richiederà “molta fatica e molto studio”, ma anche – va aggiunto – un forte impegno collettivo; un impegno che le democrazie attuali non sembrano disposte a volersi assumere, nonostante dispongano delle conoscenze necessarie per realizzare un nuovo umanesimo e ridefinire l’idea di uguaglianza sulla base del carattere impersonale del soggetto intra-individuale della società del futuro.

“Carlo Felice e i tiranni sabaudi” varca il mare: il 21 febbraio al Senato.

Carlo Felice feroce di F CasulaIl volume “Carlo Felice e i tiranni sabaudi” (Grafica del Parteolla) – arrivato alla 138esima presentazione – varca il mare.
Il 21 febbraio prossimo (inizio ore 10.30) sarà presentato a Roma nella Biblioteca del Senato (Piazzale della Minerva, 38).
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