Monthly Archives: febbraio 2019

Oggi

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Guardiamo al Canada

sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
canadaue-header-home-ceta_00Nella trattativa in corso per la definizione del prezzo del latte c’è un argomento scarsamente considerato nelle piattaforme in discussione. Mi riferisco alla possibilità di garantire l’espansione del mercato del pecorino ad altre realtà geografiche oltre il tradizionale mercato americano. Piuttosto che di dimenticanza credo si tratti di omertà degli esponenti del governo che si alternano nell’isola. Parlare di espansione dell’esportazioni, significa soprattutto parlare dell’accordo commerciale con il Canada (CETA) naufragato principalmente per la mancata adesione del Governo italiano. I pastori in lotta dovrebbero chiedere conto con forza e determinazione al ministro Centinaio, al vice premier Di Maio e al superministro Salvini della mancata adesione all’accordo CETA con il Canada, una autostrada commerciale che apriva prospettive concrete di sviluppo per il pecorino romano nel grande mercato canadese. I presupposti del CETA infatti erano ottimi. In estrema sintesi, questo strumento abbatteva i dazi doganali e riconosceva il valore giuridico delle produzioni “certificate” in Italia, tra le quali rientrava a pieno titolo il Pecorino Romano Dop. La scelta dell’Italia di non ratificare il trattato lo ha in pratica fatto saltare del tutto in quanto per la piena attuazione dello stesso era necessaria la ratifica da parte di tutti i paesi contraenti. Una bella responsabilità per questi esponenti politici e per l’associazione Coldiretti – anch’essa contraria al trattato – che oggi accorrono a piangere e portare solidarietà ai pastori e alle loro famiglie. Ciò è accaduto nonostante nel periodo di prova del CETA (in attesa della ratifica dei paesi contraenti) i dati registrati siano stati più che positivi. I primi rilevamenti sui risultati del trattato infatti avevano fatto registrare in un anno una crescita delle esportazioni verso il Canada dell’8 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e la possibilità di garantire 400 milioni di fatturato per le imprese italiane. Per la produzione casearia sarda la bocciatura dell’accordo da parte del governo è incomprensibile, quasi un autogol. Il Pecorino Sardo DOP, ma soprattutto il Pecorino Romano DOP, cominciavano infatti a sperimentare per la prima volta l’esportazione senza dazi doganali e le potenzialità del marchio di origine protetta nel commercio con il consumatore canadese. Dati provvisori del Consorzio del Pecorino Romano DOP certificavano che nei primi mesi del 2018 si era registrata una crescita del volume d’affari di circa 18 milioni di euro. Secondo i dati rilevati dall’Istat fino alla fine dello scorso anno il pecorino romano era il formaggio sardo preferito in Giappone, che ne importa più di 5mila quintali all’anno. Al secondo posto c’era il Canada che, grazie la CETA, stava rapidamente risalendo la classifica. Tra gennaio e marzo, quando cioè gli scambi erano già modulati secondo i dettami del CETA, le rilevazioni erano schizzate alle stelle mettendo a referto un aumento del 41,57 per cento del valore delle esportazioni e una crescita molto vicina al 24 per cento nelle quantità esportate, che nei primi tre mesi del 2018 sono state quantificate in 164 tonnellate. Durante i 31 giorni del gennaio 2018 il “peso” delle esportazioni del pecorino romano in Canada era cresciuto del 73,9 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un’impennata seconda solo a quella del valore dell’export sardo in Nord America, che a marzo era cresciuto del 83 per cento rispetto allo stesso mese del 2017.
 Non ratificare il CETA è stata una scelta scellerata di questo governo oltre che un danno enorme del quale i pastori, le loro famiglie e i sardi tutti dovranno tener conto e chiedere conto ai rappresentanti del governo che vengono ad offrire solidarietà e fantasiose soluzioni per accrescere il prezzo del latte. 
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Approfondimenti (su Aladinews del 19 luglio 2018): CETA. Il governo “naviga a vista” rischiando di andare a sbattere. 


Elezioni sarde

CSS loghettoSINDACADU DE SA NATZIONE SARDA – SINDACATO DELLA NAZIONE SARDA

APPELLO AGLI ELETTORI
La Confederazione Sindacale Sarda invita ad esprimere un voto libero e responsabile verso i Candidati Presidenti alle Prossime Elezioni del Consiglio Regionale della Sardegna.
Siamo ad una svolta per un possibile vero sviluppo della Sardegna se saremo capaci di abbandonare l’idea che la nostra crescita debba essere condizionata dai trasferimenti dall’esterno di beni e finanziamenti.
I sardi devono credere nel loro sviluppo, puntando tutto sulle proprie capacità materiali e immateriali.
La Sardegna può avviarsi verso un nuovo corso energetico sostenibile sul piano ambientale e sanitario, eliminando il ricorso a combustibili fossili (metano compreso), trasformandosi così in un esempio eccellente a livello internazionale.
La Confederazione Sindacale Sarda-CSS darà il proprio sostegno ai candidati delle liste che hanno partecipato alle lotte per una riforma sanitaria e socio-assistenziale vicina alla gente e ai territori, contro l’isolamento e e lo spopolamento causato dalle politiche che hanno privato i piccoli paesi dei servizi essenziali come le scuole, i servizi postali, gli sportelli bancari ed i trasporti.
L’indicazione di voto va a chi afferma il valore lo studio, l’insegnamento e la diffusione della storia della cultura e della lingua sarda insieme alla valorizzazione di tutto il patrimonio archeologico/museale/etnomusicale/enogastronomico e tradizionale della nostra isola, elementi indispensabili, insieme alla continuità territoriale dei trasporti da e per la Sardegna per una seria politica del Turismo.
La CSS invita a votare quei candidati che si sono spesi contro le servitù militari dei poligoni di morte e contro la fabbrica di bombe dell’RWM di Domusnovas-Iglesias di cui chiede da anni la riconversione a favore dei lavoratori e nel rispetto dell’ambiente e del territorio.
Non basta dichiararsi oggi dalla parte dei pastori e delle loro giuste rivendicazioni. Occorrono interventi strutturali per modificare l’intera filiera produttiva, restituendo ai pastori il diritto al libero conferimento del latte e la diversificazione dei prodotti da esso derivati. La vera svolta si avrà quando ai pastori ed agli agricoltori verrà riconosciuta anche in termini economici la figura di “sentinelle” e” custodi “dell’ambiente e del territorio.
Difendere e Rafforzare l’Autonomia Speciale della Sardegna è un diritto-dovere di tutti i sardi ed in particolare della classe politica che governerà la nostra isola. Occorre modificare ed aggiornare lo Statuto Sardo, implementandolo di maggiori poteri che prendono forza dall’essere Popolo e Nazione sarda.
Per questo obiettivo la CSS si è sempre battuta come Sindacato della Nazione Sarda, chiedendo alle forze politiche all’interno del Consiglio Regionale il proprio riconoscimento come Sindacato Sardo sulla base del diritto alla non discriminazione e alla non assimilazione alla pari delle altre OOSS.
L’auspicio è che la nuova classe politica che verrà eletta Domenica 24 febbraio sia all’altezza del proprio compito ed agisca per il bene del popolo e della Nazione Sarda in una Europa dei Popoli ed in un contesto internazionale dove la pace ed il rispetto dei diritti umani continuino ad essere i valori fondanti della nostra civiltà.

Cagliari, 19 maggio 2019. Il Segretario Generale della CSS Dr Giacomo Meloni

Elezioni

Chidecideraperlasardegna1L’unico voto utile è quello per la Sardegna [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto / 19 febbraio 2019/ Società & Politica/

Credevamo di essercene liberati, invece a ogni tornata elettorale rinasce il tormentone del voto utile. Sotto questa espressione che non concede repliche, finiscono nascosti i veri problemi che travagliano l’isola. È l’Hannibal ante portas reciproco che domina ogni dibattito. Voto utile a chi?
[segue]

Elezioni

elezioniIl CID Centro di Iniziativa Democratica da indicazione di voto per le Liste del Centro sinistra
Cari compagni, cari amici,
[segue]

Candidau istimau, Candidau a Presidente de sa Regione nostra

34daa360-827f-4fbc-b3bd-ce30f19e3115 Una bella litera de Michele Podda, poete in limba sarda. a sos Candidaos Presidentes, subra sa netzessidade de introduire in totu sas iscolas sa Limba sarda.
.
Candidau istimau, Candidau a Presidente de sa Regione nostra,
di Michele Podda.
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Internazionale. Europa, la via obbligata tedesca.

0ecfa689-09ef-41a3-8c87-3d06bdcb0a7bLa Germania in crisi d’identità

di Gianfranco Sabattini

“Limes” ha dedicato il numero di dicembre 2018 al problema delle crisi d’identità che attualmente sta attraversando la Bundesrepublik. Secondo l’Editoriale del periodico la Germania avverte che non può più fare affidamento sui tradizionali riferimenti esterni che dalla fine del secondo conflitto mondiale l’hanno protetta, facendola diventare una grande potenza mondiale, qual essa è attualmente; non solo non è più sicura di poter contare sullo scudo protettivo americano, ma neppure sui vantaggi che le ha assicurato, sul piano economico, l’intera area dell’Unione Europea.
Nel torno di tempo di quattro anni, dal 2013 al 2017. la Germania è stata chiamata a dover fare i conti con il cambiamento profondo intervenuto sul piano internazionale, ma anche con le conseguenze di alcune sue scelte recenti, compiute sul piano interno.
Sul piano esterno, in particolare, la Repubblica federale ha visto incrinarsi i rapporti con il suo tradizionale protettore, gli USA, sia a causa delle “intrusioni spionistiche” perpetrate ai suoi danni ai tempi della presidenza di Barak Obama, sia soprattutto con l’avvento di Donald Trump alla presidenza degli USA, che ha dato il la alla stagione dei rimproveri allo Stato tedesco d’essere un “concorrente sleale”, oltre che un profittatore, per aver scelto, dal dopoguerra, di “viaggiare a sbafo” sotto l’”ombrello protettivo” statunitense.
Sul piano interno, invece, la tradizionale quiete politica è stata interrotta dalla decisione della “Cancelliera di ferro”, Angela Merkel, di accogliere, dopo un accordo con la Turchia, un consistente numero di profughi (siriani, iracheni, afgani); decisione che, pur interrotta a seguito della reazione dell’opinione pubblica, è costata al governo tedesco, prima un accordo oneroso con la Turchia di Erdogan e, successivamente, la disaffezione di molti elettori dal partito della Merkel, con la conseguente sconfitta elettorale della CDU nel 2017, cui si è aggiunta l’affermazione di formazioni partitiche portatrici di spinte xenofobiche, che hanno oltremodo reso difficoltose le trattative per la formazione di una nuova coalizione governativa.
Tutto ciò è accaduto mentre l’economia dell’Unione Europea stenta a superare le conseguenze della crisi iniziata nel 2007/2008, nella prospettiva del pericolo che una nuova possibile recessione possa peggiorare anche in Germania il livello di benessere raggiunto nei primi trent’anni successivi al dopoguerra; un pericolo, questo, che è valso a “togliere il sonno” all’establishment tedesco, per la paura che la nuova crisi possa lambire ed erodere la validità dell’ideologia ordoliberista, con cui la Germania, negli anni più bui della Grande Recessione, aveva potuto trattare dall’alto della forza e della stabilità del suo sistema politico-economico, i Paesi membri dell’area-euro in crisi, arrivando a prescrivere, nel loro presunto interesse, severi “compiti a casa”, perché potessero riequlibrare i loro conti pubblici in dissesto. Le prescrizioni sono valse ad imporre all’area comunitaria una controproducente austerità che, anziché consentire la “messa in ordine” dei conti pubblici dei Paesi maggiormente in crisi, hanno invece concorso a creare la paura che la nuova possibile recessione possa colpire anche la stessa Germania.
Il pericolo che la forza del proprio sistema economico possa essere compromessa dall’indebolimento dei flussi delle esportazioni verso il resto del mondo, congiuntamente al deterioramento dei tradizionali rapporti con gli USA e dei rapporti politici interni, “spinge” ora la Germania ad interrogarsi sul motivo per cui essa non dispone di una politica estera autonoma, adatta a garantire i propri interessi sul piano internazionale; ciò in considerazione del fatto che l’economia tedesca ha proprio nella componente estera la base della forza economico-politica che le ha consentito di svolgere un crescente ruolo di importante attore, non solo a livello globale, ma anche e soprattutto, a livello di Unione Europea. Sul piano internazionale, l’erosione della garanzia americana costituisce il fatto che maggiormente disvela la insostenibilità che il suo “gigantismo economico” non sia presidiato da un’adeguata politica estera.
Sull’argomento, l’establishment tedesco ha mostrato nel passato una tendenziale indifferenza che, a parere di Maximilian Terhalle, lettore presso il dipartimento di Politica e società dell’Università di Winchester, nell’articolo “Senza strategia la potenza è un guscio vuoto” (Limes, n. 12/2019), è riconducibile a due ordini di motivi. Innanzitutto, questa indifferenza andrebbe ricollegata al fatto che nei decenni passati, la riflessione sull’argomento della disponibilità di una politica estera autonoma, da parte della classe dirigente germanica, si è sostanziata in un atteggiamento passivo e remissivo, del tutto inadatto a un Paese che, negli anni, ha aumentato di continuo la propria forza economica. In secondo luogo, l’indifferenza dipenderebbe dalla circostanza che alla stessa classe dirigente ha fatto difetto una realistica “comprensione dei fondamenti geopolitici su cui riposano la prosperità economica e la sicurezza militare”.
Da qui ora deriva, per l’establishment tedesco, la propensione ad interrogarsi su come il livello di benessere raggiunto, l’autonomia decisionale e il prestigio acquisiti dal proprio Paese a livello internazionale possano essere assicurati nel futuro. Il contrasto “con la profonda preoccupazione dei tedeschi per il futuro dell’ordine liberale mondiale – afferma Terhalle – non potrebbe essere più ironico” e indicativo dell’attuale crisi d’identità della quale è vittima la Germania.
A prescindere dai limiti coi quali la Merkel ha tentato di opporsi alla strategia isolazionista e protezionista della politica estera di Trump, ciò che stupisce gli analisti delle relazioni internazionali è la tendenza della Germania a trascurare di valutare la necessità che la propria sicurezza e quella europea debbano essere determinate in funzione della dinamica delle relazioni tra i principali competitori globali, quali sono gli Stati Uniti, la Cina e la Russia. Di fronte ai possibili sviluppi di queste relazioni, gli analisi osservano che sia ora imprescindibile, per la Germania, comprendere quali possano essere, in termini strategici, gli “obiettivi fondamentali di Washington”; in particolare, essa, a parere di Terhalle – deve valutare come “l’America intenda adattarsi ai profondi cambiamenti dell’ordine da essa ha costruito e sin qui presieduto”, tenendo conto che in estremo Oriente la Cina esprime l’insidia preminente alla salvaguardia degli interessi tedeschi.
Due sono gli sviluppi possibili delle dinamiche delle relazioni tra gli USA e la Repubblica Popolare Cinese; dinamiche da considerate congiuntamente, perché trascurarne “le interconnessioni impedirebbe di coglierne appieno la complessità”.
Il primo sviluppo possibile è corroborato dalla complessità della situazione che sta prendendo corpo nell’area estremo-orientale Orientale, per iniziativa della Cina e del suo attuale Presidente Xi Jinping. Il riarmo che la Cina persegue, nonché la sistematica costruzione delle “Vie della Seta”, congiuntamente alla costruzione di basi militari su isole artificiali o naturali (occupate, queste ultime, con la forza in spregio della sovranità territoriale dei Paesi vicini) aumenta di molto la probabilità che scatti la “trappola di Tucidide” della quale parla Graham Allison, rendendo assai probabile l’inizio di un conflitto con gli USA.
Di fronte a un simile evento, gli analisti delle relazioni internazionali si interrogano sul perché gli strateghi tedeschi non si pongano il problema di capire quali possano essere le probabili intenzioni della Russia; ciò, al fine di valutare l’eventuale decisione di Mosca di aggredire il fianco orientale della NATO, nel momento in cui l’America è impegnata col suo massimo competitore estremo-orientale.
Il secondo sviluppo possibile delle dinamiche delle realzioni internazionali (che potrebbe precedere il primo o procedere di pari passo con esso) è sempre legato al confronto-scontro degli USA con la Cina; Washington, ad esempio, potrebbe decidere che, per “regolare i conti” con Pechino, sia meglio – come afferma Terhalle – “cercare un accordo con la Russia, spingendola a rompere con la Cina e a isolarla”. Si tratterebbe – secondo Terhalle – di rovesciare “la ratio strategica sottostante l’apertura di Nixon alla Cina negli anni Settanta”, peraltro gia oggetto di discussione all’interno di alcuni circoli politici statunitensi.
Questi possibili sviluppi delle relazioni internazionali non sono stati sinora oggetto di riflessione a Berlino; il che è grave, perché, soprattutto se dovesse verificarsi il secondo, esso varrebbe ad esporre l’Europa (non solo la Germania) al ricatto della Russia; infatti, nel caso di un accordo tra Washington e Mosca, è da considerarsi verosimile che l’America chieda alla Russia di “rompere” con la Cina, fornendo a l’opportunità di pretendere un più ampio “margine di manovra nel suo ‘estero vicino europeo’”, obiettivo che motiva costantemente la politica aggressiva di Putin. Tra l’altro, un accordo di Washington con Mosca consentirebbe ad entrambi di ostacolare, per motivi economici ed extraeconomici, il processo di integrazione europea, indebolendo, più di quanto non lo siano di già oggi, le capacità negoziali dei Paesi membri dell’Unione Europea nei loro confronti.
I possibili scenari in grado di caratterizzare lo stato futuro del mondo potranno anche indurre qualcuno a ritenerli eccessivamente visionari; tuttavia, ignorare la possibilità che essi si verifichino, solo perché sgraditi, non farà sparire i problemi che oggi agitano il mondo; perciò, se si vogliono evitare gli esiti sfavorevoli connessi al verificarsi di quei scenari, occorre che la Germania innanzitutto (per il “peso” della sua forza economica e politica che essa può fare valere sulla scena internazionale), ma anche i restanti Paesi dell’Unione Europea compiano delle scelte, nell’interesse dell’Europa e di quello proprio. Ma quali scelte?
In particolare, sul piano delle sicurezza, non solo militare, la Germania dovrà rimuovere presso i Paesi amici e alleati (esterni ed interni all’Unione) il convincimento d’essere un Paese parassitario, che deve i sui successi a spese degli altri partner; l’establishment tedesco deve convincersi, come afferma Cristopb von Marshall, in “Il ritorno della potenza” (Limes, n. 12/2018), che il proprio Paese, dovrà attuare necessariamente “qualche cambiamento nella sua politica estera”, non solo sul piano della difesa militare, ma anche su quello strettamente economico, se vorrà evitare che l’ordine internazionale fondato sul libero scambio (presupposto del livello di benessere e del prestigio globale raggiunti) possa venire meno; in altri termini, la Germania dovrà abbandonare la politica di equidistanza, cui spesso (sotto la spinta di frange sia di destra che di sinistra) tende a propendere, nella certezza che Cina e Russia (e ora, per certi aspetti, persino l’America) non sono tra i più fervidi sostenitori della logica sottostante il regime di libero scambio a livello internazionale.
La Bundesrepublik, quindi, con i cambiamenti della propria politica estera dovrebbe dare “profondità strategica” alla propria azione; a tal fine, in primo luogo – come afferma Dario Fabbri in “Una strategia per la Germania” (Limes, n. 12/2018) – “dovrebbe attivarsi per garantire la sopravvivenza dell’eurozona”, abbandonando il “suo moralistico approccio alle relazioni intraeuropee, fondato sulla bizzarra distinzione tra nazioni probe e scorrette”; ciò, nella consapevolezza che essa (la Bundesrepublik), sprovvista com’è di un mercato interno in grado di assicurare l’intero assorbimento della propria produzione industriale, ha bisogno che la propria politica monetaria assicuri ai Paesi dell’Unione Europea un potere d’acquisto sufficiente a “consumare” il suo export.
In secondo luogo, la Bundesrepublik, proprio per garantirsi un mercato interno, dovrebbe “impegnarsi a diffondere denaro” nel sistema comunitario, “smettendo il tono protocollare adottato nei confronti degli altri Stati membri [...], per adottare il tipico atteggiamento dell’egemone, benevolo nei confronti delle deficienze altrui perché di rango superiore”. Ciò comporterebbe che, anziché minacciare di sanzioni i Paesi che violano i parametri concordati di equilibrio dei propri conti pubblici, o di minacciare di estromettere dall’area-euro i Paesi membri poco virtuosi, la Germania, al contrario, dovrebbe decidere di “accollarsi una frazione del loro debito”, garantendone sui mercati finanziari la solvibilità.
Se Berlino non opererà nel breve periodo delle scelte idonee a salvaguardare il futuro dell’Unione Europea, correrà il rischio d’essere travolta per quanto non ha saputo o voluto intraprendere, al fine di tutelare, assieme agli altri partner europei, anche se stessa, esponendo l’intera Europa al pericolo d’essere costretta a subire gli effetti negativi delle dinamiche delle relazioni in corso di svolgimento tra i principali competitori globali. Nel caso in cui il pericolo dovesse prendere corpo, la Germania e l’intera Europa dovrebbero “reinventarsi” un proprio ruolo, da posizioni nettamente peggiori di quelle attuali: prive di ogni capacità difensiva, esse sarebbero costrette a vivere e a subire una crisi del loro stesso modello culturale.
Di fronte a questa grigia prospettiva, la tenuta dell’Unione Europea deve rappresentare, soprattutto per la Germania, la principale priorità; essa dovrà adoperarsi per un ulteriore approfondimento dell’integrazione (dopo aver concorso a consolidare le situazioni economiche di tutti i Paesi membri) nei campi dove attualmente l’Unione è più carente, come quello della difesa comune.
In conclusione, la Germania, abbandonando l’attuale stato d’incertezza riguardo al proprio ruolo in Europa e nel mondo, dovrà adottare una nuova politica estera; una politica che, pur non potendo esercitare un ruolo primario a livello globale, possa assicurare, se liberata dalle prevenzioni sinora prevalse ai danni degli altri partner europei, una valida strategia di difesa nell’interessi di tutti.
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Oggi martedì 19 febbraio 2019

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x21111321e5b-e74c-4969-9968-0a44e1a8a0217fe0c287-1d52-4f4e-8451-2a5f7e5e6268Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014137bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2sdgs-make-europe-sustainable-for-all-300x208universita_cultura_e_sapere2ape-innovativa
————-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Il M5S sorprende ancora!
19 Febbraio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
A me nella procedura avviata dal Tribunale dei Ministri ciò che sorprende non è che il M5S abbia con una consultazione espresso un giudizio sul carattere assorbente dell’aspetto politico nella vicenda, ma che il gruppo dirigente pentastellato abbia messo ai voti fra i propri iscritti la sottoposizione a processo del Presidente del Consiglio dei Ministri […]
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La Lega vuole i voti del Sud e la secessione per il nord ricco
19 Febbraio 2019
Alfiero Grandi, su Democraziaoggi.
Pubblichiamo questo post di Alfiero Grandi con l’allegato appello da sottoscrivere, con alcune precisazioni, già fatte in questo blog anche nei giorni scorsi: la prima è che la procedura in corso è formalmente in armonia con la Costituzione, essendo prevista dall’art. 116, comma 3 Cost., di padre e madre non leghisti, ma figlio della […]
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Che succede?

c3dem_banner_04EUROPA, LA RAGIONE IN SONNO
18 Febbraio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Maurizio Ferrera, sul Corriere, offre una visione d’insieme della sbandata in corso nei paesi europei: “La ragione in sonno dell’Europa”. Ian Buruma: “Brexit, a occhi aperti sul baratro” (Repubblica). La studiosa francese Dina Porat: “Ai populisti l’antisemitismo serve per creare consenso” (La Stampa). Ancora sul Corriere Francesco Giavazzi avverte: “Non sparate su Bankitalia”. La previsione di Paolo Gentiloni: “Su Salvini balletto indegno ma i 5 stelle imploderanno” (a Repubblica). Marco Lillo, “Il Movimento e i migranti. La svolta a destra nel 2013” (Il Fatto). Silvio Buzzanca racconta: “La nuova sinistra di Speranza parte dalla parola socialismo” (Corriere della sera).
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LA CEI CRITICA LE INTESE SULLE AUTONOMIE DIFFERENZIATE
18 Febbraio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Mons. Filippo Santoro, che presiede la commissione lavoro e problemi sociali della Cei, critica nettamente le intese sul regionalismo differenziato: “E’ un progetto che spacca l’Italia e rischia di svuotare la capitale” (intervista al Messaggero). Critici anche Sergio Rizzo su Repubblica (“La secessione strisciante”) e Mauro Calise sul Mattino (“Autonomia, riforma costituzionale mascherata”).

Candidau istimau, Candidau a Presidente de sa Regione nostra.

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Candidau istimau, Candidau a Presidente de sa Regione nostra,

di Michele Podda,

a perdonare si ti dao istrobbu in custa casione de impinnu e contipizu, ma narrer ti lu depo. SA LIMBA SARDA, de custu ti cheria dimandare a facher carchi cosa, da chi tue podes esser, cando a deghe dies, su chi at aer in possa su Guvernu de totu sos Sardos.
M’as a narrer chi jai bi nd’at aer ateru de pessare, si no a sa limba: zovanos chene triballu e ateros fuindesinde; zente manna chi totu in d-unu s’azzapan chene triballu e chene pensione tenende puru familiedda; operas chene dissinias e ateras chene mancu comizzadas; biddas intreas isparindesiche dassande domos boidas carrigas de amentos e de istoria; e tando su pastoriu, cussa zenia de Sardos chi semus totus, ca tue puru che a mie ses naschidu dae sa erbeghe, e bi ses creschiu e fatu a mannu, ca sa Sardinna est da issa chi s’est mantesa semper libera, binta o binchidora chi esseret.

Zustu tando, pessa prima a su pastoriu, a totu sos Sardos chi sun in apretu; ma chene dassare cussu, dae una betada ‘e ocru puru a sa limba sarda, ca cussa puru est che a sa erbeghe etotu, ca nos at pesau dae minores totu cantos, ca cussa fit sa limba de mamas nostras, e de babbos, jajos e jajas, mannois e babbais, e de totu sos mannos de milli e mill’annos. Si tue cumandas, ater podet facher s’ordiminzu, su dovere chi tocat po non che la dassare morrer, ca jai l’ischis chi est dae tempus meda chi non campat e nen morit, continu a filipende. Tue cumanda, dae s’ordine chi dae ocannu, DERETU in su mese ‘e capidanni, in donzi iscola de Sardinna bi siat unu argumentu novu: LIMBA SARDA. Totu cantos, dae sa materna a sas iscolas artas, sos pizzinnos minores o mannitos chi sian, TOTUS ISTUDIEN DE OBBRIGU SA LIMBA SARDA.

M’as a narrer chi non solu sos Sardos ma puru sa limba nois la tenimus a trabessu, cumente sas chentu concas … NO EST ABBERU, tenimus una limba solu, mantesa in donzi bidda, cadiuna cun su colore suo ma semper sa matessi, ca semper sos sardos l’an chistionà e si cumprendian a pare unu cun s’ateru, in Capu ‘e Susu e in Capu ‘e Josso, innubesisiat. E tando non bi nd’at ite irballiare: in s’iscola s’imparat SA LIMBA DE MAMA, cumente faghen in totu su mundu. Apusti de annos si podet mezorare, currezire, cambiare carchi cosa, ma si non si comizzat non si faghet nudda, e sa limba si ch’andat.

M’as a torrare chi cheret dinare meda, chi sos de Roma no l’aprobban e chi cheret mastros novos chi si depen istruire issos puru …NO EST ABBERU, nd’agatas cantu nde cheres, in donzi bidda, in s’iscola etotu, in sas familias de sos pizzinnos; nd’agatas mannos e bonos, cumente li ruet. Si tenes bolontade prova, arriscu de dannos non bi nd’at; como lu podes promiter, tando apustis intrau a Presidente lu faghes e as a bier chi totus, TOTU SOS SARDOS po custu t’an a torrare grassias, como etotu e semper, ca custa cosa, amentatilu, at a abbarrare in s’istoria de Sardinna.

Pro unu cussizu ti doe custu libritu “Su sardu totunu” iscritu cun sa mente ma galu prus cun su coro; ma si b’at bisonzu deo puru, e ateros mille istudiaos e capassos, semus a cumandu tuo po dare una manu ‘e azudu.

E tando promiti e mantene, e pone in parte puru sos ateros Candidaos a Presidente, ca PARIS SI FAGHET PRUS E MENZUS, po sa Sardinna.

Oggi lunedì 18 febbraio 2019

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x21111321e5b-e74c-4969-9968-0a44e1a8a0217fe0c287-1d52-4f4e-8451-2a5f7e5e6268Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413serieta-signori7bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2pablo-e-amiche-sardegna-150x150serpi-2sdgs-make-europe-sustainable-for-all-300x208universita_cultura_e_sapere2ape-innovativa
————-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Aggittoriu! Siamo alla fascistizzazione gialla dello Stato! Si può prendere un caffè con un grillino?
disperazione Aladin17 Febbraio 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
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sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300Pastorizia: resiste da millenni eppure i pastori perdono 14 centesimi a litro. Costa più l’acqua del latte. In Sardegna non possiamo non dichiararci tutti pastori!
18 Febbraio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Di latte e di diversificazione, ancora una volta [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto/15 febbraio 2019/ Economia & Lavoro/
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bandiera-SardegnaEuropa1
ELEZIONI EUROPEE lo spartiacque della politica italiana
di Roberta Carlini, su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Che succede?

serieta-signoric3dem_banner_04IL GOVERNO CHE NON GOVERNA
17 Febbraio 2019 by Forcesi | Su C3dem.
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Un’analisi severa del governo gialloverde: Sabino Cassese, “Il motore inceppato” (Corriere della sera). Sargio Fabbrini, “Un paese che non cresce non può proteggere” (Sole 24 ore). Romano Prodi, “Italia isolata in Europa, e la Spagna le ruba il ruolo” (Messaggero). Guido Tabellini, “Italia peggio del 2011” (Il Foglio). Andrea Manzella, “Il Parlamento come antidoto al veleno” (Repubblica). Federico Geremicca, “Le istituzioni che frenano i gialloverdi” (La Stampa). Stefano Passigli, “I ministri non sono al di sopra della legge” (Corriere della sera). Paolo Lambruschi, “Accolti e accoglienti: è l’altra Italia” (Avvenire). Massimo Calvi, “I giovani ci scuotono” (Avvenire). Luca Gambardella, “Il Mediterraneo tra Italia Libia e Malta ora è un buco nero” (Il Foglio). Il debutto dell’erede di Angela Merkel, Annegret Kramp-Karrenbauer: “Giusto tenere i confini aperti” (intervista a La Stampa). Pier Carlo Padoan, “Serve un assegno universale per i figli” (intervista all’Avvenire).
lampadadialadmicromicro133Riprendiamo il passaggio finale dell’intervista a Pier Carlo Padoan. Contiene una riflessione positiva, in larga parte condivisibile, laddove sostiene addirittura il vero “reddito di cittadinanza”, cioè quello universale e incondizionato. Distante anni luce dalle bischerate e dalle posizione strumentali che uniscono il Pd di Renzi alla destra italiana (Forza Italia e Fratelli d’Italia in primis) decisamente contro ogni forma di reddito di cittadinanza, a partire da quella assai blanda varata dal Governo Conte su impulso del M5S. Ecco il passaggio dell’intervista del giornale cattolico a Padoan. Domanda. “A proposito dei problemi di inclusione, il Reddito di cittadinanza incorporerà di fatto il Rei. Giusto mettere lì 9 miliardi?” Risposta.
“La vera arma contro la disuguaglianza è il lavoro, non i sussidi. Per aiutare le famiglie e le imprese, oltre al Rei, lo strumento più appropriato, i 9 miliardi li destinerei a un assegno universale per i figli, cui avrebbero diritto anche i lavoratori autonomi e gli incapienti. L’Italia ha un enorme problema demografico: è un Paese che invecchia e anche per questo non può crescere. Sarebbe uno strumento inclusivo che ridarebbe fiducia a imprese e famiglie.”

Giordano Bruno

“Quei che manco intendono,
credono di sapere di più,
e quei che sono del tutto pazzi,
pensano di sapere tutto.”
[Giordano Bruno,
messo al rogo dall'inquisizione della Chiesa cattolica
il 17 febbraio del 1600]
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Fece la fine de l’abbacchio ar forno
perché credeva ar libbero pensiero,
perché si un prete je diceva: – E’ vero -
lui risponneva: – Nun è vero un corno! -

Co’ quel’idee, s’intenne, l’abbruciorno,
pe’ via ch’er Papa, allora, era severo,
mannava le scommuniche davero
e er boja stava all’ordine der giorno.

Adesso so’ antri tempi! Co’ l’affare
ch’er libbero pensiero sta a cavallo
nessuno pô fa’ più quer che je pare.

In oggi, co’ lo spirito moderno,
se a un Papa je criccasse d’abbruciallo
pijerebbe l’accordi còr Governo
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 Trilussa

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- Su Aladinews del 17 febbraio 2013.
Giordano Bruno. Il 17 febbraio 1600 un frate domenicano, filosofo, fu portato a Campo dei Fiori a Roma, con un chiodo sulla lingua perchè non potesse parlare, legato ad un palo e fatto bruciare vivo.
In quel periodo a Roma comandava il papa Clemente VIII.
Il cardinale inquisitore era Roberto Bellarmino, che la Chiesa Cattolica ha proclamato santo.
Il 18 febbraio 2000 Giovanni Paolo II ha espresso “rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno”.
GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014131 Piero [rubrica gli occhiali di Piero] su Aladinews del 17 febbraio 2013.

Europa, Europa!

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ELEZIONI EUROPEE
lo spartiacque della politica italiana

di Roberta Carlini, su Rocca.

«Se ne parlerà dopo le Europee». Che sia la manovra-bis, la resa dei conti tra gli alleati di governo, la Tav, le trivelle nel mare, le nomine o qualsiasi altra cosa importante ma spinosa per la vita politica italiana, è frequente sentire il rinvio a dopo la fatidica data, il 26 maggio. Invece per altre scelte, importanti ma portatrici di consenso, la dinamica è stata opposta: un’accelerazione, spesso con sfida al buon senso e alle capacità dell’amministrazione, per arrivare prima delle Europee. È il caso del reddito di cittadinanza, la cui entrata in vigore è stata accelerata e forzata, senza tener conto dei problemi dell’amministrazione, della mancanza di personale nei centri, e di altre carenze che potrebbero mettere a rischio tutta la tenuta del sistema congegnato con quella legge: si vuole far arrivare qualcosa – almeno una promessa formale – nelle case dei più poveri entro la data del voto.

aspettando le Europee
Le Europee sono dunque diventate lo spartiacque della politica italiana, a solo un anno dalla grande svolta che ha mandato in pensione i partiti tradizionali della destra e della sinistra e lanciato l’inedita e imprevista alleanza tra la destra naziona-
lista della Lega e il movimentismo populista, che si dice «né di destra né di sinistra», del M5S. Un’alleanza che finora ha premiato l’astro sorgente di Salvini e la sua Lega, e penalizzato il primo e più giovane partito italiano, adesso guidato da Di Maio. Alle Europee, tra le tante cose, si misure- rà anche la tenuta di questa alleanza, che è così deteriorata, dopo soli nove mesi di governo, che qualcuno pensa che potrebbe anche deflagrare prima del 26 maggio. Tutto ruota attorno al voto con cui manderemo i nostri rappresentanti a Bruxelles: strano destino, per due partiti che sono contro l’Europa, che fanno campagna, con diverse ma convergenti motivazioni, contro la burocrazia di Bruxelles ma anche le sue istituzioni; che volevano uscire dall’euro, salvo rimangiarsi questi fieri propositi nel fotofinish della campagna elettorale; che hanno impostato tutta la loro prima manovra economica sulla sfida ai limiti e ai paletti della Commissione europea, anche qui poi rimangiandosi la dichiarazione di guerra; che attribuiscono all’Europa anche tutte le colpe dell’arrivo dei migranti, oltre che dello scaricabarile sull’immigrazione ai danni dell’Italia.
Si dirà: proprio per questo le elezioni europee sono importanti, i nostri partiti di governo, protagonisti di una rivoluzione nell’atteggiamento dell’Italia rispetto all’Europa, vogliono conquistare l’Unione per cambiarla. Aprirla come una scatoletta di tonno, per seguire l’immagine usata dai Cinque Stelle per il parlamento italiano. Ma allora diventa determinante sapere come, e con chi. Ma purtroppo più di un indizio porta a credere che né Lega né Cinque Stelle sappiamo come vogliono cambiare la politica e le istituzioni dell’Unione Europea, e soprattutto con quali alleanze.

euro sì euro no!
Una cosa è chiara. Anche per queste elezioni, la bandiera della lira non tornerà. Per quanto rimanga negli argomenti dei nostri attuali governanti, e soprattutto nell’umore di una fascia anziana dei loro elettori, l’idea che il declino italiano sia iniziato venti anni fa con l’euro, e che con la vecchia lira e le relative svalutazioni ricorrenti staremmo tutti meglio, pare proprio che questo argomento non sia destinato a diventare tema di campagna elettorale. Ed è un peccato: confinato nel limbo del «vorrei ma non posso», per i costi legati alle turbolenze sui mercati e a una transizione che non prevede regole certe, l’argomento continua ad aleggiare nell’aria, senza essere seriamente discusso ed even- tualmente demolito. Invece sarebbe bene,
e a questo punto della storia possibile, tracciare un bilancio dei benefici che la moneta unica ha portato – in primis, con l’entrata in un’area di stabilità monetaria e bassi tassi di interesse, cruciali per un Paese che ha da pagare una montagna di debiti – e dei costi economici, politici e sociali pagati negli ultimi anni per l’adesione all’area e alla politica dell’Eurogruppo. Si potrebbe distinguere la moneta dalle politiche che l’hanno governata; capire chi sarebbe beneficiato, e chi punito, da un cambiamento dell’una e delle altre; insomma discutere laicamente e non nel generico chiacchiericcio che alimenta lo scontento ma non cerca né trova soluzioni.
bilanci nazionali e bilancio europeo
Se l’euro resterà fuori dalla campagna elettorale, saranno però ben presenti altri temi economici: a partire, per l’Italia, dall’osservazione e i vincoli di Bruxelles sui bilanci nazionali; per passare poi al bilancio europeo, quello che potrebbe essere destinato a una politica comune, adesso microscopico e oggetto di proposte di riforma. E sarà presente il grande tema dell’immigrazione, quello su cui davvero l’Unione ha fallito, non riuscendo a dare una risposta comune e solidale a una pressione migratoria che è sì crescente ma ancora in proporzioni gestibili per un continente esteso, potente e ricco come quello in cui viviamo.

contro l’austerità, ma come?
Sulla politica di bilancio, sia pure in modo confuso e contraddittorio, è abbastanza chiara la visione gialloverde: è contro l’austerità, la linea di rigore sui conti imposta da Bruxelles che è tra le cause, dicono, dell’impoverimento e della precarietà della vita degli italiani. Senza discutere qui nel merito di questa connessione (se ne è parlato tante volte, anche su Rocca, e quel che si può dire ora è che in molti ambienti mainstream, e anche nella stessa presidenza della Commissione, si sono diffuse la critica e l’autocritica per la politica dell’austerità europea negli anni più duri della crisi), certo è che con questa linea i due partiti interpretano il mandato e il messaggio che hanno avuto dal moto di popolo che li ha portati al governo.
Ma adesso che al governo dell’Italia ci sono da un po’, e aspirano a conquistare la maggioranza politica in Europa, è tempo di dire: con quali proposte? Tra i critici dell’austerità così come decisa e interpretata dall’élite europea degli anni Dieci, c’è chi chiede più flessibilità e discrezionalità dei bilanci nazionali, chi un rafforzamento di quello europeo, che passo dopo passo porti a un vero e proprio bilancio federale. Per natura, cultura e storia, né i Cinque Stelle né la Lega ambiscono a un bilancio europeo: la seconda è federalista in casa propria, ma non certo per l’Europa. Nella loro sfida sulla manovra italiana, nei giorni più caldi dello scontro con la Commissione, i governanti italiani hanno detto più o meno apertamente: tanto a maggio cambia tutto, Juncker e soci hanno i mesi contati. Ma in una nuova Commissione «sovranista» gli interessi dei Paesi come l’Italia, che chiederà ancora più flessibilità e ricorso al deficit, saranno più tutelati?

e con quali alleati?
Tutto fa pensare di no. Spesso nelle discussioni sulla tenuta dei conti italiani i «falchi» più agguerriti sono stati proprio i rappresentanti dei governi più vicini all’attuale maggioranza di governo, a partire dalla destra nazionalista del «gruppo di Visegrad» (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia). Non è un caso, ma la conseguenza di quello che è un paradosso logico: l’alleanza tra sovranisti, o tra nazionalisti, si può fare su un obiettivo comunque, possibilmente esterno. Ma appena c’è una posta in gioco comune, ecco che ognuno penserà solo a massimizzare il proprio vantaggio nazionale, a scapito degli altri. Il ministro ceco sarà pure più vicino, per cultura politica e nostalgie nazionaliste, al suo omologo italiano; ma, per quanto riguarda i cordoni della borsa, trova più simpatia con il collega di tavolo tedesco, della cui ortodossia monetaria si sente parte. La falla logica di un «patto» tra nazionalisti è già emersa, in tutta la sua evidenza, a ogni sbarco e discussione sull’immigrazione, con gli alleati di Salvini in prima linea nel negare ogni possibilità di farsi carico, anche in piccolissima parte, dei problemi che si presentano sulla costa italiana. Senza alcuna contropartita sulla condivisione dei problemi italiani, Salvini sta consegnando il suo partito (e, probabilmente, tutto il centrodestra se lo seguirà) a una compagnia politica che in alcuni Paesi – Polonia e Ungheria – è già sotto accusa per la violazione dei diritti politici e democratici fondamentali. Ma almeno la Lega – che non sa bene cosa vuole fare dell’Europa – sa con chi vuole allearsi. I Cinque Stelle invece non sanno né cosa né con chi. Né è prova la casuale e sconclusionata ricerca di alleati, che è passata all’inizio dalla destra nazionalista inglese di Nigel Farage agli ipereuropeisti del gruppo Alde (Alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa, nel cui gruppo nel Parlamento europeo i Cinque Stelle chiesero, a un certo punto, di entrare, ricevendo in risposta un sonoro «no»), fino ad approdare tra pezzi sparsi dei Gilet Gialli francesi, realtà sociale interessante e turbolenta ma senza ancora alcuna strutturazione né chiara visione politica. Finora la cosa più chiara che i Cinque Stelle hanno detto sulle elezioni è che vogliono abolire la sede di Strasburgo del Parlamento europeo, perché inutile e costosa, concentrando tutti i lavori sulla sede di Bruxelles: un po’ poco, per un movimento che vorrebbe scrivere un’altra storia dell’Europa partendo dal basso, dai cittadini e dalla democrazia diretta.
Le settimane che ci separano dal voto europeo sono ancora lunghe. Converrà passarle guardando bene a tutte le dichiarazioni, frasi, impegni, indizi su cosa davvero potrà succedere nella politica europea, piuttosto che restare chiusi in quella italiana.
Roberta Carlini
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Cattolici e Politica. Il dibattito galoppa

rocca-5-2019-mini_01b3124d6a-2a1f-4b60-8241-adfa5813e279 DIBATTITI. Un nuovo partito dei cattolici?.
lampadadialadmicromicro133 Articoli di Ritanna Armeni e di Giannino Piana, su Rocca, ripresi da AladinewsEditoriali.
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