Monthly Archives: luglio 2021

ENERGIA

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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Prosegue e varia in mille ipotesi differenti il dibattito in corso sulla transizione energetica. I sindacati uniti nel domandare il completamento della rete del gas nell’isola. Contrarie la quasi totalità delle formazioni ambientaliste.

Si avvia verso la discussione nell’aula del Consiglio regionale il testo unificato sulle comunità energetiche. Pare che il provvedimento contenga tre articoli che introdurrebbero nuove agevolazioni e aperture ai gas fossili.

Una decina di organizzazioni ambientaliste, che hanno manifestato ieri davanti al palazzo della Regione, chiedono con determinazione l’abolizione dei tre articoli con lo slogan: “Basta energia fossile”. In alternativa gli ambientalisti propongono “l’installazione di una rete efficiente di infrastrutture per l’accumulo dell’energia da fonti rinnovabili per non dipendere più dalle centrali fossili di Porto Torres, Portovesme e Sarroch”. Una posizione chiara a sostanzialmente favorevole al progetto di transizione energetica illustrato ai sardi dall’Amministratore Delegato dell’Enel Starace, con la recente intervista concessa alla Nuova Sardegna.

Un fatto politicamente rilevante che vede, forse per la prima volta, le principali associazioni ambientaliste determinate ad avviare un confronto costruttivo con le grandi multinazionali dell’energia, pur nel rispetto e senza venire meno alle proprie analisi sullo sviluppo e la crescita.

Molto arretrata e certamente opposta appare invece la posizione delle forze sindacali e di alcune organizzazioni e forze politiche che operano con un’altra prospettiva strategica che potremmo sintetizzare nello slogan: “Realizzare la rete del gas”.

L’iniziativa del governo Draghi e quindi del Ministro per la transizione ecologica Cingolani è apparsa ai più una proposta eccessivamente affrettata, poco ragionata e del tutto estranea alle esigenze reali dei territori interessati. Senza voler fare il difensore d’ufficio del governo deve essere ricordato che il Ministro Cingolani e il suo staff hanno intessuto nelle scorse settimane una fitta serie di confronti con partiti, sindacati e associazioni produttive e sociali per definire il progetto di transizione energetica. Non è quindi una proposta affrettata e poco discussa con le regioni e i territori. In secondo ruolo va ripetuto che tale piano di riforma del comparto energetico è stato inviato all’Unione Europea come parte fondamentale del PNRR e da quest’organismo approvato. Non attuarlo nelle forme e nei tempi prestabiliti equivarrebbe a rinunciare ai finanziamenti europei ottenuti e a intraprendere altri pericolosi e incerti percorsi.

Non comprendere questo determina comportamenti quasi incomprensibili che si traducono generalmente in appelli affinché il Governo convochi al più presto tavoli istituzionali con i protagonisti pubblici e privati che abbiano interesse diretto allo sviluppo energetico produttivo della Sardegna. Troppo tardi signori.

I segretari generali di CGIL, CISL e Uil, per esempio, chiedono ai ministri Cingolani e Giorgetti un incontro per affrontare il tema della giusta transizione e decarbonizzazione alla luce del dibattito in corso sul futuro energetico della Sardegna. Anche in questo caso direi che il dibattito arriva un tantino in ritardo rispetto allo stato dell’opera e a nulla serve appellarsi a considerazioni, generiche quanto ovvie, del tipo che le scelte debbano essere definite dentro una visione comune che riguarda tutta l’Isola e non soltanto alcune società e alcuni determinati territori.

Altra ovvietà del tutto ininfluente sullo stato delle cose: “La Sardegna, al pari delle altre regioni d’Italia, non può rinunciare alle sue attuali produzioni industriali ma, al contrario, deve investire nei processi di cambiamento e innovazione per valorizzare, rilanciare, potenziare il suo sistema economico e produttivo sfruttando al meglio la transizione ecologica che può produrre valore e non distruggerlo”.

Difficile trovare persone di buon senso che non condividano questo assunto. Come pure appare azzardato lasciare intendere che i piani di transizione illustrati ai sardi da Cingolani e dell’Amministratore delegato dell’Enel rischino di distruggere il valore delle produzioni anziché produrlo.

In realtà i sindacati non sembrano rinnegare la transizione energetica che anche a loro dire si può e si deve fare nei tempi prefissati e con gli obiettivi condivisi con l’Unione. Invitano però a evitare i salti nel buio. In realtà, nelle strategie dei sindacati si evidenzia un progetto di transizione radicalmente diverso e opposto a quello indicato dal ministro e sostanzialmente approvato dalle organizzazioni ambientaliste.

I sindacati ritengono che la Sardegna abbia bisogno del gas e della sua rete di distribuzione, che in prospettiva trasporterà idrogeno, biogas e gas di sintesi. “Affermare il contrario significa sottrarle l’opportunità di sviluppo attesa da anni, significa condannarla a un ruolo sempre più marginale, assicurandole nuovi e incolmabili divari”.

Ecco quindi manifestarsi, nella sua interezza, la sostanziale contrarietà dei sindacati alla proposta avanzata dall’Enel e fatta propria dal governo e dagli ambientalisti.

Una cosa è ipotizzare un salto in avanti del sistema energetico sardo per puntare da subito a un’isola green con tutta la generazione elettrica realizzata con fonti rinnovabili, con lo sviluppo ulteriore del solare e dell’eolico e lo stoccaggio dell’energia prodotta in megabattery da utilizzare secondo le necessità. Altra cosa è investire ancora risorse finanziarie nel progetto di gassificazione dell’isola (operazione che poco inciderebbe sulla riduzione della CO2) per arrivare in un secondo momento alla svolta reale del modo di produrre energia, con notevole ritardo e sostanziale spreco di denaro.

Una scelta strategica sostanzialmente debole a sostegno della quale i Sindacati prospettano una serie di prevedibili problemi. A loro parere “la Sardegna non può trasformarsi in una grande centrale produttrice di energia, pur rinnovabile, utile allo sviluppo di altri sistemi produttivi, altre economie”. E qui si affaccia una strizzatina d’occhio a coloro che ritengono che il piano di riconversione energetica proposto dal governo possa essere funzionale allo sviluppo di sistemi produttivi “altri” rispetto alla nostra realtà. Non dimentichiamo che, senza sorridere, qualcuno ha scritto che, con l’elettrodotto che collega la Sardegna alla Sicilia e alla Campania, i siciliani si approprierebbero dell’energia prodotta nell’isola, di fatto rubandoci il sole e il vento di Sardegna.
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Naturalmente ignorano che l’operazione elettrodotto sottomarino è finalizzata a chiudere il circuito di rete nazionale del quale la Sardegna farebbe parte a tutti gli effetti e con tutti i diritti delle altre regioni. Che in un sistema di rete energetica significa poter cedere energia prodotta in eccesso e poterne ricevere dalle altre regioni nei momenti di necessità.

Inequivocabilmente, ma a questo punto non poteva che essere cosi, le organizzazioni invitano i rappresentanti politici a mantenere le intese a suo tempo siglate tra Regione e Governo. Gassificazione dell’isola secondo i vecchi progetti a suo tempo avviati e, in parte, in corso di realizzazione.

Oggi sabato 24 luglio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————————
sbilanciamoci-20
Il crinale del terzo settore
Giulio Marcon
Sbilanciamoci! 21 Luglio 2021 | Sezione: Editoriale, Società
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In giro nel Sulcis, senza identità
24 Luglio 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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(Chiesa campestre di S. Elia – Nuxis)
Ogni anno d’estate mi reco qualche giorno dalle mie parti, nei paesi del Basso Sulcis, detto “basso” anhe se, in realtà è l’Alto Sulcis, avendo a Nuxis monti che superano i mille metri, fra l’altro, i più antichi d’Europa: secondo lo Speleoclub di Nuxis più di 500 milioni […]
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Green pass e democrazia
23 Luglio 2021
Roberto Loddo su il manifesto sardo.
Il dibattito di questi giorni sui vaccini e il green pass mi ha fatto riflettere sulla percezione della pandemia che ogni persona che ci circonda esprime attraverso la nostra bolla dei social network.[…]
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ENERGIA

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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Prosegue e varia in mille ipotesi differenti il dibattito in corso sulla transizione energetica. I sindacati uniti nel domandare il completamento della rete del gas nell’isola. Contrarie la quasi totalità delle formazioni ambientaliste.

Si avvia verso la discussione nell’aula del Consiglio regionale il testo unificato sulle comunità energetiche. Pare che il provvedimento contenga tre articoli che introdurrebbero nuove agevolazioni e aperture ai gas fossili.

Una decina di organizzazioni ambientaliste, che hanno manifestato ieri davanti al palazzo della Regione, chiedono con determinazione l’abolizione dei tre articoli con lo slogan: “Basta energia fossile”. In alternativa gli ambientalisti propongono “l’installazione di una rete efficiente di infrastrutture per l’accumulo dell’energia da fonti rinnovabili per non dipendere più dalle centrali fossili di Porto Torres, Portovesme e Sarroch”. Una posizione chiara a sostanzialmente favorevole al progetto di transizione energetica illustrato ai sardi dall’Amministratore Delegato dell’Enel Starace, con la recente intervista concessa alla Nuova Sardegna.

Un fatto politicamente rilevante che vede, forse per la prima volta, le principali associazioni ambientaliste determinate ad avviare un confronto costruttivo con le grandi multinazionali dell’energia, pur nel rispetto e senza venire meno alle proprie analisi sullo sviluppo e la crescita.

Molto arretrata e certamente opposta appare invece la posizione delle forze sindacali e di alcune organizzazioni e forze politiche che operano con un’altra prospettiva strategica che potremmo sintetizzare nello slogan: “Realizzare la rete del gas”.
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Oggi 23 luglio 2021, venerdì

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————
L’Italia ha veramente nel suo obiettivo di arrivare nel 2030 al 70% di rinnovabili? PNRR sfida decisiva
23 Luglio 2021
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Stupore e grande preoccupazione. Sono le reazioni al disastro ambientale in Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo con distruzioni, tanti morti e dispersi, molti feriti, comunicazioni impossibili, danni enormi all’ambiente e all’economia. Altri episodi in passato hanno dato l’allarme ma la novità ora è che gli effetti del disastro ambientale e climatico diventano sempre più gravi, […]
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Che succede nella Chiesa e nel mondo cattolico?

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21 Luglio 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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Oggi giovedì 22 luglio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————
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22 Luglio 2021
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
La conferma della decisione di Terna di realizzare l’elettrodotto Calabria-Sardegna-Sicilia ha suscitato nell’Isola, anche perché accompagnata da qualche dichiarazione discutibile del Ministro della transizione ecologica Cingolani, diverse critiche.
Contestualmente nei giorni scorsi l’AD
di ENEL ha prospettato la dismissione della centrale Grazia Deledda, sollevando a sua volta una serie di preoccupazioni soprattutto […]
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Che succede?

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20 Luglio 2021 su C3dem.
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PER L’OBBLIGO VACCINALE DI INSEGNANTI E STUDENTI. (E LA SCUOLA È A PEZZI)
20 Luglio 2021 su C3dem.
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IL PIANO VERDE DELLA UE: I SUOI COSTI, I SUOI BENEFICI. LA FERITA DELL’ACCORDO CON LA LIBIA
20 Luglio 2021 su C3dem.
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Colpisce la chiusura al dialogo mentre è necessario un umanesimo rigenerato
di Antonio Secchi
Su PoliticaInsieme: https://www.politicainsieme.com/colpisce-la-chiusura-al-dialogo-mentre-e-necessario-un-umanesimo-rigenerato-di-antonio-secchi/
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Oggi mercoledì 21 luglio 2021

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Libertà non è farsi i cavoli propri in danno degli altri
21 Luglio 2021
A.P. su Democraziaoggi.
Si discute molto della libertà di non vaccinarsi. Secondo alcuni sarebbe un diritto come quello di fare la mitica puntura. Per i sostenitori di questa opinione le due libertà sarebbero da bilanciare. Quindi l’azione di chi favorisce la tutela della salute e quella di chi la mette a rischio starebbero sullo stesso piano. E già […]
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I servizi Usa in Sardegna
21 Luglio 2021
Marco Sini su Democraziaoggi.
“L’estate delle spie. I servizi segreti americani in
Sardegna nel 1943” Edizioni Condaghes
BY CIDCAGLIARI · 18 LUGLIO 2021
Recensione a cura di Marco Sini
Il 16 luglio a Oristano, presso il Giardino del Museo Diocesano, Carla
Cossu ha presentato il suo libro “L’estate delle spie. I servizi segreti americani in Sardegna nel 1943”.
E’ un libro che ricostruisce due missioni […]
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Genova vent’anni dopo. Riflessioni ricordando Carlo Giuliani.

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di Lucio Garofalo

Carlo Giuliani, un ragazzo

20 anni or sono, il 20 luglio del 2001, Carlo Giuliani era solo un ragazzo di 23 anni. Era nato nel 1978, un anno di straordinari cambiamenti intervenuti nella società italiana, anzitutto sul fronte dei diritti e delle libertà civili e del costume. [segue]

A Is Mirrionis-San Michele la prima “Casa Comunità” di Cagliari?

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lampadadialadmicromicro133Ne abbiamo parlato anche qui: http://www.aladinpensiero.it/?p=125039
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I soldi ci sono (ITI Is Mirrionis + Fondi Recovery Plan). Il Comune ha progettato il “contenitore”, la Casa del quartiere ha presentato un progetto per riempirlo di contenuti.
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- Cos’è la Casa di Comunità? Ecco un pertinente approfondimento.
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Clima

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CONTROCANTO
La falsa lotta per il clima di politici, finanzieri e grandi industriali
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20-07-2021 – di: Guido Viale su Volerelaluna*

Greta Thumberg è tornata a dare il meglio di sé al vertice austriaco sul mondo promosso da Arnold Schwarzenegger, con Frau Merkel, Antonio Guterres ed altri. Rivolgendosi ancora una volta a tutti i potenti del mondo, ma per farsi ascoltare da tutti coloro che potenti non sono, ha spiattellato che nei sei anni che ci separano dal vertice di Parigi, politici, finanzieri e grandi industriali (la crème di Davos) ci hanno riempiti di parole, ma non hanno fatto niente per avvicinarci agli obiettivi di decarbonizzazione fissati. Anzi, hanno fatto, stanno facendo e si apprestano a fare esattamente l’opposto: la loro “lotta per il clima” serve solo a mascherare e giustificare la continuazione di una politica fondata sui fossili, cercando nuove occasioni di business.

Questa accusa coglie in pieno anche il PNRR italiano, il suo padre, il RRF della Commissione europea, e la sua madre, il programma NextgenerationEU, che altro non sono che armi di distrazione di massa, finalizzate a bloccare l’attenzione – e il confronto, dove c’è – intorno a misure e progetti assolutamente inconsistenti, se non controproducenti, mentre il pianeta va a fuoco. A fuoco: nello stesso giorno in cui si registravano a Vancouver 50 °C, il Parlamento italiano ha votato, alla Camera, il ponte sullo stretto di Messina (da finanziare non con il PNRR, bensì con un fondo, detto “fondone”, che Draghi ha fatto aggiungere, a debito, ai fondi, anch’essi a debito, del PNRR, per «non lasciare indietro nessuno»: in questo caso le lobby del cemento). D’altronde, non è stato forse il Senato italiano, forte delle sue competenze, a votare, anni fa, che il cambiamento climatico non esiste?

Tra le parole senza fatti o, meglio, con fatti che le contraddicono, di cui parla Greta, spicca l’istituzione in Italia di un Ministero della Transizione ecologica. Ora, se transizione ecologica significa – e non può significare altro; se no, verso che cosa mai si transita? – un cambiamento radicale, a partire dall’abbandono del presupposto su cui si basa tutto lo stato di cose attuale, cioè il mito fasullo e letale della “crescita” (che altro non è che accumulazione del capitale), è evidente che essa non può non coinvolgere profondamente comportamenti, stili di vita e assetti sociali di tutta la popolazione; oltre, ovviamente, alla determinazione di che cosa, con che cosa, per chi e come si produce. Il primo compito di un Ministero della Transizione ecologica (e del Governo che ne fa proprie le finalità) avrebbe dovuto essere, quindi, il lancio di una grande campagna di informazione: sul perché di questa svolta, sui rischi che corrono il pianeta, il paese e la vita di ciascuno; e la conseguente apertura di un confronto generale (non era certo tale la kermesse organizzata a suo tempo dal secondo Governo Conte a villa Pamphili), coinvolgendo tutte le istanze della “società civile” – associazioni, comitati, sindacati, scuole e Università, centri di ricerca, mondo della cultura – sulle alternative che ci troviamo di fronte: sia a livello planetario che a livello locale; ciascuno a fare i conti nel proprio territorio con la realtà in cui è inserito e in cui può operare. Le dimensioni del problema sono d’altronde tali che non si può sperare di ottenere dei risultati – se si vogliono veramente ottenere – che procedendo così. E se il Governo non lo fa, la prima conseguenza da trarre è che di promuovere quel confronto dobbiamo farci carico noi. Chi? Tutti, dove e come si può. Mettendo al centro non la crescita ma la cura delle persone, del vivente e della Terra.

Ma invece di una campagna di informazione e di un grande confronto ci siamo ritrovati le continue esternazioni del ministro Cingolani, peraltro in frequente contraddizione tra loro, ma che, sostanzialmente, mirano a rassicurare che non c’è da cambiare gran che: il gas sostituirà – un po’ per volta – il petrolio come “combustibile di transizione” (verso che?), costruendo nuovi impianti e pipeline la cui vita utile va ben al di là del 2050, anno in cui il gas dovrebbe scomparire; l’idrogeno verde deve aspettare (non è ancora maturo); con le rinnovabili non c’è fretta, tanto arriverà la fusione nucleare, o anche la fissione in “piccoli impianti” distribuiti sul territorio; la dieta proteica è essenziale, quindi largo agli allevamenti industriali; l’agricoltura sostenibile si fa con l’agrofotovoltaico (pannelli in alto e ortaggi sotto) ecc.

Ma se il ministro della Transizione sembra sensibile soprattutto alla lobby del gas (Eni ed Enel), il PNRR, nel suo insieme, destina il giusto tributo anche a quella del cemento e delle Grandi opere: il piano pullula di autostrade, aeroporti e treni ad Alta velocità, chiamati infrastrutture, tutti finanziati a spese del trasporto locale (compreso il TAV Torino-Lione, ricompreso nel PNRR, senza nominarlo, nelle vesti del fallito Ten-T).

E qui, anche senza entrare nei dettagli (che peraltro il PNRR evita accuratamente), la prima e fondamentale domanda da fare, se si aprisse, come si dovrà aprire, ma da basso, un dibattito sulla transizione ecologica è: ma serve un treno ad alta velocità, o un ponte di quattro chilometri per collegare regioni devastate dagli incendi, dove, di questo passo, si dovrà reggere a temperature di 50°C come a Vancouver (che è molto più a nord), per fare arrivare dei turisti su spiagge ormai sommerse dall’innalzamento del livello del mare? O serve portare altro gas in Italia cercando di seppellirne le emissioni sottoterra in una regione già sconvolta da un terremoto di dubbia origine, lasciando in eredità alle future generazioni, ma forse anche a questa, una bomba di CO2 sotto pressione, pronta ad aprirsi un varco verso la superficie per restituire all’atmosfera tutta la CO2 fittiziamente sottrattale? Ma domande come queste chi ci governa se le è mai fatte?

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*L’articolo è tratto dal sito Comune-info in forza di un accordo di collaborazione con Volerelaluna.
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Clima e Green Deal, la Commissione accelera a metà
Monica Frassoni

Sbilanciamoci! 16 Luglio 2021 | Sezione: Ambiente, primo piano
Rischi e omissioni nelle 12 proposte legislative chiamate “Fit for 55” con cui Ursula von del Leyen e la Commissione europea hanno aggiornato gli obiettivi del Green Deal per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 istituendo un Fondo sociale per ridurre l’impatto della transizione.

La presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen insieme ai Commissari Timmermans, Gentiloni, Simson, Aldean, Wojciechowski ha presentato il 14 luglio quello che è uno dei più consistenti pacchetti legislativi mai completati nella sua storia. Il pacchetto di proposte legislative si chiama “Fit for 55”. Si tratta di 8 proposte di revisione di direttive e regolamenti esistenti e di 4 nuove iniziative in materia soprattutto energetica che rappresentano un pezzo centrale del Green Deal europeo, il programma partito due anni fa per portare la UE a essere il primo continente a emissioni zero nel 2050 attraverso una lunga lista di norme in tutti i settori dell’economia, industria, ambiente, accompagnate dal riorientamento e dall’aumento delle risorse a disposizione della UE. Il Green Deal è un elemento chiave di Next Generation EU ed è quindi integrato anche nello sforzo di uscita dalla crisi pandemica intrapreso a livello europeo.

La decisione di aumentare dal 40% al 55% gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 e di raggiungere la neutralità climatica nel 2050, racchiusi nella Legge sul Clima che entra in vigore questo mese, sono una conseguenza diretta dei richiami incessanti di scienziati ed esperti, delle grandi mobilitazioni dei “Friday for Future” e della crescente consapevolezza dell’estrema minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici non solo per l’ambiente, ma anche per l’economia e la vita tout court. L’idea è cioè che il Green deal sia una “strategia per la crescita” alternativa a quella attuale ancora fondata sui combustibili fossili. Il piano ha anche l’obbiettivo di portarci fuori dalla crisi, di dare nuove prospettive di lavoro e di inclusione sociale, di ridisegnare il nostro modo di muoverci, di abitare, di consumare, il tutto riducendo le diseguaglianze e il nostro impatto su risorse e ambiente.

Un sogno? Forse, e come vedremo i problemi non mancano. Bisogna però riconoscere che al di là del merito, il grande lavoro fatto dalla Commissione europea, con il suo scarso (in termini numerici) e spesso criticato staff, è stato davvero straordinario e rappresenta il senso e l’utilità del progetto europeo. In questi mesi c’è stato anche uno sforzo reale di ascolto dei vari attori in campo, dalle ONG all’industria, anche se ovviamente alcune voci sono forse state più ascoltate di altre.

Citiamo per capi. Le proposte di direttive, regolamenti e altre iniziative riguardano l’aumento degli obbiettivi per rinnovabili, efficienza energetica, la riorganizzazione del sistema di scambio delle emissioni (ETS) e la sua controversa estensione al settore degli edifici e dei trasporti, il regolamento detto di “condivisione dello sforzo” per l’abbattimento delle emissioni nei settori finora non coperti dall’Ets, la tassazione energetica, che prevedeva finora stimoli ai combustibili fossili, l’uso del suolo, le misure a tutela della silvicultura, la strategia forestale, le norme più stringenti per ridurre le emissioni di automobili e furgoni, le regole per le infrastrutture per i carburanti alternativi (leggi ricariche per mobilità elettrica) e per i carburanti per aviazione e navigazione, le misure per imporre dazi ad importazioni ad alto contenuto di CO2 (misure di adeguamento del carbonio alle frontiere). E infine la proposta di un Fondo Sociale per il Clima con l’obiettivo di attenuare il rischio del riproporsi di contestazioni come quelle dei “gilets jaunes” come reazione di rigetto di queste misure da parte dei settori sociali più in difficoltà. Il Fondo verrebbe finanziato con 72,2 miliardi di risorse europee provenienti per il 25% dai proventi del sistema di scambio di emissioni e potenzialmente da altrettante nazionali nei prossimi 7 anni.

Nei prossimi mesi il pacchetto sarà completato dalle linee guida per l’applicazione concreta del principio “Energy efficiency first”, il super controverso pacchetto sul gas, la direttiva sugli edifici e le nuove linee guida sugli aiuti di Stato, tutti aspetti molto importanti dell’agenda sul Green deal. Ora la parola passa al Parlamento Europeo e al Consiglio dei rappresentanti degli Stati, che sono co-legislatori a pari livello. Si prevede che i negoziati dureranno per tutto il 2022.

La proposta della Commissione è un insieme di migliaia di pagine di norme e articoli e ci vorrà un po’ per digerirli tutti, ma già possiamo fare alcune considerazioni generali.

Innanzitutto, il pacchetto è al centro dell’attenzione di due forti tendenze, che vanno in senso diametralmente opposto, come è evidente da alcune delle primissime reazioni. Da un lato ci sono le voci di coloro che pur non potendo più negare che i cambiamenti climatici esistono e vadano governati, dopo avere per anni impedito di agire per tempo, oggi continuano a spingere per ritardare, fare distinguo, chiedere prudenza, usando l’argomento sicuramente importante della salvaguardia dei posti di lavoro per non attrezzarsi a cambiare e soprattutto pretendono il privilegio di continuare ad essere esentati dai costi reali della transizione, che anche in questo pacchetto continuano ad essere in buona misura scaricati su cittadini e finanze pubbliche. Parliamo di una parte ancora troppo importante dell’industria automobilistica ed energivora che soprattutto in Germania (e quindi in Commissione), ma anche in Italia, ha un impatto davvero sproporzionato data la sua capacità di influenza e la sua disponibilità economica nel fare lobby a tutti i livelli (vedi le dichiarazioni di Cingolani sul “bagno di sangue” rappresentato dalla transizione ecologica).

Dall’altro lato della barricata c’è invece l’evidenza dell’accelerazione dei fenomeni distruttivi e di grande e negativo impatto dei cambiamenti climatici, dello sfruttamento eccessivo delle risorse e dell’inquinamento, fenomeni che non permettono di perdere tempo. Bisogna liberarsi al più presto della dipendenza dai fossili, gas incluso. L’attivista Greta Thunberg in un recente intervento, durissimo e lucidissimo, denuncia come le azioni intraprese potrebbero essere molto positive perché siamo ancora in tempo per invertire la marcia. Ci sono però ancora troppe scappatoie e ambiguità. Ad esempio continuano investimenti e sussidi miliardari ai fossili e le politiche in atto non sono assolutamente abbastanza radicali mentre i governi si danno a un green-washing continuo e irresponsabile. È chiaro che la trasformazione necessaria sarà difficile e dura.

La drammaticità e la necessità di accelerare gli interventi è la conseguenza del grande ritardo accumulato e più tempo si perde facendo scelte a metà e peggio sarà anche dal punto di vista della sostenibilità e del consenso sociale. L’alternativa di frenare in ogni caso lo sarebbe ancora di più.

Se scegliamo il secondo punto di vista, è chiaro che il pacchetto presenta molti punti deboli e che bisognerà mettere in atto una mobilitazione notevole in Italia e in Europa per poterlo migliorare. Peraltro, se in Europa esistono gli strumenti di relativa trasparenza per capire chi dice cosa e chi preme in quale direzione, è molto più difficile vedere come si forma la posizione che l’Italia rappresenta in Europa su questi temi, data l’assenza di dibattito pubblico, il disinteresse dei media e l’opacità dei meccanismi di controllo.

Il macroscopico punto debole del pacchetto sta nel tentativo della Commissione di trovare una impossibile ed inefficace mezza via tra i due orientamenti spiegati più sopra. Questo tentativo rischia di mettere in pericolo l’essenza stessa del Green Deal, come denunciano da tempo le associazioni ambientaliste europee riunite in “Climate Action Network” o EEB, ma anche diverse associazioni dell’industria più consapevole dei rischi e anche delle enormi opportunità che esistono in termini di business, competitività e lavoro.

L’origine della debolezza del pacchetto sta nel target insufficiente di riduzione delle emissioni del 55% per il 2030 inserito dalla Legge sul Clima dopo una battaglia furibonda. La scienza considera necessario che l’UE contribuisca con una riduzione di emissioni del 65% entro il 2030 al raggiungimento dell’obbiettivo globale di 1,5° massimo di riscaldamento del pianeta entro la fine del secolo. Dunque ci vorrebbe un aumento delle rinnovabili e dell’efficienza rispettivamente del 50% e del 45% . Gli obbiettivi proposti di aumento di rinnovabili (40%) e di efficienza energetica (36%) sono pertanto insufficienti ad avvicinarci alla neutralità climatica nei limiti stabiliti dagli scienziati.
[segue su Sbilanciamoci!]

Oggi martedì 20 luglio 2021

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Cuba e la guerra egemonica dell’Occidente contro gli “Stati canaglia”
20 Luglio 2021
Gianni Fresu su Democraziaoggi.
Il ritorno dei democratici alla Casa Bianca ha coinciso con una nuova durissima offensiva contro Cina e Russia e tutto il composito fronte dei cosiddetti “Stati canaglia”, la cui finalità è sbarrare il passo a qualsiasi ipotesi di sviluppo multipolare della politica internazionale e ripristinare l’incontrastato dominio degli Stati Uniti sul mondo, rimediando alla […]
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MIGRAZIONI
Libia, una benda per non vedere?
20-07-2021 – di: Ascanio Celestini su Volerelaluna.
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Oggi lunedì 19 luglio 2021 – Genova vent’anni dopo.

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Sardegna, apriamo la stagione della serietà
19 Luglio 2021
Pietro Casula
Movimento per la Sardegna – Sardi nel mondo
. Su Democraziaoggi.
Finite le ovazioni per i „nostri“ azzurri campioni d’Europa, finita l’euforia, l’ubriacatura sentimentale, ci risvegliamo in una società traumatizzata ancora dal Corona-Virus e che deve affrontare la ripartenza in una situazione in cui non è ancora possibile vedere una ben tornata normalità. Anche se l’Europa ha cambiato passo […]
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genova-2021-07-06-alle-17-04-102001-2021 Genova vent’anni dopo.
lampadadialadmicromicroSu Aladinpensiero online.
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giuliani
Ho visto Genova due volte
19-07-2021 – di: Marco Revelli. Su Volerelaluna.
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Il virus della violenza di Stato: la lezione di Genova
19-07-2021 – di: Livio Pepino. Su Volerelaluna.
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«Voi la malattia, noi la cura»
19-07-2021 – di: Alessandra Algostino. Su Volerelaluna.
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Genova. Una stagione ribelle da declinare al futuro
19-07-2021 – di: Marco Bersani. Su Volerelaluna.
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20 anni dopo Genova: in basso a sinistra
19-07-2021 – di: Giuseppe De Marzo. Su Volerelaluna.
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Dedicato a Carlo Giuliani: cambiare l’immaginario
19-07-2021 – di: Tomaso Montanari su Volerelaluna.
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La CSS Confederazione Sindacale Sarda: la sua casa come spazio aperto e disponibile per l’esercizio della democrazia, al servizio della Sardegna

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APPELLO per un CONTRIBUTO GENEROSO per CONCLUDERE i LAVORI della CASA della CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA – CSS, CHE VOGLIAMO APERTA alle LAVORATRICI e LAVORATORI PUBBLICI e PRIVATI, ai GIOVANI, ai DISOCCUPATI e PRECARI, alle PARTITE IVA, agli ARTIGIANI, agli AMBULANTI, ai COMMERCIANTI, agli ARTISTI, ai PENSIONATI, ai CONTADINI E PASTORI E AI MOVIMENTI IDENTITARI della SARDEGNA
Rinnoviamo l’appello per completare la Sede Nazionale della Confederazione Sindacale sarda-CSS, ubicata in via Marche nr.9 a Cagliari, che NASCE per ESSERE la CASA di TUTTI. [segue]
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Cuba

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Cuba, capire perché e dire basta all’embargo
15-07-2021 – di: Aldo Garzia su il manifesto, ripubblicato da Volerelaluna.
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Cuba no al blocco

A Cuba l’emergenza è condizione di normalità. Le ragioni sono politiche ed economiche fin dal gennaio 1959, quando i barbudos fecero il loro ingresso a L’Avana. Ma negli ultimi due anni – causa Covid, rinnovata aggressività statunitense, blocco del turismo, impasse economici – la situazione è diventata ancora più difficile del normale.

Tanto da far prevedere che potessero verificarsi gli episodi di rivolta puntualmente accaduti domenica scorsa in varie città. Le difficoltà alimentari e nei servizi di prima necessità erano giunte al livello di guardia. L’umana sopportazione non può essere cancellata con un colpo di spugna dalla politica. La vita è fatta di bisogni quotidiani essenziali, pure nel paese dove si produce l’unico vaccino anti-Covid in America latina. Da qui la spiegazione delle manifestazioni e delle proteste. Anzi, i cubani hanno dimostrato in passato il loro eroico spirito di sacrificio e di sopportazione: basti pensare agli anni novanta del periodo especial, quando L’Avana pagò un prezzo altissimo nella qualità della vita individuale e collettiva per la fine del «socialismo reale».

Quindi, il malessere della gente di Cuba – soprattutto dei giovani che ne costituiscono la maggioranza anagrafica – va guardato negli occhi, compreso per la verità che esprime. Le notizie sul primo morto a L’Avana in incidenti, quelle su molti arresti e atti di repressione che allarmano Amnesty international. non aiutano a dare risposta alla folla scesa in strada. Bisogna comprenderlo quel «perché». Non bisogna sottovalutarlo. E bisogna tenere aperto il dialogo con la grande massa della popolazione.

I problemi drammatici di Cuba li ha ammessi finanche il presidente Miguel Diaz-Canel nel suo intervento televisivo di lunedì sera, quando ha chiamato la popolazione a difendere la storia di Cuba. Diaz-Canel ha poi picchiato duro contro l’embargo statunitense in vigore dal 1962, accusando gli Stati Uniti di cogliere le difficoltà attuali dell’isola per fomentare e organizzare episodi di rivolta con l’obiettivo della destabilizzazione politica.

Chi segue le vicende cubane, sa che nelle parole del presidente cubano c’è molto di vero. Nell’era della presidenza di Donald Trump, le misure di blocco economico sono state in effetti esasperate intralciando ogni scambio economico internazionale con l’isola e perfino l’attività delle agenzie che fanno da tramite per le rimesse degli emigrati. Tra le misure introdotte, ce n’è una particolarmente odiosa: chiedere il visto per andare negli Stati Uniti in visita famigliare è diventata una sorta di via crucis (va richiesto di persona in un terzo paese con un investimento economico che non ne garantisce l’ottenimento).

Finora la nuova presidenza di Joe Biden non ha invertito la rotta. Cuba, per la Casa Bianca, resta pure nell’elenco dei paesi terroristici come stabilito da Trump. Le relazioni tra Washington e l’Avana sono, in questo 2021, perciò inesistenti. La visita di Barack Obama a Cuba del 2016 è un ricordo lontanissimo. In quell’occasione sembrò che le due sponde della Florida si fossero avvicinare per convivere in amicizia. L’orologio della storia ha invece ripreso a girare all’incontrario nel caso cubano. Tutto questo merita più informazione e condanna.

L’accanimento contro Cuba non può essere giustificato in nome della «democrazia». Sessant’anni di vicende controverse sono lì a dimostrarlo: l’embargo ha prodotto solo inasprimento di rapporti da una parte e giustificazioni per non cambiare dall’altra. Lo dice in queste ore a Washington il democratico Bernie Sanders, che ne chiede l’abolizione e raccomanda a Cuba di permettere libere manifestazioni di dissenso.

L’Avana in questi anni ha provato a cambiare con apertura all’economia mista e agli investimenti stranieri, superamento dell’ossificato modello d’importazione sovietica, un nuova e più moderna Costituzione, forme più partecipative socialmente, nuove relazioni internazionali con Unione europea e America latina, con una recente riforma economica che ha allargato i settori del lavoro privato e abolito l’uso di doppie monete all’interno, però Covid e non attenuazione della pressione statunitense si sono fatti sentire in modo acuto. Su questa marcia di cambiamento – forse lenta ed insufficiente, questa è la parte non detta del discorso di Diaz-Cane – ha sempre pesato il macigno dell’embargo americano. Quel blocco va eliminato. Non ce n’é mai stato un altro nella storia contemporanea così crudele e prolungato.

Difficile fare previsioni sull’immediato futuro. Cuba ha dimostrato di avere più delle classiche sette vite dei gatti. Mosca e Pechino hanno già messo l’altolà rispetto ad ingerenze da parte di Washington. L’Unione europea condanna la repressione, tuttavia può e deve operare mediazioni. Così il Vaticano. La maggioranza dei Paesi latinoamericani non chiede epiloghi violenti a L’Avana. All’interno dell’isola è intanto ricomparso il «pensionato» Raúl Castro nei vertici di governo per fare il punto della situazione: lui può essere garanzia di pragmatismo da vecchia guardia. Certamente, Cuba è a uno dei bivi della sua storia.

Pubblicato sul il manifesto del 15 luglio 2021.
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In questi giorni stiamo assistendo ad una delle peggiori messe in scena della mafia anticubana e del suo padre padrone, il governo degli Stati Uniti.
Facendo sfoggio della più cinica vigliaccheria cercano di destabilizzare Cuba, approfittando della sofferenza di un popolo stretto da 60 anni in un criminale blocco che ne impedisce il normale sviluppo e che ha raggiunto negli ultimi tempi, proprio durante la pandemia da Covid-19, le sue punte più asfissianti ed odiose. Cuba non può approvvigionarsi dei beni essenziali attraverso i normali canali commerciali: medicinali, alimenti, strumenti sanitari, ecc.
Ma nonostante questo Cuba mantiene alti i suoi livelli di attenzione sanitaria e di equa distribuzione delle risorse; raggiunge traguardi impensabili in molti paese, come lo sviluppo di propri vaccini per combattere la pandemia e garantire la protezione del proprio popolo e di tutti i popoli dei paesi poveri, con la garanzia dell’indipendenza dal monopolio delle Big Pharma. E questo è possibile solo grazie al suo sistema socialista, scelto dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Mentre la crisi provocata dal Blocco criminale, genocida e illegale degli Stati Uniti mette duramente alla prova la sopportazione di tutto un popolo; nel mezzo del peggior momento, per Cuba, della crisi sanitaria dovuta dalla pandemia, ci sono criminali che inneggiano a “corridoi umanitari”. Conosciamo bene cosa sono e a cosa portano questi cosiddetti corridoi umanitari: interventi stranieri, anche e troppo spesso militari, destabilizzazione dell’ordine interno, sopraffazione dell’indipendenza e infine sofferenza per tutti, a partire dai più deboli.
Gridano “patria e vita” ma quello che cercano è una patria venduta e una vita da schiavi.
Noi non ci stiamo ed invitiamo tutti a non cadere nella trappola della confusione, a non cedere alle lusinghe “umanitarie” pagate a prezzo di libertà.
Invitiamo tutti i nostri Circoli, le compagne, i compagni, le amiche e gli amici di Cuba e tutte le organizzazioni politiche, sociali, sindacali a tenere alta la guardia e ad essere pronti alla massima mobilitazione, a difesa di Cuba della sua indipendenza e della sua libertà, che è anche la nostra.
GIU’ LE MANI DA CUBA!
PATRIA O MUERTE! VENCEREMOS!

ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIA-CUBA
Milano 13 luglio 2021
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Chiesa
Una grave crisi aleggia sulla Chiesa
Jesus – Luglio 2021

di Enzo Bianchi

Viviamo un’ora faticosa e di grave crisi nella Chiesa cattolica: in realtà già da alcuni decenni, ma era assolutamente proibito dirlo pubblicamente. Quasi tutti erano impegnati a sottolineare l’efficienza della presenza della Chiesa nella società e a ribadire il suo peso e le sue capacità d’intervento, quasi in risposta alla tentazione di una religione civile che sembrava così urgente e apportatrice di vita sociale positiva per il nostro Paese. Chi non voleva prendere parte a questo coro abituato a celebrare trionfi senza mai ipotizzare fallimenti neanche parziali fu autorevolmente richiamato e definito profeta di sventura. Ma oggi è un cardinale, l’arcivescovo di Monaco, già presidente delle Conferenze episcopali europee, membro del Consiglio che assiste il Papa nella riforma della Curia romana, a gridare che la Chiesa «è giunta a un punto morto!», e afferma che questa situazione gli ha cambiato la fede. Si badi bene: ha «cambiato la fede» di un vescovo di sessant’anni, inducendolo a dare le dimissioni.

Il tutto con la sottoscrizione «nell’obbedienza e nella pace», il motto di papa Giovanni

Viviamo in molti un profondo malessere che però solo in parte è dovuto agli scandali suscitati dalla pedofilia. Quest’ultimo è certamente un crimine grave e detestabile e la Chiesa tutta si è impegnata per cercare di comprendere in modo nuovo quest’abuso, di prevenirlo e impedirlo, fino alla condanna. Ma non va dimenticato che chi commette delitti di pedofilia è un malato: la pedofilia è inscritta nella patologia di una persona e di conseguenza la persona deve essere non solo condannata una volta commesso il delitto, ma anche aiutata, accompagnata e riaccolta perché è un essere umano peccatore/peccatrice al quale mai va negata la misericordia di Dio e della Chiesa. C’è tanto giustizialismo nell’aria cattolica, tanta tendenza a cedere alle dominanti dei mass media e a certo moralismo populista.

Non riesco a comprendere, piuttosto, come non turbino le coscienze le rivelazioni della pulizia etnica operata nelle scuole cattoliche in Canada fino al 1980, dove bambini strappati alle loro famiglie e rinchiusi in quei collegi-lager sono stati maltrattati, trascurati, fino a morire ed essere seppelliti nelle fosse comuni (si calcola almeno 6 mila ragazzi!). Delitti perpetrati da preti, frati, suore…

Qui non c’è patologia, c’è malignità, c’è un esercizio perverso del potere! Io mi chiedo: com’è stato possibile per dei cristiani che si dicono “consacrati” compiere simili crimini? E questi crimini non sono forse gravissimi? Dunque è uno scandalo, che suscita interrogativi sulla capacità di vivere il cristianesimo, su una Chiesa magari generosa nella missione, ardente in devozione, come in Canada, ma poi peggio che persecutrice! Dunque non si restringa la crisi della Chiesa alla piaga della pedofilia: c’è tutto un assetto di autorità, potere, ricchezza che deve essere giudicato dal Vangelo.

Come tentare di uscirne e giungere a una vera riforma? Sì, sappiamo che la riforma inizia da noi stessi, ma questo la Chiesa l’ha sempre predicato senza poi compiere dei passi per riformare l’istituzione. Il cardinale Marx lo sottolinea: le colpe non sono solo personali ma correlate all’istituzione!

In questa situazione anche nella Chiesa si porta la croce, che nelle parole di Gesù è strumento della propria esecuzione: la croce è situazione crudele e turpe, che mai noi dobbiamo addossare agli altri e della quale non dobbiamo parlare piamente a quelli che la stanno portando. Resta straordinario che anche Gesù fu aiutato a portare la croce non solo dal Padre, ma anche da un povero uomo, Simone di Cirene, che sul cammino del Calvario ha preso la croce sulle sue spalle. Scriveva il teologo Yves Congar: «Soffrire nella Chiesa è faticoso, ma soffrire a causa della Chiesa è terribile».
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