Autonomia differenziata e altro

Governo, regioni e legge elettorale: che fare?
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Su Volerelaluna, 14-12-2020 –
di Francesco Pallante*

Tre nodi costituzionali vengono, in queste ore, al pettine, intrecciandosi pericolosamente l’uno all’altro.

Il primo nodo è rappresentato dalla verticalizzazione della forma di governo e, al suo interno, del potere esecutivo. Sempre più, nell’ultimo quarto di secolo, il Governo è andato identificandosi nella figura del Presidente del Consiglio, alimentando una distorsione del sistema parlamentare arrivata a tollerare il nome del candidato premier nei simboli elettorali. Come se fossimo in un regime presidenziale. Dal Silvio Berlusconi «unto del Signore» del 1994 al Giuseppe Conte «avvocato del popolo» del 2018 la parola d’ordine è sempre la stessa: «direttismo», il modo in cui Giovanni Sartori aveva (criticamente) definito l’attitudine dei leader a costruire una relazione personale e diretta con il corpo elettorale. Una delle più evidenti conseguenze della centralità assunta non solo dal Governo, ma soprattutto dalla sua figura di vertice è l’incremento delle funzioni, e conseguentemente degli apparati, di Palazzo Chigi (ed è curioso notare come la polemica sui costi della politica, tanto inesorabile quando si tratta dei bilanci parlamentari, mai abbia investito la Presidenza del Consiglio). Non è una questione di numeri, anche se i 750 consulenti del premier, censiti da alcune inchieste giornalistiche, impressionano. È una questione di competenze sottratte ai ministeri e attribuite alla Presidenza del Consiglio: dal commissariamento, di fatto, degli uffici legislativi ministeriali da parte del dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi sino all’apice – inaudito nella sua sfrontatezza – della ventilata attribuzione a sei supermanager dipendenti dal Presidente Conte del cruciale compito di gestire il Recovery Fund.

Il secondo nodo consiste nella configurazione dei rapporti Stato-regioni secondo la logica della sussidiarietà: un principio in base al quale la legittimazione all’azione politica ascende dal basso verso l’alto, a sancire la primazia delle regioni sullo Stato. Da qui sembra scaturire il pregiudizio politico favorevole di cui gli enti territoriali godono nei confronti dell’amministrazione centrale: un pregiudizio tale per cui le regioni possono sempre rivendicare le proprie competenze come originarie, scaricando sullo Stato l’onere di fornire la prova della propria legittimazione ad agire. Non si spiega altrimenti come, nonostante i ripetuti fallimenti nel contenimento della pandemia, le regioni possano persistere nell’assunzione di atteggiamenti arroganti, contraddittori e irresponsabili senza patire conseguenze: nemmeno la revoca in dubbio dei progetti di autonomia differenziata (che, anzi, starebbero per ricevere un’accelerazione). È davvero impossibile immaginare un regionalismo in cui non vi sia spazio – valga un solo esempio – per un presidente di regione che apertamente incita a violare la normativa statale?

Il terzo nodo deriva dall’aver ridotto il numero dei parlamentari senza aver prima modificato la legge elettorale, ingenuamente confidando nella successiva spontanea convergenza delle forze politiche verso un sistema proporzionale. Com’era prevedibile, gli interessi politici immediati e contingenti hanno rapidamente preso il sopravvento sulle nobili intenzioni di lungo periodo, riducendo la discussione sulla più importante delle leggi – quella da cui dipende la formazione della rappresentanza parlamentare – a calcoli spicci di convenienza partitica. Risultato: il Rosatellum è rimasto saldo al suo posto e, in caso di elezioni anticipate, sarà la legge con cui andremo a votare. Tenuto conto che la destra unita sfiora oggi il 50 per cento dei consensi e che, al momento, un’alleanza tra Pd e M5S è quantomeno incerta, cosa questo potrebbe significare è presto detto: alla quasi totalità dei 147 collegi della Camera attribuiti con il maggioritario, la destra potrebbe sommare almeno la metà dei restanti 245 collegi assegnati con il proporzionale (8 sono riservati agli italiani all’estero). Il totale arriva sulla soglia dei due terzi con cui si può modificare la Costituzione senza che sia poi possibile richiedere il referendum oppositivo. Al Senato, con soglie di sbarramento implicite più elevate, per la destra l’esito sarebbe ancora più favorevole.

Aggrovigliati l’uno all’altro, i tre nodi rischiano di farsi matassa inestricabile, suscettibile di soffocare la Costituzione. Occorre al più presto avviare un duplice percorso volto a riequilibrare la forma di governo e le relazioni tra lo Stato e le regioni. Improbabile si possa modificare la Costituzione in un frangente delicato e complicato come quello che stiamo attraversando, ma almeno iniziare a riflettere su una serie di correttivi è urgente e necessario: ridurre lo strapotere del Governo in Parlamento (circoscrivere il ricorso alla fiducia e vietare l’emendabilità da parte del Governo dei suoi stessi decreti-legge), circoscrivere l’ambito delle competenze regionali, abrogare la disposizione che consente il regionalismo differenziato (art. 116, co. 3, Cost.), prevedere che la legge elettorale possa essere approvata e modificata solo a maggioranza assoluta (se non qualificata), rivedere al rialzo le maggioranze di garanzia (in particolare per l’elezione del Presidente della Repubblica e la revisione costituzionale). Nel frattempo, approvare una legge elettorale rigorosamente proporzionale, a collegio unico nazionale e senza soglie di sbarramento (vale a dire una legge che dia a ciascuno il suo, senza favorire o danneggiare nessuno), è un’urgenza non ulteriormente procrastinabile.
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Una versione ridotta dell’articolo è pubblicata su il manifesto

* Francesco Pallante è professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Tra i suoi temi di ricerca: il fondamento di validità delle costituzioni, il rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, l’autonomia regionale. In vista del referendum costituzionale del 2016 ha collaborato con Gustavo Zagrebelsky alla scrittura di “Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali” (Laterza 2016). Da ultimo, ha pubblicato “Per scelta o per destino. La costituzione tra individuo e comunità” (Giappichelli 2018) e “Contro la democrazia diretta” (Einaudi 2020). Collabora con «il manifesto».
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DOCUMENTAZIONE
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coordinamento
Lettera di Alfiero Grandi e Felice Besostri per il CDC alle autorità istituzionali
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Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro degli Interni
Al Ministro per i rapporti con il parlamento
Al Presidente e ai capigruppo della Camera dei Deputati
Alla Presidente e ai capigruppo del Senato della Repubblica

Premesso che Il direttivo del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale ha espresso una forte preoccupazione per il blocco delle iniziative parlamentari per l’approvazione di una nuova legge elettorale e che il rinvio dell’approvazione di una nuova legge elettorale ha portato alla conseguenza grottesca che il governo ha avviato la ridefinizione dei collegi e delle circoscrizioni elettorali, vista l’entrata in vigore del taglio del parlamento (5/11/ 2020) e quindi della collegata legge elettorale, votata nel maggio 2019.

Sottolineato che senza una nuova legge elettorale ci troveremo a votare con le regole ancora più maggioritarie della legge del maggio 2019 che renderebbero il parlamento ancora meno rappresentativo della volontà delle elettrici e degli elettori, al punto che con il 35/40 % dei voti una coalizione avrebbe la maggioranza in parlamento, pur rappresentando una minoranza di elettori, comunque sufficiente per modificare la Costituzione, rendendo possibile anche stravolgere la Carta e imporre il presidenzialismo.

La maggioranza attuale si era impegnata, durante la campagna referendaria, ad approvare una nuova legge elettorale per superare almeno alcune storture provocate dal taglio del parlamento, ma finora è tutto bloccato e la proporzionalità non garantita.

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale rivendica con urgenza l’approvazione di una legge elettorale proporzionale che consenta ai cittadini di scegliere direttamente i loro rappresentanti, superando le liste bloccate di nominati dall’alto, obiettivo che si può raggiungere con modalità diverse. Del resto le leggi elettorali dovrebbero essere approvate, secondo il Codice di Buona Condotta in materia elettorale del Consiglio d’Europa, almeno 12 mesi prima della data delle elezioni.

Per queste ragioni dobbiamo esprimere grande preoccupazione che in assenza di una nuova legge elettorale si proceda verso l’approvazione del decreto attuativo della legge stessa rideterminando collegi uninominali e circoscrizioni accentuando il carattere maggioritario della legge elettorale attuale.

Resta inteso che ci riserviamo in altra sede di ricorrere successivamente contro gli elementi di incostituzionalità della legge elettorale vigente, legge n. 165/2017 con le modifiche del maggio 2019, ove restasse in vigore (liste totalmente bloccate, voto congiunto obbligatorio di liste plurinominali e candidati uninominali, premio di maggioranza nascosto nei meccanismi elettorali e nel decreto attuativo, mancato rispetto delle percentuali dei seggi proporzionali e maggioritari).

In questa sede chiediamo che venga corretto il decreto attuativo della legge n.51 del 2019 per gli aspetti di seguito indicati per evitare che risulti al di fuori dei principi della delega:

1) Teramo, provincia abruzzese è stata spartita tra Pescara e l’Aquila, un caso da manuale, che rischia di diventare un simbolo provocato dal taglio lineare dei parlamentari in un sistema misto di collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali.

Con 14 seggi i 3/8 uninominali calcolati ai sensi dell’art. 1 c. 1 lett. a) n. 1) della legge n.51/2019[1], sarebbero stati 5, per 4 province, di cui 3 con popolazione equivalente (L’Aquila 296.491, Pescara 318.678, Teramo 307.412), tutte comprese nello scostamento del 20% ammesso in più o in meno. In effetti l’obiettivo di ridurre il numero dei parlamentari avrebbe richiesto di affrontare il problema della rappresentanza territoriale per stabilire una percentuale di riduzione e criteri di arrotondamento più equilibrati ovvero assumere la decisione di una legge elettorale integralmente proporzionale, che presenta minori problemi, se non prevede soglie d’accesso o molto ridotte tra l’1 e il 2 per cento.

2) La Circoscrizione estero ridotta da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato ha subito una riduzione che non ha tenuto conto che al Senato la legge27 dicembre 2001, n. 459, prevede 4 circoscrizioni che hanno diritto di eleggere almeno un senatore, con la conseguenza che ora i 277.997 elettori italiani di Africa, Asia, Oceania e Antartide avranno un rappresentante come i 2 685 815 italiani della circoscrizione Europa.

3) La legge n. 482/1999 ha dato attuazione all’art. 6 Cost. e alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, ratificata il 28 agosto 1997, n. 302, ma l’Italia è inadempiente rispetto alla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 5 novembre 1992, dopo 22 anni dall’entrata in vigore ancora non ratificata. La distinzione tra lingue minoritarie riconosciute dalla legge n.482/1999 e quelle contemplate dall’art. 14 bis del dpr n. 361/1957, come modificato dall’art. 1 c. 7 della legge n. 165/2017 non è stata colta dal Governo, come si desume dalla p. 2 cpv VI e dalla p. 16 alinea I della Relazione illustrativa.

In Regioni a statuto ordinario ci sono minoranze linguistiche storiche della stessa consistenza della minoranza slovena del Friuli-Venezia Giulia, che, se non fossero state decimate dall’emigrazione, sarebbero rilevanti come insediamento territoriale. Basta pensare agli albanofoni di Calabria, agli occitani delle Valli piemontesi e ai grecanici del Salento e del Reggino.

La scarsa conoscenza delle minoranze linguistiche degli estensori dello “Schema di decreto legislativo per la determinazione dei collegi” è rivelato dal Prospetto 20.3-Senato della Repubblica. Elementi definitori della geografia elettorale della circoscrizione Sardegna pag. 344. In grande evidenza si nota un chiaro NO alla voce “Minoranze linguistiche riconosciute”, che sono invece due la maggiore, quella sarda e quella catalana, lingua ufficiale della Comunità autonoma di Catalogna. Quando si è parlato del Friuli-VG (p. 16 Relaz. Ill.va) si è parlato, errando, solo della minoranza slovena, il 50% dei comuni censiti con presenza slovena sono nell’ex Provincia di Udine, non è perciò esatto che è stata concentrata nella circoscrizione che comprende le ex province di Trieste e Gorizia. Non una parola sulla minoranza friulana, la seconda minoranza riconosciuta, dopo la sarda, ma di gran lunga più numerosa della tedesca.
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4) La parte più importante dello Schema di decreto legislativo è la suddivisione dei collegi in uninominali e plurinominali, nel complesso e nelle singole circoscrizioni, di norma regionali alla Camera, ad eccezione di Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia, e sempre al Senato.

Alla Camera i seggi da attribuire in Italia sono 392, cioè 400 – 8 seggi della Circoscrizione estero, la ripartizione tra uninominali maggioritari e plurinominali proporzionali è indicata per ogni circoscrizione nella Tavola 1 (p.6 Rel. Ill.va) in 147 uninominali e 245 plurinominali, che corrispondono nel loro complesso al riparto previsto: 1/8 di 392 = 49, quindi 3/8 (49×3) =147 e 5/8 = 245.

Al Senato i seggi elettivi sono 196, cioè 200-4 seggi C.E., ripartiti in 74 uninominali e 122 plurinominali (Tavola 2, p. 8 Rel. Ill.va), anche loro corrispondenti nel complesso alla percentuali tra maggioritari e proporzionali, poiché 1/8 di 196=24,5, quindi 3/8 (24,5×3) =73,5 e 5/8 = 122,5. Qui il legislatore delegato ha compiuto una scelta a favore del maggioritario, perché ben potevano essere 73 uninominali e 123 plurinominali. Una scelta non obbligata dalla norma sull’arrotondamento prevista dal legislatore, che all’art. 2 c.1, lett. a) n. 1) della legge n. 51/2019 aveva deliberato: «Il territorio nazionale è suddiviso in un numero di collegi uninominali pari ai tre ottavi del totale dei seggi da eleggere nelle circoscrizioni regionali, con arrotondamento all’unità più prossima, assicurandone uno per ogni circoscrizione», poiché l’arrotondamento all’unità superiore in caso di equidistanza è solo una consuetudine matematica non vincolante Il legislatore delegato è vincolato dalla “determinazione di principî e criteri direttivi” ex art. 76 Cost., che spettano esclusivamente al Parlamento. La norma relativa al Senato favorisce il maggioritario nello stabilire l’arrotondamento all’unità più prossima, invece, che all’unita inferiore come alla Camera, e prevedendo che vi debba essere obbligatoriamente un seggio uninominale in ogni circoscrizione, questa scelta anomala di due criteri di arrotondamento diversi nelle due Camere andava riequilibrata per rispettare il principio generale della prevalenza del proporzionale 5/8 è maggiore di 3/8. L’uninominale del Senato è favorito già dall’art. 57 c. 3 Cost., che assegna direttamente al Molise 2 seggi senatoriali fissi, unica Regione con la Val d’Aosta a non subire alcun taglio. Senza la disposizione speciale, con i criteri Camera il Molise avrebbe avuto 2 seggi plurinominali, poiché i 3/8 di 2 [(2:8) x 3]=0,75, quindi 0 è l’unità inferiore, invece ne avrà 1, l’altro è solo formalmente plurinominale perché elegge un solo senatore con la maggioranza relativa. Con il criterio Camera di un collegio plurinominale con 2 seggi, come in Umbria a Basilicata, ci sarebbe stata una rappresentanza plurale e più rispettosa dell’eguaglianza del voto.

Lo squilibrio a favore dell’uninominale maggioritario è rafforzato dal secondo periodo dell’art. 2 c. 1, lett. a) l.n. 51/2019, di modifica dell’art. 1 c. 2 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533: “Fatti salvi i collegi uninominali delle regioni che eleggono un solo senatore e quelli del Trentino-Alto Adige/Südtirol,.” Senza la norma speciale al Trentino-A.A./S, applicando la regola Senato, sarebbero spettati percentualmente 2 collegi uninominali su 6, altrimenti con la riserva di un seggio uninominale per circoscrizione 1 per ogni Provincia autonoma su 3. Un’incongruenza dopo avere equiparato le province autonome di Bolzano e Trento per il numero minimo di senatori ridiventano Regione Trentino-A.A./S, per beneficiare di altra norma speciale, un vero e proprio escamotage per sfuggire al taglio del 36,50%, come la sottrazione di 4 seggi dal proporzionale a favore del maggioritario, che aggiunti quello guadagnato con l’arrotondamento a 74 e quello del Molise (in realtà 2 perché è previsto 1 collegio plurinominale con un solo seggio, quindi non proporzionale) fanno 6/7 in più, 7/8, se si calcola anche il seggio della Valle d’Aosta, su 196 seggi sono il 3,57% con 7 e il 4,08% con 8. Il Molise presenta un’altra anomalia, anche alla Camera, poiché con 2 seggi e l’arrotondamento all’unità inferiore doveva avere un collegio plurinominale che eleggeva 2 seggi, invece ha un collegio uninominale maggioritario e un collegio plurinominale non proporzionale perché elegge un solo seggio. Un’altra circoscrizione alla Camera non rispetta il rapporto tra proporzionale e maggioritario, il Trentino-A.A./S, con 7 deputati, 4 uninominali maggioritari 3 seggi proporzionali.

5) Infine è necessario ristabilire l’impugnabilità delle operazioni elettorali preparatorie per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, già prevista dalla legge di delegazione del d.lgs 2 luglio 2010, n. 104, rafforzata dalla previsione in norma regolamentare parlamentare, che non si procede a convalida dei parlamentari proclamati in presenza di remissione di norme alla Corte Costituzionale e/o che la remissione sospenda il termine per i ricorsi alla Giunta delle elezioni della Camera di pertinenza e la decisione per quelli già radicati.

Per lo stesso fine bisogna equiparare, anche in via giurisprudenziale, come è avvenuto per l’Ufficio Centrale per i referendum, che gli Uffici Elettorali Centrali o Regionali, che proclamino membri di assemblee rappresentative elettive, composti integralmente da magistrati, possano rimettere norme della legge elettorale alla Corte Costituzionale. Inoltre, visti gli artt. 54 e 93 Cost., che l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta ex lege il Governo nei giudizi elettorali, per resistere alla richiesta di remissione deve ottenere specifica deliberazione del Governo, che se ne assume la responsabilità, dal momento che il Parlamento e il Presidente della Repubblica non possono essere evocati in giudizio e l’interesse pubblico potrebbe essere rappresentato dall’intervento facoltativo del PM, al cui ufficio vanno notificati gli atti introduttivi dei giudizi in materia elettorale. Come si piò constatare senza introdurre norme di rango costituzionale sarebbe ora di attuare la Costituzione invece che cambiarla.

per gli avvocati del Cdc

Alfiero Grandi vice Presidente vicario
prof. Felice Besostri

15/12/2020
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