Un ruolo internazionale (e una politica estera) per la Sardegna

Filippo Figari Sardegna industreFondazione Sardinia LOGO COVERCome contributo al dibattito su “l’assemblea costituente e il nuovo statuto” (che troverà spazio nell’interessante Convegno promosso dalla Fondazione Sardinia e dalle associazioni culturali “Carta di Zuri” e SardegnaSoprattutto, che si terrà lunedì 9 giugno, a partire dalle ore 16, nel Palazzo regio di Cagliari) pubblichiamo una parte di un saggio del prof. Umberto Allegretti, apparso sulla rivista “www.federalismi.it” e datato 14 gennaio 2014. L’intervento mantiene intatta validità, iscrivendosi nel quadro di una “rafforzata autonomia speciale”, che, osserviamo con piacere, sembra accogliere un’impostazione di fondo che oggi possiamo definire “sovranista”. Ovviamente queste sono considerazioni del tutto personali, che non vogliono in alcun modo costituire una forzatura rispetto al taglio dell’autore. Ci sembra particolarmente significativo proporre la lettura del saggio rispetto al ruolo internazionale della Regione Sarda e alla necessità che la Sardegna abbia una sua “politica estera”, sia pure nei limiti attuali, che comunque potranno auspicabilmente modificarsi (ovviamente con aperture di sovranità). Tutto ciò, e torniamo al punto di partenza, deve trovare accoglimento nel nuovo statuto della Sardegna. (f.m.)

Un ruolo internazionale per la Regione Sarda
di Umberto Allegretti*
(…) Sul campo dei rapporti internazionali e con l’Unione europea, campo nevralgico ma, per quel che già si è detto, rispondente per la Regione sarda a una vocazione “naturale”, si può dire di più.
La distribuzione di questi rapporti – già concepiti come quasi del tutto estranei alle regioni e comunque costituenti per esse più un limite che un oggetto di competenza (48) – ha avuto un’evoluzione notevole col nuovo Titolo V (49), anche se poi la legge di attuazione n. 131/2003 detta “La Loggia” è stata restrittiva, ad esempio nelle forme date alle intese e agli accordi (50).
Ci sono comunque in tutto questo settore passi avanti delle Regioni ordinarie e questo è il minimo della frontiera che in base all’adeguamento automatico deve già darsi per acquisito per la Regione sarda. Questo minimo è d’altronde reso sicuro dal fatto che le disposizioni del titolo V relative alla partecipazione alla formazione degli atti comunitari e all’attuazione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea sono esplicitamente riferite anche a tali regioni, e che le norme della legge ordinaria menzionano a ugual titolo delle regioni ordinarie quelle speciali anche con riguardo alle altre manifestazioni della competenza internazionale delle regioni. Ne sono esempio le norme sugli accordi e le intese (art. 6 della legge 131) e quella che garantisce alle regioni speciali “almeno un rappresentante” nelle delegazioni governative presso l’unione europea (art. 5). Naturalmente è in questo modo esclusa ogni espansione maggiore di quella riconosciuta alle regioni ordinarie e anzi i limiti, in parte impropri e criticati dalla dottrina, imposti a queste ultime valgono anche per le speciali (51).
Ma non ci si può fermare al punto raggiunto (52). E infatti la dottrina ha già individuato nella potestà su rapporti con l’estero “un settore molto importante, nel quale può essere esaltata la specialità” e ha formulato precise ipotesi per il suo potenziamento, quale l’affidamento all’autodeterminazione degli statuti e delle leggi attuative di essi dei rapporti e accordi
internazionali delle regioni – seppure “nello spazio lasciato libero dagli indirizzi esistenti della politica estera della Repubblica” “e dalle esigenze di natura militare” -, proponendo di sostituire con una semplice informazione al Governo le gravose procedure stabilire per le altre regioni e concedendo a esso solo un evidentemente eccezionale potere di veto quando ravvisasse oltrepassamenti di quei limiti (53). Per la Sardegna, valgono le ragioni di quella apertura al fuori di cui si è parlato, che nella frontiera mediterranea trova il suo massimo.
D’altronde vi è qui da conservare, migliorandola sulla base dell’attuazione datale con la norma di attuazione dettata con il raramente notato (e, sembra, poco applicato) d. lgs. 215 settembre 1999 n. 263, l’abilitazione della Regione a essere “rappresentata nella elaborazione dei trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati esteri in quanto riguardino
scambi di specifico interesse della Sardegna” prevista dall’art. 52 dello statuto attuale 54; abilitazione che come noto è assente per le regioni ordinarie.
Può essere qui richiamato un tipo di letteratura politica e filosofica che si è molto sviluppata nel sud d’Italia, (basta evocare nomi di Franco Cassano e di Pietro Barcellona) (55) per ricordare come questa questione della frontiera mediterranea dell’Italia non riguarda solo evidentemente la Sardegna, ma tutte le regioni del Mezzogiorno, cosa che rende necessario alla Regione sarda collegarsi con le altre regioni meridionali, perché soltanto facendo fronte comune tra di esse si può svolgere una funzione mediterranea reale. Sembra importante che lo statuto dica qualcosa da questo punto di vista, per esempio immettendovi il principio delnecessario dialogo con le civiltà esterne, in particolare, perché no? con quelle islamica. Non potrebbe tale dialogo trovare anche in un riconoscimento costituzionale da parte della Repubblica italiana una base precisa? Si può credere che davvero sia questa l’occasione per una novazione costituzionale importante che non ha niente a che fare (e che quindi non può essere fermata) con obiezioni riguardanti la sovranità o il federalismo spinto, poiché sarebbe una legge costituzionale dello Stato italiano a formulare un principio che d’altronde è già leggibile interamente negli articoli fondamentali della nostra Costituzione, a partire dall’articolo 11.
Quali sono le conseguenze puntuali che provengono per lo statuto speciale da questo retroterra? Non è sufficiente pensare di limitare il suo impatto a una norma-principio, data anche la sobrietà che si è ritenuta appropriata per quel tipo di norme. Sarebbe invece da porre il problema se non sia il caso di collocare nel nuovo strumento costituzionale un capo appositamente dedicato ai rapporti internazionali della regione. Si darebbe così opportuno risalto a questa parte dell’azione regionale e darle legittimazione forte nei confronti dello stato e impulso anche di fronte a esitazioni della politica e della società sarde. In esso si potrebbero inserire norme sulla relazione della Sardegna entro l’Unione europea, regole sui più generali rapporti internazionali e previsioni concernenti i rapporti con i paesi mediterranei.
Nel primo settore, si può pensare di prevedere la partecipazione diretta della regione all’attività comunitaria, corrispondenti a quelle già introdotte per le regioni ordinarie, ma maggiormente articolate. Per esempio, legittimare esplicitamente la presenza di una rappresentanza regionale in seno agli organi dell’Unione – rappresentanza ovviamente non sostitutiva di quella statale ma affiancata a questa -, e a prescindere dalle ipotesi in cui essa è già assicurata per l’insieme delle regioni speciali, nelle trattative per le decisioni comunitarie e per quelle internazionali in cui l’Unione interviene che abbiano un interesse rilevante per l’economia della Sardegna (ad esempio nella politica commerciale comune che vede l’Unione rappresentata unitariamente in trattative e organizzazioni internazionali) e anzi per ogni sua posizione anche non in campo puramente economico; costituzionalizzando così anche questa componente della specifica norma di attuazione del decreto n. 248/1999 citata sopra.
Partecipazione singola per il caso di competenze o di interessi particolari della Sardegna, affidata eventualmente in comune a una sola regione speciale per casi di interesse e competenza più generale, secondo l’ipotesi fatta dall’art. 5.1 della legge n. 131, che mantiene interesse perché stabilisce una collaborazione tra le diverse regioni speciali (e anche con le ordinarie, esse pure in tali casi rappresentate), atta a sottrarre la Sardegna al pericolo di un discorso solipsistico avente per referente il solo stato. Sarebbe poi da ribadire la partecipazione indiretta alla formazione delle decisioni dell’Unione, secondo le ipotesi
comuni a tutte le regioni o eventualmente proprie della sola Sardegna nei casi in cui essa fosse l’unica ad avere nella sua sfera di competenza la materia trattata (e in tal caso non sarebbe da escludere il riferimento alle sedi tipiche del coordinamento tra regioni e stato, date per ora, in attesa della Camera delle regioni, dalla Conferenza stato-regioni). Di questa norma sarebbe
importante una formulazione che non limitasse la partecipazione a un diritto della regione, come spesso viene inteso, ma che sottolineasse la normale doverosità della partecipazione della regione, in maniera da spingere questa a uscire da inerzie che spesso si danno in questo campo. Così pure, non sarebbe superflua la previsione esplicita, nei casi predetti e ove ne
ricorrano i presupposti cioè la particolare rilevanza politica, della cosiddetta “riserva di esame” da porsi dal governo italiano.
Nel settore dei rapporti internazionali generali, potrebbero essere introdotti per gli accordi e le intese regionali con stati ed enti esteri gli ampliamenti della discrezionalità regionale già individuati dalla dottrina sopra citata, alleggerendo gli oneri procedurali, ma in realtà reagenti sulla sostanza, posti alle regioni ordinarie.
Nel terzo settore, quello delle norme sui rapporti mediterranei, potrebbe essere specificato il principio già suggerito sopra, individuandone alcuni criteri direttivi. Tra di essi, si può pensare, nel merito, a dare espressione di un principio di parità tra le civiltà, particolarmente opportuna in presenza di un problema attuale di tendenza da parte dell’Occidente a coltivare
ancora un sentimento di una superiorità della nostra rispetto alle altre e in particolare all’araba e alla musulmana. E si può dedurne, sul terreno procedurale, la conseguenza della enunciazione come principio di azione del dialogo, della collaborazione e della concertazione coi paesi frontalieri. Inoltre, trattandosi di una potenzialità presente quanto meno in tutte le regioni meridionali italiane, si potrebbe enunciare una direttiva di massima di favore per un’azione concertata o almeno convergente con queste, a partire dall’altra regione speciale del Mezzogiorno, la Sicilia.
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Le note del testo

(48) E’ stata, come si sa, proprio la presenza nello statuto sardo, e del tutto similmente in quello valdostano e trentino, poi in quello friulano, di una clausola inserita tra quelle tese a delimitare la competenza legislativa regionale di qualunque tipo, e di riflesso, nel sistema di parallelismo allora previsto, la potestà amministrativa, clausola che imponeva alle regioni il rispetto degli obblighi internazionali (puntigliosamente il più tardo degli statuti, quello del Fiuli-Venezia Giulia, precisava trattarsi degli obblighi internazionali “dello stato”), a dare la base a una lettura in realtà abusiva. Tale lettura, imposta dalla prassi statale e dalla giurisprudenza costituzionale – si ricordi la drastica formula della sent. n.46/1961, che dichiarava “incontrovertibile” che l’esecuzione interna degli obblighi internazionali spettasse allo stato – concepiva l’osservanza degli obblighi internazionali come totale interdizione a tutte le regioni, speciali e ordinarie, di qualunque sfera d’azione comunque attinente ai rapporti internazionali e alla loro esecuzione all’interno. Tale interdizione era dunque “non..limite alla competenza regionale…bensì …limite di competenza…che ne esclude in radice l’esercizio”. Ciò avveniva in nome non certo della dizione delle norme statutarie logicamente intesa, ma della “tradizionale concezione della ‘materia’ in questione come materia speciale che mette in gioco …l’unitarietà dello Stato e che dunque richiede una gestione unitaria”: così riassume la questione P. Caretti, potere estero e ruolo ‘”comunitario” delle Regioni nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2003, p. 557. Lo stesso principio veniva allora applicato anche per i rapporti comunitari, che erano, è vero, meno sviluppati di oggi, ma che tuttavia vennero a incidere fin dalle prime esplicazioni di attività della Comunità sulle regioni italiane, ad esempio nella materia dell’agricoltura, che per la Sardegna rientrava nella potestà legislativa esclusiva. Chi scrive, che a cavallo degli anni ’50 e ’60 lavorava all’Ufficio legislativo della Giunta regionale, può dar testimonianza di quanto presto la Regione sarda si scontrò quotidianamente con un rigido atteggiamento degli organi statali teso a vietarle ogni intervento nelle relazioni con quello che allora era il MEC. L’intera concezione era senza dubbio insita nel senso dello stato e della politica estera proprio di tutta l’epoca dall’antico regime in poi, e la sua sovrapposizione allo stato democratico e alle sue norme di più alto grado prova come “i sentimenti sono importanti quanto il diritto costituzionale” (secondo un altro umoristico e acuto detto di R. Musil, L’uomo senza qualità, cit., p 29, formulato sul tema puntualmente costituzionale della trasformazione strutturale dell’Impero austriaco da Austria a Austria-Ungheria).
(49) Non solo risultano infatti confermate le attività “di rilievo internazionale” e quelle “promozionali” consentite con modalità diverse già dagli sviluppi precedenti, ma – con “novità di notevole rilievo” (così si esprime P. Caretti, Potere estero e ruolo “comunitario”, cit. p. 563) – le regioni sono state abilitate a porre in essere “accordi” e “intese” rispettivamente con “Stati” e con “entri territoriali interni ad altro Stato” – dunque a esercitare (come si dice) un vero e proprio “potere estero” nelle materie di loro competenza, con il limite della competenza riservata allo stato sulla “politica estera” e i “rapporti internazionali dello Stato”, con l’osservanza dei “casi” e delle “forme” regolati da leggi dello stato, e salva la possibilità, riconosciuta dalla dottrina allo stato, di concludere trattati anche nella materie di competenza regionale (in questo senso si
esprime, pur tendendo giustamente a valorizzare il nuovo quadro costituzionale sul potere estero delle regioni , P. Caretti, ibidem, p. 563 ss. )
(50) La “legge La Loggia” ha ristretto indebitamente la sfera d’azione regionale prevista dalla Costituzione, parificando il trattamento delle intese con enti territoriali interni ad altri stati alle attività di mero rilievo internazionale e immiserendo con condizionamenti governativi solo apparentemente procedurali gli accordi con stati esteri, inoltre mancando di prevedere la
partecipazione delle regioni alla definizione del contenuto dei trattati conclusi dallo stato su materie di loro competenza, pur
richiesta dal principio di leale collaborazione (così ancora P. Caretti, op. cit., pp. 565 ss.).
(51) Sia pure con alcuni problemi minori, il nuovo art. 117 ha costituzionalmente riconosciuto la competenza regionale all’attuazione degli accordi internazionali. Il “concorso” tra stato e regioni in materia di rapporti con l’Unione europea è poi
disciplinato oggi dalle disposizioni costituzionali e da quelle attuative in “modo assai più corretto” del passato, mediante una
partecipazione sia diretta che indiretta delle regioni alla formazione del diritto comunitario, e attraverso la garanzia dell’intervento regionale nell’attuazione della normativa comunitaria (si può anche qui rinviare allo studio più volte cit. di P.
Caretti ).
(52) Come si dice poco sotto nel testo, in materia di trattati di commercio rimangono chiaramente applicabili alla Sardegna l’art. 52 dello statuto e la normativa di attuazione specifica ricordata nella nota 54 che segue.
(53) Così G. Silvestri, Le regioni speciali tra limiti di modello e limiti di sistema, cit., pp. 1132 s.
(54) La competenza a intervenire così consentita alla regione è stata con molto ritardo disciplinata da quella norma di attuazione dello statuto, che sotto più d’un aspetto regola la fattispecie con una certa larghezza, ad esempio estendendola a tutti gli accordi (non solo ai trattati forrnali), alle sedi multilaterali e agli accordi internazionali in cui è parte l’Unione europea e, soprattutto, interpretando gli “scambi di specifico interesse della Sardegna” come quelli riguardanti “interessi rilevanti per l’economia della Sardegna”. Chi scrive, che era all’epoca rappresentante statale e presidente della Commissione paritetica per le norme di attuazione e che propose il testo di quelle disposizioni, riscontrò con piacevole stupore, dato l’abituale atteggiamento ostruzionistico dei ministeri in sede di elaborazione delle norme di attuazione, che il ministero degli esteri tenne in quel caso un atteggiamento collaborativo che rese possibile l’emanazione della normativa. Forse perché si pensava che sarebbe rimasta confinata in un angolo, come è avvenuto per la scarsa attenzione che la regione ha in genere manifestato, almeno finora, alla sua pratica implementazione! Lo stesso articolo dello statuto prevede che la regione sia sentita a tutela di interessi del medesimo tipo in materia di legislazione doganale; punto, questo, che si ritrova in termini somiglianti anche nello statuto siciliano, non senza che questo dichiari “di esclusiva competenza dello Stato” il regime doganale della regione (art. 39).
(55) Per la fondazione teorica v. specialmente F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari, 1996 (più volte riedito).

www.federalismi.it

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U Allegretti* Il saggio è tratto da uno più consistente, intitolato RAGIONI E FRONTIERE DELL’AUTONOMIA SPECIALE DELLA SARDEGNA, di Umberto Allegretti (Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Firenze), pubblicato sulla rivista di diritto pubblico Federalismi.it, e datato 14 gennaio 2009.

One Response to Un ruolo internazionale (e una politica estera) per la Sardegna

  1. […] e SardegnaSoprattutto, che si tenne il 9 giugno nel Palazzo regio di Cagliari) pubblicammo il 2 giugno 2014 su Aladinews una parte di un saggio del prof. Umberto Allegretti, apparso sulla rivista […]

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