LAVORO e NUOVE TECNOLOGIE. “I vecchi non possono che sperare che i giovani prendano in mano la trasformazione della società e portino verso l’età dell’oro, che continuerà ad essere una meta sempre da raggiungere”

quarto_statoL’età dell’oro sta davanti a noi.

di Francesco Indovina, 24 febbraio 2017 su
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Non sopporto, ma questo è il meno, e ritengo sbagliati (culturalmente e soprattutto politicamente) ogni atteggiamento contro il progresso. Rifugiarsi nella “bellezza” della piccola comunità, esaltare come elemento di progresso il ritorno all’artigiano, immaginare che l’identità di luogo possa risolversi in costruzione di società, ecc. è un’illusione. Fare gli scongiuri per ogni nuovo fattore di progresso cantando le lodi del bel tempo che fu, nel momento in cui gli avanzamenti della scienza e della tecnica ci promettono benessere, una vita più lunga e più sana, libertà dal lavoro più alienato, ecc. mi sembra di una miopia tragica.

Non sopporto, ma questo è il meno, e ritengo sbagliati (culturalmente e soprattutto politicamente) ogni atteggiamento che affida con ingenuità, spesso con furbizia, e quasi sempre con ignoranza, alle nuove tecnologie la soluzione di tutti i nostri problemi sociali.

Né il ritorno al passato, predicato ma mai realizzato, né l’attesa che la tecnologia ci porti in paradiso, ci faranno fare un passo avanti nella conquista generalizzata di un livello di vita dignitoso, libero, denso, per tutti (per l’intera umanità). La strada per raggiungere una possibile età dell’oro sarà faticosa, irta di pericoli, ma sicuramente porterà alla meta.

Questa strada presume che si accetti che la grande rivoluzione capitalista (“La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria” Marx e Engels) abbia perso la sua spinta propulsiva (usando le parole che Berlinguer ha adottato con riferimento al socialismo realizzato) e si assuma piena consapevolezza che lo sviluppo delle forze produttive è in contrasto e trova un ostacolo nei rapporti sociali di produzione. Sempre più emergono elementi e nessi che pongono, anche con una certa urgenza, la necessità di un cambiamento della struttura sociale capitalistica.

Il “capitalismo” non è più “rivoluzionario”, i suoi cambiamenti, la sua finanziarizzazione, la concentrazione della ricchezza l’hanno trasformato non più in un fattore (contradittorio) di progresso, ma piuttosto in un agente della discriminazione, della rottura di ogni vincolo sociale, della distruzione dello stesso territorio della specie.

All’interno della struttura sociale capitalistica lo sviluppo tecnologico non potrà che produrre disoccupazione, quindi miseria, e concentrazione della ricchezza. Sono ormai numerose le ricerche che indicano come l’avanzamento tecnologico, in tutti i settori compresi i servizi, e soprattutto lo sviluppo della robotica (per l’industria, i servizi e le famiglie) ridurrà drasticamente l’occupazione (negli Stati Uniti è stata calcolata una riduzione del 80% a fronte di un incremento derivato di solo il 5%). In sostanza l’ipotesi che lo sviluppo tecnologico tagliasse posti di lavoro da una parte ma ne creasse più numerosi da un’altra parte risulta non corrispondente al tipo di rivoluzione tecnologica in atto. Non si tratta di luddismo, ma piuttosto della presa d’atto che lo sviluppo tecnologico, dentro l’attuale regime sociale, non si combina con la crescita sociale (opera discriminazione, segmentazioni, divergenze, ecc.).

Il crescente sviluppo del settore di ricerca e della struttura economica/produttiva legata al genoma, costituisce, insieme alla robotica e alla rete, un settore trainante. Non si tratta solo di “soldi” (di molti soldi), ma di qualcosa che riguarda da una parte il diritto alle cure non legate alla propria condizione di reddito, e dall’altra a questioni etiche non marginali che hanno a che fare con la eredità della specie, con interventi su altre specie, ecc. Sviluppo tecnologico e “manipolazione” dei geni, aprono all’umanità prospettive di grandi miglioramenti, ma al contempo non bisogna chiudere gli occhi davanti ai possibili esiti negativi, drammatici e sconvolgenti che ne possono derivare se il potere di decidere la direzione di queste innovazioni e il loro scopo restano in mano a chi “razionalmente” vuole accumulare ricchezza.

Quello che deve spaventare non è l’innovazione, non è la tecnologia, non sono le ricerche più avanzate e ardite ma il loro uso, il fine che si vuole raggiungere ( i “soldi” non sono un buono scopo, accecano).

Dallo sviluppo delle nuove tecnologie ci si deve attendere grandi miglioramenti per la vita di tutti. Ma non c’è garanzia, anzi è possibile avvenga il contrario, è il vincolo del rapporto sociale capitalistico che è necessario rimuovere, in forme più riflessive di quanto si sia fatto nel passato.

Se si guardasse con attenzione all’oggi non si potrebbe non vedere la crescita delle diseguaglianze economico-sociale (sia interne che internazionali). Non è casuale che nella crisi che ha attanagliato l’economia mondiale negli ultimi 10 anni, ad una riduzione generalizzata delle condizioni di vita della gran parte della popolazione corrisponde una crescita della ricchezza di pochi. Questo, si osservi, vale per tutti i sistemi economici qualsiasi sia il regime politico di governo. Come è stato simbolicamente indicato si tratta dell’1% contro il 99% della popolazione, ma bisogna riflettere anche sul fatto che questa sperequazione non riguarda soltanto i “grandi finanzieri”, ma si riferisce anche ad una sorta di “mentalità” che tende a stravolgere la “concezione” del guadagno, i parametri con i quali misurarlo e i rapporti con gli altri (“approfittare” è il verbo più declinato dai singoli).

L’individualismo e l’egoismo (alimentato anche dal bisogno e dalla paura di perdere il poco che si ha) incide profondamente sulle relazioni sociali e tende a frantumare ogni relazione che non sia di mera convenienza, di difesa corporativa, o che non abbia a sua base una identità fasulla.

Ma come garantire che di tutto il progresso possibile possa godere l’umanità tutta e non solo una sua porzione (di ceti e popoli privilegiati)? Come garantire che tutto il progresso possibile sia portatore di libertà, di giustizia sociale, di eguaglianza per tutta l’umanità e non invece di discriminazioni, di diseguaglianze e di oppressione? Domande che interrogano la “politica”, la politica di sinistra, che ha bisogno di interrogarsi sia sui suoi fini che sui suoi mezzi.

La sinistra (quella che qui interessa) ha perso molto (tutto?) il suo potere di attrazione, la sua lingua non pare più adeguata, il disegno di società futura, quella di cui piacerebbe sentire parlare, non emerge e non attrae quel 99%. Eppure quello che avviene nel mondo, pur nella sua contraddittorietà, appare interessante. Si nota un riemergere di consapevolezza. Gruppi, movimenti, partiti di “sinistra” si fanno evidenti.

Quando questi assumeranno che va infranto il rapporto sociale di tipo capitalistico, che una forma nuova di società sarà possibile costruire (senza prescrizioni che non siano di uguaglianza e libertà), allora le questioni del lavoro, della dignità di vita, della disponibilità dei beni, dei vincoli all’accumulazione personale, della parità, dell’accesso al sapere e alla cultura, ecc. potranno essere risolte. Affrontare ciascuno di questi aspetti, e altri ancora, senza affrontarne la matrice rischia di dare l’impressione di una soluzione sul punto specifico, che non solo risulterà temporanea e non risolutiva, ma la “soluzione” si scaricherà su altri aspetti.

Il rapporto capitalistico che nella cultura dei nostri giorni viene considerato un “rapporto tecnico”, per sua natura originaria si costituisce come “rapporto sociale”. Pensare che qualche “regola” può aiutare il “rapporto tecnico” ad essere di vantaggio a tutti è una illusione; il “rapporto sociale” ha bisogno di una trasformazione (sociale), di una “rivoluzione” creatrice di nuova ricchezza, di nuova socialità, di uguaglianza, libertà e democrazia.

I vecchi non possono che sperare che i giovani, la massa di quel 99%, prendano in mano la trasformazione della società e portino verso l’età dell’oro, che continuerà ad essere una meta sempre da raggiungere.

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