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Auguri di buona Pasqua di Resurrezione!

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Pasqua 2021: salvarsi insieme
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Tomaso Montanari*.
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Gesù non si salva da solo. Gesù non risorge da solo.

Appena vinta la morte, Gesù non ascende al cielo. Non vola dal Padre, e non corre subito nemmeno dai suoi amici, gli apostoli. Egli invece va letteralmente all’inferno, questa terribile prigione perpetua (Pietro 1, 3, 19: «andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione»). Ne scardina le porte blindate. Le abbatte: le porte dell’inferno non prevarranno (Matteo 16, 18). Vediamo, a terra, tutti i chiavistelli del cancello infernale: distrutti, disarticolati, spezzati. Sono i congegni della morte: il peccato e la legge. E sono stati annientati da una legge nuova che non è una legge: ma un amore. Sconosciuto, perché gratuito. La porta, gettata a terra, schiaccia il diavolo: etimologicamente colui che divide, il divisore. È vinto colui che divideva i morti dai vivi, è vinto colui che divideva i vivi tra chiamati e rifiutati. Ora tutti sono chiamati, senza confini di genere, razza, lingua e stirpe. Senza confini di religione.

E quando Gesù mette piede all’inferno, cosa fa? Stende le sue mani, e prende le mani di Adamo e di Eva. Quell’incontro di mani, quella stretta forte è il primo frutto della resurrezione. Gesù stringe a sé tutto il genere umano, le donne e gli uomini di ogni tempo. Non solo quelli che lo hanno preceduto, ma quelli di tutti i tempi. Gesù non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio (Filippesi 2, 6), e non considera un tesoro geloso nemmeno la sua resurrezione: tende le mani, e condivide subito quella vittoria sulla morte.

La Pasqua è il trionfo di quel salvarsi insieme che don Lorenzo Milani definiva semplicemente “politica”. Oggi tutto questo, lo sappiamo, è ribaltato nel suo contrario. Oggi il primo ministro inglese Boris Johnson ha avuto almeno il coraggio di dire apertamente ciò che è tutto l’Occidente pensa: e cioè che se ci salviamo dalla pandemia, ci salviamo grazie all’avidità, al profitto, al mercato. Al denaro. Più o meno tutti gli Stati occidentali lo stanno facendo: e chi, come l’Italia, non lo fa, è perché non ci riesce, non perché non voglia. Ci siamo affidati al grande nemico dell’uomo, il divisore: il diavolo che Gesù identifica col denaro (Matteo 6, 24; Luca 16,13).

Nemmeno la concreta e attuale minaccia di una estinzione di specie ci induce a superare il nostro mostruoso egoismo. La pandemia – lo sappiamo – è il frutto dello scellerato modello di economia che l’Occidente ha imposto al mondo: una crescita infinita per un pianeta finito; le condizioni di vita che imponiamo agli animali, e che tolgono a noi la condizione di umani. È questo l’inferno che abbiamo costruito in terra. Guardato da porte pesanti, da chiavistelli inespugnabili. E ora che quell’inferno minaccia di ingoiare il mondo intero, l’Occidente cerca di risorgere da solo.

Se l’epidemia della spagnola non è ricordata come il flagello mostruoso che fu davvero, è perché la maggior parte dei morti non li fece in Occidente: dove fummo molto più bravi a ucciderci a vicenda con la Prima guerra mondiale. Ma nel resto del mondo il disastro fu epocale: forse fino a cento (certamente fino a cinquanta) milioni di morti, un’ecatombe che stentiamo financo a immaginare, pur con i nostri quasi tre milioni di caduti per il coronavirus di oggi. Il mondo povero non scrive la storia, e oggi il copione sembra ripetersi. Ma con una differenza fondamentale, e cioè che le vaccinazioni occidentali potrebbero essere radicalmente vanificate dal ritorno “a casa nostra” delle varianti del virus generate in un terzo mondo abbandonato a se stesso. Pensiamoci un attimo: se dovessimo finire per il nostro egoismo, se dovessimo morire tutti perché abbiamo pensato a salvarci da soli, chi potrebbe piangere sul nostro egoismo suicida?

Mai come quest’anno, dunque, la Pasqua coincide con la discesa agli inferi del Risorto. La Pasqua è resurrezione di uno che diventa resurrezione di tutti. È salvarsi insieme. È mano tesa a chi è imprigionato nell’inferno che proprio noi abbiamo creato (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/12/pasqua-2020-3-domenica-di-pasqua-un-cuore-di-carne/).

Giovanni racconta che, dopo la resurrezione, Gesù si manifestò ai discepoli nel modo più fraterno e commovente: «Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora”» (21, 9-10). Gesù cucina per i suoi amici, prepara un fuoco sulla spiaggia, e aspetta che tornino dal lavoro. Un’immagine indimenticabile di convivialità e amicizia, che dice, nel modo più forte e insieme più semplice, cos’è che davvero importa nella vita: condividere. Gesù, vero uomo, avrà imparato molte cose nella sua vita tra gli uomini. Anche che una vita senza arrostire del pesce per i propri amici, una vita (perfino una vita eterna) da solo non è umana, anzi non è nemmeno immaginabile.

Se vogliamo che l’umanità si salvi, dobbiamo essere umani: scardinando le porte degli inferni che noi stessi abbiamo costruito (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/04/12/che-pasqua-celebriamo/). Gli umani si salvano insieme, risorgono insieme: o non si salvano, e non risorgono. La Pasqua è la speranza che questo accada. La resurrezione è «la speranza che, nonostante tutta questa ingiustizia che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola» (Max Horkheimer).
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Vaccini e diamanti: lo spirito del capitalismo
Volerelaluna. 03-04-2021 – di: Luigi Pandolfi**

Anche sulle vaccinazioni l’Europa sta mostrando tutti i suoi limiti. Quali compiti si era data? Concludere accordi con i singoli produttori di vaccini per conto degli Stati membri. L’ha fatto ricorrendo al fondo da 2,7 miliardi appositamente istituito per supportare i Paesi dell’Unione nella lotta al coronavirus (Emergency Support Instrument). In sostanza, si è fatta carico di acquisire un diritto di acquisto per un certo numero di dosi, dando alle imprese un acconto a nome degli Stati. A ben vedere, una buona garanzia per le imprese produttrici, che in questo modo sarebbero incentivate ad aumentare la produzione. Dopo tre mesi, tuttavia, i conti non tornano. Secondo la tabella di marcia, ad oggi doveva essere vaccinato l’80% degli ultraottantenni e del personale sanitario. Siamo al 27% per gli uni e al 47% per gli altri. Nel frattempo, il numero giornaliero di morti e contagi rimane da paura. Oltre 200 mila i primi, circa 3 mila i secondi. Fallimento? È quello che dice la sezione regionale dell’Oms. «Campagna inaccettabilmente lenta», ha dichiarato il direttore generale Hans Henri P. Kluge. A Bruxelles, però, dicono che la colpa è delle case farmaceutiche che producono poco e dei piani nazionali che non decollano. Ma davvero è solo una questione organizzativa? Troppo semplice, verrebbe da dire.

Intanto, dovremmo chiederci perché i singoli Paesi membri, quasi tutti economicamente avanzati, non sono in grado di produrre i vaccini per i loro popoli. O li producono solo per conto terzi, per i colossi di Big Pharma. Cuba sì e l’Italia no? Un paradosso. Eppure, in passato non è stato sempre così. Fino agli anni Settanta, in Europa esisteva una pluralità di produttori pubblici di vaccini. Ma anche gli istituti privati assolvevano, come in Italia (emblematico il caso dell’Istituto Sclavo), a una funzione pubblica, nel quadro delle strategie nazionali di politica sanitaria. La svolta arriva negli anni Ottanta. La rivincita delle teorie economiche neoclassiche travolge anche il settore sanitario e farmaceutico. La sanità diventa «aziendale», anche i farmaci diventano solo fonte di profitto, al pari di tutte le altre merci. In pochi anni tutti gli istituti pubblici di produzione di vaccini che erano sorti a partire dagli anni Cinquanta nei principali Paesi europei vengono smantellati (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/03/23/per-unindustria-pubblica-del-farmaco-e-del-vaccino/). Fine di una storia. Quella che nei decenni passati aveva fatto conseguire risultati clamorosi nella lotta alle più insidiose malattie endemiche, come ad esempio il vaiolo (per quelli di una certa età la traccia indelebile di quella stagione è data dei segni dell’innesto sul braccio sinistro).

È il trionfo del privato. Un pugno di multinazionali acquisisce il monopolio della produzione farmaceutica su scala mondiale e anche i vaccini vengono interamente assoggettati alla logica del mercato. Da «valori d’uso» si trasformano in meri «valori di scambio». Come per le altre merci, la loro produzione non è più finalizzata al soddisfacimento di un bisogno (in questo caso il bisogno di salute), ma alla realizzazione di un profitto il più possibile elevato. Il processo è quello che si può riassumere nella formula denaro-merce-denaro. Processo capitalistico per eccellenza. L’«utilità marginale» del bene vaccino è commisurata alla formazione del suo valore monetario e alla profittabilità dell’impresa produttrice. L’utilizzatore è un consumatore come un altro. Non conta il numero dei morti che fa il Covid-19, ma la legge della domanda e dell’offerta. Quando la Commissione europea scrive che l’acconto dato alle case produttrici per conto degli Stati serve a incentivare la produzione da parte delle stesse (una copertura del rischio) ammette proprio questo. Che gli affari non guardano in faccia nessuno, anche se di mezzo ci sono malati e morti (https://volerelaluna.it/noi-e-il-virus/2021/03/22/astrazeneca-una-vicenda-che-non-riguarda-solo-il-vaccino/). Nel I libro de Il Capitale, Marx porta il lettore a ragionare sulla duplice natura delle merci. «Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso», è la sua caustica conclusione. La traduzione è semplice. In un’economia capitalistica la differenza tra un vaccino che salva la vita e un diamante che serve a soddisfare la vanità di una persona è data soltanto dal loro diverso «valore di scambio». Il loro prezzo. Il processo economico capitalista non contempla la produzione di utilità sociali, ma solo la realizzazione di un sovrappiù per chi detiene i mezzi di produzione, dopo aver reintegrato i mezzi per la sussistenza e la riproduzione dei lavoratori e quelli necessari alla ripresa del processo produttivo. Dopo più di tre secoli siamo ancora qui, per quanto si voglia insistere con la storiella che «ormai è cambiato tutto, anche il lavoro e l’impresa».

La pandemia è arrivata alla fine di un lungo ciclo di ristrutturazione delle società occidentali. Anni in cui il mercato è stato fatto entrare dappertutto, finanche dove insistono, per dirla ancora con Marx, «valori d’uso senza valore» (acqua, aria, paesaggio). Tutto è stato assoggettato a «determinazione economica». E tutto è stato riassorbito in un processo fine a se stesso di produzione di denaro a mezzo di denaro. Compresa la politica e le istituzioni democratiche, la cui autonomia rispetto all’economia è pari a zero, ormai. Come per la produzione pubblica di vaccini, anche il «Grande novecento» politico è solo un lontano ricordo. Siamo «dopo l’età della politica». Ma tutto sembra normale: il problema diventano i ritardi nelle forniture e non il fatto che un bene così importante come il vaccino venga prodotto in funzione dei guadagni che su di esso si possono realizzare. Siamo schiavi del mercato ma intendiamo le catene come semplici accidenti. E nemmeno in tutte le circostanze della vita. «Una levigata, ragionevole, democratica non-libertà», avrebbe detto Herbert Marcuse. Salvo aggiungere che «se la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente, ciò non rende questa meno irrazionale e riprovevole».

Un esempio recente di subalternità della politica e delle istituzioni al capitale monopolistico, legato proprio alla questione dei vaccini, è quello del mancato accordo in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) a proposito di una deroga sui brevetti. Si sono schierati contro gli Usa, il Regno Unito, la Commissione Ue e tutti i 27 Stati membri dell’Unione, compresa l’Italia. L’Occidente ricco unito a sostegno dei profitti privati sui vaccini, e contro i diritti elementari delle persone e dei popoli più sfortunati della Terra. (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/17/il-nazionalismo-del-vaccino-ovvero-si-salvi-chi-puo/). Una vicenda «riprovevole e irrazionale». Ma tutto maledettamente razionale secondo lo spirito del capitalismo.

Dalla pandemia usciremo, prima o poi. Il problema è che rimarremo ancora a lungo in un sistema nel quale il valore dell’attività umana e la stessa vita continueranno ad essere «espressi in cifre», come efficacemente scrisse due secoli fa il filosofo e attivista tedesco Moses Hess. D’altronde, cosa si muove intorno a noi perché questo giudizio pessimistico sul futuro possa essere ribaltato?
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Nell’illustrazione in testa Discesa agli inferi (XIV secolo), basilica di San Salvatore in Chora ad Istanbul
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* Tomaso Montanari
Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)
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** Luigi Pandolfi
Luigi Pandolfi, laureato in scienze politiche, giornalista pubblicista, scrive di politica ed economia su vari giornali, riviste e web magazine, tra cui “Il Manifesto”, “Micromega”, “Economia e Politica”. Tra i suoi libri più recenti: “Metamorfosi del denaro” (manifestolibri, 2020).