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DIBATTITO. Riscrivere lo Statuto come nuova Carta De Logu di sovranità. Ma subito una nuova legge elettorale sarda.

220px-Eleonora_di_ArboreaRiscrivere lo Statuto. Come nuova Carta De Logu di sovranità.
di Francesco Casula
Sventato – grazie al voto del 72,22% dei Sardi – il perverso tentativo neocentralistico del Governo renziano, finalizzato ad azzerare sostanzialmente le Autonomie regionali, si tratta ora di partire all’attacco. All’ordine del giorno vi è la riscrittura dello Statuto speciale della Sardegna.
Nato nel lontano 1948, già depotenziato, debole e limitato – più simile a un gatto che a un leone, secondo la colorita espressione di Lussu – lo Statuto sardo in questi circa 70 anni di storia si è rivelato, sostanzialmente, un fallimento. Molte le cause. Ad iniziare da quella che lo storico Francesco Cesare Casula individua con nettezza scrivendo: “Nello Statuto sardo non c’è nessun preambolo che supporti le ragioni dell’essere, nessuna coscienza storica che giustifichi il perché dovremmo essere trattati diversamente dalle altre 19 regioni italiane. Esso apre con un desolante titolo l: «La Sardegna con le sue isole è costituita in regione autonoma fornita di personalità giuridica entro l’unità politica della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principi della Costituzione e secondo il presente statuto … » “.
In altre parole, secondo il nostro più grande storico medievista “Lo Statuto sardo, difetta di un preambolo giustificativo nella contrattazione col governo centrale, ben presente nello Statuto catalano, che fonda la sua contrattazione sulla peculiarità nazionale promanante dall’antico Principato di Catalogna. Ed è quanto purtroppo manca da noi. sebbene abbiamo più ragioni dei Catalani di rifarci alla storia per una rivendicazione autonomistica non solo speciale ma particolare essendo – la nostra – la prima regione d’Italia, da cui nasce lo Stato oggi chiamato repubblica Italiana”.
Ma se pur anco i legislatori della Costituente e i padri della nostra Autonomia non avessero voluto tener conto di tutto ciò, almeno avrebbero dovuto partire, nella formulazione dello Statuto, da un dato difficilmente contestabile: essere la Sardegna una nazione, avendo una sua peculiare e specifica identità etno-storica-culturale-linguistica. In realtà i Costituenti che dotano la Sardegna di uno “Statuto speciale” questo lo sanno e lo riconoscono. Perché altrimenti uno Statuto speciale all’Isola? Per motivi economici? Ovvero per la povertà, l’arretratezza e il sottosviluppo? E come spiegare allora che non verrà concesso uno Statuto speciale a molte regioni italiane sicuramente allora più povere, arretrate e sottosviluppate? Come la Lucania o l’Abruzzo?
Il motivo economico – peraltro ben documentato dall’articolo 13, che è la cartina di tornasole della scelta politica: “Lo Stato italiano col concorso della Regione, dispone un piano organico per favorire la Rinascita economica e sociale dell’Isola” – è la foglia di fico per nascondere i veri motivi – storici-culturali-linguistici – che se riconosciuti formalmente, avrebbero dato vita a ben altro Statuto, a ben altri poteri della Regione proprio sul versante culturale-linguistico, che non a caso sono del tutto assenti.
Occorre inoltre aggiungere che in questi 70 anni ha subito un processo di progressivo svuotamento e di compressione sia dall’esterno, cioè da parte dello Stato centrale, sia dall’ interno, ovvero da parte delle forze politiche dirigenti sarde, che non sanno usare e, spesso, non vogliono utilizzare, gli stessi strumenti, possibilità e spazi che l’autonomia regionale offriva.
Basti pensare a questo proposito alla vicenda delle norme di attuazione, che avrebbero dovuto riempire di contenuti le astratte previsioni statutarie, stabilendo quali dovevano essere i poteri reali della Regione nelle materie attribuite alla sua competenza. Queste norme o vengono emanate tardi, o non vengono emanate per niente, o vengono emanate in modo eccezionalmente riduttivo. E comunque non vengono quasi mai poste in atto. Ciò per constatare come le forze politiche sarde abbiano svilito la stessa limitata autonomia statutariamente riconosciuta.
Non solo. Nato come Statuto speciale, oggi risulta dotato di meno poteri delle regioni a Statuto ordinario costituite nel ’70, e di fatto, rappresenta oramai un ostacolo alla realizzazione di una vera Autonomia, o peggio: serve solo come copertura alla gestione centralistica della Regione da parte dello Stato, di cui non ha scalfito per niente il centralismo. Paradossalmente lo ha perfino favorito, consentendo ai Sardi solo il succursalismo e l’amministrazione della propria dipendenza.
La Regione sarda di fatto, in questi 70 anni di storia, ha operato come mera struttura di decentramento e di articolazione burocratica dello Stato e come centro di raccordo e di mediazione fra gli interessi dei gruppi di potere locali e la rapina neocolonialista, soprattutto del Nord: esemplare in questo è la vicenda della industrializzazione petrolchimica..
Da tempo perciò possiamo ormai considerare consumato il suo fallimento storico contestuale a quello della Rinascita: ma fino ad oggi sono falliti miseramente anche i tentativi di un suo rilancio e rianimazione, prima attraverso la cosiddetta politica contestativa e rivendicazionistica della Regione nei confronti dello Stato degli anni ’70 e, più recentemente, attraverso una Commissione nominata ad hoc dal Consiglio Regionale.
Oggi è giunto il momento di imboccare decisamente la strada del rifacimento dello Statuto Sardo, una nuova Carta de Logu, come vera e propria Carta Costituzionale di Sovranità per la Sardegna, che ricontratti su basi federaliste il rapporto Sardegna-Stato Italiano e che, partendo dall’identità etno-nazionale dei Sardi, ne sancisca il diritto a realizzare l’autogoverno, l’autodecisione, l’autogestione economica e sociale delle proprie risorse e del territorio, il diritto a usare e valorizzare la propria lingua e cultura, a gestire la scuola, i trasporti, il credito, le finanze e l’ordine pubblico, la possibilità di controllare i grandi mezzi di comunicazione di massa e dell’informazione, di fronte alla quale oggi la Regione è totalmente disarmata e niente può fare perché essi rispondano a criteri di uso democratico e socialmente utile. Il potere infine, in settori fondamentali quali la difesa e i rapporti internazionali, di esprimere parere vincolante in merito a tutte le iniziative che tocchino gli interessi vitali della Sardegna.
Uno Statuto siffatto non garantirà automaticamente l’Indipendenza statuale dell’Isola ma ne costituirà certamente un corposo e indispensabile presupposto.

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DIBATTITO
La follia istituzionale della Giunta Pigliaru: alcune idee per rinsavire

democraziaoggiAndrea Pubusa su Democraziaoggi
Se quando ero in Consiglio regionale, a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90 del Novecento, qualcuno degli assessori avesse detto che Carbonia sarebbe dovuta diventare capoluogo di una provincia inesistente secondo lo Statuto speciale, ne avremmo subito disposto la cattura. Se poi costui avesse aggiunto che la circoscrizione di questa provincia sarebbe dovuta andare da costa a costa da Muravera ad Arbus, gli avremmo subito messo una camicia di forza. E se poi avesse soggiunto che la circoscrizione avrebbe dovuto corrispondere alla provincia di Cagliari prevista dallo Statuto speciale, esclusi i comuni che costituiscono la città metropolitana di Cagliari., ne avremmo disposto l’immediato internamento a Villa Clara, riaperta per l’occasione. Se poi ancora ci avesse detto che a governare questo ente non sarebbero stati organi ad elezione diretta, ne avremmo decretato la irrecuperabilità e la permanenza in manicomio, vita natural durante!
Eppure a questo sono arrivati i nostri governanti regionali, con una sgangherata sequela di referendum, leggi e leggine, senza un progetto o in’idea organica. Per rendervi conto della follia pensate che fanno capo a Carbonia Esterzili, Sadali e via pazziando. La nuova provincia comprende, dunque, i territori delle ex province di Carbonia Iglesias, Medio Campidano e restante parte della vecchia Provincia di Cagliari, oltre i Comuni di Escalaplano, Escolca, Esterzili, Gergei, Isili, Nuragus, Nurallao, Nurri, Orroli, Sadali, Serri, Seulo, Seui, Genoni e Villanovatulo. Come sarà funzionale questa nuova provincia! Sarà meglio di quella soppressa!
Per stabilire chi legare, penso vogliate sapere chi ha deciso tutto questo. L’individuazione della città capoluogo della nuova Provincia è stata deliberata dall’amministratore straordinario-podestà, Giorgio Sanna, con i poteri del consiglio provinciale [sic !], in adesione agli indirizzi forniti dall’assessore regionale degli Enti locali, Finanze e Urbanistica, Erriu. Ma le leggi e i provvedimento pregressi hanno molti padri e madri. Anche i folli, però, hanno un balume di lucidità. E così anche il podestà e il soprastante assessore si rendono conto dell’assurdità e si affrettano a precisare che la scelta è indifferibile in ragione delle follie pregresse, ma provvisoria per la sua assurdità. Ma non è che Erriu parli di sbarraccamento, no no, troppa ragionevolezza e buon senso! Sarà confermata o modificata dal futuro Consiglio provinciale, che verrà eletto ai sensi e con le modalità previste dalla legge regionale n. 2/2016 (oscuri accordi all’interno della casta locale, come si è fatto ieri in molte province italiane!). Per ora è si è seguito il criterio del comune con maggiore popolazione residente tra quelli già capoluogo di provincia, poi si vedrà. Sarà una bella carnevalata, trovare un capoluogo ragionevole a questa circoscrizione insensata. Quale riordino mirabile! Quale semplificazione! La stessa che volevano col sì realizzare a livello nazionale per iil Senato, ammomia ti arrodi!
Quelli di SEL (o ex SEL, non si capisce nulla neanche qui) si sono accorti della follia e hanno chiesto all’Assessore Erriu di rimettere alla riflessione del Consiglio regionale la revisone di questo pasticcio. Anche perché le province di Cagliari, Nuoro e Sassari sono previste nello Statuto speciale, che è la Carta costituzionale per la Sardegna, e dunque non possono essere cancellate, mentre rimane anche quella di Oristano, che pur essendo stata istituita con legge statale, non può essere soppressa dal legislatore regionale.
Ora, come sapete, gli elettori sardi hanno espresso un loro giudizio su queste ed altre follie di chi ci sgoverna. Oltre il 70% di NO sono un invito a tornare a casa senza appello per Pigliaru & C.. Sapete anche che il Comitato per il NO, pur nel silenzio omertoso della grande informazione sarda, ha contribuito in modo decisivo a questo risultato, con iniziative publiche, ma sopratutto con le idee. Abbiamo smascherato il disegno antispecialità del governo e della nostra giunta e l’insostenibilità di una riforma che oltre a formalizzare l’eliminazione del carattere rappresentativo delle province, pretendeva di toglierci il diritto di voto anche al Senato (e in Sardegna. per di più, a Statuto vigente, non consentiva, ai sensi dell’art. 27, la nomina di senatori!).
Orbene, data l’emergenza istituzionale ed economica sarda e in considerazione dell’acclarata incapacità d’intendere e di volere diella Giunta Pigliaru, il Comitato ha deciso di rimanere in campo con lo scopo di lavorare al ritorno alla razionalità istituzionale, trasformandosi così in “Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria“.
In questa prospettiva, occorre ripartire dai fondamentali per smontare l’assurdo castello costruito in questi anni e tornare alla Costituzione e allo Statuto, la nostra via maestra.
Ripartiamo da qui. Le autonomie locali sono un principio fondamentale della Costituzione, che all’art. 5 dice che la Repubblica “riconosce e promuove“, “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia“. Ora, questa è la costituzionalizzazione delle libertà delle comunità territoriali, in aggiunta a quelle individuali di cui all’art. 2 (diritti fondamentali). “Riconosce” significa che il legislatore non crea, ma prende atto delle comunità locali come storicamente formatesi e dà loro veste istituzionale nella forma dei comuni, delle province e delle Regioni. Già da questo primo punto di vista appare fuori dalla Costituzione la individuazione di ambiti territoriali artificiosi, senza storia nelle relazioni fra le popolazioni. Nel caso di Carbonia ci troviamo addirittura dinnanzi a un capoluogo, inesistente fino a 80 anni fa! Ma quali relazioni, vie di traffico e simili ci siano state fra il centro sulcitano e le altre comunità è ben facile dire: nessuna o quasi. La prima operazione da compiere è dunque quella di tornare alle circoscrizioni storiche, a quelle risultanti dalle tre province statutarie più quella di Oristano. Tornare agli enti storici, eliminando tutto ciò che sta in mezzo!
La seconda indicazione discendente dall’art. 5 Cost. è che il termine “autonomia” evoca la capacità di esprimere un indirizzo politico-amministrativo autonomo, e questo implica il carattere elettivo-diretto almeno del Consiglio provinciale.
Posti questi due punti fermi, si può e si deve affinare la riflessione in due direzioni: anzitutto sulla eventuale articolazione delle province storiche. La Costituzione, nel suo testo originario, prevedeva la possibilità di istituire come organi di decentramento, i circondari. E’ un’idea da riempire di contenuti in relazione non solo al modulo organizzativo, ma sopratutto alle funzioni. Ed ecco la seconda questione: quali funzioni alle province? Qui bisogna partire dall’idea, anch’essa propria dell’originario disegno costituzionale e statutario, e cioé che la Regione dev’essere ente di legislazione e programmazione, non apparato amministrativo. L’amministrazione va ripartita ai diversi livelli, comunale o sovracomunale, a seconda dei beneficiari della funzione. Fatto sta che comuni e province devono impinguarsi di funzioni e la Regione svuotarsene. E’ la ricoluzione promessa dalla Carta e dallo Statuto, ma frustrata da una Regione diventata Stato verso i territori, le cui istituzioni sono state indebolite e compresse.
E’ un progetto questo di grande complessità istituzionale e di enorme difficoltà politica, in cui si possono innescare molte novità. E se ben ci pensate se ne capisce la ragione. gira, gira si torna sempre lì, alla sovranità popolare. Per inverarla non bastano i proclami, occorre che le comunità ai vari livelli siano poste nella condizione di autogovernarsi, in un continuum di assemblee e di strumenti partecipativi senza vuoti o eccezioni. Si discute tanto di sovranismo in Sardegna, mentre i governanti praticano la più spudorata genuflessione allo stato centrale, prevaricano le comunità locali, e rubano la democrazia ai sardi con una legge elettorale regionale truffa. La sovranità si invera a partire dai poteri decisionali delle comunità locali in relazione alle funzioni elementari. Possiamo ripartire da qui, dai rami apparentemente bassi, per poi salire e toccare i rami alti? Sembra poco, ma c’è molto da lavorare e da elaborare.
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DIBATTITO È arrivato il momento di praticare la Costituzione
Salvatore Lai su il manifesto sardo.
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220px-Eleonora_di_ArboreaNell’illustrazione: Eleonora d’Arborea in un dipinto di Antonio Caboni (1881)