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Il sardo nella messa, in tutta la messa e in tutte le varianti: presto e bene, presto è bene

cesdi Gianni Loy
Il comunicato del Coordinamento pro su sardu ufitziale mi lascia sconcertato. Dissento profondamente, nei toni e nel contenuto. Soprattutto non mi fa presagire niente di buono per il futuro di questa (nostra?) lingua.
In primo luogo, pensare che la Chiesa debba farsi parte, addirittura in qualità di apripista, di un lungo, profondo e difficile processo di evoluzione della lingua sarda, quale quello in atto, significa essere totalmente fuori dalla realtà. La Chiesa utilizza le lingue, anche per la liturgia, in funzione della loro diffusione e condivisione tra i fedeli. Sino all’altro giorno era addirittura il latino la lingua, a vocazione universale, utilizzata nella liturgia.
Il Concilio Vaticano II ha rivoluzionato il sistema proprio per superare quel distacco che impediva la piena partecipazione ai riti liturgici consentendo l’utilizzo delle lingue locali correntemente utilizzate dai fedeli. La decisione sulla scelta degli idiomi, da utilizzare nella liturgia, in sostanza, attiene alla sensibilità dei vescovi in relazione alla loro funzione pastorale. La Chiesa, o meglio molti dei suoi rappresentanti, hanno sbagliato, una volta, quando si sono prestati ad accompagnare un movimento, culturale e politico, che pretendeva di sradicare l’uso della lingua materna, in Sardegna, per imporre l’uso dell’italiano, la lingua nuova che avrebbe dovuto unificare anche culturalmente il paese dopo averlo unificato politicamente.
Chiedere oggi ai vescovi di prestarsi ad essere strumento della affermazione di una lingua in fieri, significa, mutatis mutandis, proprio ripetere lo stesso errore storico che tanto critichiamo.
Non dobbiamo prenderci in giro! Il “sardo comune” cui fa riferimento il Comitato è costituito da “norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale… che costituisca un punto di mediazione tra le parlate più comuni e diffuse”. - segue -