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Giovani

ee9627f5-5dcd-4a8f-b37e-c21d6927b904i giovani in difesa del futuro
di Fiorella Farinelli, su Rocca

Questa volta, forse, non è il solito refrain generazionale. C’è sempre qualcosa di ripetitivo, è vero, nelle occupazioni e nelle manifestazioni degli studenti che tornano puntuali ogni autunno. Anche quest’anno ci sono stati i soliti riti di passaggio, la solita voglia di riappropriazione degli ambienti scolastici, le solite prove di trasgressione e di vita adulta. E poi gli scioperi e i cortei punteggiati da forme talora inappropriate di polemica politica. Una prima volta il 12 ottobre, la seconda il 16 e 17 novembre, in entrambe il fantoccio di Salvini dato alle fiamme o penzolante come un impiccato. Gesti sbagliati, e controproducenti.
Ma qualcosa di diverso questa volta forse c’è, o potrebbe svilupparsi.
C’è, intanto, e imprevedibilmente, in alcune reazioni di una parte del mondo adulto, non a caso quella che si sente più smarrita ed impotente di fronte alle vicende politiche italiane. È successo per esempio il 2 ottobre, quando il Foglio, un quotidiano sempre fuori dal coro ma non di sinistra e mai tenero con i movimenti, ha invitato gli studenti a «occupare le scuole contro i nemici del futuro». A organizzare una «resistenza civile» contro chi, «abbandonando il sentiero stretto ma obbligato del risanamento dei conti pubblici, sta costruendo le condizioni per mettere il peso di questa manovra, e dell’instabilità del Paese, sulle spalle degli adolescenti e dei ventenni di oggi». Più o meno dello stesso tenore le uscite di altre personalità di spicco, come l’ex senatore Pietro Ichino che, pur ricordando che «da professore» ha sempre criticato il rito delle occupazioni, oggi vede che i motivi per mobilitarsi ci sono, e serissimi, e si augura che gli studenti facciano quello che altri non sono capaci di fare.

i giovani e le donne
Dovrebbero dunque essere gli studenti a salvarci dal governo dello sfascio, a riaprire la via maestra degli investimenti nell’innovazione, nella ricerca, nello sviluppo, a spazzar via la favola grottesca secondo cui a contare sono solo gli «eletti dal popolo», cioè il governo stesso, o solo gli iscritti a una piattaforma telematica. Lo sappiamo tutti – lo si è visto ancora una volta qualche settimana fa a Lodi, a proposito dei bambini figli di stranieri esclusi dalla mensa scolastica per una decisione comunale ai limiti del razzismo – che nella scuola e in chi la vive come un terreno cruciale per la qualità democratica del Paese ci sono spesso grandi energie civili, capacità di reazione di prima grandezza, inattaccabile coscienza delle libertà e dei diritti di tutti.
Ma in questa rinnovata attenzione di parte dell’opinione pubblica per la scuola e per il movimento degli studenti sembra esserci soprattutto la speranza che siano ancora una volta i più giovani, quelli che non hanno sulle spalle il peso di sconfitte e di errori che ammutoliscono e paralizzano, a ricostruire il filo che può aiutare ad uscire dal labirinto. Non sono forse i più giovani – e le donne – che nelle elezioni di medio termine hanno riaperto qualche spiraglio di cambiamento nell’America di Trump? Non sono loro che in Spagna sostengono Podemos, nel Regno Unito la sinistra di Corbyn, negli Usa quella di Sanders, nella Germania l’ambientalismo dei Verdi?
Anche in Italia la vera speranza potrebbero essere i Millennials, la generazione nata tra la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio. Non è da escludere, certo, che anche da noi prima o poi qualcosa cominci a muoversi nel verso giusto, e che ne siano loro i protagonisti. Di ragazze e ragazzi ce ne sono tantissimi nelle migliori esperienze di volontariato e di impegno civile. Sono stati soprattutto i più giovani ad animare, con molti coetanei figli dell’emigrazione, la recente manifestazione nazionale contro il Decreto Sicurezza del ministro Salvini e contro il razzismo. Sono loro i più aperti al mondo e i più interessati a che non ci siano muri e frontiere che impediscano scambi, incontri, realizzazioni professionali.
E tuttavia è indubbio che finora è proprio dagli elettori più giovani che è venuto il maggior consenso, se non al «governo del cambiamento», almeno a una delle sue componenti. E che non spetta soltanto a loro, comunque, difendere il futuro del Paese. Non possono farcela, se durerà ancora a lungo il deserto di progettualità e di iniziative politiche sensate. L’assenza di una grammatica politica capace di attrarre e di mobilitare le energie migliori.
C’è da osservare, inoltre, che a differenza della generazione del ’68 che era figlia di un mondo pieno di contraddizioni ma teso in un impegno ottimistico di sviluppo e di crescita, i ragazzi di oggi sono nati e cresciuti in un mondo complicato ed agro, in evidente declino, stretto sempre di più tra crisi ricorrenti di tipo economico e rischi epocali di autodistruzione ambientale. Con poca o nessuna fiducia nel «progresso», e con deboli speranze di poterlo padroneggiare.
Non c’è più, infine, dopo decenni di trionfo delle culture della competizione e dell’individualismo, quella preziosa sensazione che fu di un’intera generazione secondo cui «ogni schiaffo, in qualsiasi parte del mondo e a chiunque inferto, riguarda la mia guancia».

oltre le fiammate d’autunno
Ma è importante, comunque, che un movimento degli studenti ci sia, e che riesca ad andare oltre le fiammate d’autunno. Che cosa li muove, in questi giorni, ad occupare le scuole, a scendere in piazza, a tentare di costruire una loro politica? Chiedono, prima di tutto, che ci siano più finanziamenti per l’istruzione e per la cultura. Che la scuola, l’università, la ricerca non vengano ancora una volta sacrificate e che non subiscano altri tagli. Che si facciano gli interventi sull’edilizia scolastica necessari non solo alla sicurezza degli istituti situati in zone a rischio sismico o idrogeologico ma a rinnovare edifici e spazi didattici inchiodati a un antico modello didattico e inadeguati ai nuovi modi di apprendere.
Hanno ragione. E molti buoni motivi per prendersela con un governo che blocca i finanziamenti per lo sviluppo digitale, non ha interesse a proseguire il lavoro iniziato col precedente governo su industria 4.0, rallenta o impedisce le grandi opere infrastrutturali necessarie allo sviluppo del Paese. Che lesina perfino sull’alternanza studio lavoro, uno dei pochi provvedimenti della Buona Scuola effettivamente innovativi. Che si inventa, con il programma Scuole Sicure, la videosorveglianza nelle scuole. Che, invece che fare investimenti che producano nuovo lavoro, dà per scontato che per molti non ci sia altro destino che l’assistenza economica da parte dello Stato.
Avvertono bene, molti studenti di oggi, che il governo «del cambiamento» frena lo sviluppo invece che promuoverlo. E che se l’Italia sta ferma o arretra, è anche per questo motivo, oltre che per i guai ereditati dai governi precedenti.
Avvertono anche che è sempre più a rischio la possibilità che l’ideale novecentesco di un diritto allo studio che assicuri a tutti le stesse opportunità di partenza si realizzi davvero, sgretolando i condizionamenti alle carriere e al successo scolastico che derivano dal back ground familiare. Che nella scuola italiana pesano ancora troppo, al punto che tra chi appartiene a famiglie economicamente e culturalmente svantaggiate solo 1 su 8 riesce a raggiungere livelli di istruzione superiori a quelli dei genitori. Se i tuoi genitori sono ricchi, anche se la scuola è malmessa e poco capace di aiutarti, potrai sempre rifarti con altre opportunità formative a pagamento, con esperienze all’estero, con le scuole d’élite, con l’accompagnamento al lavoro fornito da chi ha le relazioni che contano, ma se non è così dovrai arrangiarti e sarà sempre più difficile farcela.
Non piace, più in generale, un governo che promette chiusure e frontiere, che chiude gli accessi a chi scappa da guerre e povertà, che lascia annegare in mare migliaia di giovani, che fomenta rancori sociali e conflitti tra poveri. Non va per niente bene a chi fin da piccolo è stato abituato a pensare che con l’istruzione giusta si possono aprire tante porte in tutto il mondo, e che ha imparato che è da tutto il mondo che vengono le cose che amano di più, dalla rete alla musica, dagli sport al cinema. Sentono, in molti, puzza di chiuso, di declino, di autoritarismo.
Sensibilità e approcci preziosi, quando ci sono e si esprimono nei movimenti, soprattutto se accompagnati dall’insofferenza per le ingiustizie, l’amore per l’uguaglianza, la voglia di non farsi troppo comprare dai consumi. Se le lotte degli studenti questi sentimenti, che non sono di tutti gli studenti ma ci sono, saranno capaci di rappresentarli e di farli crescere, sarà un bene per loro e per tutti. Ma non ingombriamole, per favore, con la delega a essere e a fare quello che un mondo adulto esausto e privo di ideali non è più capace neppure di immaginare.
Fiorella Farinelli
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