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Aspettando l’anno nuovo tra riflessioni sul presente e sul futuro. E gli intellettuali, in primis i sardi: che dicono? Che fanno?

Auguri Aladin 2014 natale
lampadadialadmicromicro133FORZA PARIS. Il pistolotto insieme ai nostri Auguri. (…) Ci vuole responsabilità nei confronti della Sardegna e dei sardi, pensando soprattutto alle giovani generazioni, e consapevolezza che si vince insieme. Forza paris dunque, nei suoi significati di forza insieme e forza uguali! E’ il migliore augurio che possiamo farci. Per quanto possiamo, anche dalle pagine di questa nostra news contribuiamo a questo scopo, nella via pratica indicataci da Gramsci del pessimismo della ragione e dell’ottimismo della volontà. E NON DIMENTICARE CHE…
“Tutto ciò che immagini vividamente, ardentemente desideri, credi sinceramente e persegui con entusiasmo deve inevitabilmente verificarsi”. E comunque dobbiamo provarci!
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Quali intellettuali in Sardegna?
Aristole e Platone1
di Piero Marcialis *
Si scalda (forse) il dibattito sugli intellettuali in Sardegna.
Non mi soffermo a dire che intellettuali siamo un po’ tutti, dallo scrittore all’artigiano, dal professore all’informatico.
Dicono che a dirigere l’Isola adesso ci sarebbero gli intellettuali. Perchè? Sono professori. Basta questo?
L’utopia di Platone, che siano i filosofi a dirigere lo Stato, ammesso e non concesso che sia una soluzione, stride al massimo dell’ironia quando vedi che a governare lo Stato ci sono i Renzi, ma il guaio vero è quando a governare un popolo in cerca della sua sovranità ci sono i renziani.
gramsciNoi che seguiamo le orme di Gramsci nel cercare di definire chi è, che cosa fa, l’intellettuale, e ne diamo una identità diffusa, nel produrre economico, culturale, politico, dobbiamo pure chiederci se in Sardegna questo “fare” intellettuale esista o no.
Nella politica, mentre ci scaldiamo al pensiero della Scozia e della Catalogna, stiamo immobili in attesa che lo Stato Italiano ci dica esso in che consiste la nostra autonomia, la nostra sovranità, la nostra indipendenza e, mentre passa inutile il tempo della nostra liberazione, avvertiamo che queste belle idealità si avvicinano allo zero assoluto.
In economia altri poteri esterni, assai poco intellettuali, e invece militari, statali, esotici miliardari e quant’altro, decidono essi la sparizione dell’agricoltura, il deserto, il controllo dell’ambiente e della salute.
E la produzione culturale?
Se è vero in generale che siamo avviati ad essere, in tutti i campi, piuttosto consumatori che non produttori, questo è drammaticamente evidente riguardo al produrre cultura.
Formazione, scuola, teatro, cinema, editoria, sono bloccati al consumo di produzioni esterne, alla semplice diffusione del pensiero altrove pensato, la maggior parte dei nostri operatori in questi campi sono convogliati e invogliati a formare, insegnare, inscenare, fotografare, editare, storie che riguardano vicende, tradizioni, cultura, linguaggi, di altri popoli. L’Università sarda non ha che esili rapporti con la Sardegna, potrebbe abitare altrove.
Qualche pattuglia impegnata, da “intellettuali organici”, a produrre oggetti propri della cultura sarda (dalla lingua alla storia, dalla tradizione ai problemi di oggi), che non abita in torri d’avorio (chiamiamolo avorio…) ma è scesa in strada, vive uno stato di dipendenza economica, di isolamento politico, di sospetto culturale.
Prendiamo anche solo il teatro. Inglesi, spagnoli, francesi, napoletani, veneziani, genovesi, lombardi, romani, e aggiungete tutti i popoli e nazioni che volete, hanno il loro teatro nazionale. Anche i sardi lo avrebbero, però…
Però è considerato di serie B. C’è un politico, un partito, un settore di maggioranza o di minoranza che si sia posto il problema di dare impulso all’affermazione di un teatro del popolo sardo? L’accoglienza che si fa al teatro “italiano”, spesso traduzione di altri teatri nazionali, è assolutamente di privilegio rispetto al teatro sardo, che sia traduzione o prodotto originale. Se il teatro in generale, in Italia e in Sardegna, versa in tristi condizioni, la situazione di chi vuol fare teatro sardo è addirittura di agonia: teatri chiusi, compagnie sciolte, riduzione a rappresentazioni senza scenografie, senza ausilio tecnico, monologhi e reading in locali “alternativi” (per forza) o per la strada.
Continuiamo così, facciamoci del male.
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* Editoriale di Aladinews del 23 novembre 2014
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Sardegna-bomeluzo22
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STRANA ISOLA QUEST’ISOLA
di Marco Zurru **

Strana Isola la nostra Isola, politicamente parlando (e non solo…). Strani gli elettori, strani i candidati e strani gli eletti.

Strana Isola quest’Isola che vede diluire l’affluenza al voto regionale dal 68% del 2009 al 52% del febbraio 2014, fino al 40% delle recenti europee e – contemporaneamente – vede esultare gli eletti come se la faccenda non li riguardasse. Loro, prima di tutto: gli eletti con una manciata di voti.

Strana Isola quest’Isola che vede fiocchi azzurri e rosa alle porte dei nuovi partiti neonati con una cadenza che neanche in Grecia o in Ucraina… Ogni giro una confezione di rappresentanza e mediazione di interessi nuova di zecca. Che poi bisognerebbe capire a fondo “rappresentanza di chi” e “interessi di chi”…

Strana Isola quest’Isola dove i pentastellati raccolgono il 30% alle europee, sono assenti alle regionali, sostituiti dai peppastellati, e assenti dal dibattito sulle cose locali cercano di incidere su quelle nazionali con un’isola nell’Isola, Assemini.

Strana Isola quest’Isola che, con quell’assenza, ha regalato un’occasione d’oro ai peppastellati. Occasione che solo l’evanescenza populista che fraga di lissa poteva letteralmente sciupare. Occasione il cui fallimento non è stato mai reso oggetto di analisi interna. Tabù, dicono gli antropologi…

Perché lo sperpero non è solo nella possibile diversa rappresentanza che il popolo sardo avrebbe potuto avere nelle sedi istituzionali, grazie ad una diversa architettura di alleanze o ad uno studio preventivo della legge elettorale (ma sarebbe bastata anche una semplice lettura)…

Lo sperpero più grande è nelle conseguenze dell”attuale assenza di presenza, di idee, di dibattito, di proposte, di dialogo e di prospettive di chi prima agiva politicamente sul territorio. Questo è lo sperpero più grande, quello della fiducia diffusa dei cittadini prima agita, agitata e poi dimenticata e abbandonata. Perché gli strumenti di costruzione delle politiche dal basso sono meccanismi straordinari di produzione di idee e sentimento, ma anche meccanismi straordinariamente delicati e pericolosi da maneggiare. Perché richiedono investimento personale, di idee, passione, tempo, energie, di cittadini a cui viene richiesto qualcosa in più che il semplice voto: pezzi interi di se stessi.

Perché la fiducia personale si consuma se non è gratificata. E in politica, in quel tipo di fare politica, in quelle etichette di movimenti scelte per propagandare un diffuso accordo progettuale costruito da basso, con le cerchie delle comunità locali, l’assenza dopo il voto rischia di dissolvere uno degli elementi focali della partecipazione politica: la convinzione che intervenire personalmente, e non solo con il voto, serva davvero a qualcosa. E la prossima volta (così come insegnano interventi similari sul territorio), al prossimo giro elettorale, molto probabilmente sarà ancora più ampia l’assenza alle urne.

Bisognerebbe avere il coraggio di riprenderle quelle energie diffuse richieste ai cittadini, tornare in campo, magari abbandonando le vecchie impalcature partitiche spese malamente nell’ultima tornata elettorale. Bisognerebbe tornare alle idee e a quei progetti che necessitano tempo, non solo il tempo di un orizzonte elettorale. Bisognerebbe che qualcuno avesse il coraggio di dirlo pubblicamente e a chiare lettere: “Non ne ho più voglia! fate voi!”. Ma si sa, il coraggio – come l’intelligenza politica – è entropicamente distribuito. E il populismo peggiore è quello dei narcisismi che fragano di lissa, quello di chi pensa che aver letto e scritto qualcosa abiliti automaticamente alla comprensione delle cose, dei tempi lunghi delle cose, quelle degli altri.

** su Sardegnablogger
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Lussu di Foiso Fois
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Sa Domu La Scala