Tag Archives: M.Tiziana Putzolu aladinews

Se provassimo a parlare di immigrazione e di migranti rovesciando il problema e parlando, così, di noi? Provando a rivendicare il diritto ad essere più umani o ‘di nuovo’ umani? Proviamo a rovesciare l’angolo prospettico, il punto di osservazione. Forse in fin dei conti la questione dell’immigrazione, a pensarci bene, visto da quella angolazione non esiste

Dossier-2016-libroIn spiaggia a Pula e di immigrazione
di M.Tiziana Putzolu
By sardegnasoprattutto/ 19 dicembre 2016/ Culture/

L’estate appena trascorsa arrivo alla spiaggia de ‘Su Conventeddu’ a Pula che è un sabato mattina di fine luglio. E’ abbastanza presto. Il mare è calmo e, neppure a dirsi, bellissimo. Con la mia amica troviamo spazio in un angolo della piccola spiaggia. Niente ombrellone, solo due asciugamani stesi sulla sabbia ancora umida della rugiada della notte appena trascorsa. Piano piano iniziano ad arrivare altri bagnanti. E la spiaggia inizia a riempirsi. Forse saranno state le undici quando una famigliola cerca di trovare uno spazio proprio vicino a noi.

Puntano l’ombrellone a fianco. Posano sedie varie e borsoni intorno. Ci circondano con bambini festanti. Stendono asciugamani fino a sfiorare i miei piedi (a chi non è capitato?). Ci alziamo garbatamente e ci mettiamo sul bagnasciuga, in piedi. Sento alle mie spalle il marito che dice alla moglie forse ci siamo messi troppo vicini. E sento la moglie che risponde al marito chi se ne frega, del resto queste non sono neppure di Pula. Ci guardiamo in faccia, con la mia amica. Sorridiamo. Poi ci facciamo un lungo bagno.

Come quando quell’uomo vide la mela che cadeva dall’albero e pensò all’attrazione terrestre penso, molto, molto più modestamente, che un banale atto di maleducazione può rovesciare la prospettiva dalla quale guardare ed analizzare alcune questioni. Come la questione dell’immigrazione. Mi rendo conto infatti in quel momento di essere una migrante, a Pula. Una migrante temporanea, una migrante turistica, non una migrante economica e neppure richiedente asilo politico. Però una migrante.

Del resto sono una migrante secondo le definizioni dell’Istat, poiché non sono nata in Sardegna e quindi sono per la statistica una “migrante interna”. Sono una immigrata perché non sono cagliaritana di origine, ho vissuto nella Sardegna centrale. Chi non è di Cagliari sa quanto è difficile l’integrazione tra i cagliaritani (se esistano davvero non so ancora). Se mi guardo intorno vedo tra i miei amici e conoscenti solo migranti ed immigrati della mia fattispecie.

Con questa suggestione cerco di guardare ai dati relativi all’immigrazione in Sardegna che sto analizzando. Penso che a guardare fino in fondo, i limiti e le definizioni giuridiche, i confini territoriali sono messi lì da teorie elaborate per tentare di spiegare la complessità con argomentazioni deterministiche. Immigrati europei (anche quelli in area Schengen sono da considerarsi immigrati, secondo tali suddivisioni), ed immigrati extraeuropei (tutti gli altri).

Categorie del pensiero e non della realtà, quella che l’astronauta ci mostra dallo spazio. Una palla tonda che confina con l’infinito. Un altro e più alto dei punti di vista. Penso che il pensiero della delimitazione territoriale, la ri-costruzione ideologica del confine ci sta accompagnando lentamente verso un nuovo Medioevo. Fino alla rivendicazione di diritti di proprietà di un angolo di spiaggia per appartenenza comunale.

Viviamo con uno smartphone perennemente tra le mani a verificare ogni tre secondi se nuovi amici immaginari si sono connessi con noi da qualche parte del mondo terreno ma viviamo separati dalla sottile linea di un fiumiciattolo che per secoli divide paesi confinanti e che per secoli non si guardavano che da lontano. E si temevano. O si combattevano. La barriera, il ponte levatoio, il confine è tra noi. Sappiamolo.

Il fatto tremendamente serio, molto serio, è che questo modo di pensare è comune tra i giovanissimi. Non è colpa loro. I libri di testo dei nostri ragazzi insegnano che la Francia confina a nord a sud ad est ed ad ovest con altri stati. Che esiste l’economia della Basilicata, della Sardegna o della Liguria quando al massimo esistono le produzioni locali.

L’economia è globale, come la finanza che ridisegna il capitalismo ma chi scrive i libri di testo scolastici ci tiene a sottolineare che i confini amministrativi sono anche confini economici e politici. I bambini possono imparare l’inglese fin dalla scuola materna per poter viaggiare da grandi ma a Londra quelli che pensano di essere ancora nel Commonwealth hanno votato la Brexit pur avendo la City.

I nostri figli vengono adulti con l’idea che possono giocare con la Playstation con altri ragazzi in contemporanea in ogni parte del mondo seduti dentro un’unica stanza virtuale, ma sappiano che se vanno a Pula superano il confine della valle del Cixerri e sono considerati migranti.

Ma si da il fatto che non siamo più nel Medioevo. Oggi i nostri umani confini possiamo dialogarli con una astronauta che gira per mesi intorno alla terra e ci dimostra quanto grande è la tecnologia e quanto piccolo è il nostro pianeta. Soprattutto, a grande distanza, senza confini.

Se provassimo a parlare di immigrazione e di migranti rovesciando il problema e parlando, così, di noi? Provando a rivendicare il diritto ad essere più umani o ‘di nuovo’ umani? Proviamo a rovesciare l’angolo prospettico, il punto di osservazione. Forse in fin dei conti la questione dell’immigrazione, a pensarci bene, visto da quella angolazione non esiste.

Non esiste come questione in sé, come problema a sé stante, politico, giuridico, economico ma solo come tema del vivere umano. Da non dover necessariamente analizzare, sviscerare, comprendere nelle sue parti sezionate, nella cui scomposizione la parte più semplice si può vedere al microscopio fino al livello deterministico, oggettuale, più semplice rispetto alla grande complessità nella quale è immerso il tema. Semplicemente perché siamo tutti immigrati. O migranti. Anche in spiaggia a Pula.

_____________

Gli immigrati cosiddetti regolari in Sardegna sono 47.425, dei quali 25.808 donne e 21.617 uomini. Sono aumentati, rispetto all’anno precedente, di 2.346 unità, meno che negli anni precedenti. Il 52,6% (cioè 24.986 persone) degli immigrati proviene dall’Europa (sia come Unione europea che come Continente Europeo). Di tutta la componente europea 17.225 sono donne. Di queste 13.340 provengono dall’EU 28, delle quali 9.183 dalla Romania.

Incidono per il 2,9% sulla popolazione sarda e sono lo 0,9% di tutti gli stranieri residenti in Italia. Le quattro principali nazionalità presenti sono la Romania (13.550), il Marocco (4.390), il Senegal (4.211) e la Cina (3.208). Gli immigrati sono concentrati nella provincia di Cagliari (15.724), in quella di Olbia Tempio (11.826), in quella di Sassari (8.982), in quel di Nuoro (3.916), Oristano (2.892), Carbonia Iglesias (1.859), Medio Campidano (1.859) e Ogliastra (919).

*Per gli approfondimenti: Dossier Statistico Immigrazione 2016, IDOS.

**Lettura consigliata: Andrew Sullivan, Per tornare umani, Internazionale n. 1183, 8/15 dicembre 2016
—————————————
“Naufragium feci, bene navigavi”
Naufragio Licia 2
“SIAMO TUTTI NAVIGANTI, E IL NAUFRAGIO CI AIUTA A CRESCERE”, DICE A POPSOPHIA REMO BODEI
Data pubblicazione: 11/07/2015
di Giovanna Renzini su POPSOPHIA

Stimolato da Umberto Curi, il noto filosofo ha ripercorso varie teorie sul tema, a partire dall’ossimoro di Erasmo da Rotterdam “Naufragium feci, bene navigavi”

PESARO – Rispetto alla navigazione, che è la filosofia, il naufragio (amoroso, individuale, sociale, ecc.) non è un passaggio negativo ma un elemento necessario, poiché solo attraversando questa esperienza, che rappresenta di fatto il cambiamento, si può davvero crescere. E’ il pensiero di molti filosofi che, a partire dall’ossimoro latino tramandato da Erasmo da Rotterdam ed interpretato da Nietzsche e Schopenhauer, “Naufragium feci, bene navigavi” (“Quando ho fatto naufragio, allora ho ben navigato”) hanno fatto arrivare fino a noi le loro teorie. Proprio su questo aspetto si è concentrata a POPSOPHIA la “Lectio Pop” di Remo Bodei, uno dei massimi filosofi italiani e organizzatore del Festival della Filosofia di Modena, incalzato da un altro grande filosofo, Umberto Curi, da sempre attento al rapporto tra filosofia e contemporaneità.
“Questa idea del naufragio – ha detto Remo Bodei – ha nel mondo antico un punto chiave, il secondo libro del De Rerum Natura di Lucrezio, secondo il quale è consolatorio osservare da terra il naufragio di altri, non per il desiderio del male altrui ma perché ci fa sentire al sicuro. Una visione fortemente contrastata da Hegel secondo il quale guardare il naufragio degli altri sulla sponda dell’egoismo vuol dire sottrarsi alla dinamica della storia, che richiede di gettarsi nelle contraddizioni del mondo”. Come sottolineato dal filosofo Umberto Curi, quella del viaggio è una delle metafore ricorrenti per descrivere l’esperienza filosofica. “La tradizione del viaggio infinito, del naufragio felice, la ritroviamo in tutta la letteratura filosofica moderna, che incoraggia l’andare nella direzione di una ricerca”.
“Il distacco da qualsiasi terraferma – ha aggiunto Bodei – è ben presente in Pascal, che diceva ‘siete imbarcati’ per evidenziare che non c’è più terraferma e che ci troviamo su orbite libere. In effetti noi siamo continuamente in viaggio, l’esperienza umana è legata al viaggio della vita, anche la terra è in continuo movimento. Siamo tutti naviganti più o meno inconsapevoli, anche se stiamo sulla terraferma”.

————————————————
Mostra-Licia-17-20-dic-16 2È dolce, quando sul vasto mare i venti turbano le acque, assistere da terra al gran travaglio altrui, non perché sia un dolce piacere che qualcuno soffra, ma perché è dolce vedere di quali mali tu stesso sia privo. È dolce anche vedere i grandi scontri di guerra schierati nella pianura senza che tu prenda parte al pericolo. Ma nulla è più dolce che tenere saldamente gli alti spazi sereni, fortificati dalla dottrina dei sapienti, da dove tu puoi stare a guardare dall’alto gli altri, e osservarli errare qua e là e cercare smarriti la via della vita, gareggiare in qualità intellettuali, contendere in nobiltà di sangue e sfarzosi di notte e giorno, con instancabile attività, per arrivare ad una grande ricchezza e impadronirsi del potere. O misere menti degli uomini, o ciechi animi! In quali tenebre di vita e in quanti pericoli si trascorre questo poco di vita, qualunque essa sia! E come non vedere che la natura null’altro pretende per sé, se non che in quanto al corpo il dolore sia lontano, e in quanto all’anima goda di piacevoli sensazioni, priva di affanni e di timori?

Vediamo dunque che alla natura del corpo sono affatto necessarie poche cose, che tolgano il dolore, in modo che possano offrirci anche molti piaceri. Può essere talora più gradito, però la natura di per sé non lo richiede, se in casa non ci sono statue dorate di giovani che leggono con le destre fiaccole luminose, perché sia fornita la luce al notturno banchetto, e se la casa non sfavilla d’argento, né risplende d’oro, né le cetre fanno risuonare i soffitti a cassettoni e dorati, mentre tuttavia sdraiati fra amici sulla tenera erba, accanto a un ruscello, sotto i rami di un alto albero senza grandi spese ristoriamo il corpo piacevolmente, soprattutto quando il tempo sorride e la stagione cosparge di fiori le verdeggianti erbe. Né le ardenti febbri si allontanano più rapidamente dal corpo se ti agiti tra coperte ricamate e la rosa porpora che se si deve dormire con una misera coperta. Dunque poiché i tesori, la nobiltà, la gloria del regno non sono di vantaggio al nostro corpo, quanto al resto, bisogna pensare che non giovino neppure all’animo; a meno che, per caso, quando tu vedi ondeggiare le tue legioni negli spazi della pianura movendo finte battaglie rafforzate da grandi truppe ausiliarie e dal vigore della cavalleria equipaggiate di armi e parimenti animate, o quando tu vedi la flotta agitarsi febbrilmente e spiegarsi al largo, allora, sgomentate da queste cose, le paura religiose fuggono pavide dal tuo animo e i timori della morte lascino allora il petto sgombro e sciolto da affanni.

Ma se vediamo che queste cose sono ridicole e degne di scherno e che i timori degli uomini e le angosce, che non ti lasciano mai, non temono il risuonare delle armi o i dardi incalzanti, ma con audacia si aggirano in mezzo ai re e ai potenti né riveriscono il folgore che proviene dall’oro né il chiaro splendore della coperta purpurea, come dubiti che questo potere sia completamente della ragione, tanto più che tutta la vita si affanna nelle tenebre? Infatti come i fanciulli tremano e nelle cieche tenebre temono tutto, così noi, alla luce, temiamo talvolta cose che non sono per niente da temere più di quelle che i fanciulli temono nelle tenebre e si immaginano che accadranno. Pertanto questo terrore dell’animo e le sue tenebre è necessario che li rimuovano non i raggi del sole né i luminosi dardi del sole, ma l’osservazione razionale della natura.
————————-
naufragio Licia 1
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis
e terra magnum alterius spectare laborem;
non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest.

Suave etiam belli certamina magna tueri
per campos instructa tua sine parte pericli;
sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere
edita doctrina sapientum templa serena,

despicere unde queas alios passimque videre
errare atque viam palantis quaerere vitae,
certare ingenio, contendere nobilitate,
noctes atque dies niti praestante labore
ad summas emergere opes rerumque potiri.

O miseras hominum mentes, o pectora caeca!
Qualibus in tenebris vitae quantisque periclis
degitur hoc aevi quod cumquest! nonne videre
nihil aliud sibi naturam latrare, nisi ut qui
corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur
iucundo sensu cura semota metuque?

Ergo corpoream ad naturam pauca videmus
esse opus omnino: quae demant cumque dolorem,
delicias quoque uti multas substernere possint.
Gratius inter dum, neque natura ipsa requirit,

si non aurea sunt iuvenum simulacra per aedes

lampadas igniferas manibus retinentia dextris,
lumina nocturnis epulis ut suppeditentur,
nec domus argento fulget auroque renidet
nec citharae reboant laqueata aurataque templa,
cum tamen inter se prostrati in gramine molli
propter aquae rivum sub ramis arboris altae
non magnis opibus iucunde corpora curant,
praesertim cum tempestas adridet et anni
tempora conspergunt viridantis floribus herbas.
Nec calidae citius decedunt corpore febres,
textilibus si in picturis ostroque rubenti
iacteris, quam si in plebeia veste cubandum est.
Quapropter quoniam nihil nostro in corpore gazae
proficiunt neque nobilitas nec gloria regni,
quod super est, animo quoque nil prodesse putandum;
si non forte tuas legiones per loca campi
fervere cum videas belli simulacra cientis,
subsidiis magnis et ecum vi constabilitas,
ornatas armis pariter pariterque animatas,

[fervere cum videas classem lateque vagari]

his tibi tum rebus timefactae religiones
effugiunt animo pavidae mortisque timores
tum vacuum pectus lincunt curaque solutum.

——————
Lucrezio: il proemio del libro II del “De rerum natura” ( VV.1-61)
————————–
Mostra di Licia Lisei
Mostra-Licia-17-20-dic-16