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Perché rimuovere la statua di Carlo Felice dal centro di Cagliari? Risponde Francesco Casula del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice”

pesa sardigna blog 2Riprendiamo l’intervista pubblicata di recente da “PESA SARDIGNA – Blog anticolonialista”.

Carlo-Feroce-con-preservativo-30-ott-12-168x300Francesco Casula: perché spostare la statua di Carlo Felice
Abbiamo intervistato Francesco Casula, un noto storico sardo, sulle motivazioni della richiesta di rimozione della statua di Carlo Felice dal centro di Cagliari.

Da dove nasce la petizione “Spostiamo la statua di Carlo Felice”?
Il promotore del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” è stato il professore universitario Giuseppe Melis Giordano. Io ho aderito subito e volentieri offrendo il mio contributo soprattutto dal punto di vista storico. Perché l’appello? Perché un popolo deve innalzare monumenti ai propri eroi non ai propri carnefici. E Carlo Felice tale è stato, per ammissione di tutti gli storici liberi: un viceré e poi re, ottuso e inetto, sanguinario e famelico (pensava ad accumulare il suo “privato tesoro”, depositando i soldi nelle banche londinesi mentre le carestie decimavano le popolazioni affamate). Su di lui la storia ha già emesso la sua condanna inappellabile. Lo storico Pietro Martini, pur di orientamento monarchico, lo descrive come gaudente parassita, gretto, che “avea poca cultura di lettere e ancor meno di pubblici negozi… servo dei ministri ma più dei cortigiani”. Ai feudatari, da viceré, – scrive, un altro storico sardo Raimondo Carta Raspi – diede carta bianca per dissanguare i vassalli. Mentre a personaggi come Giuseppe Valentino affidò il governo: questi svolse il suo compito ricorrendo al terrore, innalzando forche soprattutto contro i seguaci di Giovanni Maria Angioy, tanto da meritarsi, da parte di Giovanni Siotto-Pintor, l’epiteto di “carnefice e giudice dei suoi concittadini”. Divenuto re con l’abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I, mira a conservare e restaurare in Sardegna lo stato di brutale sfruttamento e di spaventosa arretratezza: “con le decime, coi feudi, coi privilegi, col foro clericale, col dispotismo viceregio, con l’iniquo sistema tributario, col terribile potere economico e coll’enorme codazzo degli abusi, delle ingiustizie, delle ineguaglianze e delle oppressioni intrinseche ad ordini di governo nati nel medioevo”: è ancora Pietro Martini a scriverlo. - segue -