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DIBATTITO. M5S, SINISTRA e DINTORNI

pensa torePolitica Italiana. Ritorno al bipolarismo?
di Ritanna Armeni, su Rocca
Solo qualche settimana fa gli italiani pensavano di essere alla vigilia di una campagna elettorale. L’appuntamento per le elezioni politiche sembrava fissato per il 24 settembre e, di conseguenza, le Camere sarebbero state sciolte entro luglio. Poi, per uno di quei colpi di scena per cui la politica italiana non cessa di stupire, tutto è saltato. Le elezioni si svolgeranno a fine legislatura nel 2018; quanto alla legge elettorale, che, secondo l’annunciato accordo fra i tre maggiori partiti, avrebbe dovuto avere un impianto tedesco, quindi proporzionale con lo sbarramento al cinque per cento, semplicemente non c’è più. Forse se ne riparlerà nei prossimi mesi, altrimenti andremo a votare con quella vecchia, modificata dalla Corte costituzionale. L’Italicum diventato Consultellum.
Tutto fermo quindi fino al marzo prossimo?

un altro scenario
Non proprio. L’ultima tornata delle elezioni amministrative, che ha coinvolto quasi nove milioni di cittadini, ha a sua volta aperto un altro scenario rispetto a quello di qualche settimana prima. I partiti che, comunque si preparano alle elezioni legislative, hanno potuto misurare la loro forza e la loro incidenza sugli elettori. I risultati sono stati di grande interesse.
La prima sorpresa riguarda il Movimento 5Stelle. Chiunque, negli ultimi due anni, abbia esaminato il suo andamento, ha potuto verificare una progressiva ascesa. Non vi è stato sondaggio che non l’abbia premiato, non vi è stata analisi politica che non abbia riconosciuto la presenza di un elettorato in crescita. Gli stessi errori politici e di gestione di alcuni sindaci – e ce ne sono stati – parevano non scalfire la fiducia in esso di una parte consistente dei cittadini italiani e si è pensato possibile che il movimento di Grillo arrivasse al primo posto alle elezioni del 2018. Neppure il disastro romano – che di disastro senza mezzi termini si deve parlare a proposito del sindaco Virgina Raggi e della sua giunta – avevano offuscato lo splendore delle cinque stelle grillino.

tonfo di Grillo
Nelle ultime amministrative invece la luce delle stelle è diventata meno forte. I pentastellati non sono riusciti a entrare nei ballottaggi o a conquistare alcun comune. Hanno perso a Genova, la città del loro leader, e Parma dove il vincitore, l’attuale sindaco Pizzarotti, è un dissidente storico del sistema grillino. La loro non è stata una débacle totale, come qualche interessato osservatore ha subito affermato, ma è stato un primo segnale di crisi. La pessima amministrazione romana che apparentemente non aveva intaccato i consensi, la scelta dei candidati locali, hanno evidentemente pesato nell’opinione pubblica rendendo i pentastellati meno credibili. L’impreparazione e l’improvvisazione del gruppo dirigente hanno fatto il resto. Dobbiamo aspettarci ora un forte ridimensionamento anche alle elezioni politiche? Non è detto. I 5Stelle sono un partito giovane, è ovvio che abbiano una presa minore in elezioni amministrative, ma un primo segnale di arresto del partito c’è stato. E di questo si sono immediatamente resi conto i suoi dirigenti. Le dichiarazioni securitarie contro gli immigrati, i poveri, gli emarginati, i rom, rilasciate da Grillo e dalla sindaca Raggi subito dopo i risultati elettorali sono proprio la conseguenza del voto. I Grillini sanno che il loro, sia pur non eccessivo, ridimensionamento elettorale è dovuto al ritorno alla base di parte dei voti del centro destra e hanno cercato di correre ai ripari.

astensione degli elettori Pd
Più difficile capire che cosa si è smosso a sinistra, o – per l’esattezza – quali segnali siano stati dati dal voto ai partiti di sinistra. Il Pd si è presentato spesso in liste civiche, a volte alleandosi con altri partiti, altre volte no. È complesso quindi misurare il grado di consenso, capire se questo è aumentato o si è ridotto, se il partito di Renzi può affrontare con maggiore o minore fiducia il periodo che lo separa dall’appuntamento delle elezioni politiche. Complesso ma non impossibile. Perché vi è l’analisi dei flussi elettorali e da questi emerge un dato inquietante. Una parte consistente dell’elettorato piddino si è astenuta confermando una tendenza già presente in altre tornate elettorali. Il ridimensionamento del Movimento di Beppe Grillo non ha portato – come pure si poteva sperare – a un ritorno a casa dei voti di sinistra. La soddisfazione di Matteo Renzi e degli altri dirigenti del Pd per risultati elettorali non deve quindi ingannare. Deriva dal ridimensionamento del loro più pericoloso avversario, non da una affermazione del loro partito.

il vero avversario del Pd
C’è poi il centro destra. Secondo molti il vero vincitore della tornata amministrativa. E non solo e non tanto per il numero di comuni conquistati, ma per il consolidamento e l’affermazione di un elettorato che pareva in disfacimento. A un anno dalla sconfitta delle amministrative del 2016 i candidati di Forza Italia e Lega si sono affermati in tutti i ballottaggi e, dove si sono presentati uniti, sono stati il vero avversario del Pd.
Matteo Salvini ha confermato la presenza di una spinta sovranista e Silvio Berlusconi, per anni uomo dello scardinamento del sistema politico tradizionale, è apparso un simbolo di stabilità. A lui, tornato sotto i riflettori della politica anche grazie alle spregiudicate manovre di Renzi sulla legge elettorale, i moderati hanno ridato fiducia, i voti andati nelle scorse tornate elettorali ai 5Stelle sono in parte tornati a casa. Il ridimensionamento dei 5Stelle ha fatto ipotizzare, nei giorni immediatamente seguenti le elezioni, un possibile ritorno del bipolarismo. Se il centro destra e il centro sinistra dovessero trovare una loro unità si potrebbe, infatti, pensare alla sfida fra le due coalizioni tradizionali e quindi alla fine di quel sistema tripolare che ha caratterizzato e immobilizzato l’Italia negli ultimi anni.

l’impossibile ritorno al bipolarismo
È possibile? Ci sono le condizioni perché questo avvenga? Possiamo immaginare norme elettorali che ne creino i presupposti? Certamente la formazione delle coalizioni non è agevolata da una legge elettorale proporzionale che favorisce le alleanze dopo, e non prima, del voto.
Oggi il ritorno alle coalizioni appare ancora improbabile e non solo per l’assenza di una legge elettorale che lo agevoli ma perché esso non conviene a quasi nessuno dei protagonisti della politica. Cominciamo col dire che non conviene a Silvio Berlusconi. Un tempo il capo di Forza Italia era dominus assoluto dello schieramento, ora c’è Salvini a contendergli il posto e la sua leadership non è certa. In sostanza il Cavalie- re sa che in uno schieramento unitario con- terebbe di meno e dovrebbe mediare con la forza della Lega e la sua strategia antieuropeista. Preferisce, quindi, giocare da solo, affermare il carattere cattolico e liberale del suo partito, puntare a una riunificazione della de- stra moderata e sottolineare la dimensione europea di Forza Italia. La sua strategia punta, per il momento, a un governo col Pd nel quale potrebbe avere un ruolo determinante. Quanto alla formazione di una coalizione di centro sinistra anche questa appare molto difficile. La recente apertura di Matteo Renzi a Giuliano Pisapia, leader del Movimento progressista, suona quanto mai formale e strumentale dopo che per settimane si è lasciato intendere che quasi naturalmente ci sarebbe stato un accordo con Berlusconi. Il segretario del Pd è contrario ad un’alleanza elettorale con la sinistra radicale e con i fuoriusciti dal Pd. La sua offerta all’ex sindaco di Milano non è molto di più che quella di una o più candidature che Pisapia si è affrettato a rifiutare.
Se così stanno le cose è molto difficile – sia alle prossime elezioni, sia nella elaborazione della legge elettorale – vedere un ritorno al bipolarismo. L’Italia rimane un paese tripolare anche se uno dei poli è stato leggermente ridimensionato, un altro è colpito da un aumento dell’astensione per il momento mascherata dalle liste civiche. Nei prossimi mesi si vedrà.
Ritanna Armeni
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