Tag Archives: sa die de sa sardigna

Per la Sardegna nostra patria

pablo e amiche
di Nicolò Migheli

Le feste nazionali vorrebbero essere un momento di unità del popolo ma quasi mai lo sono. Il 14 Luglio è rifiutato ancora oggi da una minoranza consistente di francesi che si rifanno alla Vandea e alla controrivoluzione. La commissione incaricata di scegliere una data simbolo da far diventare sa Die de sa Sardigna discusse molto. C’era chi proponeva il 30 giugno in ricordo della battaglia di Sanluri del 1409, data in cui la Sardegna perse la propria indipendenza.

Altri il 14 aprile quando ad Uras nel 1470 i sardi sconfissero per l’ultima volta gli aragonesi. Alla fine venne scelto il 28 aprile pur consapevoli che quel giorno portava con sé molte ambiguità. La Sarda Rivoluzione non ha mai avuto una buona pubblicistica. La cacciata del viceré Balbiano e della sua corte, venne letta da sempre come un fatto episodico; una ribellione dei nobili e dei borghesi per poter accedere alle cariche alte dell’amministrazione regia. Fin dagli inizi lo storico savoiardo Manno pose l’accento su chi aveva chiesto il perdono al re.

Ancora oggi, per alcuni, il tema è il tradimento di cui fu oggetto Giovanni Maria Angioy. Quell’episodio diventa il racconto della subalternità accettata. Un destino voluto che dovrebbe precludere qualsiasi autodeterminazione. Non viene ricordato che fu quella rivoluzione a determinare l’ingresso della Sardegna nella modernità; che fu l’unica rivoluzione europea, benché ispirata dall’illuminismo, a non essere stata promossa dai francesi al contrario del ‘99 napoletano. L’ostilità a quella data è ancor più forte in certa sinistra sarda che dovrebbe rivendicarla come sua. La rifiuta perché quel giorno è della Sardegna, ed ogni riferimento alla nazione dei sardi viene visto come pericoloso. Nazione come sciovinismo, come leghismo.

Si cita Antonio Gramsci ma si è segnati dal leninismo centralista riletto da Togliatti. Salvo poi impegnarsi per le cause di patrie altrui purché siano terzomondiste e antimperialiste. Un’ostilità che rasenta il pretestuoso. Un retroterra culturale che in maniera non esplicita anima la riforma della Costituzione voluta da Renzi. Il 25 aprile su Rai 1 Fabio Fazio ha ricordato la Liberazione. In quella trasmissione nessun cenno alle 4 Giornate di Napoli liberata dai suoi abitanti e non dagli alleati. Nessun riferimento alle repubbliche partigiane del nord d’Italia.

Un’attenzione a nascondere ogni possibilità di autogoverno realizzato che contrasti con le spinte all’abolizione delle autonomie. Un racconto che diventa fondante per il Partito della Nazione, quella italiana però. Quest’anno sa Die de sa Sardigna correva il rischio di vedere la Regione latitante. Solo l’insistenza dell’assessorato competente con un finanziamento esiguo e all’ultimo momento, ha evitato alla massima istituzione dei sardi la vergogna dell’assenza. Sa Die la giunta l’ha voluta dedicare al cibo, il Consiglio Regionale nella seduta solenne ha trattato di scorie nucleari.

Temi importanti per carità, ma che avrebbero trovato giusta collocazione in tante altre occasioni. Uno spostamento che nasconde il timore di affrontare le vere domande che pone il 28 aprile: siamo nazione? Chi è la nostra patria, l’Italia o la Sardegna? Visto che fino al 1847 abbiamo avuto storie differenti, quando gli interessi tra Italia e Sardegna divergono, quali debbono prevalere? La sera del 29 ottobre 1922 chiuso il congresso di Nuoro del Psd’A, si tenne una riunione drammatica. Quella sera un gruppo ristretto di dirigenti del partito si trovò a decidere se si dovesse resistere con le armi alla Marcia su Roma dei fascisti.

Era in ballo se si dovesse “fare come in Irlanda” e battersi per la Sardegna, o cominciare una lotta antifascista per liberare l’Italia. Vinse la seconda posizione, quella sostenuta dai dirigenti in gran parte ex ufficiali dell’esercito educati nella scuola italiana, rispetto al sentimento prevalente nel partito più vicino all’indipendentismo. La notizia dell’incarico di formare il governo dato dal re a Mussolini, fece cadere l’opzione militare. Questo dopo un congresso che aveva visto la più grande manifestazione antifascista dell’epoca in Sardegna.

Allora come oggi, quale è la patria dei sardi? I festeggiamenti di quest’anno hanno visto una messa solenne celebrata nella cattedrale di Cagliari davanti a una moltitudine di cittadini presenti. L’arcivescovo Arrigo Miglio nella compieta ha letto una preghiera dove si diceva “Preghiamo […] per la Sardegna nostra patria”. Era dal 1847 che in quella chiesa non veniva pronunciata quella parola rivolta alla Sardegna. Un segno forte che rimarrà negli anni a venire. La Chiesa, come spesso accade, fa affermazioni che la politica pavida teme. Quelle brevi parole tentano di inserire l’episcopato sardo sulle orme di quello irlandese, basco e catalano. Non è poco. Questo 28 aprile è stato riempito di segni di speranza.

La notizia del disimpegno della Regione ha mosso i cittadini e le associazioni. Molte iniziative, convegni, incontri nelle scuole ed infine le Barchette e sa Die in Tundu. Migliaia di sardi si sono trovati nell’isola e nel mondo a fare cerchi e a ballare. Migliaia di sardi hanno fatto barchette di carta da donarsi reciprocamente. In quelle barchette metaforicamente ci si metteva tutto quello che non va: furto di terre, scandali, inquinamenti, disoccupazione, abbandoni ed imposizioni varie. Sono stati atti in cui l’appartenenza ha superato l’identità. Sardi di nascita e sardi per scelta che condividono una presa di coscienza sul destino di un popolo e della sua terra.

Una dimostrazione che sa Die è entrata nel cuore. La politica dei partiti italiani come sempre non ha capito o non ha voluto capire, una parte della società sì. Non è un problema. Parafrasando Mitterand, la politique suivra.

Sardegna-bomeluzo22
* L’articolo di Nicolò Migheli viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
—————————————-

in prosecuzione de sa die de sa Sardigna

fto ogu due
29 de Abrile 2015
Cineteca Sarda, arburada de Trieste 118/126 a oras de sas 10:00

capo_e_croce_2Capo e Croce. Le ragioni dei pastori
proietzione de su film de Marco Antonio Pani e Paolo Carboni

introduet Antonello Zanda; ddoe ant a èssere is autores

in collaboratzione cun sa Società Umanitaria – Centro Servizi Culturali de Casteddu, sa Fondazione Sardegna Film Commission

Sa die de sa Sardigna

Sardegnaindustre filippo figarimoti antifeudali Sassu AligiSa-Die-2015-banner-RAS
logo-sa-die-F-Figari-300x173
—————————————————————–
Immigrazione: guardare in faccia la realtà. Facciamo i conti anche in casa nostra… e pensiamo al “che fare”
barcone_immigrati3Caro Presidente, e se fosse la Sardegna la terra di accoglienza che cercano?

di Marco Meloni

Caro Presidente,
Le scrivo pubblicamente dopo giorni di riflessioni, rabbia ed un profondo quanto lacerante senso di impotenza e dopo le tante, sicuramente troppe, prese di posizione di chi, cavalcando la paura, parla di minaccia e invasione, di chi non si ferma neanche davanti ad un mare tinto di rosso, il nostro mare. Bombardiamo, blocchiamo, affondiamo: ma chi e che cosa? Giovani, bambini, donne, uomini disperati? Profughi che scappano da una guerra? E se scappassero “solo” dalla fame e dalla quotidiana violenza? Sarebbe davvero così diverso?

Li definiamo clandestini, profughi, rifugiati, immigrati, perché spesso non abbiamo il coraggio di chiamarli persone, di riconoscere che l’unica vera differenza tra noi e loro è quella di essere capitati in due lati diversi dello stesso mare. Interpretiamo il Mediterraneo come confine e barriera, il nostro problema è unicamente che stiano arrivando qui e non la barbarie dalla quale stanno scappando.

Scrivo a Lei, chiamato a governare la nostra Isola in difficoltà, dove una crisi strutturale sembra impedirci di declinare i verbi al futuro, le scrivo perché la nostra sofferenza e paura non diventino cecità. Poche settimane fa al centro del dibattito politico sardo discutevamo animatamente del ridimensionamento scolastico. Nel dibattito le ragioni di chi cerca di difendere ogni scuola anche nei piccoli centri, per la fondamentale funzione educativa e motivazioni sociali, si confrontavano e si scontravano con le ragioni di chi vorrebbe rendere maggiormente efficiente un sistema ridimensionato nei finanziamenti e ancor di più nei numeri dei fruitori. Chiedendoci se fosse giusto mantenere multiclassi con pochi alunni, ci si è reciprocamente accusati di uccidere i comuni da una parte e di barattare lo sviluppo dei nostri giovani per interessi locali dall’altra. Sullo sfondo però, la vera questione è e continuerà ad essere lo spopolamento dell’intera nostra regione, soprattutto nelle sue zone interne. Nel 2014 in Sardegna il numero di morti supera quelle delle nascite di 3.344 persone. La nostra crescita naturale (per mille abitanti) è stimata a -2,3 , in un anno ogni mille sardi sono nati appena 7,1 bambini. (dati Istat) A ciò si aggiunge l’ingente emigrazione dei nostri concittadini in età da lavoro che silenziosamente anno dopo anno lasciano la nostra Isola in cerca di un futuro migliore, a volte, semplicemente di un futuro possibile. Un preoccupante processo di sofferenza demografica interessa il 55% del territorio regionale. Paesi come Armungia, Sini, Bortigiadas, Ussassai, Borutta e tanti altri rischiano di scomparire, molti invece, pur salvandosi, nei prossimi anni andranno incontro ad una desertificazione demografica graduale e apparentemente inesorabile.

Metto a confronto i due fenomeni, in un triste ossimoro, coerente con la nostra epoca di disequilibrio ma incoerente con la ragione umana. E le faccio una proposta coraggiosa: accogliamoli noi, se non tutti una parte importante, proponiamogli di far vivere la nostra terra, le nostre campagne, le montagne e le più numerose colline, sino alle coste. Non avremo risorse faraoniche, ma sappiamo spezzare il nostro pane. Gli ultimi decenni ci dimostrano come la diminuzione delle persone nelle tavole non abbia portato ad un maggiore benessere. Al contrario dove mancano braccia e teste non c’è ripresa né rilancio.

Non le sto proponendo di aprire i nostri centri di accoglienza ad un numero maggiore di persone, seppur plaudo alla risposta che si sta cercando di dare in emergenza, né di capitalizzare la sofferenza dei migranti come molti hanno tristemente fatto, le sto proponendo un modello di sviluppo basato sulla dignità della vita, sull’apertura all’altro e sulla cooperazione comunitaria.

Ospitiamoli nei nostri paesi, insegniamogli i nostri mestieri e le nostre arti, rilanciamo le nostre produzioni di qualità, impariamo dalle loro storie, mettiamoci in gioco. Così faremo della Sardegna un grande laboratorio multiculturale, una terra di incontro e pace, un luogo nel quale anche i nostri tanti emigrati potranno tornare portando con sé le proprie esperienze. Del resto abbiamo fatto tanti sacrifici per salvare banche e grandi economie, questa volta facciamoli per salvare vite, le loro, e vitalità, la nostra.

Non vi è traccia di purezza razziale nel nostro popolo Presidente, le gocce di sangue nuragiche nei secoli si sono mischiate con il sangue dei conquistatori, dei mercanti, dei tanti popoli che sono approdati nella nostra isola. Siamo di fatto figli dei Fenici, dei Punici, dei Romani, dei tanti Spagnoli, dei Pisani, Piemontesi, Genovesi. È il mediterraneo che ci scorre nelle vene. Abbiamo imparato a convivere con lingue ed usi diversi dal nostro, abbiamo aperto le case anche a chi poi ha approfittato della nostra accoglienza, abbiamo spesso salutato i nostri figli in partenza, abbiamo pianto i nostri morti in mare ed in guerra, ci siamo sentiti gli ultimi. Noi possiamo capire cosa significa la loro sofferenza, abbiamo la responsabilità storica e morale di farlo.

Certamente l’Europa deva essere chiamata a fare la sua parte e la comunità internazionale, ONU in primis, non può voltare le spalle a questa emergenza umanitaria. Ma, nel frattempo, abbandoniamo il nostro solito attendismo e dipendenza per dare risposte di impegno e solidarietà a livello locale.

Dimostriamo che la nostra identità non è racchiusa solo in celebrazioni storiche, sagre e nei maialetti in viaggio per l’EXPO. Identità è differenza che arricchisce, oggi vorrei che sapessimo esprimerla con una scelta coraggiosa e umana. Oggi in questo vorrei sentirmi diverso, vorrei orgogliosamente sentirmi sardo.

Marco Meloni

“buonista”
—————————————————————
sardu dueL’ossimoro del sardo razzista
di Nicolò Migheli

Dopo la strage in mare dei novecento migranti La Nuova Sardegna e l’Unione Sarda hanno dovuto ritirare gli articoli dalle loro edizioni on-line, perché strapieni di commenti offensivi e razzisti. I lupi da tastiera non aspettano altro. A volte si nascondono dietro eteronimi. Altri più coraggiosi, non esitano a firmare con i propri nomi. In questi ultimi anni, più volte è capitato di leggere o assistere a manifestazioni di intolleranza nei confronti di migranti o dei rom. Tutte le volte ci si è consolati con un “i sardi non sono razzisti.”

Bisogna dire, ad onor del vero, che il razzismo biologico è ormai scomparso, seppellito con la Seconda Guerra Mondiale. Solo il professore irlandese Richard Lynn e qualche gruppo minoritario di “Supremazia Bianca” insistono su dottrine finite nell’immondezzaio della storia. Oggi prevalgono le teorie sulle diversità culturali e sulla inconciliabilità delle stesse. In un mondo così globalizzato trionfa la paura dell’altro e su questo si costruiscono fortune politiche. Il razzismo e la xenofobia non sono una caratteristica occidentale; ad esempio i turchi disprezzano gli arabi e si sentono superiori, gli arabi a loro volta considerano inferiori gli africani neri.

Solo in Occidente però le teorie razziali spacciate come scientifiche, sono state fondanti di regimi, non solo quelli fascisti e nazisti, ma anche di quelli coloniali. Lo stereotipo del “ fardello dell’uomo bianco” che “civilizza” il mondo, ha nella superiorità razziale e culturale il suo fondamento. Le decine di migliaia di persone che fuggono dalle guerre dei loro paesi o dalla povertà estrema, si riversano sulle rive del Mediterraneo provocando reazioni di paura e rifiuto. Anche in questi giorni di lutto le reti sociali e il web sono pieni di falsità e di gente che specula sul dolore degli altri. Gruppi di estrema destra e leghisti che in questa disgrazia colgono segni di fortune elettorali.

Nessuna parte d’Italia è indenne. La stessa Sardegna non si differenzia. Vi sono gruppuscoli di destra che sotto il velo dell’autodeterminazione dei sardi mostrano gli stessi comportamenti xenofobi e razzisti di chi predica “prima gli italiani”. Applicano quanto Borghezio affermò in Francia, che in Italia la vera difesa delle identità era possibile solo con partiti localistici come la Lega e che questi sono il grimaldello per il diffondere politiche nazionalsocialiste. Naturalmente i sardo-leghisti e chi li segue sul web, non sanno che i sardi erano i barbari interni dell’Italia post unitaria.

“La Sardegna così presenterebbe una zona doppiamente maledetta: maledetta nella terra, […] immodificabile, maledetta negli uomini, che non hanno facoltà di adattamento alla civiltà! La conclusione sarebbe addirittura dolorosa; e meno male se non si trattasse di applicarla che alla piccola zona delinquente della Sardegna. Ma la logica è fatale e suggerisce altrimenti: la razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d’Italia, ch’è tanto affine per la sua criminalità per le origini e pel suoi caratteri antropologici alla prima, dovrebbe essere ugualmente trattata col ferro e col fuoco,condannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa dell’Australia ecc. che i feroci e scellerati civilizzatori dell’Europa sistematicamente distruggono per rubarne le terre.” Scrive il deputato repubblicano Napolone Colajanni in un pamphlet del 1898 confutando gli scritti di Alfredo Niceforo, definiti “romanzo antropologico” di nessuna attendibilità scientifica.

È interessante però che anche un progressista come lui non sfugga a quei cascami di positivismo considerando i non europei inferiori. Niceforo divideva l’Italia unita in due “razze” a nord gli ariani e a sud e nelle isole i mediterranei; lo faceva su basi fisiche, quali la forma del cranio, indici cefalici, circonferenza cranica, fronte, naso, faccia, zigomi, statura, perimetro toracico, peso, colorito, capelli, occhi e barba. Tratti da cui faceva discendere atteggiamenti culturali e psicologici considerati inferiori. Lino Businco, firmatario nel 1938 del Manifesto per la Razza, inserì i sardi tra gli ariani; c’era stata la Prima Guerra Mondiale e la Brigata Sassari, la razza criminale era diventata etnia combattente e il fascismo non poteva accettare di avere la Sardegna abitata da individui di razza inferiore.

Nonostante ciò nei pregiudizi e negli stigmi degli italiani del nord, in maniera inconsapevole, sono rimaste le classificazioni niceforiane. Tutta la predicazione leghista anti meridionale ha qui le sue fondamenta. Oggi il sardo razzista accetta, alla fin fine, quelle suddivisioni di fine Ottocento. Si inserisce in una gerarchia, sarà sempre dipendente di una visione in cui lui non sarà alla pari dei Salvini e compagni. Loro la razza eletta, e lui l’ascaro buono per i lavori sporchi.

Il 25 di aprile si festeggerà la Liberazione dal fascismo e dal nazionalsocialismo, ma razzismo e xenofobia sono più forti che mai. Una Italia che non si è mai defascistizzata, che negli ultimi trent’anni ha subito una esaltazione dell’odio per il diverso propagandata da Mediaset e anche dalla tv pubblica, ha fatto in modo che i fondamenti culturali del disprezzo si diffondessero fino a diventare sentire comune.

Questa è la triste verità. L’onda migratoria non aiuta e il nostro è un paese di vecchi impauriti, con politiche che mirano alla distruzione della scuola pubblica favorendo l’ignoranza. Chi non è d’accordo con questa visione del mondo ha davanti a sé anni di duro impegno. “Vaste programme“, ebbe a dire il generale De Gaulle a chi gli urlava “mort aux cons” (morte agli idioti).
———————
By sardegnasoprattutto / 23 aprile 2015/ Culture
———————————————————————
Immigrazione: guardare in faccia la realtà
fiori naufragio-migrantidi Vanni Tola
Ciascuno di noi ha una parte di responsabilità in tutto ciò che accade. E’ inutile e ipocrita chiamarsene fuori con argomentazioni pretestuose. Il colonialismo e la politica di rapina delle risorse dei paesi sottosviluppati e del continente africano, i nostri egoismi individuali e collettivi, le scelte di strategia economica dei paesi occidentali, hanno determinato e alimentano crisi, miseria, guerre. Oggi questi problemi presentano “il conto”. Viviamo e siamo partecipi di un esodo biblico di disperati che cercano condizioni di vita umane nei nostri paesi dopo che, nei loro, si è scatenato l’inferno. Un mare, il Mediterraneo, un tempo “culla di civiltà”, luogo di scambi culturali e commerciali tra culture e popoli diversi, trasformato in sterminato cimitero di esseri umani. L’occidente, i paesi che amano definirsi civili, evoluti, progrediti, devono compiere scelte adeguate alla gravità della situazione, adottare scelte politiche e strategie operative per porre fine agli squilibri che dovranno essere nuove e realmente efficaci. Occorre rimettere in discussione, con serietà e onestà, la ripartizione delle ricchezze mondiali per garantire a tutti condizioni di vita migliori pur sapendo che ciò potrebbe limitare il nostro attuale sistema di vita caratterizzato da ipersfruttamento delle risorse e da sprechi. Occorre infine togliere l’ossigeno alle guerre, a tutte le guerre, a partire degli scontri tribali per arrivare agli scontri tra gli Stati africani, ai diversi focolai di tensione del pianeta, agli scontri interreligiosi. Un passo fondamentale da compiere con la massima urgenza dovrà essere rappresentato dalla drastica limitazione della produzione e del commercio di armi e munizioni mettendo al bando i commercianti di morte e i fomentatori delle guerre. Non si può piangere i morti, applaudire gli appelli del Papa al mattino e nel pomeriggio continuare a vivere favorendo, sia pure indirettamente, la condizione di miseria e sottosviluppo di gran parte del mondo con politiche di rapina e vendita di armi. E soprattutto non si può girare il volto e la mente dall’altra parte e fare finta di non vedere o di non sapere. “Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti” (F. De André.)
—————————————————-
700 migranti morti bimbamorta375_300
—————————————————-
sabbie_mobili_938
Come evitare la prossima strage di migranti nel Mediterraneo
[Nel riquadro: Carta di Laura Canali da Chi ha paura del califfo]

Accogliere tutti è impossibile e illogico, persegui(ta)re chi fugge da paesi in guerra anche. Ma qualche soluzione c’è, per l’Europa e per l’Africa.
di Riccardo Pennisi, Limes 21/04/2015

Sulla scala delle innumerevoli crisi con cui l’Europa si trova ad avere a che fare, quella dell’immigrazione attraverso il Mediterraneo è ormai tra le più gravi per le sue proporzioni in termini di persone e di valori morali coinvolti.

Se vogliamo comprenderne le dimensioni reali, non possiamo trascurare alcuni dati. Il primo è certamente quello della consistenza inedita dei flussi migratori: tanto grandi che non solo l’Italia, ma l’intera Europa non ne ha mai visti di simili nella sua storia recente. Per quanto i singoli Stati possano credere bene di intervenire promulgando leggi aspre e repressive, o pensare di impiegare armi e soldati per blindare il confine marittimo, il numero di persone disposte a rischiare di morire per arrivare nel nostro continente non diminuirà. Lo si comprende osservando una mappa del mondo: attorno all’Europa si sono moltiplicati gli scenari di crisi, le guerre, le guerre civili, le carestie – un cambiamento spesso dovuto proprio alla goffa diplomazia o agli errori di calcolo strategico dei singoli Stati europei. Mali e Algeria, Sahel, Libia, Darfur e Corno d’Africa; Siria, Iraq e Afghanistan: lasciarsi alle spalle questi inferni vale qualsiasi pena e qualsiasi spesa.

Il crollo di molti Stati e apparati amministrativi conseguente a queste crisi agevola i trafficanti di esseri umani: il tragitto attraverso il Sahara o per le rotte del Medio Oriente e l’imbarco dalle coste mediterranee avvengono in assenza quasi totale di controlli; inoltre, i vari gruppi che si disputano la signoria sui territori di passaggio utilizzano i migranti come succosa e facile fonte di reddito.

Ad esempio, a occuparsi della sorveglianza sui 600 km di coste della Tripolitania libica – una zona caduta sotto il controllo delle forze ribelli al governo appoggiato dagli occidentali, che ha sede nell’altra parte del paese – ci sono solo due navi-vedette di stanza nel porto di Misurata, per metà devastato dalla guerra. Altre quattro navi sono in mano all’Italia che doveva riequipaggiarle, grazie a un accordo con il governo libico, ma non le ha ancora restituite perchè non c’è alcuna certezza del vero uso che ne verrà fatto.

Proprio il crollo della Libia subito dopo il rovesciamento del dittatore Mu’ammar Gheddafi fa sì che il paese sia diventato lo sbocco ideale per traffici illeciti di ogni tipo, e che i flussi migratori vi si concentrino, privilegiando la rotta su Lampedusa piuttosto che quelle dal Marocco o dall’Algeria al sud della Spagna, o dalla Turchia alle isole greche.

Il record di sbarchi registrati in Italia lo scorso anno (150 mila rifugiati e migranti tratti in salvo secondo l’Unhcr) si prepara a essere battuto nel 2015: l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati certifica già più di 30 mila arrivi in Italia e Grecia a metà aprile – cifra destinata a crescere con lo stabilizzarsi delle condizioni metereologiche: fonti libiche raccolte da Le Monde parlano di 300-700 uomini in partenza quotidianamente nelle giornate di bel tempo.

Gli Stati dell’Unione Europea hanno finora affrontato la questione come un fenomeno stagionale. L’operazione Mare Nostrum costava a Roma 9 milioni al mese, e secondo Human Rights Watch ha soccorso un totale di 100 mila persone. Tuttavia, data l’indisponibilità italiana a contrastare in solitudine un fenomeno che riguarda tutto il continente e la convinzione che una missione meno “generosa” scoraggiasse i migranti, i membri dell’Ue si sono accordati su un suo surrogato.

Sotto il nome di Triton, al costo di 3-5 milioni al mese spalmati sui 28 Stati contribuenti, l’operazione europea in vigore da novembre si limita al pattugliamento, e non alla ricerca e al salvataggio come in precedenza. La sua inefficacia, riconosciuta in febbraio anche dal commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti umani Nils Miuznieks, è tristemente provata dal numero di morti registrati negli ultimi mesi, di cui la strage di domenica è solo l’episodio più evidente.

Cosa fare dunque? Considerando che la nostra frontiera è il mare e che non possiamo costruirci sopra un muro come hanno fatto gli Stati Uniti con il loro confine messicano, il modo in cui gli europei si misurano con questo epocale fenomeno dovrebbe cambiare attraverso una nuova assunzione di responsabilità, una revisione degli strumenti di intervento e un piano strategico di medio e lungo periodo. Il regolamento europeo di Dublino, finora in vigore, obbliga a che i migranti chiedano asilo nel paese di approdo: in questo modo l’onere di provvedere alle necessità delle persone soccorse ricade sempre sugli stessi paesi rivieraschi del Mediterraneo, nella proporzione del 70% sul totale dei rifugiati dell’Ue. La destinazione dei migranti è invece nella maggior parte dei casi Germania, Gran Bretagna, Svezia o Norvegia: Stati da cui è giusto pretendere un maggiore coinvolgimento.

Inoltre, l’Ue deve rivedere il suo atteggiamento nei confronti del Nord Africa. La stabilizzazione di tutta l’area deve diventare una priorità sulla quale avere il coraggio di investire risorse, così come una cooperazione allo sviluppo politico-civile che vada oltre il mero riconoscimento delle elezioni (che di per sé non certificano l’esistenza di uno Stato democratico) allargandosi al sostegno dei soggetti che con la loro attività rendono il pluralismo e la partecipazione una prassi diffusa. Risulterebbe difficile, altrimenti, ottenere una collaborazione allo stesso tempo efficace e umanitaria da Stati come l’Egitto, attraversati da moltissimi flussi di passaggio, o la Libia, molo di partenza per eccellenza.

Una collaborazione reciproca che è necessario mettere in pratica con pragmatismo e preparazione: l’impossibilità politica dell’accoglienza in ogni caso e per tutti e l’illogicità dell’opzione repressiva di chiusura dimostrano il fallimento degli approcci ideologici o estemporanei finora adottati.

Senza la collaborazione della Libia, attualmente uno Stato-fantasma, si va poco lontani. La cooperazione con i paesi a lei vicini è necessaria per sorvegliare le rotte percorse dai migranti fino al mare e per smantellare le reti di traffico di esseri umani che le utilizzano; la distruzione dei mezzi di trasporto usati dai criminali, proprio come avviene con l’operazione antipirateria Atalanta al largo della Somalia, potrebbe essere un buon inizio.

La chiusura delle frontiere in Europa provoca un aumento della clandestinità: sarebbe dunque meglio estendere la possibilità di chiedere asilo anche nei paesi nordafricani, e direttamente dai paesi nordafricani per tutti i paesi europei – magari armonizzando le politiche attualmente sbilanciate dei singoli Stati Ue in materia di status di rifugiato e asilo politico. Il peso delle richieste di asilo su Grecia, Malta e Italia dovrebbe essere sostenuto economicamente e amministrativamente da tutte le capitali europee.

Infine, le regole di ingaggio di Triton dovrebbero almeno essere riportate a quelle di Mare Nostrum, in attesa di costruire una maggiore integrazione con le forze di salvataggio e sorveglianza nordafricane – perchè non siano semplice assistenza in mare ma permettano anche un migliore contrasto al traffico di esseri umani. A tal fine l’Europa dovrebbe dotarsi di quella politica comune sull’immigrazione che finora gli Stati, gelosi delle loro prerogative nazionali, hanno rifiutato di concedere a Bruxelles. In mancanza di questa, l’Ue potrà solo continuare a stilare liste di buoni propositi.

Sulla sponda nord del Mediterraneo l’immigrazione continua ad essere usata con successo dai partiti populisti ed eurofobici proprio come prova dell’inefficacia e dell’inutilità dell’Unione Europea. Sulla sponda sud, non solo il crimine organizzato la utilizza come fonte di profitto e serbatoio di reclutamento, ma anche il terrorismo comincia a vedere il potenziale destabilizzante del fenomeno.

africa 1914

Oggi 28, martedì, martis, aprile, de abrili, 2015: sa die de Sa Sardigna

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Sa die de Sa Sardigna.
GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x150141928 APRILE
Oggi si ricorda il 28 aprile 1794, il giorno che i sardi uniti seppero cacciare dalla Sardegna coloro che governavano con prepotenza e con disprezzo.
Per una volta i sardi vinsero, vinceranno ancora se sapranno un’altra volta essere uniti.
Buona festa a tutti I sardi, in Sardegna, in Italia, nel mondo.
——————————————————————
ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
Cagliari: viaggio nell’anima di Efisio
con Paolo Matta, cronista di fede

Il libro del giornalista Paolo Matta “A…come Alternos. Viaggio nelle lettere di Sant’Efisio” sarà presentato oggi, martedì, alle 18 e 30 nella piazzetta dedicata al Santo, nel cuore del quartiere cagliaritano di Stampace.
- Una bella recensione di Manuela Arca su L’Unione Sarda on line.
——————————————————-
Sa die de sa Sardinia 2015ANCHE FESTE SPONTANEE
sadie 28 spontanea 2015
Interverranno:

Nicola Manca – l’utopia e l’isola, fra antichi e moderni
Carlo Serra – la rappresentanza e la politia
Marco Betzu – lo statuto regionale, possibilità e sviluppi
Giulia Andreozzi – l’isola futura
Paolo Zedda – l’importanza della lingua sarda

- Conclusi gli interventi programmati, chiunque sarà libero di esprimere il proprio pensiero o semplicemente fare un saluto a titolo personale, nel rispetto della laicità, apartiticità e dei tempi (5 minuti).
- Gli interventi saranno accompagnati da letture libere, dalle poesie improvvisate de Is Cantadoris campidanesus e dalle chitarre di Giuseppe Sanna e Andrea Andrillo.
- La festa continuerà nei caffè della piazza per passare qualche ora insieme!
Coloriamo la piazza con le bandiere dei quattro mori!

28 de Abrile 2015 Tzelebratzione de Sa Die de sa Sardigna: Catedrale, a oras de sas 10:30, Missa narada dae s’archipìscamu Missennore Arrigo Miglio

logo-sa-die-F-Figari-300x173Sa die RAS.
Catedrale, a oras de sas 10:30, Missa narada dae s’archipìscamu Missennore Arrigo Miglio, cantada dae su Cuncordu Sas Enas de Bortigali, Coru de Bosa, Sos Cantores de Irgoli; sonadores de launeddas Stefano Pinna, Graziano Montixi, Marcello Trucas. (Una faina de su Comitadu pro sa Die).
.
FilippoMelano copiaArrigo Miglio ft1
——————————————————————————
- 28 aprile 1794 Arcivescovo di Cagliari Vittorio Filippo Melano
- 28 aprile 2015 Arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio.

Iniziative dal basso per Sa die de sa Sardigna

logo-sa-die-F-Figari-300x173Messaggio dalla pagina fb
Il 28 aprile 2015 si celebra Sa Die de Sa Sardigna.
Tanti di noi vogliono ricordarla. Non ha senso farlo da soli. Dobbiamo essere tanti, e fare in modo che questa data rimanga viva nel presente. È una festa di popolo, di chiunque si senta sardo.

Nella “riunione zero del 2 aprile” raccogliamo le adesioni di tutte le associazioni interessate all’evento. Ragioniamo su quante e quali attivita organizzare, come reperire le risorse indispensabili per la loro realizzazione. Stabiliamo dei compiti, strutturiamo una rete di contatti per sveltire i passaggi organizzativi e agevolare la comunicazione.
sa die giovaniL’appuntamento è in PIAZZA SAN SEPOLCRO nel quartiere Marina a CAGLIARI, ore 20. Se il tempo non ci aiuta, o non siamo un numero troppo grande, ci trasferiamo nella sede della CSS (Confederazione Sindacale Sarda) in via Roma n72.
Lo ribadiamo una volta di più: è invitato a dare il proprio contributo chiunque sappia dire CIXIRI :)
A giobia!
#cixiri #naracixiri #SaDie2015