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NON È ISLAM

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Terrorismo ed errate risposte
NON È ISLAM

La pretesa corrispondenza tra terrorismo e radicalismo islamico è tanto ripetuta quanto arbitraria e strumentale. Anche la norma divina coranica passa attraverso la mediazione e interpretazione umana. Una reazione sbagliata delle democrazie occidentali porta al disfacimento dei principi su cui si regge la cultura giuridica del costituzionalismo moderno

logo76Dalla Rivista telematica www.statoechiese.it n. 2 del 2018 pubblichiamo uno stralcio (senza l’intero corredo delle note) del saggio del prof. Francesco Alicino, associato di Diritto pubblico delle religioni nella LUM Jean Monnet di Casamassima – Bari, sul tema “Lo Stato laico costituzionale di diritto di fronte all’emergenza del terrorismo islamista”, destinato alla pubblicazione nel volume collettaneo su “L’impatto delle situazioni di urgenza sulle attività umane regolate dal diritto”, Giuffrè, Milano. Vi si troveranno importanti considerazioni sul conclamato rapporto tra terrorismo e Islam, e sui pericoli di perdere la democrazia che si corrono nel combatterlo maldestramente.

1 – Introduzione

La minaccia del terrorismo islamista ha comprensibilmente incrementato la domanda di sicurezza che, nei momenti di maggiore tensione e paura collettiva, è elevata a obiettivo prioritario per lo Stato e i relativi organi pubblici. Motivo per cui questa domanda conduce a interventi statali eccezionali, che spesso finiscono per ridurre gli spazi di tutela di alcuni diritti, come quelli afferenti alla libertà personale, alla libertà di espressione e a quella di religione: pilastri normativi su cui, com’è noto, si fonda e si regge un ordinamento costituzionale, democratico e laico[1]

Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Non è la prima volta che nella storia recente del costituzionalismo occidentale si affaccia il binomio sicurezza-libertà: nel nome della sicurezza e in vista di ripristinare una situazione di normalità, la lotta alle varie forme di terrorismo ha spesso comportato una temporanea rottura della tutela delle libertà e una sospensione dell’ordinaria legalità. Il fatto è che oggigiorno questa problematica assume contorni giuridici inediti e orizzonti temporali sconosciuti, che mettono in discussione il significato stesso di alcune nozioni, a cominciare proprio da quelle riguardanti le situazioni di emergenza. Sembra infatti di essere dinanzi a un periodo che, avendo fra le sue caratteristiche una condizione di allarme stabile e quasi permanente, differisce a data incerta il momento del ritorno alla normalità e, quindi, all’impiego dei comuni meccanismi e strumenti legali. In questo modo i timori suscitati dal terrorismo alimentano un ossimorico e paradossale stato di ordinaria emergenza, attraverso il quale i due concetti si annullano e, al contempo, si rinforzano a vicenda: divenendo la regola, il pericolo e la paura di nuovi attentati assumono sempre più rilevo nella vita quotidiana di milioni di persone; il peso esercitato dell’emergenza terroristica porta in molti settori di normazione giuridica a ridurre al minimo gli spazi di ordinaria legalità[2].

Ora, su questa situazione pesa un’importante questione, non sempre però analizzata con la dovuta chiarezza e lucidità, anche perché forse legata alla difficoltà di individuare e definire con precisione le peculiari caratteristiche delle attuali forme di terrorismo.

Di fronte alla sua minaccia e alla crescente domanda di sicurezza, le istituzioni statali stanno difatti vivendo una condizione di profondo spaesamento. E questo perché il terrorismo islamista è dotato di una diffusa, potente e – soprattutto – imprevedibile carica di lesività, sovente lanciata senza scrupolo e con estrema determinazione da anonimi attentatori nei confronti di civili impreparati al tipo di azioni da esso ispirate. Il che ne aumenta a dismisura la pericolosità, giacché in grado di coinvolgere attivamente una vasta gamma di individui i cui atteggiamenti sfuggono a qualsivoglia inquadramento di tipo sociologico, per un verso, dando corpo a metodi, strumenti e bersagli estremamente diversificati, per l’altro. E va pure ricordato che queste difficoltà non diminuiscono, ma anzi s’infoltiscono, quando l’attenzione si focalizza sulle vittime: la cui caratteristica è proprio quella di non avere tra loro nulla o quasi in comune, se non di essere indiscriminatamente considerate come ‘infedeli’.

Ed ecco che in modo prepotente la questione religiosa s’inserisce nella tragica narrazione, ponendo l’analisi sull’impatto dell’emergenza terroristica nell’ordinamento statale di fronte a due domande cruciali, tra loro intimamente connesse: in che modo e con quale significato le attuali forme di terrorismo possano dirsi di matrice religiosa? E qual è il rapporto che realmente sussiste fra il terrorismo e l’Islam?

La fondatezza di queste domande è anche data da quanto emerge da alcune accurate ricerche. Queste hanno in particolare dimostrato come nella maggior parte dei casi i motivi profondi che armano la mano degli attentatori afferiscano in primo luogo a fattori diversi da quello religioso: fattori quali, per restare ai casi più noti, l’estremismo nazionalista, acuito in alcuni ambienti dal senso di oppressione e di rivalsa nei confronti dell’Occidente, dei suoi ‘invasori’ e della logica colonizzatrice, a volte sostenuta nel nome della cultura dei diritti umani; l’incancrenirsi di alcuni conflitti territorialmente localizzati; gli equilibri socio-economici; la mancata integrazione di immigrati di seconda e terza generazione.

Elementi, questi, che molto spesso agiscono sulle difficili condizioni personali e psichiche degli attentatori sparsi in tutto il mondo, siano essi aspiranti o già operativi. Rispetto a tali giustificazioni, la religione interviene solo in un secondo momento, prendendo corpo attraverso modalità e intenti subdolamente strumentali che, come si vedrà, fanno leva su interpretazioni teologicamente elementari delle fonti del diritto islamico.

Interpretazioni che poco hanno da spartire con la lunga millenaria tradizione musulmana e con i suoi fondamenti. Che, se diversamente commentati, sostengono soluzioni diametralmente opposte a quelle prospettate dal radicalismo islamista: ragione per la quale bisogna stare attenti anche a connotare tali derive interpretative come fondamentalistiche. Il che, tuttavia, non ne ridimensiona l’importanza, soprattutto se lette alla luce dell’efficienza della macchina terroristica, la sua mortale e imprevedibile pericolosità. Sebbene con letture grossolane e rudimentali, negli ambienti del radicalismo islamista la religione, o meglio la sua strumentalizzazione, agisce come una ‘coperta’: viscidamente sfruttata da abili mandanti e organizzatori, essa s’insinua nella mente degli attentatori avvolgendo e dissimulando tutte le altre motivazioni. In questo modo l’elemento religioso alimenta un’incontenibile determinazione nell’attuare i piani mortali. Al punto che, rispetto a questi piani e come sovente accade negli ambienti sovversivi di siffatta natura, il primo presupposto a essere dato per scontato e messo in conto dal terrorista è la perdita della propria vita: una morte ricercata, voluta e, a volte, felicemente invocata in vista della ricompensa divina.

A ciò si aggiunge un’altra considerazione, non meno inquietante di quelle sommariamente esposte fino a ora.

Nella logica rozza ed elementare del terrorista le interpretazioni radicalizzanti dei precetti religiosi hanno il grande merito di creare dal nulla una platea sterminata d’infedeli che, ai suoi occhi, si trasformano con impressionante immediatezza in potenziali nemici, facili da colpire ed eliminare. Il che spiega perché la lotta al terrorismo islamista risulta spesso asimmetrica. In spregio alla dignità dell’uomo e sebbene minoritari, i terroristi non hanno nessun timore di morire in battaglia. Anzi, considerano e usano i propri corpi come insuperabili strumenti di morte contro la vita, la dignità e i diritti inviolabili di milioni di persone umane: ciò che, al contrario, la cultura giuridica occidentale e i principi basilari delle democrazie costituzionali valutano come beni supremi, da tutelare e difendere sopra ogni cosa.

Come però si accennava, questo spiega anche la situazione estremamente difficile in cui si ritrovano le istituzioni e i poteri statali che, di fronte a un’emergenza tanto sfuggente e indefinibile quanto pericolosa e sconvolgente, cercano di intervenire in vario modo. Compreso quello di incentivare la produzione di atti legislativi che, seppur generici nella loro formulazione (o forse proprio per questo), influiscono pesantemente sull’ordinario funzionamento della legalità costituzionale e sul relativo corredo di principi. A cominciare da quelli afferenti alla libertà religiosa e alla laicità dello Stato che, per restare all’accezione della giurisprudenza della Consulta italiana, implica la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, il divieto di discriminatorie distinzioni in ragione dell’appartenenza a una religione, l’eguale libertà di tutte le confessioni nonché il diritto di professare la propria fede e di farne eventualmente propaganda.

Sotto la minaccia terroristica, la tutela di questi beni rischia in altre parole di essere continuamente scompaginata da situazioni e regole eccezionali che, per questa via, tendono a (con)fondersi con quelle ordinarie rendendo piuttosto ardua la distinzione delle une dalle altre. Con tutto quello che ciò comporta per il lavoro dei giusdicenti, sempre più spesso chiamati ad applicare fattispecie alquanto generiche e indefinite per fenomeni altamente lesivi e altrettanto indecifrabili. E, come se non bastasse, lo scenario è ulteriormente complicato da posizioni che, talvolta con intenti propagandistici, alimentano una emplicistica (con)fusione fra terrorismo e Islam. Un’idea questa che, con variazioni più o meno evidenti, si è affermata all’interno di porzioni importanti di popolazione occidentale, condizionando non di rado l’attività di istituzioni e poteri pubblici.

2 – La lunga tradizione del diritto islamico

Se si analizzano con attenzione i numerosi attentati terroristici attuati dal 2001 a oggi sul suolo occidentale si scopre che, sotto l’aspetto religioso, il fattore comune non è l’Islam in quanto tale, come si sente spesso dire da alcuni commentatori: ciò che nei migliori dei casi denota una scarsa conoscenza della religione musulmana, mentre in quelli peggiori rileva la funzionale posizione degli impresari della paura e del relativo corredo di propaganda elettoralistica. Quello che in realtà accomuna le attuali forme di terrorismo e le attinenti condotte sono le variegate conformazioni di radicalismo, ispirate e armate da minoritarie, incolte, rozze, grossolane, letterali e strumentalmente orientate interpretazioni di alcuni tratti della lunga tradizione musulmana e di limitate prescrizioni religiose.

Interpretazioni che, come si accennava, finiscono però spesso per alimentare minacce pericolose, per un verso, e difficili da prevenire e scardinare, per l’altro. (Segue)