Chiesa

Oggi sabato 26 aprile 2025

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Gaza, lo scandalo del genocidio in diretta
25 Aprile 2025 su Democraziaoggi
Coordinamento per la Democrazia costituzionale

Da quando Israele ha interrotto unilateralmente la tregua, il 18 marzo, lanciando una nuova micidiale offensiva militare denominata “forze e spada”, la popolazione della Striscia di Gaza è stata nuovamente sottoposta ad atti inconcepibili di brutalità. Ai massacri indiscriminati, si è aggiunto il blocco delle forniture di cibo, acqua, carburante […].

In morte di un papa venuto da lontano

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UN NUOVO INIZIO?

Cari amici,

Gli eventi di questi giorni, intorno alla morte e ai funerali di papa Francesco, ci inducono non solo al compianto, al ricordo, al dolore, ma anche al pensiero: che significa tutto questo? La parola più frequentata nei giornali e nei media italiani è “ipocrisia”. Data la sua ricorrenza, deve avere una sua verità. Intanto può significare l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Ma già così sarebbe una cosa positiva, perché vuol dire attestare che la virtù è superiore al vizio, così come la realtà, diceva papa Francesco, è superiore all’idea.

Ma forse c’è anche qualcosa di più. Ed è che il consenso che si è scatenato attorno a papa Francesco, come è successo con papa Giovanni XXIII, non è finto, è reale. Ed è certamente vero che non tutto papa Francesco piace a tutti, ma ognuno, come si dice per diagnosticare l’ipocrisia, ne prende un pezzo, chi la pace, chi il no all’aborto, chi l’ortodossia, chi i migranti, chi la Madonna, chi Gaza, chi l’amore per “i fratelli ebrei”; solo Netanyahu non prende niente e ci tiene a farlo sapere. Però, al di là dei singoli pezzi, è la figura complessiva di papa Francesco che colpisce ed è arrivata al cuore delle masse o, per dirla in modo più tecnico, ad essere elogiato è stato il suo magistero globale, quel tutto, quella costante che c’è in ogni singolo “pezzo”. Questo tutto, e non potrebbe non esserlo, è stato il farsi testimone di Dio e, più ancora l’annuncio del regno di Dio che viene, e ancora di più, il modo e i contenuti inediti di questo annuncio.

E come mai questo annuncio nuovo suscita tanto consenso in un mondo secolarizzato, ateo, o post-teista, come pure ci piace chiamarlo? Come mai ne sono stati altrettanto toccati i pacifisti, i democratici, le donne in nero e quelli e quelle che mandano le armi perché uccidano e siano uccisi?

La domanda rimette in gioco la secolarizzazione, cioè quella che diciamo essere la modernità. È proprio vero, come dicono i sociologi, e i custodi del tempio, che Dio è stato perduto, che la secolarizzazione ha vinto e che i fiumi di folla sono, come li si chiama irrispettosamente in negativo, di “non credenti” e perciò, se partecipi e devoti, ipocriti? La Chiesa ha sempre pensato, e papa Francesco più di tutti, che non è il mondo clericale o il clero, da solo, ad autenticare la fede, ma il popolo, o meglio clero e popolo insieme, il “popolo di Dio”, che non è solo quello raccolto nella Chiesa cattolica, ma “Todos”, come diceva papa Francesco, anche in latino: “Fratres omnes”.

Dunque, ciò vuol dire che il popolo di Dio, forse senza saperlo, non ha perduto Dio, comunque gli creda. E allora forse si deve una riparazione alla modernità, prenderla per quello che veramente dice di essere, non per quello che noi diciamo che sia, non il “secolo” dove Dio non c’è, come di fatto la consideriamo, ma il luogo e il tempo di una convenzione: “facciamo e pensiamo come se Dio non ci fosse e non si occupasse dell’umanità”, secondo la nota formula seicentesca, che la proponeva come una finzione. E dunque lo diciamo “come se”, non perché “così è”. Facciamo l’ipotesi che Dio non ci sia, e ignoriamo l’ipotesi esclusa, ma nel sottotesto in molti consideriamo che, anche in modo a noi ignoto, egli ci sia, e che il suo regno possa arrivare davvero.

Allora vale la seconda alternativa avanzata in un articolo molto bello scritto da un filosofo “non credente”, Sergio Labate, In morte di un papa venuto da lontano: papa Francesco è stato l’ultimo argine «che frena l’inevitabile fine del mondo», oppure è stato il potere che spera, ancora e nonostante tutto, che «l’umanità, persino nella secolarizzazione, può non sentirsi orfana, affidarsi alla fraternità, non cedere al cinismo e alla disperazione, trovare un modo per non farsi la guerra»? «Modernità e cristianesimo». Cioè non una fine, ma un nuovo inizio.

Nel sito “PRIMA LORO” e sotto pubblichiamo l’articolo di Sergio Labate.

Con i più cordiali saluti,
da “Prima Loro” (Raniero La Valle).
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CHE ABBIA RAGIONE LUI?
In morte di un Papa venuto da lontano
Aprile 25, 2025
Prendere sul serio la speranza in un’umanità che può affidarsi alla fraternità, non cedere al cinismo e alla disperazione, non farsi la guerra.
Sergio Labate
È strano – o forse non lo è per nulla – come a poche ore dalla sua morte, Papa Francesco sia stato immediatamente riportato dentro la maschera che suo malgrado indossava. Dentro le mura, non più fuori nel mondo. Invertendo subitaneamente un movimento che aveva scelto e che ha stupito tutti fin dall’inizio, una forma di spazientita rivendicazione del suo essere soprattutto un uomo di fede. Un uomo, tra gli altri e nel mondo. Senza i lussi, senza la regalità di un sovrano che vive e che, alla fine, addirittura muore. Adesso sono tutti d’accordo con lui, adesso che non può più spazientirsi e possiamo normalizzare le cose. È morto il pontefice, il sovrano.
Era un uomo di fede. Se c’è qualcosa che mi colpisce delle nostre società post-secolari è proprio la scarsità di veri uomini di fede. Ci sono tanti atei devoti, altrettanti uomini “religiosi”. Ma di uomini che siano illuminati e rasserenati dalla loro fede, ne conosco sempre meno. Non so nemmeno più dove cercarli, se non in qualche silenzioso monastero o in qualche tumultuosa missione. Perché ricordo questa cosa? Perché è per rispetto alla luminosità della sua fede che stasera non riesco a non coltivare anche un sorriso. Da non credente, sento che vale la pena dare credito alla sua fede, molto più che alla mia incredulità. Noi scettici, in fondo speriamo che abbia ragione lui. E che dentro la morte, si possa fare esperienza della grazia. La grazia, un’altra categoria teologica che noi umani increduli non sappiamo maneggiare, non sappiamo che farcene. Eppure in questi anni spesso ho pensato – vergognandomene anche un po’ – che il suo venire inaspettato e quasi dalla fine del mondo, portando la Chiesa cattolica dall’essere sentinella della conservazione a essere avanguardia delle rivendicazioni progressiste non potesse che dirsi nei termini della grazia. Nulla nella storia della Chiesa faceva pensare a un pontefice in grado di assumere con chiarezza posizioni sociali e politiche così radicali. Un pontefice in grado di “dire la verità” al mondo su se stesso. E questo suo dire la verità si scontrava con la storia, col suo procedere imperterrita verso il peggio, verso la demolizione di ogni pietà per gli oppressi dell’umano. Per i credenti è stato semplice trovare un principio di causalità nello Spirito Santo. Ma noi increduli ci siamo trovati un alleato, senza capire il perché e senza che nessuna dialettica della storia potesse in qualche maniera spiegarcelo.
Certo, questa alleanza politica e sociale ha convissuto con una ferma ostilità d’ordine morale. Al di là delle aperture alle persone e al rispetto per la loro dignità, Papa Francesco ha mantenuto il punto quanto alle scelte su aborto, omosessualità, matrimonio, uguaglianza di genere; è stato per certi versi riluttante sullo scandalo della pedofilia dei sacerdoti; ha fatto poco per democratizzare le istituzioni ecclesiali e per disintossicare la gestione del potere da un patriarcato angusto e inaccessibile. Ma tutto ciò in fondo ci ha anche rassicurato circa le sue intenzioni: non era una spia che cercava di impossessarsi di battaglie della sinistra per avocarle a sé, per strumentalizzarle. La sua sincerità era garantita anche dalla sua estraneità, che in fondo aveva anche dei tratti fisiologici. Abbiamo combattuto le stesse battaglie, ma non c’è stato bisogno né che lui si presentasse né che noi lo riconoscessimo in modo diverso da ciò che era realmente, un uomo di fede.
Altri più esperti di me chiariranno la genealogia del suo progressismo. Bergoglio apparteneva alla teologia popolare, una corrente che in America Latina nacque quasi per arginare il successo della teologia della liberazione. Non per contestarlo, ma per integrarlo. Recuperandone le istanze più sociali e minimizzandone forse la radicalità teologica. Non un conflitto, ma una “correzione fraterna”. A cui dobbiamo probabilmente sia la sua prossimità con la sinistra sia la sua irriducibile differenziazione. Tutto ciò che abbiamo condiviso con lui, per lui in fondo non era altro che il Vangelo e non richiedeva alcuna correzione di rotta teologica, nessuna simpatia per Marx.
La maggior parte dei commentatori ricordano tre questioni su cui si è manifestata questa prossimità senza mimetizzazioni o sconti: ecologia, migrazione, guerra. E non c’è dubbio che queste questioni siano state da Papa Francesco valorizzate nel dramma di un mondo che prendeva sempre più coscienza che attorno a esse si stesse giocando la propria sopravvivenza e la propria umanizzazione. Ma lo spessore teologico di Francesco era tale da rivendicare per ciascuna di queste questioni una radicalità cristiana, niente affatto una semplificazione. Per fare solo un esempio: la Laudato si, pubblicata nel 2015, è un’enciclica papale che scommette di essere al contempo una meditazione teologica sul creato e una riflessione filosoficamente originale sulla responsabilità per la terra. Scommesse vinte entrambe. Allo stesso modo tutte le riflessioni, le aperture e gli appelli disperati sulle migrazioni erano al contempo meditazioni teologiche sull’accoglienza evangelica e riflessioni antropologiche sull’homo viator, sulla necessità dell’essere umano di viandare (e d’essere accolto in quanto tale). Per non parlare poi della guerra e della sua disperata e tenace insistenza di fronte alla regressione bellica degli ultimi anni.
Accanto a queste tre questioni ne aggiungerei anche un’altra: il pauperismo o, meglio, l’incrollabile e non formale preferenza per i poveri. Anche in questo caso, non è difficile rintracciare i riferimenti biografici e la fedeltà evangelica: le tragedie economiche della storia argentina da un lato, una teologia evangelica per cui la povertà è uno scandalo ma è anche il segno di una conversione spirituale, dell’uomo che vive concentrato sulle cose essenziali. Ma in quella scelta anche estetica c’era soprattutto un certo modo di fare i conti col potere, dunque con la Chiesa come istituzione di potere. Tutti ricordiamo lo stacco tra l’ostentazione liturgica di Ratzinger e l’umiltà delle forme di Bergoglio. Abbiamo riscoperto la dignità del povero perché abbiamo imparato la sua lezione per cui la povertà non è la mancanza di potere, ma il modo più umano e dignitoso di resistergli, soprattutto nel tempo del lusso sfrenato e dei super-capitalisti al potere.
Ma la vera novità – ciò che per certi versi continua a essere un mistero – è quella di esser stato contemporaneamente il Papa dei credenti (quasi tutti, non tutti) e anche di coloro che mai avrebbero sognato di aver bisogno di un Papa, dei non credenti. Di essere diventato l’unica figura di riferimento credibile non solo per coloro che ne riconoscevano il ruolo ecclesiale, ma anche per quelli che non potevano non riconoscerne la legittimità morale di unica voce che urlava nel deserto. Come è stato possibile tutto questo? Che proprio la massima autorità religiosa sia stata l’unico vessillo per chi credeva in un mondo più giusto senza la vigilanza di una fede? Le mie ipotesi di risposta sono due.

Oggi giovedì 24 aprile 2025

img_2975 img_2977 Su Kalaritanamedia.it .
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Referendum, così si difende la Costituzione. Anche nel nome di Alessandro Pace
23 Aprile 2025
Alfiero Grandi su Democraziaoggi
La morte di Alessandro Pace, preannunciata da una malattia insidiosa e terribile, suggerisce di unire il ricordo di una figura di intellettuale di grande valore con una riflessione politica su un tornate decisivo per la storia dell’Italia: il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Alessandro Pace era professore emerito di diritto costituzionale alla […]
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Papa Francesco

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Cari Amici,

Su papa Francesco, come è ricordato da “Prima loro”, l’Unità di oggi 23 aprile ha chiesto un’intervista a Raniero La Valle, che qui vi trasmettiamo:

1) C’è qualche ricordo personale che le è tornato alla mente pensando a Francesco?

– C’è un ricordo che è legato a una cosa che mi è successa una sola volta nella vita: una Messa interrotta a metà, come se fosse successo qualcosa di più importante di quella. Eravamo nella chiesa di san Gregorio al Celio insieme ad altre persone care per una Messa nel trigesimo della morte di mia sorella Fausta. E a un certo punto irruppe un monaco camaldolese dicendo: “Hanno eletto il Papa! Hanno eletto il Papa!”, ma ancora non se ne sapeva il nome. Allora lasciammo tutti l’altare e ci precipitammo alla Televisione per sapere chi fosse. Ed era Bergoglio. E la cosa che mi colpì non fu il “Buonasera!”, ma il fatto che non avesse la mozzetta rossa, la mantellina purpurea che i Papi portavano dopo l’elezione e nelle occasioni più solenni. La mozzetta rossa era il manto regale che gli Imperatori indossavano e che da Costantino era arrivata fino all’ultimo papa. Poi ho saputo (ma non ho potuto averne conferma) che quando Bergoglio dalla cappella Sistina era andato alla Loggia delle Benedizioni che si affaccia su piazza san Pietro, e un prelato gli aveva presentato insieme all’abito bianco sulla sua misura la mozzetta imperiale, egli l’aveva respinta dicendo: “Il carnevale è finito”. E invece di salire idealmente sul trono, aveva chinato il capo davanti alla folla improvvisamente in silenzio, quasi a farsi dare l’investitura non più dai cardinali ma dal popolo di Dio. Il carnevale era già finito, quanto alla sedia gestatoria, fin da papa Giovanni XXIII, che l’aveva demitizzata dicendo che gli ricordava quando da bambino era portato sulle spalle dello zio a Sotto il Monte; e quanto al Triregno (una corona, tre Regni!) esso era stato abbandonato da Paolo VI che, ricevutolo in dono dalla sua diocesi di Milano, lo regalò (o lo vendette) alla Chiesa americana perché ne distribuisse il ricavato ai poveri o per le missioni.

Ma queste rinunzie dovevano raccontare una storia ben più importante che papa Francesco ha poi rivelato solennemente alla Curia, alla Chiesa e al mondo: “Non siamo più nel regime di cristianità, non più!”.

La cristianità è “quel processo avviato con Costantino in cui – per dirla con la Civiltà cattolica – si attua un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”; un processo che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena. E si può dire, con padre Antonio Spadaro, che “la missione di Carlo Magno è finita”, e che la proclamazione finale di questa uscita dal regime costantiniano c’è stata nel maggio 2016 quando papa Francesco, ricevendo a Roma il Premio Carlo Magno, che di quel sacro romano impero aveva ricevuto la corona in san Pietro dal Papa, con i leaders europei che ne celebravano il vanto l’ha rimandata al mittente per restituirla all’Europa, cioè ai popoli che ne sono gli unici titolari.

2) Cosa ha differenziato Francesco dai suoi predecessori più immediati?

– Naturalmente, all’ingrosso, si può dire “nulla”. Perché lo stesso è, per tutti i papi, il Vangelo del mistero cristiano. Però, nel suo annuncio, si può dire “tutto”: già papa Giovanni, prima di morire aveva consacrato il cambiamento, dicendo che “non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Rispetto ai suoi ultimi predecessori si può dire che essi sono stati come una parentesi tra Giovanni XXIII e lui, tra la conclusione del Concilio vaticano II e la sua effettiva ripresa cinquant’anni dopo col Giubileo della misericordia indetto da papa Francesco e cominciato nella data simbolica dell’8 dicembre 2015, corrispondente a quella della chiusura del Concilio. Si può dire infatti che il rinnovamento radicale, non solo della Chiesa ma della sua teologia, inaugurato dal Concilio Vaticano II sia stato ripreso col suo pontificato. Lo stesso Paolo VI che lo aveva riconvocato dopo la morte di papa Giovanni, ne fu poi spaventato, fino a dire che dopo il Concilio fosse “da qualche fessura entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Anche papa Ratzinger ci tenne a dire che il Vaticano II doveva essere interpretato secondo “l’ermeneutica della continuità”, contro quella della “discontinuità e della rottura”; due ermeneutiche contrarie che “si erano trovate a confronto e che avevano litigato tra loro”, quest’ultima portando confusione nei mass media e anche in una parte della stessa teologia. Quanto a papa Wojtyla, aveva cercato di riciclare il carisma del Concilio nella spettacolarità del suo pontificato.

3) Quali sono stati i tratti più significativi del pontificato di Jorge Bergoglio e cosa lascia a chi è credente e anche ai tantissimi non credenti che hanno visto in lui un punto di riferimento ideale come pochi altri al mondo?

– A questo punto si può rispondere sull’eredità che ci ha lasciato. Non è un’eredità, pur molto celebrata, è una donazione, rimasta nascosta o fraintesa per duemila anni e ora consegnata alle nuove generazioni per sempre: la Chiesa è di tutti e per tutti, “para todos, todos!” ha ripetuto con tutta la sua voce e tutta la sua fede alle folle non abituate a crederlo. E “Todos” vuol dire non solo gli ultimi, i poveri, gli scartati, i migranti, i malati, gli anziani, i nonni, le donne e i bambini (soprattutto quelli che hanno perso il sorriso). Non solo i comprati e venduti, ossia gli alienati sul mercato del capitalismo selvaggio, e gli spogliati, gli omosessuali, i divorziati risposati. “Todos” vuol dire quelli che finora non erano ritenuti appartenenti al popolo di Dio, perché non entrati nella Chiesa attraverso la porta del battesimo, anche se “uomini di buona volontà” che, parola di sant’Agostino, si perdono perché “extra Ecclesiam nulla salus”, fuori della Chiesa non c’è salvezza. “Todos” vuol dire non solo le donne cattoliche finalmente ammesse dalla Congregazione del Culto Divino a farsi lavare i piedi nei riti del Giovedì Santo non meno degli uomini cattolici; nel 2013, da poco eletto, nel carcere minorile di Casal del Marmo papa Francesco lavò i piedi a 12 giovani detenuti anche musulmani o non credenti, e alla laica operatrice umanitaria: tutti membri del popolo di Dio. “Fratres omnes”. E ad Abu Dhabi, insieme al grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb firmò Il documento che qualifica non come errori, ma come “una sapiente volontà divina”, con la quale Dio ha creato gli esseri umani, “il pluralismo e le diversità di religione” insieme a quelle “di colore, di sesso, di razza e di lingua”.

Tutti, dunque: ma per quale salvezza? Solo per la vita presente, non oltre? Qui c’è una risposta di Francesco non suffragata dal dogma, ma “una cosa mia personale: io amo pensare che l’inferno sia vuoto, spero sia realtà”. Vuoto? E allora dov’è la retribuzione? Dov’è il Dies Irae? Dov’è la Cappella Sistina? La verità che sta sopra a tutte è che Dio è solo misericordia, un Dio che non fosse misericordioso non sarebbe neanche un Dio, ama tutti, “arriva prima”, “primerea”, come dice l’argentino con un neologismo spagnolo, prima ancora del nostro peccato, prima ancora che noi lo invochiamo. Questo è il regalo. Allora forse sì, nell’Inferno c’erano i Conti Ugolino, e i Papi, e gli amanti, come canta Dante, ma ecco che ora c’è un Papa sceso dalla cattedra, un successore di Pietro a cui secondo il Vangelo Gesù aveva detto che quello che avrebbe sciolto sulla terra sarebbe stato sciolto anche in cielo, il quale pensa che l’inferno sia vuoto; e se il Figlio di Dio mantiene le sue promesse, forse lo è ora davvero perché così l’ha pensato il discepolo che ha molto amato “todos”, come lui.

4) Per le sue prese di posizione contro il riarmo, le guerre, in ultimo a denuncia della disperata tragedia di Gaza e del popolo palestinese, Francesco è stato accusato delle peggior cose: amico di Putin, veteropacifista, terzomondista, addirittura antisemita…

– Non è stato un Papa neutrale. Paolo Vi pensava che la Chiesa dovesse essere neutrale tra gli Stati Uniti e i Vietcong, e per questo si rifiutò di condannare i bombardamenti americani sul Vietnam del Nord, come molta Chiesa, e anche l’arcivescovo Lercaro e l’ “Avvenire d’Italia”, gli chiedevano di fare. Quando tanti anni dopo papa Francesco è andato in visita a Bologna, ha citato ciò che allora aveva sostenuto quella Chiesa, e ha ripetuto, con essa, che “la via della Chiesa non è la neutralità, ma la profezia”.

Guerra e pace, diritto e fame, Ucraina e Gaza, Sudan e Myanmar, economia ed ecologia, guerra mondiale a pezzi e sua trasformazione ormai in un “vero e proprio conflitto globale”: su questo è stato detto molto, in questi giorni, Maurizio Acerbo ha scritto che “sopra ogni cosa sarà ricordato come il papa pacifista che non ha avuto paura di usare la parola genocidio su Gaza”; non si tratta perciò di riprendere l’analisi qua. Si può forse dire tutto in una sola riga, la parola detta alla fine della sua vita, dal Policlinico Gemelli: “Da qui la guerra appare ancora più assurda”.

5) Sul piano strettamente ecclesiale, quanto Bergoglio è riuscito realmente a riformare la Chiesa?

– E se questa non è una riforma della Chiesa, che cos’è? Non un’eredità, un dono.

(Intervista di Umberto De Giovannangeli a Raniero La Valle)

Con i più cordiali saluti,

da PRIMA LORO.
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Gli insegnamenti di una voce rivoluzionaria
22/04/2025
(Da “Il Manifesto” del 22/04/2025) – Ai capi di Stato e di governo che oggi lo celebrano vanno ricordate le sue parole dell’ultima benedizione ’urbi et orbi’: «Nessuna pace è possibile senza il disarmo». Per Francesco i migranti sono oggi le vittime delle nostre ’strategie’ che hanno diviso in due l’umanità: chi viaggia libero e…

di Luigi Ferrajoli

Papa Francesco ha impersonato, in questi tempi bui e tristi, la coscienza morale e intellettuale dell’intera umanità. Non è esistito, prima di lui, un altro Papa che con altrettanta forza, lucidità e passione abbia riproposto il messaggio evangelico. Denunciando tutte le grandi sfide e catastrofi dalle quali dipende il futuro dell’umanità: le terribili e crescenti disuguaglianze globali e sociali, l’orrore delle guerre, le aggressioni che un capitalismo selvaggio e predatorio sta recando al nostro ambiente naturale.
INNANZITUTTO le disuguaglianze. Nella sua enciclica Fratelli tutti del 3 ottobre 2020, Papa Francesco ha richiamato i valori della fraternità universale, della solidarietà e dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani, violentemente lesi dalla crescita esponenziale delle grandi ricchezze e delle sterminate povertà.
È nella figura dei migranti che Francesco ha identificato le vittime oggi più emblematiche delle nostre politiche disumane, che hanno diviso in due il genere umano: un’umanità che viaggia liberamente nel mondo, per turismo o per affari, e un’altra umanità, dei sommersi e degli esclusi, costretti dalla fame o dalle guerre a terribili odissee, fino a rischiare la vita per arrivare nei nostri paesi dove sono destinati a detenzioni illegittime o a sfruttamenti razzisti come non-persone.
È una vergogna che Papa Francesco non si è mai stancato di denunciare. La visita a Lampedusa nel luglio 2013, con la quale egli inaugurò il suo pontificato, fu un atto d’accusa nei confronti dei nostri governi che, come disse nella sua omelia, trasformano «una via di speranza» in «una via di morte». E fu anche una severa condanna della «globalizzazione dell’indifferenza, che ci ha tolto la capacità di piangere».
IN SECONDO LUOGO le guerre, con il loro «potere distruttivo incontrollabile che colpisce», egli scrisse in Fratelli tutti, soprattutto «civili innocenti». «Ogni guerra – aggiunse – è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male».
Ai capi di stato e di governo che celebrano oggi la sua scomparsa, vanno ricordate le sue ultime parole, pronunciate ieri nella benedizione urbi et orbi: «Nessuna pace è possibile senza il disarmo». È questa, infatti, la sola garanzia della pace. Senza le armi le guerre sarebbero impossibili, cesserebbe la potenza delle organizzazioni criminali e crollerebbe il mezzo milione di omicidi ogni anno nel mondo.
Ricordo perciò con commozione il messaggio che Papa Francesco inviò al convegno contro le guerre, promosso dalla nostra Costituente Terra il 23 maggio dell’anno scorso. In esso egli affermò che il principio della pace, enunciato in tante carte internazionali, «serve realmente nella misura in cui è effettivo e produce cambiamenti nella realtà del mondo» quali sarebbero, appunto, la messa al bando della produzione e del commercio di tutte le armi, lo scioglimento delle attuali imprese produttrici di morte, in breve il disarmo globale e totale.
Esprimendo il suo apprezzamento per il “progetto di una Costituzione della Terra”, Papa Francesco ci scrisse, sul disarmo e le garanzie dei diritti umani, che “nessuno può sentirsi estraneo a ciò che succede nella nostra casa comune. È qui che il diritto deve attuarsi e rendersi effettivo, differenziandosi dalle mere dichiarazioni di principio”.
INFINE LA QUESTIONE ecologica, alla quale è dedicata l’enciclica forse più bella e famosa di Papa Francesco, la Laudato si’ del 24 maggio 2015. “La sfida ambientale” è in essa concepita come un fattore di unificazione dell’umanità e la fonte di una «nuova solidarietà», giacché «le sue radici umane ci riguardano e ci toccano tutti».
Ma questa sfida è generata proprio dall’irresponsabile assenza di solidarietà: «Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia». Tutto questo, scrive Papa Francesco, è dovuto al fatto che «l’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a conseguenze negative per l’essere umano». Non solo.
«L’ENERGIA NUCLEARE, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso Dna e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Anzi, danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su se stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene».
Al contrario, è lecito supporre che lo utilizzerà malissimo, se non altro, scrive ancora Francesco, per l’illusione dominante «di una crescita infinita o illimitata», la quale «suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a ‘spremerlo’ fino al limite e oltre il limite».
Oggi questa voce rivoluzionaria si è spenta, generando un dolore profondo tra credenti e non credenti e lasciando un vuoto enorme in tutto il mondo dei difensori dei diritti umani, della pace e della natura. Ma i suoi insegnamenti sono per tutti un’eredità preziosa, e la loro difesa e la loro attuazione sono il miglior omaggio che potremo rendere alla sua memoria.
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I nomi dei buoi di Sant’Efisio: Non tinda agattasa Chi sesi cambiau

Giorni di tristezza per la morte dell’amato Papa Francesco.
Una nota di serenità ce la portano i miti buoi che trascineranno il cocchio di Sant’Efisio nei giorni della Sagra di maggio (1-4 maggio 2025). Di seguito per il reportage di Davide Loi la cerimonia di benedizione del giogo di buoi (i nomi: Non tinda agattasa Chi sesi cambiau).
https://www.facebook.com/davide.loi.5/videos/1607545469950610/?app=fbl
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Grazie Francesco

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La fatica del corpo e la forza di Pietro [di fr. Enzo Bianchi, sul suo blog]. https://www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/269033/la-fatica-del-corpo-e-la-forza-di-pietro

Oggi martedì 22 aprile 2025

img_2903 Francesco ci ha lasciato un messaggio di unità e di lotta
21 Aprile 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Rimasi sorpreso quando a Cagliari improvvisò una preghiera nella quale chiedeva al Signore di insegnarci e stimolarci a lottare per il lavoro. Questo messaggio all’unità è il suo tratto più significativo, e cioè di avvicinare tutti gli uomini, al di là della fede, ad impegnarsi per alcuni obiettivi fondamentali, pace, uguaglianza e difesa dell’ambiente. […]
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Per Papa Francesco

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Francesco è vivo

img_2901Per la morte di Papa Francesco che ci ha colpito e addolorato proponiamo un saggio di Domenico Gallo [Coordinamento Democrazia Costituzionale].

Francesco è vivo
di Domenico Gallo
Il dolore per la scomparsa di Francesco non può far prevalere la tristezza sulla gratitudine per il messaggio che ci ha lasciato. Voglio ricordare le sue parole di pace in un saggio che ho scritto sul suo magistero pubblicato su costituzionalismo.it

LA PACE ATTRAVERSO IL DIRITTO NEL MAGISTERO DI PAPA FRANCESCO

1. La Pace ed il Diritto nell’Ordinamento internazionale
E’ un dato di fatto che il progetto di ordine internazionale, preannunciato dalla Carta Atlantica (14 agosto 1941), partorito con la Carta delle Nazioni Unite (26 giugno 1945) e fondato sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948), non si è mai completamente realizzato e adesso sta attraversando una crisi profonda che ne mette in dubbio persino l’esistenza giuridica dei suoi assiomi principali. L’ordine internazionale prefigurato dalla Carta ONU in qualche modo raccoglieva la sfida del perseguimento di una pace stabile ed universale fra le Nazioni da realizzarsi attraverso il diritto, sulla falsariga dell’insegnamento di Hans Kelsen in Peace through Law.[1] La novità principale del nuovo diritto internazionale post-bellico consisteva nella messa al bando della guerra, proclamata categoricamente dall’art. 2, comma 4, della Carta di San Francisco: «I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.»
La Carta delle Nazioni unite non ha messo la guerra fuori dalla Storia (non avrebbe potuto), ma l’ha messa fuori dal diritto[2], espungendo dalle prerogative della sovranità lo ius ad bellum, o quanto meno degradandolo.[3] Si è trattato di una scelta politica che ha cambiato la natura del diritto realizzando la fusione fra la tecnica giuridica ed un’istanza etica di valore universale. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha completato questo processo attraverso l’inserimento nel diritto internazionale di una tavola di valori che mette al centro la dignità di ogni essere umano, in questo modo ponendo le basi del diritto internazionale dei diritti umani. Questa è stata la vera lezione positiva che l’umanità ha tratto uscendo dalla notte della Seconda guerra mondiale, la gloria del Novecento (come scriveva Italo Mancini)[4], il patrimonio morale che l’Occidente (compresi i Paesi socialisti) ha costruito per l’umanità intera.
Il diritto internazionale, sotto il profilo del bando della guerra e della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, si colloca su un crinale aspro e roccioso, battuto dai venti della Storia, alla frontiera fra la Storia e la filosofia, fra l’etica e la tecnica del diritto. A questa frontiera si può arrivare da più versanti, attraverso il sentiero della Storia o del pensiero filosofico o attraverso quello dell’etica. E’ attraverso il sentiero dell’etica che Papa Francesco è arrivato a confrontarsi con il diritto internazionale e ad ergersi, unico leader politico mondiale, a difensore dei valori universali del diritto, non più e non solo Defensor fidei, ma – per quello che più ci riguarda – Defensor iuris humanitatis.
2. Prima di tutto la pace!
La pace è al centro del messaggio dell’evangelizzazione cristiana.
«Offrire la pace è al cuore della missione dei discepoli di Cristo – osserva Francesco nel messaggio per la celebrazione della LII giornata mondiale della pace, il 1° gennaio 2019 – E questa offerta è rivolta a tutti coloro, uomini e donne, che sperano nella pace in mezzo ai drammi e alle violenze della storia umana. (..) La “casa” di cui parla Gesù è ogni famiglia, ogni comunità, ogni Paese, ogni continente, nella loro singolarità e nella loro storia; è prima di tutto ogni persona, senza distinzioni né discriminazioni. È anche la nostra “casa comune”: il pianeta in cui Dio ci ha posto ad abitare e del quale siamo chiamati a prenderci cura con sollecitudine.»[5]
Bergoglio sa che la pace fra le Nazioni si costruisce nell’ordinamento politico e gli strumenti sono quelli forniti dal diritto internazionale, in primis la Carta delle Nazioni Unite, per questo, come leader politico, si spende per dare attuazione alla Carta.
Il 25 settembre 2015 di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni unite sottolinea che: «il preambolo e il primo articolo della carta delle Nazioni unite indicano quali fondamenta della costruzione giuridica internazionale la pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle relazioni amichevoli fra le Nazioni. Contrasta fortemente con queste affermazioni, e le nega nella pratica, la tendenza sempre presente alla proliferazione delle armi specialmente quelle di distruzione di massa come possono essere quelle nucleari. Un’etica e un diritto basati sulla minaccia della distruzione reciproca – e potenzialmente di tutta l’umanità – sono contraddittori e costituiscono una frode verso tutta la costruzione delle Nazioni unite che diventerebbero: “”Nazioni Unite dalla paura e dalla sfiducia“”. Occorre impegnarsi per un mondo senza armi nucleari applicando pienamente il trattato di non proliferazione nella lettera e nello spirito, verso una totale proibizione di questi strumenti.»[6]
Nell’Udienza generale del 10 marzo del 2021, il Pontefice ritorna sulla disumanità della guerra, la guerra è un mostro che distrugge l’umanità e il mondo:
«La guerra è il mostro che, col passare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità. Ma la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi (..) la risposta non è la guerra ma la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto, e in definitiva è la sfida per il mondo intero: la fraternità. Saremo capaci noi di fare la fraternità fra noi, di fare una cultura di fratelli? O continueremo con la logica iniziata da Caino, la guerra?» [7]
Nell’Enciclica Fratelli tutti, Francesco esprime la preoccupazione per il crescente degrado dell’ordine internazionale e conia la famosa espressione della «Terza guerra mondiale a pezzi».
«Guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi, e tanti soprusi contro l’umano giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi, essenzialmente economici. Ciò che è vero quando conviene a un potente cessa di esserlo quando non è nel suo interesse. Tali situazioni di violenza vanno moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una Terza guerra mondiale a pezzi.»[8]
3. Il Ripudio delle armi nucleari attraverso il diritto
Francesco si rende conto che dal ripudio della guerra, concepita realisticamente dalla Carta dell’ONU come un flagello per l’umanità, deriva l’inammissibilità delle armi di sterminio di massa, specialmente le armi nucleari. La strada per liberarsi delle armi nucleari passa attraverso il diritto. Il disfavore dell’opinione pubblica verso le armi nucleari ha portato più volte l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a dichiarare che l’uso delle armi nucleari rappresenterebbe una violazione della Carta dell’ONU ed un crimine contro l’umanità, fino ad arrivare ad una Risoluzione, approvata il 15 dicembre 1994, con la quale l’Assemblea Generale ha interpellato la Corte Internazionale di Giustizia richiedendo un parere consultivo sulla liceità delle armi nucleari. Nel giudizio che si è svolto innanzi alla Corte dell’Aja, tutti gli Stati membri della NATO, compresa l’Italia, sono intervenuti chiedendo di rigettare la richiesta, assumendo che la questione non poteva essere giudicata dal diritto. La CIG si è pronunciata con una sentenza resa pubblica l’8 luglio 1996 con la quale ha respinto decisamente la tesi che voleva relegare la questione dell’uso delle armi nucleari al di fuori del perimetro del diritto confinandola nel campo delle “political question”, ed ha affermato che, nella generalità dei casi, l’uso delle armi nucleari è illegale perché inconciliabile con il diritto bellico umanitario. La battaglia per la messa al bando delle armi nucleari è proseguita in sede ONU, fino ad arrivare ad una storica Risoluzione, approvata dall’Assemblea Generale il 26 dicembre 2016, con la quale è stata convocata una Conferenza internazionale finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari. La Conferenza ha concluso i suoi lavori adottando il testo di un Trattato per la messa al bando e la totale eliminazione delle armi nucleari. Il Trattato è stato approvato da 122 paesi (quasi due terzi dei membri dell’ONU) il 7 luglio 2017 ed è entrato in vigore il 22 gennaio 2021. Inutile dire che i Paesi membri della NATO hanno cercato di boicottare i lavori della Conferenza internazionale rifiutandosi perfino di parteciparvi (salvo l’Olanda, inviata come osservatore). Al contrario, Papa Francesco ha assunto la battaglia per la messa al bando, nell’ordinamento politico, delle armi nucleari come un impegno centrale del suo magistero.
Il 23 marzo 2017 ha inviato un messaggio di sostegno e di incoraggiamento ai lavori della Conferenza:
«Saluto cordialmente Lei, Signora Presidente, e tutti i rappresentanti delle varie Nazioni, Organizzazioni Internazionali e società civile che partecipano a questa Conferenza. Desidero incoraggiarvi a lavorare con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari». Dopo aver richiamato il proprio intervento di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, osserva il Pontefice:
«Se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici dimensioni in questo mondo multipolare del XXI secolo, come, ad esempio, il terrorismo, i conflitti asimmetrici, la sicurezza informatica, le problematiche ambientali, la povertà, non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide. Siffatte preoccupazioni assumono ancor più consistenza quando consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari con devastanti effetti indiscriminati e incontrollabili nel tempo e nello spazio. Simile motivo di preoccupazione emerge di fronte allo spreco di risorse per il nucleare a scopo militare, che potrebbero invece essere utilizzate per priorità più significative, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, così come la lotta alla povertà e l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Dobbiamo anche chiederci quanto sia sostenibile un equilibro basato sulla paura, quando esso tende di fatto ad aumentare la paura e a minare le relazioni di fiducia fra i popoli. La pace e la stabilità internazionali non possono essere fondate su un falso senso di sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale annientamento, sul semplice mantenimento di un equilibrio di potere. La pace deve essere costruita sulla giustizia, sullo sviluppo umano integrale, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla custodia del creato, sulla partecipazione di tutti alla vita pubblica, sulla fiducia fra i popoli, sulla promozione di istituzioni pacifiche, sull’accesso all’educazione e alla salute, sul dialogo e sulla solidarietà. In questa prospettiva, abbiamo bisogno di andare oltre la deterrenza nucleare: la comunità internazionale è chiamata ad adottare strategie lungimiranti per promuovere l’obiettivo della pace e della stabilità ed evitare approcci miopi ai problemi di sicurezza nazionale e internazionale. In tale contesto, l’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari diventa sia una sfida, sia un imperativo morale e umanitario. Un approccio concreto dovrebbe promuovere una riflessione su un’etica della pace e della sicurezza cooperativa multilaterale che vada al di là della “paura” e dell’“isolazionismo” che prevale oggi in numerosi dibattiti. Il conseguimento di un mondo senza armi nucleari richiede processi di lungo periodo, basati sulla consapevolezza che “tutto è connesso”, in un’ottica di ecologia integrale (cfr. Laudato si’, 117, 138). Il destino condiviso dell’umanità richiede di rafforzare, con realismo, il dialogo e costruire e consolidare meccanismi di fiducia e di cooperazione, capaci di creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari. La crescente interdipendenza e la globalizzazione significano che qualunque risposta diamo alla minaccia delle armi nucleari, essa debba essere collettiva e concertata, basata sulla fiducia reciproca. Quest’ultima può essere costruita solo attraverso un dialogo che sia sinceramente orientato verso il bene comune e non verso la tutela di interessi velati o particolari; questo dialogo dovrebbe essere il più inclusivo possibile di tutti: Stati nucleari, Paesi non possessori di armi nucleari, settore militare e quello privato, comunità religiose, società civile, Organizzazioni internazionali. In questo sforzo dobbiamo evitare quelle forme di recriminazione reciproca e di polarizzazione che intralciano il dialogo invece di incoraggiarlo. L’umanità ha la capacità di lavorare insieme per costruire la nostra casa comune; abbiamo la libertà, l’intelligenza e la capacità di guidare e dirigere la tecnologia, così come di limitare il nostro potere, e di metterli al servizio di un altro tipo di progresso: più umano, più sociale e più integrale. Questa Conferenza intende negoziare un Trattato ispirato da argomenti etici e morali. Si tratta di un esercizio di speranza e mi auguro che possa rappresentare anche un passo decisivo nel cammino verso un mondo senza armi nucleari. Sebbene questo sia un obiettivo di lungo periodo estremamente complesso, non è al di fuori della nostra portata. Signora Presidente, formulo i miei migliori auguri affinché i lavori di questa Conferenza possano essere proficui e diano un contributo efficace nell’avanzamento di quell’etica della pace e della sicurezza cooperativa multilaterale, di cui oggi l’umanità ha tanto bisogno».[9]
Del resto, Papa Francesco aveva già espresso chiaramente il suo pensiero e si era pronunciato sulla follia criminale delle armi nucleari, nel messaggio in occasione della Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, Vienna 7 dicembre 2014:
«Le armi nucleari – osserva il Pontefice – sono un problema globale, che colpisce tutte le nazioni, e avranno un impatto sulle generazioni future, come pure sul pianeta, che è la nostra casa. Occorre un’etica globale se vogliamo ridurre la minaccia nucleare ed operare per un disarmo nucleare. Ora più che mai, l’interdipendenza tecnologica, sociale e politica esige urgentemente un’etica di solidarietà (cfr Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 38), che incoraggi i popoli ad operare insieme per un mondo più sicuro ed un futuro che sia radicato sempre più nei valori morali e sulla responsabilità in una dimensione globale. Le conseguenze umanitarie delle armi nucleari sono prevedibili e planetarie. Mentre spesso ci si concentra sul potenziale delle armi nucleari per le uccisioni di massa, si deve porre maggior attenzione sulle “sofferenze non necessarie” causate dal loro uso. I codici militari e il diritto internazionale, tra gli altri, hanno da tempo condannato persone che hanno inflitto sofferenze non necessarie. Se simili sofferenze sono condannate nel corso di una guerra convenzionale, allora dovrebbero ben di più essere condannate nel caso di conflitto nucleare. Vi sono coloro, tra noi, che sono vittime di tali armi; essi ci mettono in guardia a non commettere gli stessi irreparabili errori, che hanno devastato popolazioni e la creazione. Porgo i miei calorosi saluti agli Hibakusha, come pure alle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari, presenti a questo incontro. Incoraggio tutti loro ad essere voci profetiche, richiamando la famiglia umana ad un più profondo apprezzamento della bellezza, dell’amore, della cooperazione e della fraternità, ricordando allo stesso tempo al mondo i rischi delle armi nucleari, le quali hanno il potenziale di distruggere noi e la civiltà. La deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono essere la base di un’etica di fraternità e di pacifica coesistenza tra i popoli e gli Stati. I giovani d’oggi e di domani hanno diritto a molto di più. Hanno il diritto ad un pacifico ordine mondiale, basato sull’unità della famiglia umana, fondato sul rispetto, sulla cooperazione, sulla solidarietà e sulla compassione. Il tempo di contrastare la logica della paura con l’etica della responsabilità è adesso, così da promuovere un clima di fiducia e di dialogo sincero. Spendere in armi nucleari dilapida la ricchezza delle nazioni. Dare priorità a simili spese è un errore e uno sperpero di risorse che sarebbero molto meglio investite nelle aree dello sviluppo umano integrale, dell’educazione, della salute e della lotta all’estrema povertà. Quando tali risorse sono dilapidate, i poveri e i deboli che vivono ai margini della società ne pagano il prezzo. Il desiderio di pace, di sicurezza e di stabilità è uno dei desideri più profondi del cuore umano, poiché esso è radicato nel Creatore, che fa membri della famiglia umana tutti i popoli. Tale aspirazione non può mai essere soddisfatta soltanto da mezzi militari, e meno che mai dal possesso di armi nucleari ed altre armi di distruzione di massa. La pace non “può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione” (Gaudium et spes, 78). La pace deve essere costruita sulla giustizia, sullo sviluppo socio-economico, sulla libertà, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla partecipazione di tutti agli affari pubblici e sulla costruzione di fiducia fra i popoli. (..) Nel contesto della presente Conferenza, desidero incoraggiare un dialogo sincero e aperto tra parti che sono all’interno di ogni Stato che possiede armi nucleari, fra vari Stati che hanno armi nucleari, e fra questi e gli Stati sprovvisti di armi nucleari. Un simile dialogo deve essere inclusivo, coinvolgendo le organizzazioni internazionali, le comunità religiose e la società civile; esso deve essere orientato verso il bene comune e non verso la protezione di interessi particolari. “Un mondo senza armi nucleari” è un obiettivo condiviso da tutte le nazioni, del quale si sono fatti portavoce i leader mondiali, come pure l’aspirazione di milioni di uomini e donne. Il futuro e la sopravvivenza della famiglia umana si impernia sull’andar oltre a tale obiettivo e assicurarsi che esso divenga realtà».[10]
Nel suo viaggio apostolico in Giappone, il Papa dal memoriale della pace di Hiroshima il 24 novembre 2019, aveva ribadito, con parole toccanti, la sua denuncia delle armi nucleari: «Qui, di tanti uomini e donne, dei loro sogni e speranze, in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco, non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più. Provenivano da luoghi diversi, avevano nomi diversi, alcuni di loro parlavano diverse lingue. Sono rimasti tutti uniti da uno stesso destino, in un’ora tremenda che segnò per sempre non solo la storia di questo Paese, ma il volto dell’umanità. (..) Ho sentito il dovere di venire in questo luogo come pellegrino di pace, per rimanere in preghiera, ricordando le vittime innocenti di tanta violenza, portando nel cuore anche le suppliche e le aspirazioni degli uomini e delle donne del nostro tempo, specialmente dei giovani, che desiderano la pace, lavorano per la pace, si sacrificano per la pace. Sono venuto in questo luogo pieno di memoria e di futuro portando con me il grido dei poveri, che sono sempre le vittime più indifese dell’odio e dei conflitti. (..) Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra. Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio? »[11]
Dopo aver appoggiato con entusiasmo i lavori della Conferenza che ha negoziato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, il Pontefice è intervenuto anche alla prima riunione degli Stati parte al Trattato inviando, il 21 giugno 2022, un messaggio letto da s.e. mons. Paul r. Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali. La guerra in Ucraina era già scoppiata da alcuni mesi, nel messaggio del Papa si avverte la consapevolezza che si sono aperti nuovi scenari di distruzione e morte per cui: «Nel contesto attuale, parlare di disarmo o sostenerlo può apparire paradossale a molti. Ciononostante, – osserva il Pontefice – dobbiamo restare consapevoli dei pericoli di approcci miopi alla sicurezza nazionale e internazionale e ai rischi di proliferazione. Come tutti sappiamo bene, se non lo facciamo, il prezzo è inevitabilmente pagato da un numero di vite innocenti prese e misurato in termini di carneficina e di distruzione. Di conseguenza, rinnovo con enfasi il mio appello a far tacere tutte le armi e a eliminare le cause dei conflitti attraverso l’instancabile ricorso ai negoziati: “Chi fa la guerra dimentica l’umanità”. La pace è indivisibile, e per essere veramente equa e duratura, deve essere universale. È un modo di ragionare ingannevole e controproducente pensare che la sicurezza e la pace di alcuni siano disgiunte dalla sicurezza collettiva e la pace di altri. (..) La Santa Sede è certa che un mondo libero dalle armi nucleari è sia necessario sia possibile. In un sistema di sicurezza collettiva, non c’è posto per le armi nucleari e per altre armi di distruzione di massa. (..) Desidero riaffermare qui che l’uso di armi nucleari, come pure il loro mero possesso, è immorale. Cercare di difendere e di assicurare la stabilità e la pace attraverso un falso senso di sicurezza e un “equilibrio del terrore”, sostenuti da una mentalità di paura e di sfiducia, conduce inevitabilmente a rapporti avvelenati tra popoli e ostacola ogni possibile forma di vero dialogo. Il loro possesso conduce facilmente a minacce del loro uso, diventando una sorta di “ricatto” che dovrebbe essere aberrante per le coscienze dell’umanità.(..) I trattati di disarmo esistenti sono molto più di meri obblighi giuridici. Sono anche impegni morali basati sulla fiducia tra Stati e tra i loro rappresentanti, radicati nella fiducia che i cittadini ripongono nei loro governi, con conseguenze etiche per le attuali e future generazioni dell’umanità. Adesione a, e rispetto per, gli accordi di disarmo internazionali e il diritto internazionale non è una forma di debolezza. Al contrario, è una fonte di forza e di responsabilità in quanto accresce la fiducia e la stabilità. (..) Concludendo, mentre ponete le basi per l’attuazione di questo Trattato, desidero incoraggiarvi, rappresentanti degli Stati, organizzazioni internazionali e società civile, a continuare lungo il cammino da voi scelto di promuovere una cultura di vita e pace basata sulla dignità della persona umana e sulla consapevolezza che siamo tutti fratelli e sorelle».[12]
4. Pace, dignità e Diritti Umani
Com’è noto la Dichiarazione universale dei Diritti Umani ha incontrato forti resistenze nei Paesi islamici, non è stata accettata, fino al punto che ad essa sono state contrapposte varie dichiarazioni islamiche dei diritti umani. Una Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo venne proclamata il 19 settembre 1981 presso l’UNESCO a Parigi. Essa fu preceduta da un intervento presso le Nazioni Unite da parte del rappresentante iraniano Saʿid Rajaie Khorasani, secondo il quale la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo rappresentava “una interpretazione laica della tradizione giudaico-cristiana” che non avrebbe potuto essere attuata dai musulmani senza violare la legge dell’Islam.[13] Si tratta di un testo composto da 23 articoli che segue la falsariga degli articoli della Dichiarazione Universale, ma interviene per limitare il tessuto dei diritti e marcare la supremazia della legge islamica sui diritti della persona. Tanto per fare un esempio, in tema di libertà del pensiero, di fede e di religione, la Dichiarazione universale recita:
«Articolo 18
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.
Articolo 19
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere».
mentre nella Dichiarazione islamica del 1981 troviamo:
«Art. 12 – Il diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola:
Ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. Nessuno, infatti, ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica».
In seguito gli Stati Membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, hanno adottato la Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990). Anche questa Dichiarazione si muove sulla falsariga delle dichiarazioni dei diritti adottate in ambito ONU, rimane ferma, però, in ogni campo la supremazia della legge islamica sui diritti della persona. In particolare viene “”funzionalizzata“” la libertà di espressione del pensiero:
« Articolo 22
a) Ognuno ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinione in un modo che non contravvenga ai principi della Shari’ah.
b) Ognuno ha il diritto di sostenere ciò che è giusto e propagandare ciò che è buono e mettere in guardia contro ciò che è sbagliato e malvagio secondo le norme della Shari’ah islamica.
c) L’informazione è una necessità vitale per la società. Essa non può essere sfruttata o usata in modo scorretto in modo tale da poter violare le cose sacre e la dignità dei Profeti, sminuire i valori morali e etici o disgregare, corrompere o ledere la società o indebolirne la fede.»[14]
Successivamente il 15 settembre 1994 il Consiglio della Lega degli Stati Arabi (Lega Araba), ha adottato la Carta araba dei Diritti dell’Uomo, emendata in occasione del Summit della Lega Araba del 22-23 maggio 2004. Si tratta di un documento che fa dei significativi passi avanti rispetto alla precedenti Dichiarazioni e che concepisce anche l’ambizioso progetto di un “Comitato arabo per i diritti umani” sulla falsariga del Comitato per i Diritti umani della Nazioni Unite (OHCHR). [15]
Uno dei risultati più significativi del Pontificato di Papa Francesco è quello conseguito durante il viaggio apostolico negli Emirati arabi (3-5 febbraio 2019) che si è concluso con l’emanazione di uno straordinario Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, concordato con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. L’importanza di questo documento sta nel ripudio di ogni forma di integralismo religioso e nella sconfessione di ogni ideologia volta a legittimare lo scontro fra le religioni, attizzato dal dilagare in Europa e nel Medio Oriente del terrorismo islamico sulla scia della barbarica esperienza dello Stato islamico in Siria e in Irak. Con questo documento Francesco supera la frattura storica e antropologica fra l’universo islamico e quello cristiano attraverso il riconoscimento del superiore principio della fratellanza umana. Il Documento è una pietra miliare non solo nei rapporti fra cristianesimo e Islam, indicando come bussole la cultura del dialogo, la collaborazione comune e la conoscenza reciproca, ma si rivolge a tutta la Comunità internazionale con l’appello per porre fine alle guerre e la condanna delle piaghe del terrorismo e della violenza, specialmente quella rivestita di motivazioni religiose. Il documento di Abu Dhabi si basa sullo stesso presupposto della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che esiste una sola famiglia umana, che tutti gli uomini nascono liberi e hanno pari dignità.
Utilizzando un linguaggio comprensibile ad entrambe le comunità religiose, il Documento sulla fratellanza umana può essere letto in modo sinottico con la Dichiarazione Universale dei Diritti umani, partendo dalla premessa che, in qualche modo richiama il Preambolo della Dichiarazione Universale:
«In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace.
In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera. (..)
In nome degli orfani, delle vedove, dei rifugiati e degli esiliati dalle loro dimore e dai loro paesi; di tutte le vittime delle guerre, delle persecuzioni e delle ingiustizie; dei deboli, di quanti vivono nella paura, dei prigionieri di guerra e dei torturati in qualsiasi parte del mondo, senza distinzione alcuna.
In nome dei popoli che hanno perso la sicurezza, la pace e la comune convivenza, divenendo vittime delle distruzioni, delle rovine e delle guerre.
In nome della» fratellanza umana «che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.
In nome della libertà, che Dio ha donato a tutti gli esseri umani, creandoli liberi e distinguendoli con essa.
In nome della giustizia e della misericordia, fondamenti della prosperità e cardini della fede. In nome di tutte le persone di buona volontà, presenti in ogni angolo della terra.
In nome di Dio e di tutto questo, Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente –, dichiarano di adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio».
Partendo da questa premessa, il Pontefice ed il Grande Iman di Abu Dhabi chiedono: «ai Leader del mondo, agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale, di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive.(..)
La storia afferma – prosegue il documento – che l’estremismo religioso e nazionale e l’intolleranza hanno prodotto nel mondo, sia in Occidente sia in Oriente, ciò che potrebbe essere chiamato i segnali di una «terza guerra mondiale a pezzi», segnali che, in varie parti del mondo e in diverse condizioni tragiche, hanno iniziato a mostrare il loro volto crudele; situazioni di cui non si conosce con precisione quante vittime, vedove e orfani abbiano prodotto. Inoltre, ci sono altre zone che si preparano a diventare teatro di nuovi conflitti, dove nascono focolai di tensione e si accumulano armi e munizioni, in una situazione mondiale dominata dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllata dagli interessi economici miopi».
A questo punto il Documento prende di petto il tema dei conflitti generati dall’integralismo religioso e sconfessa l’uso politico delle religioni per seminare la discordia e la violenza nella famiglia umana:
«Altresì dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici ed economici mondani e miopi. Per questo noi chiediamo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco e di smettere di usare il nome di Dio per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Lo chiediamo per la nostra fede comune in Dio, che non ha creato gli uomini per essere uccisi o per scontrarsi tra di loro e neppure per essere torturati o umiliati nella loro vita e nella loro esistenza. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente.»
Di conseguenza:
«Il terrorismo esecrabile che minaccia la sicurezza delle persone, sia in Oriente che in Occidente, sia a Nord che a Sud, spargendo panico, terrore e pessimismo non è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano – ma è dovuto alle accumulate interpretazioni errate dei testi religiosi, alle politiche di fame, di povertà, di ingiustizia, di oppressione, di arroganza; per questo è necessario interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale. Occorre condannare un tale terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni.»
Anche il tema della libertà e dei diritti viene rivisitato, con l’effetto di ristabilire – per quanto possibile – i principi della Dichiarazione Universale, superando i limiti delle varie Dichiarazioni islamiche dei diritti umani:
«La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano.»[16]
5. L’Ucraina, la NATO che abbaia, il contrasto al partito unico della guerra
Il 24 febbraio 2022 si è fatto buio all’improvviso. Una guerra feroce e catastrofica è scoppiata sul confine orientale dell’Europa, travolgendo i destini di milioni di persone e riverberando i suoi effetti nefasti, a cominciare dall’Europa, in tutto il Mondo. Nel volgere di pochi giorni l’orizzonte di vita dei popoli europei è cambiato bruscamente. Il 24 febbraio non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi, è dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. La condanna unanime della azzardata aggressione russa all’ucraina si è trasformata velocemente nella acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Contro il linguaggio della guerra, si è levato il fermo monito di Papa Francesco, che nel suo primo intervento pubblico, all’Angelus del 27 febbraio 2022, ha richiamato il principio pacifista solennemente affermato dall’art. 11 della Costituzione italiana:
«In questi giorni siamo stati sconvolti da qualcosa di tragico: la guerra. Più volte abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada. E non smettiamo di pregare, anzi, supplichiamo Dio più intensamente. Per questo rinnovo a tutti l’invito a fare del 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. Una giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, per sentirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine della guerra.
Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio. E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini… Sono fratelli e sorelle per i quali è urgente aprire corridoi umanitari e che vanno accolti.
Con il cuore straziato per quanto accade in Ucraina – e non dimentichiamo le guerre in altre parti del mondo, come nello Yemen, in Siria, in Etiopia… –, ripeto: tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza. Perché chi ama la pace, come recita la Costituzione Italiana, «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (Art. 11)».[17]
Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Non sono ammesse critiche o dubbi, infatti, nei giornali italiani sono subito state stipulate le liste di proscrizione dei “putiniani”.[18]
Contro la lettura manichea di questi tragici eventi, interviene il Pontefice con una stupefacente chiarezza. Il 24 marzo 2022 intervenendo all’Incontro promosso dal Centro Femminile Italiano sul tema: “Identità creazionale dell’uomo e della donna in una condivisa missione” sfida apertamente la politica di riarmo della NATO, definendola una pazzia:
«Penso che per quelle di voi che appartengono alla mia generazione sia insopportabile vedere quello che è successo e sta succedendo in Ucraina. Ma purtroppo questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri.
La vera risposta, dunque, non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare.»[19]
Il 19 maggio 2022, in un colloquio con i direttori delle riviste culturali europee dei Gesuiti, Francesco rompe il tabù manicheo e così si esprime:
«D. La Compagnia è presente in Ucraina, parte della mia Provincia. Stiamo vivendo una guerra di aggressione. Noi ne scriviamo sulle nostre riviste. Quali sono i suoi consigli per comunicare la situazione che stiamo vivendo? Come possiamo contribuire a un futuro di pace?
R. Per rispondere a questa domanda dobbiamo allontanarci dal normale schema di “Cappuccetto rosso”: Cappuccetto rosso era buona e il lupo era il cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro. Un paio di mesi prima dell’inizio della guerra ho incontrato un capo di Stato, un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio. E dopo aver parlato delle cose di cui voleva parlare, mi ha detto che era molto preoccupato per come si stava muovendo la Nato. Gli ho chiesto perché, e mi ha risposto: “”Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro“”. Ha concluso: “”La situazione potrebbe portare alla guerra“”. Questa era la sua opinione. Il 24 febbraio è iniziata la guerra. Quel capo di Stato ha saputo leggere i segni di quel che stava avvenendo.
Quello che stiamo vedendo è la brutalità e la ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi. E i russi, in realtà, preferiscono mandare avanti ceceni, siriani, mercenari. Ma il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco.»[20]
Dopo il fallimento del negoziato di pace fra la delegazione russa e quella ucraina, fatto abortire nell’aprile del 2022 per l’interesse di Stati Uniti e Gran Bretagna al prolungamento della guerra[21], la parola negoziato è stata bandita dai radar della politica ed esclusa da tutti i documenti ufficiali delle autorità politiche europee ed in ambito NATO. Nessun negoziato, nessun compromesso viene proposto, l’obiettivo definito dal partito unico della guerra è uno solo e indiscutibile: la vittoria. Un documento del Parlamento europeo del 6 ottobre 2022 [22] mette in chiaro cosa si intende per vittoria, la possibilità per l’Ucraina “di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”, ivi compresa la Crimea, nel frattempo divenuta una Repubblica autonoma inserita nella Federazione Russa. Ovviamente i costi umani, l’inutile strage di centinaia di migliaia, se non di milioni di esseri umani, sacrificati per perseguire il mito della vittoria, non vengono minimamente presi in considerazione dalla politica che istiga al prolungamento e all’escalation della guerra.
Contro i dogmi sanguinosi del partito unico della guerra, prende una posizione chiarissima Francesco in nome dell’umanità e del diritto. Non si tratta di una invocazione alla pace puramente dottrinale, il Pontefice, entra nel campo della politica ed invita direttamente al negoziato i due principali protagonisti della guerra. Il 2 ottobre 2022, rivolge un appello accorato: «L’andamento della guerra in Ucraina è diventato talmente grave, devastante e minaccioso, da suscitare grande preoccupazione. Per questo oggi vorrei dedicarvi l’intera riflessione prima dell’Angelus. Infatti, questa terribile e inconcepibile ferita dell’umanità, anziché rimarginarsi, continua a sanguinare sempre di più, rischiando di allargarsi. Mi affliggono i fiumi di sangue e di lacrime versati in questi mesi. Mi addolorano le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini, e le tante distruzioni, che hanno lasciato senza casa molte persone e famiglie e minacciano con il freddo e la fame vasti territori. Certe azioni non possono mai essere giustificate, mai! È angosciante che il mondo stia imparando la geografia dell’Ucraina attraverso nomi come Bucha, Irpin, Mariupol, Izium, Zaporizhzhia e altre località, che sono diventate luoghi di sofferenze e paure indescrivibili. E che dire del fatto che l’umanità si trova nuovamente davanti alla minaccia atomica? È assurdo. Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili. E tali saranno se fondate sul rispetto del sacrosanto valore della vita umana, nonché della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Paese, come pure dei diritti delle minoranze e delle legittime preoccupazioni. Deploro vivamente la grave situazione creatasi negli ultimi giorni, con ulteriori azioni contrarie ai principi del diritto internazionale. Essa, infatti, aumenta il rischio di un’escalation nucleare, fino a far temere conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale. Il mio appello si rivolge innanzitutto al Presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace. A tutti i protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle Nazioni chiedo con insistenza di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo. Per favore, facciamo respirare alle giovani generazioni l’aria sana della pace, non quella inquinata della guerra, che è una pazzia! Dopo sette mesi di ostilità, si faccia ricorso a tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora eventualmente non utilizzati, per far finire questa immane tragedia. La guerra in sé stessa è un errore e un orrore!» [23]
Di fronte all’indifferenza della politica che pianifica la morte di migliaia di giovani e la trasforma in uno strumento al servizio del potere, non si rassegna Francesco e nel messaggio alla Conferenza europea dei giovani a Praga, il 6 luglio 2022, invita a ribellarsi ai potenti che mandano i giovani a morire e propone come modelli due splendidi esempi di obiezione di coscienza:
«Cari giovani, mentre voi state svolgendo la vostra Conferenza, in Ucraina – che non è UE, ma è Europa – si combatte una guerra assurda. Aggiungendosi ai numerosi conflitti in atto in diverse regioni del mondo, essa rende ancora più urgente un Patto Educativo che educhi tutti alla fraternità.
L’idea di un’Europa unita è sorta da un forte anelito di pace dopo tante guerre combattute nel Continente, e ha portato a un periodo di pace durato settant’anni. Ora dobbiamo impegnarci tutti a mettere fine a questo scempio della guerra, dove, come al solito, pochi potenti decidono e mandano migliaia di giovani a combattere e morire. In casi come questo è legittimo ribellarsi!
Qualcuno ha detto che, se il mondo fosse governato dalle donne, non ci sarebbero tante guerre, perché coloro che hanno la missione di dare la vita non possono fare scelte di morte. Allo stesso modo mi piace pensare che, se il mondo fosse governato dai giovani, non ci sarebbero tante guerre: coloro che hanno tutta la vita davanti non la vogliono spezzare e buttare via ma la vogliono vivere in pienezza.
Vorrei invitarvi a conoscere una figura straordinaria di giovane obiettore, un giovane europeo dagli “occhi grandi”, che si è battuto contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale, Franz Jägerstätter, proclamato Beato dal Papa Benedetto XVI. Franz era un giovane contadino austriaco che, a motivo della sua fede cattolica, fece obiezione di coscienza di fronte all’ingiunzione di giurare fedeltà a Hitler e di andare in guerra. Franz era un ragazzo allegro, simpatico, spensierato, che crescendo, grazie anche alla moglie Francesca, con la quale ebbe tre figli, cambiò la sua vita e maturò convinzioni profonde. Quando venne chiamato alle armi si rifiutò, perché riteneva ingiusto uccidere vite innocenti. Questa sua decisione scatenò reazioni dure nei suoi confronti da parte della sua comunità, del sindaco, anche di familiari. Un sacerdote tentò di dissuaderlo per il bene della sua famiglia. Tutti erano contro di lui, tranne sua moglie Francesca, la quale, pur conoscendo i tremendi pericoli, stette sempre dalla parte del marito e lo sostenne fino alla fine. Nonostante le lusinghe e le torture, Franz preferì farsi uccidere che uccidere. Riteneva la guerra totalmente ingiustificata. Se tutti i giovani chiamati alle armi avessero fatto come lui, Hitler non avrebbe potuto realizzare i suoi piani diabolici. Il male per vincere ha bisogno di complici.
Franz Jägerstätter venne ucciso nella prigione dove era rinchiuso anche il suo coetaneo Dietrich Bonhoeffer, giovane teologo luterano tedesco, antinazista, che fece anch’egli la stessa tragica fine.
Questi due giovani “dagli occhi grandi” vennero uccisi perché rimasero fedeli fino alla fine agli ideali della loro fede. Ed ecco la quarta dimensione dell’educazione: dopo la conoscenza di sé stessi, degli altri e del creato, finalmente la conoscenza del principio e del fine di tutto. Cari giovani europei, vi invito a guardare oltre, in alto, per ricercare sempre il senso della vostra vita, la vostra origine, il fine, la Verità, perché non si vive se non si cerca la Verità. Camminate con i piedi ben piantati sulla terra, ma con sguardo ampio, aperto all’orizzonte, al cielo. (..)
E voglio concludere con un augurio: che siate giovani generativi, capaci di generare nuove idee, nuove visioni del mondo, dell’economia, della politica, della convivenza sociale; ma non solo nuove idee, soprattutto nuove strade, da percorrere insieme. E che possiate essere generosi anche nel generare nuove vite, sempre e solo per amore! Amore al vostro sposo e alla vostra sposa, amore alla famiglia, amore ai vostri figli, e anche amore all’Europa, perché sia per tutti terra di pace, di libertà e di dignità.»[24]
L’appello ai giovani di Papa Francesco è stato seppellito dal più gelido silenzio delle Cancellerie, ignorato dai media e contestato apertamente dalla Chiesa cattolica ucraina, che ha anteposto il “patriottismo” all’obiezione di coscienza alla guerra. Dopo due anni di combattimenti e dopo una controffensiva disastrosa lanciata nell’estate del 2023, l’esercito ucraino ha cominciato a risentire della mancanza di uomini da sacrificare sul campo di battaglia. E’ iniziata così la caccia ai giovani da reclutare, anche attraverso l’obbligo di rimpatrio per i residenti all’estero. Secondo quanto ha riportato l’agenzia cattolica KNA, anche il vescovo di Odessa, Stanislaw Szyrokoradiuk ha rotto il silenzio e ha chiesto ai suoi compatrioti, che sono adatti al servizio militare ma sono fuggiti all’estero, di tornare in Ucraina: «Se amiamo la nostra patria, dovremmo difenderla insieme». Un appello in piena regola a non nascondersi e non abbandonare la patria. «Capisco che molti ragazzi ucraini desiderano una vita normale in Europa. Ma allo stesso tempo, ci sono altri giovani che hanno combattuto in prima linea nella guerra contro la Russia per più di due anni. Questo è ingiusto» ha affermato Szyrokoradiuk. [25]
Purtroppo il grido di dolore di Papa Francesco è caduto nel vuoto. Due anni di guerra catastrofica ed il fallimento in un mare di sangue della tanto invocata controffensiva ucraina, non hanno insegnato nulla sull’insensatezza dei massacri in corso alla frontiera orientale dell’Europa. In Europa si è consolidato un partito unico della guerra, in cui confluiscono tutte le forze politiche di centrodestra e di centrosinistra. E’ particolarmente inquietante che il Parlamento europeo, al termine del suo mandato, con l’ultima risoluzione del 29 febbraio 2024[26], abbia continuato a percorrere la strada dell’escalation del conflitto. Secondo il Parlamento europeo non bisogna lasciare nessuna scelta alla Russia, non ci deve essere nessun negoziato per porre fine alla guerra, nessuna mediazione fra gli interessi contrapposti. La guerra deve finire necessariamente con la “vittoria” dell’Ucraina e con la sconfitta della Russia. La vittoria consiste nel recupero manu militari da parte dell’Ucraina di tutti territori perduti a partire dal 2014, ivi compresa la Crimea. In particolare, il Parlamento Europeo: «ricorda l’importanza di liberare la penisola di Crimea, occupata dalla Russia da ormai un decennio – e allo scopo – sostiene gli sforzi dell’Ucraina volti a reintegrare la Crimea, in particolare la piattaforma per la Crimea». Per consentire all’Ucraina di conseguire una vittoria militare, che al momento appare impossibile, bisogna proseguire con la fornitura di aiuti militari all’Ucraina “”per tutto il tempo necessario.“” Il sostegno militare deve essere incrementato quanto bisogna: «per consentire all’Ucraina non solo di difendersi dagli attacchi russi, ma anche di riconquistare il pieno controllo di tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale». Per questo non ci deve essere più alcuna restrizione alla fornitura di sistemi d’arma più performanti e a lungo raggio: «come i missili TAURUS, Storm Shadow/SCALP e altri –di cui l’Ucraina ha bisogno, assieme a– moderni aerei da combattimento, vari tipi di artiglieria e munizioni (in particolare da 155 mm), droni e armi per contrastarli». Naturalmente tutto ciò ha un costo, per cui il Parlamento Europeo: «appoggia la proposta secondo la quale tutti gli Stati membri dell’UE e gli alleati della NATO dovrebbero sostenere militarmente l’Ucraina con almeno lo 0,25 % del loro PIL annuo.» Il linguaggio della guerra si alimenta di miti (come lo scontro fra autoritarismo e democrazia) per offuscare la ragione collettiva e occultare la dimensione reale di sofferenza, distruzione e morte che tali scelte politiche producono. Pretendere di disgregare la Russia, staccandone la Crimea, che dal 2014 costituisce una Repubblica autonoma inserita nella Federazione Russa, in virtù di una decisione assunta pacificamente dalla sua popolazione con un referendum, vuol dire puntare all’umiliazione del nemico, calpestare la volontà delle popolazioni locali, ed escludere ogni possibilità di negoziato. Molto sangue sarà versato e non sarà solo sangue ucraino, destinato ad esaurirsi. Se si continua su questa strada, come ci ha ricordato Macron, sarà inevitabile l’invio di truppe di Stati europei.
In questo quadro desolato in cui tutte le istituzioni politiche nazionali ed europee, sotto la spinta della NATO, lavorano per il prolungamento e l’escalation della guerra e si preparano allo scontro diretto con la Russia, considerato inevitabile, stupisce l’intervento di Francesco che scompagina le carte, il 9 marzo 2024, con un’intervista rilasciata a Lorenzo Buccella, giornalista della Radio Televisione Svizzera.
Alla domanda del giornalista:
«InUcraina c’è chi chiede il coraggio della resa, della bandiera bianca. Ma altri dicono che così si legittimerebbe il più forte. Cosa pensa?»
Francesco risponde:
«È un’interpretazione. Ma credo che è più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. Ci sono. Quella parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando tu vedi che sei sconfitto, che la cosa non va, avere il coraggio di negoziare. E ti vergogni, ma se tu continui così, quanti morti (ci saranno) poi? E finirà peggio ancora. Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio con la guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, per esempio … Non avere vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggio». [27]
Ci voleva il Papa per rompere il tetto di cristallo delle élite politiche europee, che hanno nascosto sotto la sabbia la parola negoziato e hanno cancellato persino il dubbio che la politica dovesse spendersi per la pace, invece di alimentare la guerra e impiantare nuovi cimiteri. Questa volta la risposta del circo mainstream non è stata il gelido silenzio. Queste parole hanno dato scandalo, da tutte le parti si è levato un vespaio di polemiche, Bergoglio è stato accusato apertamente dal consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, di essere “”filorusso“”. Il riferimento alla bandiera bianca è stato in malafede interpretato come una richiesta di resa dell’Ucraina. Invece il diritto internazionale pattizio e consuetudinario ci dice che la bandiera bianca è il vessillo che si deve adoperare per rivolgere al nemico la richiesta di negoziato, come previsto dall’art. 32 del Regolamento allegato alla IV Convenzione dell’Aja dell’11 ottobre 1907.
Di fronte all’impazzimento collettivo della politica, le parole di realismo e di umanità del Papa rompono un tabù, aprono uno squarcio nella tela di menzogne, di irresponsabilità e di fanatismo con la quale tutti i principali attori politici cercano di nascondere la realtà di una tragedia che si consuma sotto i nostri occhi e che noi stessi continuiamo ad alimentare. Proseguire la guerra è un’inutile strage. Aprire un negoziato, cercare la mediazione degli interessi contrapposti, invece che la vittoria e l’umiliazione dell’avversario, è l’unica strada per evitare il martirio di un popolo, sacrificato sull’altare degli opposti nazionalismi e di opposte strategie di potenza e per evitare che il conflitto possa ulteriormente degenerare.
Le parole del Papa fanno scandalo perché introducono il “”principio di realtà“”, mettendo in evidenza l’insensata irresponsabilità di una politica che non vuole prendere atto che la guerra non può essere vinta, per cui proseguirla significa provocare terribili sofferenze ai popoli coinvolti, senza ragione alcuna. Dall’estate del 2023, dopo il fallimento della controffensiva ucraina, sono stati soprattutto i militari a mettere in guardia dal proseguimento del conflitto, nel silenzio dei media, sulla base del principio di realtà. Il 20 febbraio 2024 l’ex capo di stato maggiore britannico Lord Julian Richards in una sorprendente intervista alla Bbc ha lanciato un appello a porre fine alla guerra facendo una confessione di verità. Ha avvertito che c’era da attendersi una prolungata guerra di trincea con pochi guadagni di territorio e con migliaia di morti insensate, e ha chiesto la disponibilità dell’occidente a negoziare la «pace in cambio di terra», visto che i guadagni russi erano stati ancora ridotti. Secondo Lord Richards «stiamo chiedendo ai coraggiosissimi ucraini di combattere una guerra che non siamo adeguatamente attrezzati per vincere – non abbiamo nemmeno definito cosa possa significare “vittoria” – e che quindi perderanno. È sempre più il caso di dire che dobbiamo negoziare con i russi».[28]
Con l’intervista alla TV svizzera, il Pontefice è andato oltre il magistero morale della Chiesa, è intervenuto direttamente sul terreno politico, ha parlato come un leader politico, svergognando gli altri leader politici che si sono arruolati nel partito unico della guerra.
Queste parole sono come pietre, vanno al cuore dei problemi per le verità semplici e tragiche che esprimono e mettono in braghe di tela la politica dell’Occidente, disvelandone il volto velleitario e necrofilo. Quello del Papa è un richiamo alla realtà e un monito al rispetto dei valori fondamentali dell’umanità.
6. Defensor iuris humanitatis
In conclusione, in un epoca storica in cui i principi dell’ordine pubblico internazionale, posti a base della fondazione dell’ONU e della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, sono degradati fino al punto di restaurare la guerra come strumento ordinario al servizio della politica; in cui sono stati rinnegati i processi di distensione e collaborazione internazionale, che avevano avuto il loro culmine nell’indimenticabile 1989; in cui ai processi di disarmo è stata sostituita una forsennata corsa agli armamenti, anche nucleari, fino al punto che le lancette del Doomsday Clock (l’orologio dell’apocalisse) sono state spostate a soli 90 secondi dalla mezzanotte, quando nel 1991 le lancette indicavano 17 minuti; in cui il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha dichiarato che i membri della NATO devono prepararsi a un possibile scontro con la Russia che potrebbe durare decenni e ha definito, per la prima volta la NATO “”un’Alleanza nucleare“”; in cui il Presidente serbo Aleksandar Vucic in una drammatica intervista al settimanale svizzero Weltwoche, paventa che: «ci restano solo tre o quattro mesi prima della catastrofe»[29]; in quest’epoca drammatica il Pontefice si affaccia alla Storia come l’unico leader politico a livello mondiale che si oppone alla catastrofe e lo fa rivendicando le ragioni del diritto, di quel patrimonio morale che aveva fatto balenare, dalle tenebre della Seconda guerra mondiale, la visione di un’umanità liberata per sempre dal ricatto della violenza, dal flagello delle guerre e degli olocausti. Al di là dell’aspetto religioso, sotto il profilo politico la sua figura si staglia nella Storia come Defensor iuris humanitatis.

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Note

Per Papa Francesco

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Le dichiarazioni della presidente della Regione Alessandra Todde

La scomparsa di Papa Francesco è per me un dolore personale profondo. È stato un pontefice vicino agli ultimi, capace di parlare al cuore delle persone con la forza dell’umiltà e della verità.
A nome della Regione esprimo cordoglio per la perdita di un Papa a cui eravamo profondamente legati, anche per il suo affetto verso Cagliari, scelta per la sua prima visita ufficiale per il legame con la Madonna di Bonaria, che ha dato il nome alla sua Buenos Aires.
Il suo pontificato ha incarnato la ricerca instancabile della pace, della giustizia e della solidarietà, senza confini. Con coraggio ha alzato la voce per Gaza, per l’Ucraina, per i migranti, come a Lampedusa, quando ci ha mostrato che non si può ignorare il dolore del mondo.
Ci lascia una guida morale preziosa: servire con umiltà, amare senza barriere, difendere la dignità di ogni essere umano. Questo è il cammino che ci ha indicato. Sta alla nostra volontà e determinazione proseguire nel suo insegnamento.
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E’ morto Papa Francesco.

img_2899Come avrebbe detto mia mamma: “Ara aguantau finzasa a s’urtimu”. S’urtimu e’ stata la Santa Pasqua e il suo messaggio urbi et orbi. E’ morto sul campo, sul “passaggio”, la sua Pasqua, come Gesù Cristo.
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Grazie Francesco, noi continueremo a combattere per pace ed eguaglianza
21 Aprile 2025 su Democraziaoggi
Andrea Pubusa

Che la fine fosse vicina era evidente, era debilitato e sofferente. Tutti lo osannano anche quelli che dovrebbero star zitti: guerrafondai e iperliberisti. Lui era per gli ultimi, per gli scartati, era per la pace. Questo apprezza chi ha sempre combattuto contro la guerra e per l’uguaglianza sociale.
Non c’è da illudersi. Non saranno certamente i tanti goveranti “addolorati” ad applicare i suoi insegnamenti. Noi gli promettiamo che continueremo a combattere.
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Le dichiarazioni dell’Arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi, per la morte del Papa

21 Aprile 2025
“Certamente c’è sgomento, una notizia che non ci aspettavamo. Il Papa aveva affrontato e superato delle crisi importanti nei mesi passati. Ieri lo abbiamo visto tra la folla, nel luogo che tanto amava, dal balcone centrale della Basilica, dove si mostrava al popolo. Non possiamo che essere profondamente addolorati, sgomenti, ma anche certi della speranza. Il Papa è stato chiamato da Cristo risorto a godere della Sua presenza, proprio nel giorno in cui celebriamo la Resurrezione.

Il Papa iniziò il suo cammino e si fece conoscere al mondo da quel balcone, proprio da lì si è concesso ieri alla gente. In un certo senso, l’inizio e la fine si sono intrecciati. Anche allora chiese la preghiera del popolo, ieri ha benedetto il popolo, nel segno della fede nella Resurrezione. È una provvidenza che guida la Chiesa, anche nei momenti di sofferenza.

Il Papa ha vissuto la malattia senza vergogna, raccontandola con grande responsabilità, ma sempre con un impegno costante. Anche nei giorni più difficili ha continuato a lavorare intensamente, con comunicazioni, documenti e messaggi fino a ieri. La grande preghiera per la pace, per il rispetto della dignità umana, è stata l’ultima sua immagine. Ha iniziato il suo cammino tra la gente e ha concluso il suo percorso nel medesimo modo, chiedendo pace. Ha cercato instancabilmente di ripristinare condizioni di libertà e giustizia nel mondo, per salvaguardare la dignità di ogni uomo.

Tra le immagini che ci restano, ricordo il primo viaggio del Papa a Cagliari. Nel settembre del 2013 era stato a Lampedusa, e poco dopo venne qui, portando con sé un legame speciale con la nostra città, in particolare con la Madonna di Bonaria, che ha un forte legame con Buenos Aires. Quando mi ha nominato vescovo di Cagliari, il Papa mi ha voluto parlare per condividere con me il suo affetto per questa città, anche per il legame con la Madonna di Bonaria. Quando venne qui, pronunciò un discorso bellissimo, chiedendo di ricevere lo sguardo di misericordia della Madre, ma anche di saper guardare con misericordia reciproca. Ha incontrato la realtà della città, della diocesi, il mondo della cultura, dei giovani, del lavoro, dei carcerati, delle suore di clausura, volendo farsi tutto per tutti.

Il messaggio che ha voluto lasciare riguarda una Chiesa sempre più aperta e partecipe, una Chiesa che ascolta la povera gente e la coinvolge in processi di bene, affinché la cultura diventi uno strumento per il progresso della Chiesa e della società.”
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Efis in Duomo per sciogliere il voto

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Efis torrada a domu. Tristu po sa morti de Papa Franciscu. Su cielu puru du prangi.
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Messaggio Pasquale del Santo Padre e Benedizione “Urbi et Orbi”, 20.04.2025

img_2853Messaggio del Santo Padre

Traduzione in lingua francese

Traduzione in lingua inglese

Traduzione in lingua tedesca

Traduzione in lingua spagnola

Traduzione in lingua portoghese

Traduzione in lingua polacca

Traduzione in lingua araba

Alle ore 12, dalla Loggia Centrale della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha rivolto ai fedeli presenti in piazza San Pietro e a quanti lo ascoltavano attraverso la radio, la televisione e gli altri mezzi di comunicazione il Messaggio Pasquale di cui ha dato lettura S.E. Mons. Diego Ravelli, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie.

Pubblichiamo di seguito il Messaggio Pasquale del Santo Padre:

Messaggio del Santo Padre

Cristo è risorto, alleluia!

Fratelli e sorelle, buona Pasqua!

Oggi nella Chiesa finalmente risuona l’alleluia, riecheggia di bocca in bocca, da cuore a cuore, e il suo canto fa piangere di gioia il popolo di Dio nel mondo intero.

Dal sepolcro vuoto di Gerusalemme giunge fino a noi l’annuncio inaudito: Gesù, il Crocifisso, «non è qui, è risorto» (Lc 24,6). Non è nella tomba, è il vivente!

L’amore ha vinto l’odio. La luce ha vinto le tenebre. La verità ha vinto la menzogna. Il perdono ha vinto la vendetta. Il male non è scomparso dalla nostra storia, rimarrà fino alla fine, ma non ha più il dominio, non ha più potere su chi accoglie la grazia di questo giorno.

Sorelle e fratelli, specialmente voi che siete nel dolore e nell’angoscia, il vostro grido silenzioso è stato ascoltato, le vostre lacrime sono state raccolte, nemmeno una è andata perduta! Nella passione e nella morte di Gesù, Dio ha preso su di sé tutto il male del mondo e con la sua infinita misericordia l’ha sconfitto: ha sradicato l’orgoglio diabolico che avvelena il cuore dell’uomo e semina ovunque violenza e corruzione. L’Agnello di Dio ha vinto! Per questo oggi esclamiamo: «Cristo, mia speranza, è risorto!» (Sequenza pasquale).

Sì, la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza: a partire da questo avvenimento, sperare non è più un’illusione. No. Grazie a Cristo crocifisso e risorto, la speranza non delude! Spes non confundit! (cfr Rm 5,5). E non è una speranza evasiva, ma impegnativa; non è alienante, ma responsabilizzante.

Quanti sperano in Dio pongono le loro fragili mani nella sua mano grande e forte, si lasciano rialzare e si mettono in cammino: insieme con Gesù risorto diventano pellegrini di speranza, testimoni della vittoria dell’Amore, della potenza disarmata della Vita.

Cristo è risorto! In questo annuncio è racchiuso tutto il senso della nostra esistenza, che non è fatta per la morte ma per la vita. La Pasqua è la festa della vita! Dio ci ha creati per la vita e vuole che l’umanità risorga! Ai suoi occhi ogni vita è preziosa! Quella del bambino nel grembo di sua madre, come quella dell’anziano o del malato, considerati in un numero crescente di Paesi come persone da scartare.

Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!

In questo giorno, vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio!

Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile! Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero. Sono vicino alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese. Preoccupa il crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo. In pari tempo, il mio pensiero va alla popolazione e in modo particolare alla comunità cristiana di Gaza, dove il terribile conflitto continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria. Faccio appello alle parti belligeranti: cessate il fuoco, si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace!

Preghiamo per le comunità cristiane in Libano e in Siria che, mentre quest’ultimo Paese sperimenta un passaggio delicato della sua storia, ambiscono alla stabilità e alla partecipazione alle sorti delle rispettive Nazioni. Esorto tutta la Chiesa ad accompagnare con l’attenzione e con la preghiera i cristiani dell’amato Medio Oriente.

Un pensiero speciale rivolgo anche al popolo dello Yemen, che sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie “prolungate” del mondo a causa della guerra, e invito tutti a trovare soluzioni attraverso un dialogo costruttivo.

Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura.

In questo giorno di festa pensiamo al Caucaso Meridionale e preghiamo affinché si giunga presto alla firma e all’attuazione di un definitivo Accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaigian, che conduca alla tanto desiderata riconciliazione nella Regione.

La luce della Pasqua ispiri propositi di concordia nei Balcani occidentali e sostenga gli attori politici nell’adoperarsi per evitare l’acuirsi di tensioni e crisi, come pure i partner della Regione nel respingere comportamenti pericolosi e destabilizzanti.

Cristo Risorto, nostra speranza, conceda pace e conforto alle popolazioni africane vittime di violenze e conflitti, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudan e Sud Sudan, e sostenga quanti soffrono a causa delle tensioni nel Sahel, nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi, come pure i cristiani che in molti luoghi non possono professare liberamente la loro fede.

Nessuna pace è possibile laddove non c’è libertà religiosa o dove non c’è libertà di pensiero e di parola e il rispetto delle opinioni altrui.

Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo. La luce della Pasqua ci sprona ad abbattere le barriere che creano divisioni e sono gravide di conseguenze politiche ed economiche. Ci sprona a prenderci cura gli uni degli altri, ad accrescere la solidarietà reciproca, ad adoperarci per favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.

In questo tempo non manchi il nostro aiuto al popolo birmano, già tormentato da anni di conflitto armato, che affronta con coraggio e pazienza le conseguenze del devastante terremoto a Sagaing, causa di morte per migliaia di persone e motivo di sofferenza per moltissimi sopravvissuti, tra cui orfani e anziani. Preghiamo per le vittime e per i loro cari e ringraziamo di cuore tutti i generosi volontari che svolgono le attività di soccorso. L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte di vari attori nel Paese è un segno di speranza per tutto il Myanmar.

Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che costruiscono il futuro, invece di seminare morte!

Non venga mai meno il principio di umanità come cardine del nostro agire quotidiano. Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità.

E in quest’anno giubilare, la Pasqua sia anche l’occasione propizia per liberare i prigionieri di guerra e quelli politici!

Cari fratelli e sorelle,

nella Pasqua del Signore, la morte e la vita si sono affrontate in un prodigioso duello, ma il Signore ora vive per sempre (cfr Sequenza pasquale) e ci infonde la certezza che anche noi siamo chiamati a partecipare alla vita che non conosce tramonto, in cui non si udranno più fragori di armi ed echi di morte. Affidiamoci a Lui che solo può far nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5)!

Buona Pasqua a tutti!

[00492-IT.01] [Testo originale: Italiano]

Oggi lunedì di Pasquetta 22 aprile 2025

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