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Newsletter n. 68 del 16 marzo 2022
NO NATO
Cari Amici,
un barlume di speranza si è aperto a seguito della dichiarazione del presidente Zelenski sul casus belli che ha portato lui e Putin a gettare l’Ucraina nella tragedia. Parlando alla Joint Expeditionary Force di Londra egli ha detto infatti a proposito della NATO: “Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo”. Lo ha detto dopo un messaggio che i presidenti di Polonia, Repubblica ceca e Slovenia gli hanno portato personalmente a Kiev da parte dell’Europa e, probabilmente degli Stati Uniti. Se si tratta di una vera rinunzia del regime ucraino ad aprire le porte alla NATO, è probabile che le ragioni che hanno spinto Europa e Stati Uniti a cambiare la loro scelta politica sulla guerra in corso siano state le sanzioni, che in tal modo si sono dimostrate efficaci contro di loro più o prima ancora che contro la Russia.
Nel sito pubblichiamo un’intervista a Riccardo Petrella con una sua analisi sulla crisi e i fattori che l’hanno determinata, un articolo di Domenico Gallo sulla possibile via d’uscita, e un messaggio proveniente dal segretario del movimento pacifista ucraino.
Con i più cordiali saluti.
www.costituenteterra.it
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LA NATO STA GIÀ IN UCRAINA
16 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / LE FRONTIERE DEL DIRITTO /
Usa la base di Yavoriv. Ci vuole una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa
Domenico Gallo
Scenari. Il conflitto ucraino assume ora la veste di un scontro diretto Russia-NATO per interposta Ucraina come dimostra l’attacco contro la base militare di Yavoriv, a 25 km dal confine polacco.
Siamo arrivati al ventesimo giorno di guerra d’aggressione all’Ucraina e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che sappiamo è che ogni giorno, ogni ora di guerra semina fiumi di sangue e di lacrime, provoca morte, distruzioni e miseria. Col passare del tempo il conflitto diventa più feroce e rischia di espandersi.
L’attacco contro la base militare di Yavoriv, situata a 25 km dal confine polacco, ha spinto il conflitto ai confini della NATO ed ha evidenziato la presenza di personale militare straniero che collabora attivamente con le forze armate ucraine. La fornitura di armi da parte di paesi dell’Alleanza atlantica e la presenza di «addestratori», fa crescere il rischio di escalation del conflitto. La richiesta incessante del presidente Zelenski di istituire una no fly zone esprime un chiaro disegno di coinvolgere nel conflitto armato i Paesi europei e gli USA. Dal suo punto di vista è comprensibile perché è l’unica chance che potrebbe consentire all’Ucraina di sconfiggere un esercito invasore molto più potente.
Eppure gli stessi USA e i Paesi membri della NATO sono riluttanti a farsi coinvolgere direttamente nel conflitto armato poiché si rendono conto che in questo modo si innescherebbe la terza guerra mondiale. «Altro che vincere facile, in Iraq in Bosnia e Libia le superpotenze la adottarono contro Paesi di bassa capacità militare, lasciando poi solo miseria e instabilità. Proporla contro la Russia sarebbe una catastrofe», scrive il generale Fabio Mini. Così la via verso il disastro di una nuova guerra mondiale è aperta e ogni giorno che passa cresce il pericolo.
Basti pensare alla questione delle armi chimiche, come possiamo escludere che qualcuna delle parti non vi faccia ricorso per poi attribuirne la responsabilità alla controparte allo scopo di provocare un’ulteriore escalation del conflitto?
Un conflitto che sempre più assume la veste di un scontro diretto fra la Russia e la NATO per interposta Ucraina. In medicina si ritiene che fare la diagnosi giusta è il primo passo per la guarigione. Questo vale anche per la politica. Se non si guarda ai processi di logoramento delle relazioni internazionali e alla sfide che hanno preceduto, anche in senso causale, l’aggressione della Russia, non si hanno gli strumenti per fermare il massacro ed avviare un processo di ristabilimento della pace. Dobbiamo renderci conto che sia gli Stati Uniti, sia i principali Paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere fino all’ultimo uomo (ucraino). Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi.
Questo è quello che ha inteso fare Putin che, accecato da un delirio di potenza, ha cercato di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Così facendo ha infilato il collo dentro il cappio, consentendo a USA e Gran Bretagna di avviare una dura campagna contro la Russia, di isolarla dall’economia mondiale e logorarla militarmente, col proposito di trasformare l’Ucraina nel suo Vietnam. In realtà l’assioma di von Clausewitz si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi.
Purtroppo dobbiamo riconoscere che la politica condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna di espansione ad est della NATO, fatta di continue sfide politiche e militari rientra in una competizione fra potenze in fondo alla quale c’è la capitolazione dell’avversario o la guerra. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra.
Ci vuole una visione del futuro. Come la ebbero Churchill e Roosevelt che nel 1941 con la Carta Atlantica delinearono lo scenario di un nuovo ordine mondiale pacifico, ripreso nel 1945 dalla Carta delle Nazioni unite, che annunciava l’ambizione di liberare l’umanità dal flagello della guerra. È preoccupante, invece lo scenario che ci fanno intravedere i principali attori internazionali all’uscita da questa guerra: si prefigura un’Europa armata fino ai denti e divisa da una perenne ostilità. È impressionante il silenzio dell’Unione europea e dei principali Paesi europei su come risolvere le questioni politiche che hanno originato il conflitto ed è assurdo che non abbiano detto una parola sul tema della neutralità dell’Ucraina.
Si irrogano sanzioni sempre più dure e si rilancia la corsa agli armamenti con il riarmo della Germania, ma quale soluzione viene proposta per ricucire questa frattura dolorosa che si è aperta fra una potente nazione europea (la Russia) e le altre nazioni? Come si può favorire una trattativa che ponga fine alla guerra, se non si fa intravedere un futuro accogliente per tutte le nazioni europee, dall’Atlantico agli Urali, in cui la cooperazione prevalga sull’intimidazione e la sicurezza sia collettiva?
Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Iraq, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro? Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.
Domenico Gallo
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UNA GUERRA CHE VIENE DA LONTANO
16 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
L’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione. Molti fattori precedenti all’esplosione del conflitto fra Russia e Ucraina. Intervista a Riccardo Petrella
Simone M. Varisco
La guerra in corso in Ucraina è una violenza inaccettabile. Si può dire il frutto di quasi un secolo di responsabilità incrociate, diffidenze reciproche, impegni disattesi e differenti interpretazioni delle relazioni internazionali. Eppure, per molti versi, è anche la conseguenza di un pensiero sorprendentemente comune ai due schieramenti: la guerra contro l’uomo. Fra aspirazioni imperiali, pace imposta con le armi e un mondo che sta cambiando. È «l’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione».
Ne parlo con Riccardo Petrella, economista e politologo, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio e dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Dal 1978 al 1994 ha diretto il programma FAST (Forecasting and Assessment in the Field of Science and Technology) alla Commissione delle Comunità europee a Bruxelles. Nel 1993 ha fondato il Gruppo di Lisbona e nel 1997 l’Associazione internazionale per il Contratto mondiale dell’acqua. È presidente dell’Institut Europeen de Recherche sur la Politique de l’Eau (IERPE) di Bruxelles e dell’Università del Bene Comune (UBC), fondata ad Anversa e poi in Italia e in Francia. È dottore honoris causa di 8 università in Svezia, Danimarca, Belgio, Francia, Canada e Argentina. Collabora, fra l’altro, con il Wall Street International Magazine ed è autore di pubblicazioni sull’economia e il bene comune.
Prof. Petrella, si è detto che questo conflitto è la continuazione di quello iniziato nel 2014. È davvero così?
La crisi russo-ucraina non è all’origine di tutto quello che sta succedendo. Ci sono ragioni obiettive per avercela con Putin, sia chiaro! Ma non è solo l’agire di Putin che è determinante in questa situazione. Ci sono tanti fattori precedenti all’esplosione del conflitto fra Russia e Ucraina. Dopo l’indipendenza dell’Ucraina, nel 1991, sono iniziate pressioni forti, locali e internazionali, soprattutto da parte di Stati Uniti ed Europa affinché l’Ucraina diventasse parte dell’economia occidentale e del sistema militare Nato. La crisi del 2014, con l’occupazione russa della Crimea e l’appoggio alla secessione – se si può dire così – delle province di Donetsk e Luhansk è una continuazione di qualcosa di molto più grande, di molto più lontano. L’attuale guerra in Ucraina non è, fondamentalmente, una guerra tra russi e ucraini. All’origine ci sono due grandi fenomeni, insieme ad un terzo raramente trattato dagli analisti.
Il primo è il grande errore commesso dagli Stati Uniti, dagli europei e da alcuni gruppi in Russia – gli amanti della visione pan-zarista di Putin – di non aver ascoltato quanto sostenuto nel 1991 da Michail Gorbaciov, cioè che il crollo dell’Unione sovietica non fosse avvenuto a causa della vittoria degli Stati Uniti o del capitalismo, bensì per ragioni interne, per una società mal strutturata, ingiusta, per un potere inegualitario ed oligarchico.
Il secondo fenomeno è lo scontro fra due “imperi”. Dopo la seconda guerra mondiale il mondo era governato da due grandi potenze: da un lato l’URSS, con la potenza militare e soprattutto la potenza ideologica, anche se in declino, e dall’altro gli Stati Uniti, con un’egemonia mondiale in tutti i campi. La Guerra Fredda era questo, l’opposizione fra due potenze mondiali imperiali. Con la crisi dell’URSS gli Stati Uniti hanno pensato di poter approfittare della debolezza della Russia per metterla fuori gioco sul piano della geopolitica e dei rapporti di potere mondiali. E da allora hanno fatto di tutto per ottenere questo. È chiaro, ormai, che la Nato non serve a difendere l’Atlantico. La Nato è uno strumento mondiale. Per gli Stati Uniti cedere sulla Nato, ritirarsi, è una bestemmia. Non lo faranno mai, se non obbligati.
Il terzo fenomeno: anche se non ne siamo sempre coscienti, c’è un profondo razzismo nella convinzione occidentale che sia “naturale” per la nostra società dominare il mondo. Noi pensiamo, come Churchill, che la democrazia, pur imperfetta, sia il sistema politico meno peggiore di tutti gli altri. Che la nostra democrazia sia the ultimate form, la forma definitiva di organizzazione politica buona, anche solo perché meno peggiore delle altre. Ogni altro sistema politico è dal nostro punto di vista antidemocratico, totalitario. “cattivo”. Spesso il “difendere la democrazia nel mondo” si traduce nel difendere il potere che rappresenta oggi il nostro sistema politico. Un’altra convinzione occidentale è che il capitalismo non sia buono, ma che non ci sia alternativa al capitalismo, al mercato, alla competitività, all’ineguaglianza. Finché queste due convinzioni regoleranno l’agire dei nostri governanti non ci sarà pace nel mondo. Sono idee talmente metabolizzate in noi, che ad esempio durante la pandemia abbiamo ritenuto ovvio non fidarci dei vaccini russi o cinesi, perché non fatti dalle nostre università, non fatti dalle nostre imprese. Ancora meno potremmo dare fiducia al prodotto di un popolo ritenuto da sempre soltanto sottomesso: i vaccini cubani. Ancora, non pensiamo che l’Africa o il Vicino Oriente siano luoghi dove possono emergere nuove idee, nuovi stili di vita, nuovi sistemi economici.
In effetti, è un fatto che in 8 anni di tensione non si è fatto abbastanza per evitare una nuova escalation. La sensazione è che gli organismi sovranazionali, a cominciare dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, siano incapaci di evitare l’innescarsi di conflitti armati e crisi umanitarie. È così?
Perché non si è fatto nulla per fermare i conflitti fra Russia e Ucraina, che sono anche antistorici rispetto alla storia plurisecolare dei due Paesi? Perché, per l’appunto, non è solo una questione russo-ucraina. Si tratta, invece, dell’accentuazione negli ultimi anni di quel conflitto fra due potenze imperiali, con esiti sempre più a favore degli Stati Uniti. Ricordiamo sempre il concetto tipicamente statunitense di peace through strength, pace attraverso la forza militare, secondo alcuni attraverso la guerra. Per questo non si è fatto nulla, soprattutto non ha fatto nulla l’Occidente, per evitare la guerra. I politici europei si sono dimostrati subalterni, senza una visione a lungo termine del loro ruolo, anche come Unione Europea.
Beninteso, non si è fatto nulla non solo da parte occidentale: Putin fa parte di quella categoria di russi che rimpiange il crollo dell’Unione Sovietica, non perché rimpianga il crollo di una società che si diceva socialista e comunista – e che invece era autocratica, classista e ineguale – ma perché l’URSS rappresentava, in certo senso, una continuità con la Grande Russia, la Madre Russia, la Russia messianica, la Russia dell’ortodossia, della tradizione slava, dello zarismo. Da parte sua, Putin non può permettersi un ulteriore indebolimento.
Dal canto loro, Nato e Unione Europea non hanno trovato di meglio che armare uno dei due contendenti, l’Ucraina. Da un lato, è evidente l’intenzione di circoscrivere il conflitto ad una “trincea” lontana dal cuore dell’Europa, dall’altro la presunta soluzione non può che suscitare interrogativi. Con tutte le differenze del caso, non si può fare a meno di pensare all’Afghanistan di Osama Bin Laden e del Maktab al-Khidmat o all’Iraq del regime baathista di Saddam Hussein contro i Curdi iracheni e l’Iran. Come la vede?
In Ucraina si fa fare ad altri la guerra, così come si è fatta fare ad altri in Iraq, in Afghanistan, in Vietnam e nelle decine di altri interventi militari diretti o indiretti in America Latina, secondo la dottrina Hoover di America is ours, tutta l’America è nostra. Il pericolo è che, in fondo, sia World is ours, il mondo intero è nostro. Per questo, oggi, dobbiamo avere paura tanto di Putin come degli europei occidentali e degli Stati Uniti. L’invio di armi è una pazzia, una follia. Sanno benissimo che questo metterà alle corde Putin e lo costringerà a continuare ad essere presente in Ucraina. Armare gli ucraini significa anche creare l’accadibilità dell’incidente nucleare.
Spero che per gli Stati Uniti non sia il colpo di coda del coccodrillo ferito, che sta morendo. Trump è quello: un “visionario” alla Putin, che rimpiange la perdita del potere egemonico degli Stati Uniti. La forza imperiale statunitense non è più così forte come lo era all’epoca della Guerra Fredda, sia per motivi interni sia per l’opposizione di altri Paesi e soprattutto per l’emergere della Cina, una potenza certamente ambigua, ma che dà fastidio soprattutto sul piano economico.
Alcuni analisti hanno indicato il presidente russo Putin come psicologicamente instabile e più di una volta le dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky sono sembrate sopra le righe. C’è molta propaganda da ambo le parti, ma la situazione non fa ben sperare. Sono elementi che hanno un peso in questa guerra?
Qualche giorno fa ho ascoltato il ministro dell’Europa e degli affari esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che ha detto sorridendo che “soffocheremo” l’economia russa. Ridendo, come se parlasse di un gioco. Far morire economicamente la Russia significa condannare 144 milioni di persone. È pazzia, pazzia “sana”, non malattia. Si punta ad ottenere la morte economica e militare della Russia e l’inabilitazione della Cina a continuare la sua crescita sul piano economico. Biden, come Trump, vuole la fine della Russia. Biden, come Trump e come gli europei occidentali, vuole l’indebolimento della Cina.
Siamo educati a pensare ad un nemico: oggi la Russia di Putin, ieri l’Unione Sovietica, i movimenti islamisti. E già si delinea il nemico del futuro, la Cina, considerata un “rivale sistemico” dall’Unione Europea. Con in parte delle verità, in questo, ma dev’essere chiaro il motivo per cui siamo educati a questo pensiero: difendere l’egemonia dell’Occidente. Noi occidentali crediamo che il nostro potere, la nostra supremazia mondiale siano un fatto naturale, inevitabile, giusto e buono. Ogni minaccia alla mono-supremazia del mondo occidentale, e in particolare degli Stati Uniti, diventa il nemico.
Da una pandemia globale ad una guerra che rischia di esserlo. In entrambi i casi, al di là della retorica, sembra mancare una risposta comunitaria, realmente condivisa, agli eventi. Ci sono aspetti che accomunano queste due tragedie?
Intanto, l’economia oggi spesso si traduce in guerra. L’economia dominante, il capitalismo di mercato ad alta tecnologia e ad alta finanziarizzazione, è sostanzialmente un’economia di dominio, un’economia di potenza, dell’ineguaglianza, un’economia della guerra: guerra per conquistare il mercato dei vaccini, guerra per la proprietà e i brevetti, guerra per conquistare il mercato delle intelligenze artificiali. Viviamo un continuo stato di guerra: i contadini ai quali a decine e decine di migliaia nel mondo è sottratta la terra o i lavoratori ai quali è tolta l’occupazione sono vittime della guerra dell’economia contro di loro.
La totale digitalizzazione della nostra società è anch’essa una guerra, una guerra contro gli esseri umani. C’è una grande priorità, teorica e pratica, in molte attività scientifiche e tecnologiche oggi: l’autonomizzazione dei sistemi artificiali. Si arriverà al dominio degli esseri umani attraverso il dominio delle macchine? La tecnologia non potrà che aumentare le guerre di potere. Il militare, oggi, è tecnologie di reti e gestione dei dati, come l’economia.
E poi c’è l’individualismo. Putin, anche se non è vero, è considerato “comunista”. E noi, società occidentale, siamo fondamentalmente educati all’interesse individuale, all’io, non al noi. Lo si vede con la guerra e lo si è visto con la pandemia: il principio multilaterale non funziona. È un fallimento, solo che è difficile andare al di là del multilateralismo. Lo si vede con il Consiglio di Sicurezza: anche allargato è impotente.
Questo per dire l’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione. Per questo dobbiamo favorire tutte le forme di trattativa: se quelle attualmente in corso falliranno, si dovrà ricominciare fino ad arrivare ad un cessate il fuoco. Dobbiamo preservare il concetto di trattativa, vivo e forte. C’è una speranza se continuano le manifestazioni in tutte le città. Non solo contro Putin: contro Putin, contro gli Stati Uniti, contro il regime capitalista e l’occidentalismo individualista ed esclusivista.
Da politologo, come interpreta l’atteggiamento finora mostrato da papa Francesco? Si condanna il peccato – la guerra – ma non si vuole interrompere il dialogo con i molti “peccatori” di questo conflitto?
Papa Francesco è una delle poche personalità al mondo che sia a livello istituzionale che per sue scelte personali sta tentando di fare ciò che può. Non possiamo attribuire al Papa poteri che non può avere. Può tentare di sensibilizzare un miliardo di cattolici, peraltro non tutti praticanti. E certo non può mobilitarli come fosse una polizia politica. Ma ha un enorme potere morale e di influenza. Spero che nella Chiesa cattolica si spinga sempre di più per le trattative. Lì papa Francesco può giocare un ruolo molto importante. Non parla per i propri interessi, gli altri sì e si accusano a vicenda di essere miscredenti. Papa Francesco è tra le poche persone che non sta parlando con la testa in mano né con il cuore in mano, ma con l’umanità in mano.
14 Mar 2022
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Oggi mercoledì 16 marzo 2022
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Nel movimento pacifista c’è bisogno di unità e c’è posto per tutti
16 Marzo 2022
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
La “piazza” per la pace ha bisogno di estendersi e rafforzarsi per contribuire a fermare la guerra. Il suo programma è la fine dei combattimenti in Ucraina, garantendo la vita delle persone, di chi è sotto i bombardamenti, di chi oggi combatte, avviando una vera trattativa per regolare il contenzioso. L’unità è sull’obiettivo, le […]
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Oggi martedì 15 marzo 2022
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Chi sa fare (e si batte per) la pace acquisisce meriti duraturi nella storia
15 Marzo 2022
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Leggo giudizi al limite dell’insulto verso vecchi esponenti della sinistra perché schierati di qua o di là sulla questione dell’invio delle armi. Ci sarebbe addirittura una sinistra autoritaria, stranamente quella che non concorda sull’invio di armi, e ce ne sarebbe una più libertaria, stranamente quella per l’invio delle armi. La prima sarebbe autoritaria perché, […]
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Circolare dell’Esercito: ‘Meno congedi e addestramento specifico’
15 Marzo 2022
A.P. Su Democraziaoggi.
Leggete la cirocloare dell’esercito sotto riprodotta. A me sembra sia in atto un pericoloso scivolamento, per ora solo psicologico, verso il coinvolgimento nella guerra fra Russia e Ucraina. Vedo una risposta che dalle sanzioni economiche passa sempre più a quelle militari. Diminuisce anche il controllo democratico con la diffusione di una linguaggio, di un messaggio […]
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Oggi lunedì 14 marzo 2022
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Si svuotino gli arsenali, si riempiano i granai
14 Marzo 2022
A.P. su Democraziaoggi
Un tempo c’erano i soviet, degli operai e dei contadini, poi sono venuti i grandi burocrati, poi sono arrivati gli oligarchi in Russia e in Ucraina e in tutte le repubbliche ex sovietiche. Si sono spartiti la grande ricchezza collettiva che i lavoratori avevano prodotto in 70 anni di sacrifici e di lavoro, difendendo i […]
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Oggi domenica 13 marzo 2022
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Carbonia. Luglio e agosto 1948, muore un minatore a Bacu Abis, due morti e 59 feriti a Nuraxeddu. Da qui riparte la lotta, nonostante la repressione e le intimidazioni
13 Marzo 2022
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Anche oggi il post domenicale sulla storia di Carbonia, dal 19 settembre 2019.
Drammaticamente si era chiuso il mese di luglio in città, con i primi fermi e i primi arresti, dopo lo sciopero di protesta a seguito dell’attentato a Togliatti. Ancor più drammaticamente in miniera, con un morto a Bacu Abis, Simola Francesco di […]
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Oggi sabato 12 marzo 2022
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Kennedy, Krusciov e Giovanni XXIII: storia di una pace inaspettata
12 Marzo 2022
James W. DOUGLASS da Aggiornamenti sociali – marzo 2014. Ripreso su Democraziaoggi.
Mentre infuria la guerra in Ucraina è utile ricordare che, prima di incrementare gli armamenti e le sanzioni, è bene sforzarsi a fare la pace. Occorre un onorevole compromesso garantito dalla UE e dalle maggiori potenze che sancisca la sicurezza di Russia e Ucraina e l’indipendenza di […]
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Newsletter n. 67 dell’11 marzo 2022
SOTTO I CIELI DELLA GUERRA
Carissimi,
siamo arrivati al sedicesimo giorno di guerra e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che è certo è che il linguaggio della guerra si fa sempre più duro e coinvolge l’opinione pubblica, i media e la cultura ancor più che i governi che da questa e dall’altra sponda dell’Atlantico reagiscono agli eventi. La reazione prevalente non è quella della condanna della Russia per aver sollevato l’ascia di guerra che la Carta dell’ONU voleva definitivamente sepolta, ma quella della partecipazione al conflitto, sia pure con mezzi diversi dal ricorso alla violenza bellica.
I giornali e le TV hanno indossato l’elmetto e arruolano l’opinione pubblica in una guerra di parole contro il nemico, mentre i governi studiano sanzioni sempre più pesanti per affondare l’economia e isolare la Russia dal resto del mondo.
Il governo italiano, adeguandosi a decisioni prese altrove, ha (non solo simbolicamente) arruolato il nostro Paese nella guerra, decidendo la fornitura di armi letali (il cui elenco è stato rigorosamente secretato) all’Ucraina. L’invio di armi ad un Paese in guerra è una violazione della neutralità. In effetti sia gli USA, sia i principali Paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere gli invasori fino all’ultimo uomo (ucraino). Il Presidente Zelensky, nei suoi continui collegamenti video con l’Occidente, l’ultimo con il Parlamento inglese, ricattandoci con le sofferenze del suo popolo ed esaltandone la volontà di resistenza sino all’estremo, cerca di coinvolgerci direttamente nello scontro armato chiedendo che la NATO istituisca una “no fly zone” sui cieli dell’Ucraina. Vale a dire che si impegni in una guerra aerea con l’aviazione della Russia. La via verso il disastro è aperta, se avessimo seguito i consigli di Zelensky la terza guerra mondiale sarebbe già scoppiata. Non è ancora successo, ma siamo ancora seduti sull’orlo dell’abisso.
Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Questo è quello che ha inteso fare Putin, cercando di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Però questo assioma si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Nel suo articolato saggio pubblicato su Limes il generale Fabio Mini spiega con dovizia di particolari che la guerra non solo era prevedibile, ma era anche prevenibile. Non si è voluto fare niente per prevenirla, anzi fino all’ultimo non si è arretrato di un passo sul principio “non negoziabile” della libertà dell’Ucraina di scegliersi le alleanze che vuole, né si è fatto nulla per fermare le continue violazioni della tregua nel Donbass. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra. Ci vuole una visione del futuro. Il 14 agosto del 1941, quando le armate naziste dilagavano dall’Atlantico agli Urali, il Presidente degli Stati Uniti, Roosevelt e il primo ministro inglese Churchill sentirono l’esigenza di tracciare un nuovo scenario prefigurando il mondo che sarebbe venuto fuori dopo la guerra. Per questo rilasciarono una dichiarazione comune, nota come Carta Atlantica, che preconizzava un nuovo ordine mondiale pacifico e divenne la base per la nascita dell’ONU.
Quale futuro ci prefigurano il riarmo della Germania e l’accanimento di USA e GB per l’irrogazione di sanzioni sempre più soffocanti nei confronti della Russia? In particolare continueranno le continue provocazioni allo scontro della Gran Bretagna, volte ad annullare il ruolo internazionale dell’Unione Europea e a destabilizzare l’Euro?
Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Iraq, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro?
Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.
Nel sito pubblichiamo oltre un estratto dell’articolo del generale Mini (“La via verso il disastro”), un articolo sull’impatto delle sanzioni e un altro di Vincenzo Vita sulla censura di guerra.
Con i più cordiali saluti
www.costituenteterra.it (Domenico Gallo)
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Newsletter n. 252 dell’11 marzo 2022
APOLOGIA DELLA GUERRA
Carissimi,
Dopo sedici giorni di guerra si fanno rare le speranze (ma spes contra spem bisogna sempre sperare) di un’uscita non catastrofica dalla crisi per il futuro del mondo. Vince il più forte: ma il più forte non è la Russia, perché il suo Nemico non è l’Ucraina, ma sono gli Stati Uniti e il rapporto di potenza (secondo i dati del SIPRI) è di 66 miliardi e 838 milioni di dollari di spesa militare della Russia contro 766 miliardi degli Stati Uniti, 1.103 miliardi di tutta la NATO mentre alla Germania si consente di superare il vincolo del 2 per cento del PIL che le era stato imposto dopo Hitler. La vera guerra che si sta combattendo è infatti tra queste Potenze e a vincere è la vittima creata da loro, l’Ucraina, che si è sentita la più forte grazie alla solidarietà che le è stata offerta da tutti; ma questa, abilmente gestita dal complesso militare-mediatico dell’Occidente e dall’esperto regista e attore televisivo che dell’Ucraina è diventato il presidente, si è risolta in una unanimità violenta che ha eletto la Russia come unico Nemico. Il crimine di guerra (la guerra come crimine) commesso da Putin passando il Rubicone dei confini con l’Ucraina, anche se per impedirle di installarvi la NATO, si è ritorto contro di lui, che non ha capito come in tal modo avrebbe fatto scattare una facile identificazione con il più debole aggredito, da parte degli attori non protagonisti del dramma e di tutti gli spettatori che lo fanno a buon mercato. “Gli ucraini combattono anche per noi”, titola il Corriere della Sera riprendendo la teoria del domino che fu usata dagli Stati Uniti per esaltare la guerra del Vietnam che insieme al dittatore golpista di Saigon dicevano di combattere per evitare che, Stato dopo Stato, tutto il mondo diventasse comunista; l’identificazione sollecitata dal giornale milanese non è peraltro solo con le vittime, ma con i “coraggiosi combattenti” che al posto nostro riscattano “il pacifismo istintivo, puerile, miope, ipocrita, egoista” al quale si sarebbe ridotto l’Occidente europeo che ha “smarrito il senso della lotta” e se ne sta seduto a guardare la televisione. Un’apologia della guerra in piena regola.
Tutto ciò avviene nel quadro di una guerra mondiale virtuale (“a pezzi” come da tempo diagnosticata dal Papa) giunta sulla soglia di diventare reale e totale. Questo rischio è all’origine del panico e del coinvolgimento generale che, al di là delle propagande, questa guerra suscita nell’opinione pubblica, al contrario di quanto fanno o hanno fatto altre guerre trascurate o ignorate nelle quali altre vittime sono sacrificate, e piangono e soffrono, altri bambini si perdono, popoli negati combattono – ci voleva un generale, Mini, per ricordarcelo – e altre guerre provocano fuggiaschi e profughi poi discriminati e respinti non meno di questa.
Questo rischio è stato spregiudicatamente assunto come se si fosse giunti al giudizio finale nel conflitto apertosi dopo la guerra fredda per decidere l’assetto del potere nel futuro del mondo . L’Ucraina ha rivendicato la libertà di mettercisi in mezzo per prima, gli Stati Uniti hanno deciso di approfittarne e di correre questo rischio perché paradossalmente hanno fatto conto sul fatto che Putin, da loro definito “un killer” e dagli altri considerato pazzo, riesumatore dell’Unione Sovietica e uno zar aspirante al trono di Pietro il Grande, sarebbe stato tuttavia ancora umano e non avrebbe fatto ricorso all’arma nucleare. Speriamo che così sia. Ma il rischio è che l’uscita dalla guerra in corso sia comunque catastrofica, se non per l’uso della bomba, perché il dominio del vincitore estendendosi a tutto il mondo (chi non ricorda il progetto del “nuovo secolo americano”?) per lungo tempo impedirebbe la pace e la giustizia sulla terra, che è anche l’ultimo tempo utile per salvarla scongiurandone il collasso politico, climatico e ambientale.
Ma, appunto, “speriamo contro ogni speranza”, secondo il detto paolino ripreso da La Pira per auspicare da Firenze, dopo l’elezione di papa Giovanni, un futuro di pace e fraternità ecumenica per tutto il mondo.
Nel sito pubblichiamo il grido di dolore di papa Francesco all’”Angelus”, un articolo sull’impatto delle sanzioni sulle persone più deboli e un altro che illustra precedenti e conseguenze della guerra in Ucraina.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Oggi venerdì 11 marzo 2022
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————-
Ucraina: fermare le armi e rilanciare l’Europa dei popoli
11 Marzo 2022
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
E’ difficile ragionare sulla Russia e sull’Ucraina senza dire tutto il male possibile dell’una e il bene possibile dell’altra. E’ quasi impossibile ragionare senza essere travolti dalle passioni o dalle paure.
Premesso che le invasioni sono sempre da condannare con fermezza, e che quella russa non offre elementi per una deroga, si tratta di sforzarci […]
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Carlo Molari
Messa in ricordo di don CARLO MOLARI 9 marzo 2022 nella chiesa di Cristo Re, Cagliari
“Conservo ricordi vivi e indelebili di alcune sue conferenze e di alcune sue risposte libere e profetiche ad alcuni miei e nostri interrogativi. Teologo capace di indagare con coraggio, umiltà, curiosità. Una voce che mancherà, ma un pensiero e una testimonianza di fede sempre in ricerca che rimarranno con noi”.
[segue]
Che succede? Che succederà!
Conseguenze economiche e finanziarie della guerra in Ucraina
Vincenzo Comito su Sbilanciamoci!
7 Marzo 2022 | Sezione: Apertura, Mondo
Nel reticolo di interessi dato dalla globalizzazione non è semplice definire chi è destinato a guadagnare e chi a perdere dalla guerra. Alcuni elementi però iniziano a delinearsi: l’Europa ha da perderci più di chiunque altro. E la Russia viene costretta a una alleanza più stretta con la Cina.
Questo articolo non vuole coprire tutte le tematiche economico-finanziarie legate alla guerra in Ucraina e alle sanzioni occidentali, ma guardare soltanto ad alcuni dei temi relativi, con particolare riferimento al ruolo della Cina nella crisi e, in misura minore, alle possibili conseguenze del tutto per il quadro europeo. Parte delle note che seguono, vista anche la situazione di grande confusione in atto e l’urgenza di informare, saranno dunque soggette a imprecisioni ed incertezze.
E’ ben noto che con le guerre c’è sempre chi ci guadagna, anche molto e nel nostro caso faranno certamente salti di gioia i produttori di armi (anche noi ne abbiamo qualcuno; così, mentre la Borsa italiana crollava, il titolo Leonardo guadagnava il 15%). Macron ha già dichiarato che i 50 miliardi di euro stanziati in bilancio dalla Francia per il 2022 non bastano più, mentre, il cancelliere Scholz ha annunciato la creazione di un fondo di 100 miliardi di euro per il settore della difesa; attendiamo con impazienza un qualche annuncio italiano in proposito. Intanto partono dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti grandi carichi militari per l’Ucraina. Non mancheranno certo di arricchirsi anche i trader di prodotti energetici e agricoli, nonché di qualche minerale, oltre che, come sempre, gli speculatori di Borsa.
Un difficile equilibrio
Anche se le opinioni in merito divergono molto, la Cina per alcuni aspetti potrebbe essere danneggiata dagli avvenimenti, mentre per altri forse risulterà avvantaggiata. Il bilanciamento tra i due punti dipenderà molto da come si metteranno le cose in futuro.
Il paese asiatico si trova in una situazione molto complessa e delicata. E’ noto come Pechino sia molto amica di Mosca, mentre meno noto è che essa intrattiene rapporti cordiali anche con l’Ucraina, essendo, tra l’altro, il primo paese importatore ed esportatore del paese europeo ora invaso, che ha anche aderito al progetto di nuova Via della Seta. Sullo sfondo c’è anche il rapporto con gli Stati Uniti, che minacciano sanzioni se la Cina aiuterà la Russia.
Il governo cinese ha dichiarato a più riprese di essere favorevole ad un meccanismo di sicurezza europeo “equilibrato”, sottolineando come appaia necessario rispettare le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti i paesi (compresa quindi, è sottinteso, la Russia), ma nello stesso tempo ha sottolineato come bisogna anche rispettare l’integrità territoriale di tutti i paesi (compresa quindi l’Ucraina). Ricordiamo che la Cina non si intromette in generale negli affari interni di altri paesi, accusando invece i paesi occidentali di farlo continuamente.
Quindi la Cina cerca di sostenere un ruolo di moderatore, è per una soluzione negoziale del conflitto (la stessa Ucraina le ha chiesto di provare ad aiutare il processo) e cercherà di spingere i due contendenti a trovare un’intesa, mentre ancora non è chiaro quale sia alla fine il suo reale potere negoziale. In ogni caso Pechino si trova, come al solito e ormai da tempo, al centro della scena suo malgrado e lo sarà presumibilmente ancora di più in un prossimo futuro.
Russia-Cina: un matrimonio di convenienza e le analogie con il caso iraniano
Le apparentemente dure sanzioni Usa ed europee spingono necessariamente la Russia, come è già stato scritto, nelle braccia della Cina, anche se non è assolutamente chiaro, viste anche le minacce statunitensi e i tentativi di equilibrismo dello stesso paese asiatico, dove tale alleanza potrà arrivare operativamente e quanto la Cina vorrà e potrà fare.
Intanto le sanzioni incideranno certamente sul livello del Pil del paese. L’Iran, sottoposto a suo tempo alle sanzioni di Trump, in un primo tempo – nel 2018 e 2019 – ha visto il suo Pil pro-capite scendere del 15%, il che non è poco per un paese non sviluppatissimo, mentre l’inflazione è andata alle stelle. Poi l’economia non è collassata e si è stabilizzata ad un nuovo livello. Teheran ha continuato, tra l’altro, a esportare ogni giorno 1 milione di barili di petrolio grazie alla Cina e ad altri paesi. Un destino in qualche modo simile si potrebbe configurare per il caso russo. Qualcuno prevede per quest’anno e per la Russia una caduta del Pil in qualche modo inferiore a quella dell’Iran e che si dovrebbe aggirare intorno al 7-9%, mentre il livello di inflazione potrebbe raggiungere, secondo alcune agenzie economiche, il 17%.
Quello tra la Russia e la Cina appare in ogni caso un matrimonio di convenienza (i due paesi non si amavano troppo, tradizionalmente), un legame nel quale i rapporti di forza sono comunque tutti a favore del secondo attore citato, che possiede una forza economica dieci volte più grande di quella russa e un livello tecnologico e finanziario almeno altrettanto superiore, anche se in alcuni settori le tecnologie russe non sono certo trascurabili. Per altro verso si tratta però di due economie complementari.
La situazione nei vari comparti
Sul piano finanziario l’esclusione sia pure parziale dalla rete swift, considerata “l’arma nucleare” dal punto di vista finanziario, non può che portare la Russia a inserirsi nella rete autonoma cinese, la Cips, che stentava a decollare e che potrebbe ora trovare nuova linfa. La crisi potrebbe anche contribuire ad aumentare gli sforzi cinesi di rendersi sempre più autonomi dal dollaro, attivando tra l’altro ancora più velocemente il renmimbi virtuale. Ma si tratta di uno sforzo di lunga lena, che necessita tempo per essere portato a compimento. Intanto la moneta cinese continua in questi giorni a rivalutarsi contro tutte le aspettative, mentre ovviamente aumenta il suo ruolo.
Ricordiamo che l’UE è il principale partner commerciale della Russia, con quest’ultima che esporta quasi tre volte tanto verso la UE che verso la Cina, anche se gli accordi tra i due paesi mirano a portare presto l’interscambio a 250 miliardi di dollari all’anno contro i 147 miliardi del 2021.
L’Ue è oggi il principale acquirente del gas russo, anche se proprio in queste settimane Cina e Russia si sono messe d’accordo per la costruzione di un nuovo gasdotto che porterà il gas in Cina dagli stessi giacimenti da cui esso parte oggi per l’Europa.
Come la Russia se la potrebbe cavare con l’aiuto della Cina
Le entrate derivanti dalla vendita del gas in Occidente non sono certo trascurabili, ma la Russia continuerà a vendere il suo gas e il suo petrolio anche in molti altri paesi del mondo. Di fatto, nonostante diverse dichiarazioni contrarie, tra cui anche quelle della sempre meno credibile Ursula von der Leyen, l’UE non può fare a meno del gas russo, se non in un’ottica di medio termine e gli Stati Uniti non sono in grado di sostituirlo.
Ricordiamo incidentalmente che l’Occidente non è il mondo e che molti Stati in Asia, Africa, America Latina non hanno condannato l’invasione dell’Ucraina, o lo hanno fatto in modo blando. Per quanto riguarda direttamente la Cina, essa può assorbire, volendo e potendo (ricordiamo sempre le minacce Usa), grandi quantità di prodotti energetici.
La Russia possiede inoltre, tramite la sua banca centrale e una banca di sviluppo, circa 140 miliardi di dollari in obbligazioni del paese asiatico, circa un quarto delle sue riserve valutarie, denaro che può utilizzare per far fronte alle sue necessità. I giornali raccontano che presso le filiali moscovite delle banche cinesi già centinaia di imprese russe sono arrivate chiedendo di aprire dei conti in yuan, mentre diverse imprese dello stesso paese cominciano ad accettare pagamenti nella stessa valuta. Si racconta di una fabbrica di cioccolato russa che ha esaurito le sue scorte grazie all’acquisto on-line da parte di cinesi che simpatizzano per la causa del paese amico. E ora anche un’impresa ucraina di cioccolato sta cercando di fare lo stesso tipo di operazione, ma i giornali non dicono se e con quale successo.
In questi giorni gli scambi commerciali procedono abbastanza regolarmente nei due sensi, con qualche eccezione: alcune imprese cinesi che hanno incorporato nei loro prodotti componenti statunitensi, si stanno ritirando dalla Russia (vedi il caso Lenovo).
Va segnalato che molti investitori cinesi si stanno precipitando ad acquistare titoli azionari di una decina di imprese del loro paese che hanno rapporti d’affari rilevanti con la Russia, nell’aspettativa di un aumento delle attività tra Mosca e Pechino. Una scelta azzardata? Il valore di tali titoli per il momento sta salendo fortemente.
Va poi registrato che la grande banca AIIB, formata a suo tempo su iniziativa di Pechino per fornire finanziamenti a progetti nei paesi emergenti, della quale i tre principali azionisti sono Cina, India e Russia, con la Russia che dunque in teoria giocherebbe in casa (anche l’India è un paese amico), ha sospeso per il momento le operazioni per quanto riguarda i finanziamenti a Russia e Bielorussia, ma non all’Ucraina. La mossa, giustificata ufficialmente con l’aumento del rischio di credito, non ha alcun effetto pratico, perché in questo momento non c’è nella sostanza in ballo nessun progetto importante, ma segnala una certa attenzione e un certo messaggio del paese del dragone. La notizia potrebbe servire alla Cina per rimarcare come ci sia un’autonomia della banca rispetto al paese asiatico e sempre della Cina rispetto alla Russia.
Aspetti della situazione economica dell’Europa dopo lo scoppio della guerra
Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’UE ha mancato sul piano politico l’ennesima occasione per mostrare una sua voce autonoma rispetto a quella degli Stati Uniti, anzi ha indicato a tratti un volto persino più oltranzista, nonostante a Bruxelles ci sia un clima di grande preoccupazione per le forniture di gas e di petrolio. Le centrali a carbone europee hanno ancora oggi un ruolo chiave per assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti del continente. Nel breve termine non si saprebbe come sostituire il carbone russo con quello proveniente da altre fonti. Intanto le fabbriche di auto europee, soprattutto quelle tedesche, si devono fermare perché mancano i cavi elettrici, prodotti in Ucraina. Di queste imprese, la più importante impiegava 7.000 persone. Tale difficoltà si aggiunge alla chiusura delle fabbriche di auto europee in Russia, mentre continua la carenza di semiconduttori.
Per quanto riguarda i minerali, segnaliamo in particolare il caso del palladio, di cui la Russia produce il 40% del totale mondiale e i cui prezzi sono aumentati di quasi il 50% da gennaio ad oggi (il metallo è utilizzato anche in Europa nella produzione dei catalizzatori delle marmitte delle auto a benzina, nonché in quella dei semiconduttori). I due paesi sono produttori importanti anche di altri minerali e gas importanti, utilizzati nella produzione di chip, smartphone e veicoli elettrici. L’Ucraina vende in particolare circa il 90% del gas neon usato in particolare negli Stati Uniti per la produzione di semiconduttori. Sempre l’Ucraina produce il 40% del kripton, altro gas raro. Anche i prezzi di alluminio e nickel, di cui la Russia è un importante produttore, appaiono sotto tensione.
La Russia e l’Ucraina sono poi grandi produttori ed esportatori di cereali. C’è da ricordare che, con i processi di riscaldamento climatico, la Russia in un paio d’anni ha sviluppato prodigiosamente i suoi raccolti e oggi è il primo produttore ed esportatore mondiale di grano, mentre l’Ucraina non è da meno. I due paesi rappresentano oggi il 30% degli scambi mondiali e da quando è scoppiata la guerra i prezzi, che erano già prima in rilevante salita, sono aumentati intorno al 40%, anche perché le esportazioni dai due paesi in guerra verso l’Europa e verso anche gli altri continenti appaiono bloccate. Anche ammesso che il mercato possa reggere il colpo grazie alle riserve, la riduzione delle consegne da parte dei due paesi belligeranti sta portando i prezzi dei cereali alle stelle. I francesi si preoccupano già per la loro sacra baguette, mentre si scopre che l’Italia importa ogni anno il 50% del suo consumo di grano tenero e il 40% di quello duro (una volta almeno, la pasta si faceva nel nostro paese con il grano dell’Est). Incidentalmente si può segnalare infine il fatto che l’Ucraina è anche il più grande mercato nero di armi in Europa.
A parte ciò, il Vecchio continente è destinato in ogni caso a perdere parecchio in questa crisi.
Appendice
Note su inflazione e recessione
Le conseguenze della crisi ucraina sull’economia globale potrebbero ovviamente essere molto rilevanti.
I primi mesi del 2022 non segnano un raffreddamento del tasso di inflazione in Occidente, ma anzi registrano una sua crescita ulteriore, anche se va comunque sottolineato che le ragioni dell’aumento dei prezzi sono in parte diverse tra Stati Uniti e UE. In febbraio nella UE essa ha raggiunto il 5,8% e si pensa che essa potrebbe superare il 7% da qui alla fine dell’anno se il conflitto dovesse durare. In particolare, come abbiamo già sottolineato, i problemi toccano i prodotti energetici, le altre materie prime e i cereali, cui si aggiungono ovviamente il panico e la speculazione, oltre forse all’ulteriore aggravamento delle questioni logistiche.
In questi giorni il prezzo del gas ha così raggiunto i 200 dollari per megavattora, mentre il petrolio è ormai oltre i 110 dollari sempre al barile e mentre i prezzi del carbone sono aumentati in poco tempo del 42% e quelli del grano del 38,6% in una sola settimana. Tra l’altro si vanno fermando in Europa fonderie, acciaierie ed altre imprese in settori energivori. Ricordiamo poi, come aggravante, che l’euro si va indebolendo contro il dollaro e che quindi i prezzi, che sono normalmente espressi in dollari, risulteranno alla fine nei paesi dell’euro ulteriormente in salita.
I prossimi aumenti dei tassi di interesse negli Stati Uniti dovrebbero avere presumibilmente l’effetto di portare ad un calo nelle quotazioni delle Borse, alimentate a suo tempo dal denaro facile. Ma si teme e a ragione soprattutto per quelle europee, che hanno peraltro già preso una china pericolosa, mentre in tale situazione quanto potrà resistere la BCE nel tenere i tassi di interesse fermi? Ad un certo punto, come afferma qualcuno, le banche centrali potrebbero preferire causare una recessione piuttosto che perdere la battaglia contro l’inflazione.
Ci si può così chiedere comunque se seguirà anche una forte caduta dell’economia. Molto dipenderà dalla durata della guerra e dai risvolti economici e politici della stessa. In ogni caso per il 2022 si può prevedere come minimo una forte riduzione dei tassi di crescita se non una vera e propria recessione in Occidente, in particolare in Europa, recessione che appare comunque sempre più probabile man mano che passano i giorni e i complessi fili che legano tra di loro tutte le economie si dipanano. In ogni caso gli Stati Uniti sembrano più protetti con il loro isolamento geografico, l’abbondanza delle risorse energetiche, il relativamente basso livello di scambi commerciali con il resto del mondo. Molto più gravi i problemi in Europa.
Cosa succederà ai salari? Nel 2021 in tutti i paesi del G-7 essi sono rimasti, ed anche di molto, indietro rispetto all’inflazione, mentre molti “esperti” economici, a cominciare dal governatore della Banca d’Inghilterra, chiedono moderazione ai sindacati, mentre non fanno lo stesso con le imprese.
Una situazione molto complicata e dagli esiti imprevedibili.
È online il manifesto sardo trecentoquarantaquattro.
il manifesto sardo
Il numero 344
Servitù energetica (Stefano Deliperi), Fenomenologia dei cornuti [2] (Alfonso Stiglitz), Chi ha paura delle Case e degli Ospedali di comunità? (Mario Fiumene), Antonio Mele e le curiosità del vocabolario sardo-nuorese (Graziano Pintori), Cagliari non è Gotham City. Buoni motivi per partecipare alla domenica indecorosa (Roberto Loddo), Il Giorno del Ricordo e le strumentalizzazioni contro la resistenza antifascista (Antonello Murgia), Considerazioni sul Giorno del Ricordo (Marco Sini), Chi ha paura dello schwa? (red), I direttori generali vanno e vengono ma per la sanità è sempre una catastrofe (Claudia Zuncheddu e Adriano Urru), Fenomenologia di un nuraghe [1] (Alfonso Stiglitz).
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Oggi giovedì 10 marzo 2022
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Quartu Sant’Elena.
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Intrecci di vita e di lavoro nel racconto dei protagonisti/e
10 Marzo 2022
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Intrecci di vita e di lavoro
del Gruppo biografe volontarie “storie di memorie”
Ed. LiberEta’
Nella giornata internazionale della donna, un lavoro di donne con donne, ma non solo, riallaccia storie di persone e di lavoro: intrecci appunto, come i nostri cestini ad intreccio in Sardegna. E come nell’intreccio delle nostre erbe palustri, il giunco, la […] su
Democraziaoggi.
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La banalità del male
di Gianfranco Fancello su fb
Difficile immaginare qualcosa di peggiore della guerra: ancor più difficile farlo dopo le immagini strazianti di oggi, con un ospedale pediatrico bombardato, anche se In realtà sarebbe stato lo stesso se a finire sotto le bombe fosse stata una scuola, o un palazzo, o un mercato. Avremmo comunque visto sangue, lacrime, dolore, morte. [segue]
Oggi mercoledì 9 marzo 2022
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————-
Continuiamo nello spirito della manifestazione per la pace di Roma: grande, pacifica, plurale
9 Marzo 2022
Alfiero Grandi su Democraziaoggi
A Roma una manifestazione per la pace grande, pacifica, plurale con l’obiettivo di fermare la guerra in Ucraina, iniziata con l’aggressione russa. Altre manifestazioni in Italia. Altre ancora in Europa. Da segnalare quella molto partecipata in Germania. Le posizioni nelle manifestazioni non sono tutte uguali. Si partecipa da diversi punti di vista alla costruzione […]
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