Monthly Archives: settembre 2015

La “Casa del Comandante” venga destinata a Centro civico del quartiere

ass-9-m-urpinu Nel rumoroso silenzio degli assenti amministratori civici e regionali (evidentemente impegnati in più importanti manifestazioni) si è svolta venerdì 25 scorso l’interessante assemblea, pubblicizzata con il poster riportato a lato, partecipata da numerosi e attenti cittadini (in prevalenza del quartiere). Il resoconto della riunione è reperibile nell’accurato servizio di Casteddu on line (http://www.castedduonline.it/cagliari/zona-monteurpinu/27534/sos-da-monte-urpinu-zedda-non-vendere-lo-stabile-ai-privati-video.html) a cui rimandiamo. Presenti anche una decina di esponenti del Laboratorio Cagliari Città Capitale. Tra gli altri, nel dibattito oltre a Paolo Erasmo, uno degli organizzatori, sono anche intervenuti Roberto Mirasola e Franco Meloni, i quali hanno inserito la “vertenza per la casa del comandante” nella più vasta piattaforma per rivendicare alla città una rete di “centri di aggregazione sociale”, di cui è carente con conseguente nefaste in termini di disgregazione sociale urbana. Nella circostanza è stata illustrata la vertenza per il ricupero dell’immobile che fu sede della Scuola Popolare di Is Mirrionis ( ScuolaPopolareIsMirrionis ). L’occasione è stata preziosa per dare vita a una vera e propria rete di associazioni che in tutti i quartieri della città promuovono la partecipazione popolare. C’è molta strada da fare, ma, per fortuna e per l’impegno di molti, non siamo all’anno zero.
Di seguito la lettera indirizzata al Sindaco dagli organizzatori dell’assemblea di venerdì.
- Signor Sindaco,
avremmo gradito la presenza di un suo rappresentante alla nostra preannunciata Assemblea Pubblica, tenuta venerdì scorso presso la Scuola Randaccio.

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Annullato il Convegno “La città dei bambini e delle bambine: garanzie, tutela, benessere”

convegno 1 ottobre 15 bambini e cittàGli organizzatori comunicano che causa allerta meteo di criticità elevata, il Convegno “La città dei bambini e delle bambine: garanzie, tutela, benessere” previsto per domani giovedì 1 Ottobre 2015, è annullato.

ROMPERE gli SCHEMI e AZZARDARE PER la SARDEGNA

Macri 30sett 01Macri 30 sett 02Macri 30 sett 03
sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Necessaria una differente lettura dei fenomeni migratori. Quando un problema può diventare una soluzione.

Notizie “strane e curiose” talvolta si mescolano alle notizie che tutti si aspettano di trovare nei giornali e che solitamente scorrono sotto i nostri occhi pressoché inosservate. Una di queste racconta che il 21% dei lavoratori con cittadinanza non italiana, nati prima del 1949, abbiano versato contributi all’Inps per 3 miliardi di euro senza ricevere alcun trattamento pensionistico avendo abbandonato il paese prima di aver maturato i requisiti minimi per percepire la pensione. Lo ha affermato recentemente il presidente dell’INPS Tito Boeri in occasione della presentazione del rapporto Worldwide INPS. Proiettando il dato del 21% di individui stranieri che non percepiscono la pensione sulle generazioni di nati tra il 1949 e il 1981 si calcola una disponibilità finanziaria presso l’INPS, un vero tesoretto che raggiunge i 12 miliardi di euro. Un montante contributivo che non darà luogo a pensioni. Pensiamoci tutte le volte che qualcuno parla dei 35 euro al giorno che i migranti riceverebbero dallo stato italiano sottraendoli ai “nostri “ soldi. L’apporto dei migranti, principalmente di quella parte che entra in rapporto con il nostro sistema produttivo (lavoratori regolari, lavoratori in nero, operatori nel sociale e nell’assistenza agli anziani), non rappresenta soltanto un costo per la società, non è soltanto una fonte di problemi. Talvolta fenomeni sociali di tale portata, quali i movimenti migratori in atto, possono concorrere direttamente o indirettamente allo sviluppo sociale della collettività. Possono diventare la soluzione o una parte della soluzione di alcuni problemi del nostro ordinamento sociale in relazione a fenomeni epocali in atto quali il crollo delle nascite, l’invecchiamento della popolazione, lo spopolamento dei paesi e delle città in vaste aree del nostro territorio, la necessità di sostituire figure professionali che rischiano la scomparsa o il drastico ridimensionamento quantitativo. E’ ormai noto a tutti che il profilo demografico del nostro paese subisce un declino da alcuni decenni. Il nostro tasso di fecondità è molto al di sotto della soglia di stabilità della popolazione. Ci si attende, sulla base di autorevoli studi, una contrazione della popolazione europea di oltre 30 milioni di abitanti intorno alla metà del secolo. In Sardegna delle semplici escursioni in macchina nel territorio, appena fuori dei pochi grandi centri abitati, una visita a tanti nostri paesini che ormai ospitano quasi esclusivamente pochi anziani, fornisce un quadro esaustivo della crisi demografica dell’isola e dei fenomeni di desertificazione in atto. Molti osservatori cominciano a riflettere seriamente sul fatto che i movimenti migratori in atto generati da guerre e miseria piuttosto che rappresentare un problema non possano configurarsi come strumento per la risoluzione di alcuni problemi del vecchio continente. Sarebbe per esempio interessante realizzare una proiezione demografica per stabilire che impatto avrebbe nella nostra isola l’integrazione permanente di tre o quattro nuclei familiari in ciascuno dei nostri comuni che si vanno sempre più spopolando. Nascerebbero bambini in aree con natalità prossima allo zero, si potrebbero riaprire piccole scuole chiuse per mancanza di alunni, recuperare e riconvertire il patrimonio edilizio, si potrebbero eseguire grandi opere agricole per contrastare l’abbandono delle campagne, la desertificazione dei suoli e i disastri idrogeologica, si potrebbe integrare con nuova forza lavoro il comparto agro-pastorale nel quale l’età media degli operatori e sempre più elevata. Ci vogliamo pensare o no a qualcosa di diverso e di migliore rispetto ai campi di accoglienza e all’impiego di lavoratori-schiavi nelle campagne?
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- Le foto sono di Macrì Sanna.

Governo della Regione. Si può fare di più, molto di più. La Sardegna ne ha bisogno. DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO

pigliaru si fa cdaricolampadadialadmicromicro1Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Vito Biolchini, che ha scritto l’articolo – che sotto riproduciamo – nel suo blog vitobiolchini.it , nonchè di Gianni Corbia e di Carlo Melis, con le loro riflessioni, intitolate rispettivamente “Sciatterie democratiche” e “Segretari e sottosegretari ai Segreti di Stato alla festa del Pd a Cagliari“, ambedue pubblicate sulla rivista on line SardegnaSoprattutto e che qui sotto riproduciamo.

Pigliaru crede nell’Italia di Renzi, io no. E adesso come dice Vasco Rossi
Voglio proprio vedere / come va a finire
di Vito Biolchini

Tra le tante qualità del presidente Pigliaru c’è anche quella di essere permaloso. Il mio post “Il Pd apre il dibattito sul mezzogiorno ma Pigliaru si rifiuta di parlare della Sardegna” non gli è piaciuto e me lo ha detto pubblicamente qualche giorno fa (“Mi hai trattato malissimo…”) nel corso di una iniziativa da me coordinata a Cagliari in cui si parlava dei fondi Por 2014-2020.

Ovviamente non ero nelle condizioni di poter replicare e infatti non l’ho fatto. E devo dire che non ho intenzione di farlo neanche adesso visto che la riposta del presidente non solo non mi ha convinto per niente ma anzi ritengo che abbia (dal mio punto di vista) anche aggravato la sua posizione.

Mettiamola così: Pigliaru crede nell’Italia di Renzi, io no. È una cosa curiosa visto che il suo cognome finisce per u e il mio no, che suo padre è nato ad Orune e il mio a Bressanone: però è così.

Pigliaru crede che la salvezza della Sardegna passi per la salvezza dell’Italia: io credo che la Sardegna debba invece trovare una sua strada (che non significa necessariamente l’indipendenza) che la porti ad avere più poteri da esercitare autonomamente.

Poi Pigliaru ritiene che Renzi sia il primo presidente del Consiglio che si sta occupando di Mezzogiorno: vorrei sapere esattamente con quali provvedimenti.

Pigliaru ritiene inoltre che i mali della Sardegna siano soprattutto l’assenza di meritocrazia e l’assistenzialismo. Io penso che il problema sia invece la qualità della nostra classe dirigente.

Sulla meritocrazia nulla da eccepire, ma non mi sembra che il presidente con le sue scelte la stia mettendo in pratica: alcuni assessori non dovevano neanche essere nominati, altri dopo sei mesi potevano tranquillamente essere rimandati alle loro precedenti occupazioni: ma se dopo un anno e mezzo stanno ancora al loro posto evidentemente io e il presidente abbiamo un metro di valutazione diverso.

Anche sull’assistenzialismo forse parliamo lingue diverse: altrimenti i contratti che consentono all’editore Sergio Zuncheddu di affittare alla Regione locali che poi restano vuoti sarebbero stati prontamente disdetti. Non è andata così.

Pigliaru assume il tono di chi dice “lasciateci lavorare” e io rispondo: e chi ve lo sta impendendo? Piuttosto lavorate!

Dopo un anno e mezzo a che punto è la riforma dello statuto? E la nuova legge elettorale? E la legge urbanistica? E il nuovo corso sulle servitù militari? E la vertenza entrate?

Come andrà a finire la riforma degli enti locali? Temo male.

E quella della sanità? Idem, e mi dispiace. Perché il metodo messo in campo dall’assessore Arru è assolutamente condivisibile ma sconta un peccato mortale: il ritardo.

Un anno fa la riforma sanitaria avrebbe potuto godere di una forza che discendeva direttamente dal consenso elettorale, una forza che avrebbe limitato le agghiaccianti rivendicazioni feudali portate avanti da politici di ogni ordine e grado e di cui i giornali ci danno conto quotidianamente; oggi invece la politica sarda è totalmente per aria e il fallimento clamoroso della festa regionale dell’Unità (penosamente occultato, per un motivo o per un altro, dai maggiori organi di informazione) ne è la rappresentazione più evidente.

Con questo clima, come pensa il presidente di poter portare a casa una riforma di questo genere?

Pigliaru ha perso tempo ma evidentemente solo perché non aveva le idee sufficientemente chiare sulla strada che voleva far prendere alla Sardegna, altrimenti una riforma come quella sanitaria l’avrebbe proposta pochi mesi dopo la sua elezione (per dirla tutta così come Soru fece la Salvacoste, in quattro e quattr’otto).

Fra qualche settimana sapremo che fine faranno le richieste su trasporti energia ed insularità avanzate dal nostro presidente a Renzi lo scorso mese di maggio. Pigliaru si dice ottimista e noi tutti siamo con lui. Staremo a vedere ma l’aria che tira mi sembra che non sia è delle migliori. Saremo costretti a fare buon viso a cattivo gioco? Io certamente no.

In ogni caso, io non escludo che l’amministrazione Pigliaru possa ancora raggiungere significativi traguardi e portare a casa risultati di tappa importanti: sinceramente me lo auguro. Però ritengo anche che abbia già sostanzialmente esaurito la sua spinta e che politicamente non rappresenti più alcuna novità: game over. Con buona pace dei sovranisti, annegati in un bicchier d’acqua.

“E quindi mi stai dicendo che non c’è nessuna specificità, nessuna originalità, che il modello Pigliaru non esiste, che il Pd in Sardegna e a pezzi?” mi ha chiesto qualche giorno fa l’inviato di un noto giornale italiano, anche lui colpito dal post che tanto è piaciuto anche al presidente. Sì, è così: il modello Pigliaru non esiste più, ora c’è solo casino. A tutti i livelli.

Non ho altro da aggiungere. Però adesso, come cantava una volta Vasco Rossi, “Voglio proprio vedere / come va a finire”.
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Sciatterie democratiche
di Gianni Corbia

By sardegnasoprattutto / 29 settembre 2015/ Società & Politica/

Festa del Pd a Cagliari. Slogan “nuragica, fenicia, romana, bizantina, pisana, spagnola. Sardegna” (sic!), un bignami manchevole della storia della Sardegna. Lo slogan non poteva che essere dimesso come la Festa, autoesclusa rispetto alla città, ininfluente e poco frequentata al punto che al sondaggio dell’Unione Sarda – che pure ha dato molta visibilità all’evento – oltre il’86% del campione ha risposto che la Festa non avrebbe potuto avere nessuna capacità di aggregazione.

Festa autoreferenziale, lontana dai quartieri popolari e dall’antica sede del PCI che vede nei suoi paraggi un terribile muro segregare una chiesa dalla piazza come se l’una possa vivere senza l’altra. Una ferita che si accompagna alla perdita del complessivo senso dell’urbano a Cagliari, come tutti vanno ripetendo visto il degrado del centro storico segnalato dal Prefetto e l’abbandono delle periferie. Chissà cosa ne pensa Papa Francesco che iniziò il suo pontificato a poca distanza con parole che la dicevano lunga sul percorso che lo avrebbe portato a Cuba e in America ad abbattere muri in favore di ponti tra comunità. Evidentemente chi governa Cagliari ha inteso farlo nella logica dell’esclusione, del tutti nemici e se qualcuno si porta distante dagli incensieri e dagli incensatori apriti cielo.

Va da se che coloro che non vivono da beneficiati cercano di stimolare il dibattito, di esprimere critica, di spronare le amministrazioni a pratiche che facciano crescere la città dal punto di vista etico, sociale, economico. Qui forse sta uno dei motivi di un autentico tonfo della festa per pochi che voleva essere il battesimo per la campagna elettorale della riconferma di Massimo Zedda, incombente e presente in ogni ora del giorno e della notte. Niente bagni di folla, niente popolo e niente elite.

Provate ad immaginare l’animo di Luca Lotti vedendo la piccola pattuglia davanti a se? Avrà pensato si trattasse di un seminario per gli intimi che simpaticamente lo riportava indietro ai beni tempi dei boy scout e dei giochi serali intorno al fuoco. Ma come è possibile con una maggioranza bulgara come non mai? Renzi al governo, Pigliaru, presidente di Regione, Zedda sindaco di Cagliari, Soru segretario regionale. Come è che non si riesce a mettere insieme neanche una quota minima di pubblico degno di un sottosegretario alla presidenza del consiglio? Vero è che non si capisce bene cosa sia venuto a fare Lotti se non a trattare da manichini i rappresentanti delle istituzioni sarde che entusiasti si accontentano di fare i maggiordomi e i passacarte.

E tutto qui il senso di quei banner manchevoli di pezzi fondamenti della storia. Si tratta forse delle surreali conseguenze del mancato inserimento della storia sarda nelle scuole? Provvederà Pigliaru a ovviare simile travisamento. Perché questi popoli e non altri? Proviamo a darne una interpretazione.

I nuragici non potevano essere tralasciati. Una volta sì, quando la testimonianza della loro esistenza era relegata agli ottomila nuraghi e ad un po’ di bronzetti, ma dopo la scoperta dei Giganti, non è più possibile. E se poi la Sardegna è stata Atlantide, come la mettiamo? Ci giochiamo un atout di marketing da niente. I fenici, questa è facile, popolo di commercianti, quelli che hanno, secondo la vulgata, portato la civiltà nell’isola, sono i migliori testimonial di quel che vorremmo essere, un popolo di esportatori. Non a caso la Regione in questi giorni investe capitali per internazionalizzare le aziende sarde.

I romani non potevano essere tralasciati, siamo cattolici, i segni della loro presenza sono dappertutto e poi ci hanno lasciato la lingua che parliamo: l’italiano. I bizantini, ecco qui si strizza l’occhio a due categorie. La prima la pubblica amministrazione, campione di bizantinismo e unica riserva di voti rimasta. La seconda è la Russia di Putin. La Saras non è proprietà di un amico suo? Lo so, ci si deve accontentare dei Pisani, non fatevi ingannare dalle torri di Cagliari o dal conte Ugolino, la ragione è un’altra. In Sardegna non abbiamo mai avuto la signoria dei Medici e a Renzi un contentino bisognava pur darlo. Spagnoli, ecco questo resta misterioso, forse si vuol dare un aiuto a Madrid, perché la Catalogna minaccia la secessione? O forse perché, in fin dei conti il sardo è un dialetto spagnolo? Chi lo sa.

In realtà forse la ragione è un’altra, quelli del PD a scuola andavano male in storia e di quella sarda ne sanno poco o niente.

Provate a fare una salto nel tempo, pensate al compianto Umberto Cardia che fa apporre uno slogan simile alle feste del giornale fondato da Antonio Gramsci. Non sappiamo di chi sia stata l’idea di rappresentare la Sardegna con quelle dominazioni. Di sicuro rivelano una grande rimozione, quella dei Sardi. Perché, detto così la Sardegna è solo un luogo geografico, invaso da stranieri ed abitato da popolazioni di cui non si conosce neanche il nome. Questa festa è la rappresentazione plastica della vergogna di essere sardi, è la dichiarazione esplicita di subalternità.

D’altronde la giunta che governa l’isola è lo strumento della dipendenza da Roma e da Renzi. A questo punto non si può più neanche affermare che manchi una classe dirigente, perché esiste e lotta contro la Sardegna.

A noi che assistiamo attoniti ci resta solo una grande tristezza. Hic rodus, hic salta.
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Segretari e sottosegretari ai Segreti di Stato alla festa del Pd a Cagliari
di Carlo Melis

By sardegnasoprattutto / 30 settembre 2015/ Società & Politica/

Il titolo definisce la presenza di Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in quella che voleva essere la celebrazione del segretario regionale, del presidente della Regione, del sindaco di Cagliari: la Festa dell’Unità regionale. Presentata dal favore della stampa ma anche da spifferi significativi: ”Fibrillazioni dentro il Pd, si rompe il patto a quattro” o mal di pancia che “peseranno nel rimpasto in Giunta”.

Conclusione? Poca unità e poca festa. Dove sono gli arrosti di “sartizzu”, che irrobustiscono lo spirito di corpo e fanno tanto “compagno” alle feste dell’Unità? In continente piacciono ancora al “giglio magico” che le frequenta a beneficio dei social media. Ve lo immaginate l’attuale segretario del Pd sardo arrostire con in testa una bandana per ripararsi dal sole? O peggio operai e cassintegrati sentirsi compagni di chi a suo tempo (un secolo fa) la rivista Forbes inserì nella lista delle 100 persone più ricche del mondo.

Fu gioco facile sostenerlo come presidente della Regione. Convincenti e coinvolgenti i programmi e la sua giunta di centrosinistra. Lasciò persino il controllo della sua azienda. Oggi è segretario regionale del Pd, europarlamentare europeo, presidente e amministratore delegato di Tiscali, che ha incorporato la società Aria, che offre servizi wireless in modalità banda larga, di Riccardo Ruggiero, ex numero uno di Telecom Italia.

Tutto bene. Conforta infatti sapere che una società sarda si sia anche aggiudicata il maxi appalto della Consip da 2,4 miliardi per la realizzazione del sistema della connettività della Pubblica Amministrazione. Ma la domanda per un militante è: “Un imprenditore di successo così impegnato in operazioni di sviluppo industriale della propria azienda per produrre aumenti di fatturato e riduzione degli oneri finanziari capaci di consolidare l’occupazione, di che tempo e di quali energie dispone per occuparsi proficuamente delle questioni europee e, soprattutto, della gestione e della guida del Partito Democratico in Sardegna?”.

Risposta: di poco tempo e di poche energie. Uno sguardo ai disastrosi i risultati delle ultime amministrative in Sardegna per affermare che sono state una vera Caporetto per il Pd. In qualche comune – vedi Quartu Sant’Elena – non ha perso ma quel che è accaduto dopo rasenta il surreale. La latitanza della politica e di quella del Pd in particolare si registra drammaticamente anche nelle faccende regionali soprattutto nelle politiche relative al paesaggio, all’istruzione e alla cultura, all’industria e al lavoro. I cavalli di battaglia che furono dell’attuale segretario, ormai consegnato all’autocensura e alla solitudine. Si è visto alla kermesse cagliaritana. Che Partito democratico è quello della cosiddetta Festa dell’Unità regionale? Da chi è formato? Parafrasando un detto antico pare che il Pd sia formato da pocos y malunidos. Altro che riconoscersi nella ”comunità di destino” cara al segretario regionale, che teorizza il superamento della dicotomia capitale-lavoro.

Che dire dell’onorevole Luca Lotti, il fedelissimo sottosegretario renziano. Doveva essere il “pezzo forte”, il testimonial dell’autorevolezza che la Regione Sardegna esprime a Roma con il segretario del Pd e il presidente della Regione. Le sue fulminanti dichiarazioni?

– Patto per la Sardegna? Pronto fra qualche settimana. “Non posso dire di più perché se ne sta occupando il sottosegretario De Vincenti“.
– Scorie nucleari in Sardegna? ” Non posso né giurare né garantire nulla. Ma un po’ mi posso sbilanciare: questa cosa la Sardegna può anche evitarsela visto che ha dato e sta già dando tanto“,
– Piano città metropolitane? “C’e un Patto fra Governo e città metropolitane che coinvolgerà anche Cagliari. Contenuti ancora top secret: il Piano sarà svelato nelle prossime settimane“.

Da qui il nuovo titolo di “Sottosegretario ai Segreti di Stato”. Che verranno svelati, al premier piacendo, quando parrà opportuno al governo. Chi ricorda l’attuale segretario del Pd da presidente della Regione battersi contro il Governo “amico” Prodi e in particolare contro il ministro degli Affari Regionali Linda Lanzillotta sulla vicenda della cosiddetta tassa sul lusso: (“C’è qualcuno che vorrebbe cancellare la nostra autonomia, ma noi la difenderemo. E difenderemo questa legge, che è stata definita sul lusso ma è un semplice contributo per la tutela ambientale!”), non può che restare perplesso nel leggere le dichiarazioni della stessa persona oggi: “È comprensibile che il Sottosegretario Lotti non possa sbilanciarsi su questo tema (scorie nucleari), ma apprezziamo che abbia detto cose che noi stessi diciamo e che abbia sposato l’impostazione del nostro ragionamento“.

Parafrasando l’espressione attribuita a Voltaire: “Non siamo d’accordo con quello che direte di voler fare in Sardegna con le scorie nucleari, ma daremo la vita affinché possiate affermare ciò che noi stessi diciamo”.

Così è la politica, bellezza. Così piace a Renzi. Povera Sardegna, povero Pd sardo.

Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (12)

Poetto tramape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il dodicesimo raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21, il sesto del 23, il settimo del 24, l’ottavo del 25, il nono del 26, il decimo del 27, l’undicesimo del 29.
poettobel 1935Maddalena Perra
I casotti
La vita al Poetto durante le lunghe e calde estati cagliaritane anni ‘30.
La stagione balneare, che iniziava il 29 giugno in occasione della ricorrenza di San Pietro e Paolo e terminava il 30 settembre, prima della riapertura delle scuole era il periodo dell’anno più atteso da noi bambini degli anni ‘30.
I casotti diventavano, durante questa stagione, le seconde case di tantissime famiglie cagliaritane. – segue -

Oggi mercoledì 30 ultimo giorno di settembre, merculis 30 de cabudanni 2015

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- Ieri
29 settembre Equipe 84.

Le lotte delle donne di Sant’Elia contro la disgregazione: l’oratorio è del/per il quartiere e non è proprietà privata del parroco

Pisano su San'elia 1
Ne L’Unione Sarda di oggi Giorgio Pisano dedica la sua rubrica “Non ci sto” alle donne di Sant’Elia, precisamente alle donne del comitato S.Elia Viva, le quali nell’ambito della lotta in favore del loro quartiere chiedono la riapertura dell’oratorio parrocchiale. Il pezzo di Giorgio è molto efficace e non avrebbe bisogno di ulteriori commenti. Lo condividiamo oggi, ma da molto tempo ci muoviamo con lo stesso spirito che lo anima nell’appoggiare le iniziative delle donne di Sant’Elia. Nell’occasione ci piace ripubblicare un pertinente editoriale (Aladinews, 20 giugno scorso), che, crediamo, mantiene intatta la sua validità.
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selia2
ape-innovativadi Franco Meloni

Massimo Zedda, il Sindaco di Cagliari, ci deve essere rimasto molto male alla notizia che le donne di Sant’Elia, organizzate nell’associazione culturale S.Elia Viva, abbiano accusato la sua amministrazione di disinteressarsi dei problemi del quartiere. Andatevi a vedere e ad ascoltare i video-servizi de L’Unione Sarda e di CagliariPad, ripresi dalla nostra News, per rendervi conto di quanto siano pesanti le rimostranze di queste cittadine.
lungomare s.elia aladinewsMa come? - avrà pensato il Sindaco – e il lungomare, che è costato qualche milione di euro alle casse del Comune, non è nulla? Non è ancora finito, ma già in buona parte può essere fruito. Ci stiamo lavorando per completarlo. E poi abbiamo già mandato in appalto il porticciolo. Quello sì che sarà una vera figata!… Che ingrate queste donne di S.Elia!segue -

Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (11)


ape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi l’undicesimo raccontino (per la cronaca 2° classificato), dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21, il sesto del 23, il settimo del 24, l’ottavo del 25, il nono del 26, il decimo del 27.
Castello San Michele con stazione radioPaolo Secci
Una gita al colle di San Michele
Spensierata scolaresca di quinta elementare in gita sul colle di San Michele a Cagliari il 4 marzo 1958.
Io, Paolo, riguardando questa foto scattata nel lontano Marzo 1958, ricordo, con i miei compagni di classe, che il nostro maestro, signor Pili, ci portò a visitare il Castello di San Michele.
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Oggi martedì 29 settembre, martis 29 de cabudanni 2015

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29 settembre Equipe 84.

Treno veloce Cagliari-Sassari: e sono 430!

Alternative al vaglio dell’assessore
carro postale romano LLtreno veloce CA SS Abetta, abetta. E intanto sono 430 giorni!
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Autonomia e inclusione delle persone con disabilità visiva. Convegno a Cagliari

logo_advAutonomia e inclusione delle persone con disabilità visiva: barriere, ICT, sport
Venerdì 2 ottobre 2015 ore 10,00
Mediateca del Mediterraneo – via Mameli 164 – Cagliari
- La pagina fb dedicata.
Programma dei lavorisegue

si riprende il cammino

carro postale romano LL

FECISTI PATRIAM…
Il Carro del Servizio Postale romano.
Rilievo, ora murato, nella Chiesa di S. Maria Saal a Klagenfurt (Austria). Foto di Giovanni Dore (GD – amanti della storia romana).
carro postale romano LL Il servizio postale romano fu istituito da Augusto; era svolto in un primo momento da corrieri a cavallo cui si sostituivano in seguito carri. L’importanza di tale servizio nel controllo e nello sviluppo del territorio dell’impero è documentata dalla presenza nelle province di magistrati a questo addetti (praefecti vehiculorum).

Oggi lunedì 28 settembre 2015, lunis de cabudanni

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Terra, casa, lavoro e libertà per tutti

Papa e Obama'sPapa e Fidelsedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Una settimana da ricordare, qualcosa si muove nel vecchio mondo. Il Papa alla scoperta delle Americhe.

La settimana che si è appena conclusa sorvola appena la cronaca per entrare di diritto nei libri di storia. Soltanto gli storici infatti sapranno ricostruire, col tempo necessario, l’importanza politica delle vicende che si sono succedute in queste giornate così dense di avvenimenti tutti ugualmente memorabili. Si comincia con le vicende drammatiche dei migranti con un susseguirsi di azioni positive di accoglienza e tragici episodi di esclusione. Stati che cingono i loro confini con barriere e filo spinato con l’illusione di fermare un processo storico in atto – tanto straordinario quanto destinato a durare nel tempo – che vede svolgersi di fronte alle telecamere uno spostamento di esseri umani tra i paesi della guerra e della miseria e il continente europeo alla disperata ricerca di sicurezza, pace e un minimo di benessere. L’incontro di Bruxelles tra i capi di stato e di governo, dal quale ci si attendavano grandi risoluzioni si è rivelato un mezzo fallimento con i paesi europei impelagati nella discussione per stabilire come ripartire tra i paesi dell’Unione una quota esigua di migranti e sul come sconfiggere le resistenza dei paesi dell’est che vorrebbero ostacolare quella che considerano un’invasione e una minaccia per il loro territorio. Ancora si discute di come definire meglio la distinzione tra quei migranti che scappano da guerre in corso e coloro che invece sfuggono “soltanto” da fame, miseria e malattie che a parere di molti, forze progressiste e democratiche comprese, andrebbero comunque rimpatriati, cioè rimandati nell’inferno dal quale sono miracolosamente riusciti a scappare. In tale contesto “esplode” l’azione diplomatica, lo scossone internazionale rappresentato del viaggio di Papa Francesco in America. Inizio col botto con il viaggio a Cuba per ratificare l’operazione di nuovo confronto tra Cuba e Stati per la quale il Papa ha svolto un ruolo determinante. Significativo l’incontro con il vecchio leader Fidel Castro. Da Cuba, terminate le manifestazioni con straordinaria partecipazione di fedeli e non, il Papa, per la prima volta, arriva in America con un volo diretto dall’isola inaugurando di fatto una ripresa dei contati tra due mondi che si sono fatti la guerra per decenni. In America Francesco si presenta come pellegrino, come figlio di emigrati in un paese di figli di emigrati ad incontrare il presidente americano, anch’esso figlio di migranti. E qui l’uomo politico Francesco, il Papa che viene dal Sud America e viaggia con borsa e scarpe nere, mette a segno una serie di altri “colpi”. Il discorso al Congresso americano, la visita all’area delle Torri Gemelle con la preghiera insieme ai rappresentanti di tutte le religioni del mondo contro il terrorismo e la violenza, il discorso alle Nazioni Unite (che il nostro giornale pubblica integralmente nello spazio riservato agli editoriali) e l’incontro di Filadelfia con le famiglie. In tutte queste circostanze il Papa svolge una serie di interventi di grande spessore politico oltre che religioso sviluppando considerazioni, richieste e proposte che, nel loro insieme, costituiscono un manifesto politico per gli uomini di buona volontà di tutto il mondo. Un programma al quale non si può non aderire qualunque sia il proprio rapporto personale con la religione cattolica. Avremo modo di approfondire meglio i contenuti dei diversi interventi del Papa che ha parlato di accoglienza, di dialogo, di inclusione e confronto, di superamento dei conflitti di abolizione della pena di morte, di diritti civili e di libertà religiosa, di difesa dell’ambiente, senza troppa attenzione alle convenienze diplomatiche e parlando il linguaggio semplice e diretto che contraddistingue la Sua comunicazione. Ci piace al momento concludere con una sintesi efficace del suo pensiero: “Casa, lavoro, terra e libertà per tutti”.
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Le foto: le prime due in testa e l’ultima sono tratte dalla pagina fb di Giacomo Meloni (riprese da servizi televisivi), la terza in basso è dell’Osservatore Romano, tratta da La Repubblica online; infine, la quarta foto in basso è tratta da un servizio della Sala stampa del Vaticano.
Papa Radio Vaticana
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Papa Francesco all’Assemblea generale dell’Onu
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Signor Presidente, Signore e Signori,

ancora una volta, seguendo una tradizione della quale mi sento onorato, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato il Papa a rivolgersi a questa onorevole assemblea delle nazioni. A mio nome e a nome di tutta la comunità cattolica, Signor Ban Ki-moon, desidero esprimerLe la più sincera e cordiale riconoscenza; La ringrazio anche per le Sue gentili parole. Saluto inoltre i Capi di Stato e di Governo qui presenti, gli Ambasciatori, i diplomatici e i funzionari politici e tecnici che li accompagnano, il personale delle Nazioni Unite impegnato in questa 70. ma Sessione dell’Assemblea Generale, il personale di tutti i programmi e agenzie della famiglia dell’ONU e tutti coloro che in un modo o nell’altro partecipano a questa riunione. Tramite voi saluto anche i cittadini di tutte le nazioni rappresentate a questo incontro. Grazie per gli sforzi di tutti e di ciascuno per il bene dell’umanità.

Questa è la quinta volta che un Papa visita le Nazioni Unite. Lo hanno fatto i miei predecessori Paolo VI nel 1965, Giovanni Paolo II nel 1979 e nel 1995 e il mio immediato predecessore, oggi Papa emerito Benedetto XVI, nel 2008. Tutti costoro non hanno risparmiato espressioni di riconoscimento per l’Organizzazione, considerandola la risposta giuridica e politica adeguata al momento storico, caratterizzato dal superamento delle distanze e delle frontiere ad opera della tecnologia e, apparentemente, di qualsiasi limite naturale all’affermazione del potere. Una risposta imprescindibile dal momento che il potere tecnologico, nelle mani di ideologie nazionalistiche o falsamente universalistiche, è capace di produrre tremende atrocità. Non posso che associarmi all’apprezzamento dei miei predecessori, riaffermando l’importanza che la Chiesa Cattolica riconosce a questa istituzione e le speranze che ripone nelle sue attività.

La storia della comunità organizzata degli Stati, rappresentata dalle Nazioni Unite, che festeggia in questi giorni il suo 70° anniversario, è una storia di importanti successi comuni, in un periodo di inusitata accelerazione degli avvenimenti. Senza pretendere di essere esaustivo, si può menzionare la codificazione e lo sviluppo del diritto internazionale, la costruzione della normativa internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del diritto umanitario, la soluzione di molti conflitti e operazioni di pace e di riconciliazione, e tante altre acquisizioni in tutti i settori della proiezione internazionale delle attività umane. Tutte queste realizzazioni sono luci che contrastano l’oscurità del disordine causato dalle ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi. È sicuro che, benché siano molti i gravi problemi non risolti, è però evidente che se fosse mancata tutta quell’attività internazionale, l’umanità avrebbe potuto non sopravvivere all’uso incontrollato delle sue stesse potenzialità. Ciascuno di questi progressi politici, giuridici e tecnici rappresenta un percorso di concretizzazione dell’ideale della fraternità umana e un mezzo per la sua maggiore realizzazione.

Rendo perciò omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito con lealtà e sacrificio l’intera umanità in questi 70 anni. In particolare, desidero ricordare oggi coloro che hanno dato la loro vita per la pace e la riconciliazione dei popoli, a partire da Dag Hammarskjöld fino ai moltissimi funzionari di ogni grado, caduti nelle missioni umanitarie di pace e di riconciliazione.

L’esperienza di questi 70 anni, al di là di tutto quanto è stato conseguito, dimostra che la riforma e l’adattamento ai tempi sono sempre necessari, progredendo verso l’obiettivo finale di concedere a tutti i Paesi, senza eccezione, una partecipazione e un’incidenza reale ed equa nelle decisioni. Tale necessità di una maggiore equità, vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per affrontare le crisi economiche. Questo aiuterà a limitare qualsiasi sorta di abuso o usura specialmente nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Gli organismi finanziari internazionali devono vigilare in ordine allo sviluppo sostenibile dei Paesi e per evitare l’asfissiante sottomissione di tali Paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottomettono le popolazioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza.

Il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. In questo contesto, è opportuno ricordare che la limitazione del potere è un’idea implicita nel concetto di diritto. Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere. Oggi il panorama mondiale ci presenta, tuttavia, molti falsi diritti, e – nello stesso tempo – ampi settori senza protezione, vittime piuttosto di un cattivo esercizio del potere: l’ambiente naturale e il vasto mondo di donne e uomini esclusi. Due settori intimamente uniti tra loro, che le relazioni politiche ed economiche preponderanti hanno trasformato in parti fragili della realtà. Per questo è necessario affermare con forza i loro diritti, consolidando la protezione dell’ambiente e ponendo termine all’esclusione.

Anzitutto occorre affermare che esiste un vero “diritto dell’ambiente” per una duplice ragione. In primo luogo perché come esseri umani facciamo parte dell’ambiente. Viviamo in comunione con esso, perché l’ambiente stesso comporta limiti etici che l’azione umana deve riconoscere e rispettare. L’uomo, anche quando è dotato di “capacità senza precedenti” che “mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico” (Enc. Laudato sì, 81), è al tempo stesso una porzione di tale ambiente. Possiede un corpo formato da elementi fisici, chimici e biologici, e può sopravvivere e svilupparsi solamente se l’ambiente ecologico gli è favorevole. Qualsiasi danno all’ambiente, pertanto, è un danno all’umanità. In secondo luogo, perché ciascuna creatura, specialmente gli esseri viventi, ha un valore in sé stessa, di esistenza, di vita, di bellezza e di interdipendenza con le altre creature. Noi cristiani, insieme alle altre religioni monoteiste, crediamo che l’universo proviene da una decisione d’amore del Creatore, che permette all’uomo di servirsi rispettosamente della creazione per il bene dei suoi simili e per la gloria del Creatore, senza però abusarne e tanto meno essendo autorizzato a distruggerla. Per tutte le credenze religiose l’ambiente è un bene fondamentale (cfr ibid., 81).

L’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati ad un inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili, sia per il fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono privi delle conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono un’insufficiente capacità di decisione politica. L’esclusione economica e sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che soffrono maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente consolidata “cultura dello scarto”.
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La drammaticità di tutta questa situazione di esclusione e di inequità, con le sue chiare conseguenze, mi porta, insieme a tutto il popolo cristiano e a tanti altri, a prendere coscienza anche della mia grave responsabilità al riguardo, per cui alzo la mia voce, insieme a quella di tutti coloro che aspirano a soluzioni urgenti ed efficaci. L’adozione dell’“Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” durante il Vertice mondiale che inizierà oggi stesso, è un importante segno di speranza. Confido anche che la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico raggiunga accordi fondamentali ed effettivi.

Non sono sufficienti, tuttavia, gli impegni assunti solennemente, anche quando costituiscono un passo necessario verso la soluzione dei problemi. La definizione classica di giustizia alla quale ho fatto riferimento anteriormente contiene come elemento essenziale una volontà costante e perpetua: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. È tale l’ordine di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze. Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi flagelli.

La molteplicità e complessità dei problemi richiede di avvalersi di strumenti tecnici di misurazione. Questo, però, comporta un duplice pericolo: limitarsi all’esercizio burocratico di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi – mete, obiettivi e indicatori statistici – , o credere che un’unica soluzione teorica e aprioristica darà risposta a tutte le sfide. Non bisogna perdere di vista, in nessun momento, che l’azione politica ed economica, è efficace solo quando è concepita come un’attività prudenziale, guidata da un concetto perenne di giustizia e che tiene sempre presente che, prima e aldilà di piani e programmi, ci sono donne e uomini concreti, uguali ai governanti, che vivono, lottano e soffrono, e che molte volte si vedono obbligati a vivere miseramente, privati di qualsiasi diritto.

Affinché questi uomini e donne concreti possano sottrarsi alla povertà estrema, bisogna consentire loro di essere degni attori del loro stesso destino. Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana non possono essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno, da ciascuna famiglia, in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la socialità umana – amici, comunità, villaggi e comuni, scuole, imprese e sindacati, province, nazioni, ecc. Questo suppone ed esige il diritto all’istruzione – anche per le bambine (escluse in alcuni luoghi) – che si assicura in primo luogo rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare e il diritto delle Chiese e delle altre aggregazioni sociali a sostenere e collaborare con le famiglie nell’educazione delle loro figlie e dei loro figli. L’educazione, così concepita, è la base per la realizzazione dell’Agenda 2030 e per il risanamento dell’ambiente.

Al tempo stesso, i governanti devono fare tutto il possibile affinché tutti possano disporre della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale. Questo minimo assoluto, a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà dello spirito, che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e gli altri diritti civili.

Per tutte queste ragioni, la misura e l’indicatore più semplice e adeguato dell’adempimento della nuova Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pratico e immeditato, per tutti, ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in generale, libertà dello spirito ed educazione. Nello stesso tempo, questi pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita, e, in senso ancora più ampio, quello che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura umana.

La crisi ecologica, insieme alla distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana. Le nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente dall’ambizione di guadagno e di potere, devono costituire un appello a una severa riflessione sull’uomo: “L’uomo non si crea da solo. È spirito e volontà, però anche natura” (Benedetto XVI, Discorso al Parlamento della Repubblica Federale di Germania, 22 settembre 2011; citato in Enc. Laudato sì, 6). La creazione si vede pregiudicata “dove noi stessi siamo l’ultima istanza [...]. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi” (Id., Incontro con il Clero della Diocesi di Bolzano-Bressanone, 6 agosto 2008, citato ibid.). Perciò, la difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione esigono il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna (cfr Enc. Laudato sì, 155) e il rispetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni (cfr ibid., 123; 136).

Senza il riconoscimento di alcuni limiti etici naturali insormontabili e senza l’immediata attuazione di quei pilastri dello sviluppo umano integrale, l’ideale di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” (Carta delle Nazioni Unite, Preambolo) e di “promuovere il progresso sociale e un più elevato livello di vita all’interno di una più ampia libertà” (ibid.) corre il rischio di diventare un miraggio irraggiungibile o, peggio ancora, parole vuote che servono come scusa per qualsiasi abuso e corruzione, o per promuovere una colonizzazione ideologica mediante l’imposizione di modelli e stili di vita anomali estranei all’identità dei popoli e, in ultima analisi, irresponsabili.

La guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli.

A tal fine bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale. L’esperienza dei 70 anni di esistenza delle Nazioni Unite, in generale, e in particolare l’esperienza dei primi 15 anni del terzo millennio, mostrano tanto l’efficacia della piena applicazione delle norme internazionali come l’inefficacia del loro mancato adempimento. Se si rispetta e si applica la Carta delle Nazioni Unite con trasparenza e sincerità, senza secondi fini, come un punto di riferimento obbligatorio di giustizia e non come uno strumento per mascherare intenzioni ambigue, si ottengono risultati di pace. Quando, al contrario, si confonde la norma con un semplice strumento da utilizzare quando risulta favorevole e da eludere quando non lo è, si apre un vero vaso di Pandora di forze incontrollabili, che danneggiano gravemente le popolazioni inermi, l’ambiente culturale, e anche l’ambiente biologico.

Il Preambolo e il primo articolo della Carta delle Nazioni Unite indicano le fondamenta della costruzione giuridica internazionale: la pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra le nazioni. Contrasta fortemente con queste affermazioni, e le nega nella pratica, la tendenza sempre presente alla proliferazione delle armi, specialmente quelle di distruzione di massa come possono essere quelle nucleari. Un’etica e un diritto basati sulla minaccia della distruzione reciproca – e potenzialmente di tutta l’umanità – sono contraddittori e costituiscono una frode verso tutta la costruzione delle Nazioni Unite, che diventerebbero “Nazioni unite dalla paura e dalla sfiducia”. Occorre impegnarsi per un mondo senza armi nucleari, applicando pienamente il Trattato di non proliferazione, nella lettera e nello spirito, verso una totale proibizione di questi strumenti.
Il recente accordo sulla questione nucleare in una regione sensibile dell’Asia e del Medio Oriente, è una prova delle possibilità della buona volontà politica e del diritto, coltivati con sincerità, pazienza e costanza. Formulo i miei voti perché questo accordo sia duraturo ed efficace e dia i frutti sperati con la collaborazione di tutte le parti coinvolte.

In tal senso, non mancano gravi prove delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale. Per questo, seppure desiderando di non avere la necessità di farlo, non posso non reiterare i miei ripetuti appelli in relazione alla dolorosa situazione di tutto il Medio Oriente, del Nord Africa e di altri Paesi africani, dove i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria che non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati ad essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati posti nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla pace con la loro stessa vita o con la schiavitù.

Queste realtà devono costituire un serio appello ad un esame di coscienza di coloro che hanno la responsabilità della conduzione degli affari internazionali. Non solo nei casi di persecuzione religiosa o culturale, ma in ogni situazione di conflitto, come in Ucraina, in Siria, in Iraq, in Libia, nel Sud-Sudan e nella regione dei Grandi Laghi, prima degli interessi di parte, pur se legittimi, ci sono volti concreti. Nelle guerre e nei conflitti ci sono persone, nostri fratelli e sorelle, uomini e donne, giovani e anziani, bambini e bambine che piangono, soffrono e muoiono. Esseri umani che diventano materiale di scarto mentre non si fa altro che enumerare problemi, strategie e discussioni.

Come ho chiesto al Segretario Generale delle Nazioni Unite nella mia lettera del 9 agosto 2014, “la più elementare comprensione della dignità umana [obbliga] la comunità internazionale, in particolare attraverso le norme e i meccanismi del diritto internazionale, a fare tutto il possibile per fermare e prevenire ulteriori sistematiche violenze contro le minoranze etniche e religiose” e per proteggere le popolazioni innocenti.

In questa medesima linea vorrei citare un altro tipo di conflittualità, non sempre così esplicitata ma che silenziosamente comporta la morte di milioni di persone. Molte delle nostre società vivono un altro tipo di guerra con il fenomeno del narcotraffico. Una guerra “sopportata” e debolmente combattuta. Il narcotraffico per sua stessa natura si accompagna alla tratta delle persone, al riciclaggio di denaro, al traffico di armi, allo sfruttamento infantile e al altre forme di corruzione. Corruzione che è penetrata nei diversi livelli della vita sociale, politica, militare, artistica e religiosa, generando, in molti casi, una struttura parallela che mette in pericolo la credibilità delle nostre istituzioni.

Ho iniziato questo intervento ricordando le visite dei miei predecessori. Ora vorrei, in modo particolare, che le mie parole fossero come una continuazione delle parole finali del discorso di Paolo VI, pronunciate quasi esattamente 50 anni or sono, ma di perenne valore. “È l’ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi [...] si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo [poiché] il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità” (Discorso ai Rappresentanti degli Stati, 4 ottobre 1965). Tra le altre cose, senza dubbio, la genialità umana, ben applicata, aiuterà a risolvere le gravi sfide del degrado ecologico e dell’esclusione. Proseguo con le parole di Paolo VI: “Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste!” (ibid.).

La casa comune di tutti gli uomini deve continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica. La casa comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di una certa sacralità della natura creata.

Tale comprensione e rispetto esigono un grado superiore di saggezza, che accetti la trascendenza, rinunci alla costruzione di una élite onnipotente e comprenda che il senso pieno della vita individuale e collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune. Ripetendo le parole di Paolo VI, “l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo” (ibid.).

Il Gaucho Martin Fierro, un classico della letteratura della mia terra natale, canta: “I fratelli siano uniti perché questa è la prima legge. Abbiano una vera unione in qualsiasi tempo, perché se litigano tra di loro li divoreranno quelli di fuori”.

Il mondo contemporaneo apparentemente connesso, sperimenta una crescente e consistente e continua frammentazione sociale che pone in pericolo “ogni fondamento della vita sociale” e pertanto “finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi” (Enc. Laudato sì, 229).

Il tempo presente ci invita a privilegiare azioni che possano generare nuovi dinamismi nella società e che portino frutto in importanti e positivi avvenimenti storici (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 223).

Non possiamo permetterci di rimandare “alcune agende” al futuro. Il futuro ci chiede decisioni critiche e globali di fronte ai conflitti mondiali che aumentano il numero degli esclusi e dei bisognosi.

La lodevole costruzione giuridica internazionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e di tutte le sue realizzazioni, migliorabile come qualunque altra opera umana e, al tempo stesso, necessaria, può essere pegno di un futuro sicuro e felice per le generazioni future. Lo sarà se i rappresentanti degli Stati sapranno mettere da parte interessi settoriali e ideologie e cercare sinceramente il servizio del bene comune. Chiedo a Dio Onnipotente che sia così, e vi assicuro il mio appoggio, la mia preghiera e l’appoggio e le preghiere di tutti i fedeli della Chiesa Cattolica, affinché questa Istituzione, tutti i suoi Stati membri e ciascuno dei suoi funzionari, renda sempre un servizio efficace all’umanità, un servizio rispettoso della diversità e che sappia potenziare, per il bene comune, il meglio di ciascun popolo e di ciascun cittadino.

La benedizione dell’Altissimo, la pace e la prosperità a tutti voi e a tutti i vostri popoli. Grazie.
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Papa e senzatetto
papa Francesco ONU
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- Rif. Sala stampa Vaticano

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