Monthly Archives: febbraio 2018

Elezioni

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Elezioni, programmi a confronto
(Materiali tratti dai siti web dei Partiti/Liste e da sintesi fornite da L’Unione Sarda online)
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Oggi mercoledì 28 febbraio 2018

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logo_slo_qRitorno al territorio. Le istituzioni per lo sviluppo locale
28 Febbraio 2018
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Internazionale

img_4865Il “Trimarium” è estraneo allo spirito dell’Unione Europea

Gianfranco Sabattini*

In seguito alla caduta di Napoleone, l‘ordine europeo deciso al Congresso di Vienna è entrato in crisi all’inizio del XX secolo, dopo il crollo degli imperi asburgico, tedesco e russo. Le guerre che hanno caratterizzato gran parte del secolo (la Grande guerra, la Seconda guerra mondiale e la Guerra fredda) non sono valse a prefigurare un nuovo ordine, in quanto, sebbene siano state tutte vissute dalle potenze che vi hanno partecipato per acquisire una posizione egemonica sul Vecchio Continente, si sono chiuse per armistizio, senza che venisse formalizzato un nuovo accordo tra vincitori e vinti.
Gli USA e l’Unione Sovietica dal 1945 al 1991 hanno gestito una pace armistiziale con la costruzione di due Europe, risultate – come afferma l’Editoriale di Limes (n. 12/2917) – “specularmene opposte, dunque strategicamente asimmetriche”; di esse, la Cortina di ferro, che correva da Stettino a Trieste, è stata la linea di divisione.
Il crollo dell’URSS ha messo in discussione la bipartizione europea seguita alla fine del secondo conflitto mondiale, facendo nascere, con l’inclusione dei Paesi dell’Europa orientale, una nuova Europa, con “una sempre più esigue zona grigia a separarla dai confini della Russia occidentale”. In tal modo, gli ex Stati comunitari dell’Est europeo, che si erano liberati dal giogo sovietico, sono venuti a trovarsi a vivere all’interno di una nuova comunità politica indeterminata, senza un centro di riferimento; ciò perché, delle due potenze che si erano spartite l’Europa del secondo dopoguerra, la Russia aveva “subito tali amputazioni da metterne in crisi lo stigma imperiale”, mentre gli Stati Uniti, “primattori mondiali, perciò anche europei”, vinte le guerra (due calde e una fredda), hanno considerato preminente il teatro indo-sino-pacifico. Nel contempo, l’altro potenziale protagonista, cui francesi, inglesi, italiani e altri popoli europei attribuivano l’intento di “farsi egemone continentale, la Germania riunita”, ha affermato di non disporre “delle risorse culturali e strategiche necessarie a tradurre la sua centralità geoeconomica in potenza a tutto tondo”.
La situazione di stallo che ha pesato sul futuro dell’Unione Europea ha suscitato in Polonia e nei Paesi baltici il timore (non senza fondamento) di una possibile alleanza, anche se solo sul piano economico, tra Germania e Russia; ciò ha indotto i Paesi dell’Europa orientale a prendere delle iniziative volte ad azzerare la possibilità che la possibile alleanza possa avere luogo, dando vita al “Trimarium”. E’ questo un patto che raggruppa dodici Paesi, che dal Mar Baltico arrivano fino al Mar Nero e, con Croazia e Slovenia, toccano l’Adriatico. Gli Stati coinvolti sono la Polonia, che è la capofila dell’accordo, l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, i tre Stati baltici, la Bulgaria, la Slovenia, la Romania, poi la Croazia e l’Austria. Si tratta di un insieme di territori che divide di nuovo in due l’attuale Unione Europea, frapponendosi tra l’Europa occidentale e la Russia.
Il Trimarium non è tuttavia un’iniziativa nuova; nel 1920, il maresciallo polacco Pilsudsky, aveva lanciato l’idea che si dovesse costituire una “cintura” di Paesi strettamente alleati, allo scopo di separare fisicamente la Russia dalla Germania, entrambe percepite come Paesi aggressivi e invadenti. La linea di separazione era stata chiamata “Intermarium” e la si era pensata estendersi dal Mar Baltico al Mar Nero; l’Intermarium era stato quindi concepito come una difesa comune e, anche allora, lo scopo era di impedire ogni possibile avvicinamento tra la Russia e l’Europa occidentale.
Secondo i suoi promotori, invece, l’unico scopo del Trimarium sarebbe di natura economica e mirerebbe a costruire nuove infrastrutture logistiche tra gli Stati partecipanti, consolidando la loro reciproca cooperazione; il Trimrium perciò non avrebbe alcuna valenza geopolitica. Sebbene si parli anche di rafforzamento della “sicurezza”, non è specificato in quale modo questa finalità possa essere perseguita. Tuttavia, indipendentemente dalle affermazioni dei rappresentanti dei Paesi coinvolti, basta avere presente il senso dei tentativi trascorsi per cogliere anche i significati più reconditi dei promotori della nuova iniziativa.
Il progetto, secondo Przemysław Żurawski vel Grajewski, coordinatore della sezione difesa e politica del Consiglio nazionale di sviluppo della presidenza della Repubblica di Polonia e consulente del Ministero degli esteri polacco, in “La nuova Europa longitudinale: il Trimarium visto dalla Polonia” (Limes n. 12/2017), “si delinea su due dimensioni – le infrastrutture dei trasporti e quelle energetiche – e ha carattere puramente economico”. Il suo successo, secondo il consulente polacco, sarebbe legato al fatto che tutti i Paesi coinvolti fanno parte dell’Unione Europea, il cui obiettivo sul piano politico non può che essere perciò quello di “approfondire la cooperazione settoriale e rafforzare la coesione fra gli Stati del fianco orientale della UE”; ciò al fine di “sviluppare legami economici e personali fra i Paesi dell’Europa centro-orientale, per rendere questi ultimi creatori attivi del processo di integrazione europea, non meri consumatori di idee e progetti provenienti dal nucleo dell’Unione”.
Secondo Przemysław Żurawski vel Grajewski, il primo obiettivo del Trimarium consisterebbe nel potenziamento delle infrastrutture dei trasporti, in considerazione del fatto che, soprattutto nell’ultimo decennio, sarebbero state potenziate le vie di collegamento fra l’Est e l’Ovest dell’Europa e trascurate quelle Nord-Sud. Il secondo obiettivo sarebbe l’approfondimento della cooperazione nel settore energetico, al fine di realizzare una risposta efficace alla “sfida posta dalla Russia, evidente nelle cosiddette guerre del gas fra Mosca e Kiev [...], accompagnate dall’aggressione militare russa a partire dal 2014”. Per sventare un simile pericolo, ai danni soprattutto dei Paesi baltici e della Polonia, la contromisura “dell’iniziativa dei Tre Mari è incarnata nel corridoio Nord-Sud che punta a collegare il già esistente terminal di gas naturale liquido di Świnoujście sulla costa baltica a quello pianificato sull’isola croata di Krk nel Mar Adriatico”.
Il Timarium sarebbe quindi la risposta concreta al “Nord Stream 2” (il nuovo impianto per il trasporto del gas, che dovrà collegare la Russia all’Europa attraverso il Mar baltico, in aggiunta al “Nord Stream 1”), che accomuna tutti i Paesi aderenti, in quanto ognuno di essi teme – secondo Przemysław Żurawski vel Grajewski – il dominio russo, percependo l’”esportazione del gas come strumento della politica estera del Cremino”; essi, perciò, sono contrari alla realizzazione del nuovo impianto, così come lo erano a quella del primo.
Nel complesso, stando alle parole del coordinatore della sezione difesa e politica del consiglio nazionale di sviluppo della presidenza della Repubblica di Polonia, l’iniziativa dei Tre Mari non punterebbe a sostituirsi alla UE, in quanto non sarebbe “stata creata contro qualcuno o qualcosa, ma per promuovere la cooperazione regionale”. Anche se focalizzata, per il momento, solo sulle infrastrutture di trasporto ed energetiche, il Trimarium potrebbe anche concorrere a “rafforzare le relazioni transatlantiche, attirando le forniture di gnl [gas naturale liquefatto] dagli Stati Uniti”.
Tuttavia, a parere di Alessandro Vitale (”It’s the economy, Putin. Il Trimarium visto dai baltici”, Limes n. 12/2017), pur rispondendo a esigenze reali di diversificazione delle politiche e di una più stretta cooperazione, finalizzata a una maggiore integrazione regionale, il Trimarium sarebbe però “dominato dalla politica estera polacca, in quanto percepito come “condizionato dalle strategie geopolitiche di Varsavia”. La strategia della Polonia, molto prudente all’indomani del crollo dell’ex URSS, secondo Vitale, verrebbe oggi riproposta con maggior vigore dall’insieme dei Paesi di Visegrad (il gruppo originario, costituito da Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia, allo scopo di stabilire e rafforzare la cooperazione per promuovere la loro integrazione unitaria nell’Unione europea), dai Paesi baltici e da quelli balcanici, tutti membri dell’Unione, preoccupati, oltre che dell’aggressività della Russia, anche del pericolo identificato “nello sforzo del Cremlino volto a minare la coesione euro-occidentale per ottenere concessioni e vantaggi strategici in Europa orientale”.
Per queste ragioni, sono in molti coloro che sottolineano come, in realtà, le iniziative dei Paesi della fascia orientale dell’Europa, sebbene i commentatori polacchi affermino che il Trimarium risponde a solo finalità economiche, corrispondano ad un disegno strategico avente finalità difensive; fatto, questo, che induce i critici a nutrire perplessità sulla plausibilità dell’attivismo dei Paesi coinvolti, in quanto, trattandosi di membri dell’Unione Europea, avrebbero dovuto fare ricorso alle previste procedure di “cooperazione rafforzata”, anziché procedere autonomamente al di fuori delle istituzioni comunitarie. Un altro aspetto anomalo del Trimarium è rinvenuto nel fatto che molti dei Paesi che vi aderiscono siano gli stessi che rifiutano di accettare le direttive UE sul governo dei flussi dei migranti; su questo specifico argomento, è proprio la Polonia ad essere la più intransigente, dimentica della solidarietà prestatale da molti Paesi dell’Europa occidentale (tra i quali l’Italia), della quale essa ha potuto disporre nella sua lotta contro il domino sovietico. Viene da pensare che persino le ossa di Papa Wojtyla starebbero ribellandosi al comportamento attuale, riguardo all’argomento dei migranti, da parte del Paese sacro al suo cuore.
L’accordo del Trimarium, non essendo stato concordato con l’UE, è percepito dai critici, se non proprio come un atto ostile all’Europa, come un accordo politico estraneo alla strategia dell’Unione e sicuramente dannoso per alcuni Paesi fedeli al progetto dell’unificazione politica del Vecchio Continente (fra essi vi è a anche l‘Italia).
A parere di Germano Dottori (“Il Trimarium danneggia l’Italia”, in Limes n. 12/2017), il Trimarium rappresenta, per il nostro Paese, “una sfida di tipo nuovo. Per quanto i sui principali promotori si affannino a ripetere che il nuovo format non è una riformulazione del progetto dell’Intermarium e non veicola alcuna particolare velleità geopolitica, concentrandosi prevalentemente sulle infrastrutture dei Paesi partecipanti, in realtà le implicazioni rilevanti dal punto di vista strategico e della sicurezza non mancano. Facendo della Polonia sul Baltico, della Romania sul Mar Nero e della Croazia sull’Adriatico i suoi perni, l’iniziativa dei Tre Mari pare in effetti puntare alla riconfigurazione dell’intera architettura interna dei flussi commerciali europei. Tagliandone fuori la Germania, ma non l’Austria, quanto l’Italia, che in questa fase ha scelto di essere tra gli alleati più fedeli di Berlino”.
Poiché la mancanza dell’unità politica dell’Europa è la grande debolezza che il Vecchio Continente si trova attualmente a dover gestire, è comprensibile che ognuno dei Paesi membri prenda iniziative per sollecitare l’accelerazione del processo di unificazione politica dell’Europa. Non è però accettabile che un gruppo di Paesi membri conduca una politica internazionale indipendentemente dagli altri, guardandosi bene dal rinunciare alle risorse che gli vengono trasferite per tutt’altro scopo. I Paesi dell’Europa Centro-Orientale si stanno rivelando degli incalliti sovranisti che – afferma Dottori – “guardano in effetti all’Europa solo come a una cornice entro cui perfezionare la costruzione della loro indipendenza nazionale”, per cui è inevitabile che la scelta di promuovere l’iniziativa dei Tre Mari sia percepita come l’indizio della “volontà dei suoi promotori di costruire un controaltare”, destinato, se non contrastato, a riservare ai restanti membri dell’UE possibili amare sorprese, come quella, ad esempio, di favorire la politica dell’America di Trump contro la Germania, nel momento stesso in cui si invoca un maggiore impegno di Berlino per il rilancio del processo di unificazione politica dell’Europa.
Bene quindi ha fatto l’Italia se, come rivelano recenti fonti diplomatiche, ha chiesto la riunione del gruppo “Med 7” (comprendente Francia, Italia, Spagna, Grecia, Malta, Cipro e anche Portogallo) per concordare le decisioni di riforma che nei prossimi mesi dovranno essere assunte per il completamento dell’Unione monetaria, essenziale per rilanciare l’economia del Vecchio Continente e con essa del processo di unificazione politica dell’Europa. Decisione saggia quella assunta dalla diplomazia italiana, soprattutto se si pensa che in questo momento è d’uopo supplire all’assenza di attenzione per i fatti europei da parte di una classe politica impegnata in tutt’altre faccende, al punto di trascurare gli atti ostili portati contro la realizzazione dell’”edificio politico comune”, il solo che, in prospettiva, potrà costituire una valida garanzia per il nostro futuro.
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*Anche su Avanti online.
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Oggi martedì 27 febbraio 2018

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Lussu di Foiso FoisEmilio Lussu ieri si è rivoltato nella tomba, irritato!
27 Febbraio 2018

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Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Qui ad Atene noi facciamo così.

pericle-schema-riassuntivo_2206045ECCO IL DISCORSO INTEGRALE DI PERICLE AGLI ATENIESI
23/06/2017
di Pino Pignatta

Pubblichiamo integralmente – riprendendolo da Famiglia Cristiana online, autore Pino Pignatta – il celebre discorso di Pericle, politico, oratore e militare ateniese, rivolto ai suoi concittadini sul tema della democrazia. Un discorso tenuto in commemorazione dei caduti del primo anno della guerra del Pelopponeso (431 a.C.), riportato (o ricostruito) da Tucidide.

E’ stato osservato da alcuni studiosi che si tratta, evidentemente, da parte di Pericle, di una idealizzazione estrema del concetto di democrazia, lontana dall’applicazione reale della politica concreta. Tuttavia, l’appello dello scrittore Camilleri agli studenti liceali, di «costruirvi il futuro, di rifare la politica, perché voi siete giovani e potete permettervelo», è splendidamente sottolineato dall’invito di Pericle alla moralizzazione della politica stessa, per cui «un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private».

Di particolare interesse e modernità anche la riflessione finale di Pericle che parlando di Atene, che in quel momento storico esercita un’egemonia incontrastata nel mondo greco e non solo, ricorda «che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero», a differenza invece invece di quanti oggi, tanti, troppi, anche tra i cattolici, auspicano nei confronti delle nuove migrazioni, in aperto contrasto con la lettera del Vangelo.

Pericle, discorso agli Ateniesi, 431 a.C.
Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.
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Gli editoriali di Aladinews

lampadadialadmicromicro132Goya il sonno della ragione Sami Naïr, docente di Scienze Politiche e Direttore del Centro mediterraneo Andalusí dell’Università di Siviglia, ha tenuto di recente all’Università di Cagliari una “lectio magistralis” sul tema “Le migrazioni guardano al futuro. La teoria del cosviluppo”, organizzata da Sucania – Associazione di Cooperazione Internazionale, in collaborazione con il Centro Studi di Relazioni Industriali dell’Università di Cagliari e con la Fondazione Anna Ruggiu onlus. Nell’ambito del progetto: Verso la parità di genere: donne nella storia, nelle istituzioni, nel diritto e nella società. X Corso di Educazione alla Solidarietà Internazionale “Le migrazioni: Una prospettiva interculturale ed interdisciplinare”.
Di seguito riportiamo una sua riflessione – tratta dal blog elpulsodelmundo.com del quotidiano spagnolo EL PAÍS - sul preoccupante fenomeno del razzismo che ha ripreso virulenza in tutta Europa, riportandoci alle tristi, terribili, tragiche vicende del nazi-fascismo.
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Vuelve la peste
La democracia camina al borde del abismo. El bacilo del racismo amenaza por doquier
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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA OGGI IN VISITA A CAGLIARI PER I 70 ANNI DELLO STATUTO SARDO 26 FEBBRAIO 1948 – 26 FEBBRAIO 2018.

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LETTERA APERTA AL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA OGGI IN VISITA A CAGLIARI PER I 70 ANNI
DELLO STATUTO SARDO 26 FEBBRAIO 1948-26 FEBBRAIO 2018
SIG. PRESIDENTE DELLA REPPUBLICA ON. SERGIO MATTARELLA

Benibeniu, Benvenuto, Signor Presidente a Cagliari, capitale dell’Isola di Sardegna, che nell’immaginario collettivo di molti di noi sardi vorremmo capitale della Nazione Sarda dentro un contesto federale della Repubblica Italiana in una Europa dei Popoli. Vorremmo sottoporle alcune problematiche presenti nella nostra isola, di cui difficilmente sentirà parlare nei discorsi ufficiali dei Rappresentanti delle Istituzioni Regionali poiché il rigido protocollo e la brevità della Sua visita non prevede la possibilità di interventi non programmati.
1.LA SARDEGNA E’ OCCUPATA MILITARMENTE da poligoni e basi militari in una percentuale (66%) altissima di suolo pubblico vincolato a servitù militare oltre ogni misura e legalità. Ciò nuoce allo sviluppo della nostra economia in particolare al turismo, all’agricoltura ed all’allevamento. Le recenti conclusioni della Commissione Parlamentare sulla presenza dell’uranio impoverito utilizzato negli armamenti nei poligoni sardi hanno acclarato che non si può escludere un nesso di causalità sui numerosi casi di tumori verificatesi nell’arco di un lungo periodo fino ai nostri giorni sui militari e sulla popolazione civile dei territori interessati dalla presenza delle basi.
2.IN SARDEGNA VI E’ UNA FABBRICA DI BOMBE, la RWM Italia SpA di Domusnovas/Iglesias controllata al 100% dal Gruppo tedesco Rheinmetall, i cui ordigni transitano sul territorio italiano e vengono venduti all’ Arabia Saudita (21 mila bombe nel 2016 ) che li utilizza contro la popolazione inerme dello Yemen, distruggendo città e paesi dove vengono uccisi centinaia di migliaia di civili tra cui numerosissime donne e bambini. Tutto ciò in aperta violazione dell’art.11 della nostra Costituzione -“l’Italia ripudia la guerra”, mentre è al sesto posto della classifica mondiale (fonte Milocca/Milena Libera) degli stati che producono e vendono armi( nel 2016 ha raggiunto i 14,6 miliardi, una crescita dell’85,7% rispetto al 2015 ),e della Legge Italiana Nr.185 del 1990 che vieta espressamente la vendita di armi a Paesi belligeranti, prevedendo inoltre che lo Stato intervenga concretamente nella riconversione delle fabbriche d’armi, come auspicato dal Comitato sardo per la Riconversione della Fabbrica di Domusnovas, divenuto un caso nazionale ed internazionale oggetto di numerose interrogazioni parlamentari ,di una Commissione d’inchiesta del Consiglio dei diritti umani dell’ONU e di ben tre deliberazioni della Commissione Europea. La Sardegna è un’isola di Pace ed i suoi abitanti ripudiano tutte le guerre ovunque nel mondo e sono aperti all’accoglienza ed inclusione di chi fugge dalle guerre, dalle dittature e dalla miseria. La Città di Cagliari è Medaglia d’oro al valore civile e proprio nel mese di febbraio del 1943- di cui quest’anno ricorre il 75.mo anniversario – ha subito ripetuti bombardamenti dalle Forze Alleate con più di 2 mila morti e la distruzione dell’80 % delle abitazioni civili, delle chiese e dei palazzi pubblici.
3.LA SARDEGNA RISCHIA ANCORA DI ESSERE SCELTA COME IL DEPOSITO UNICO NAZIONALE DELLE SCORIE NUCLEARI. E’ ben vero che il Ministro dell’Ambiente e diverse Autorità negano che vi sia questa volontà e fanno di tutto per rassicurare la popolazione dello scampato pericolo, ma ancora non vi è un pronunciamento ufficiale che allontani definitivamente questo incubo.
4.LA SARDEGNA E’ IN FORTE E PERICOLOSO DECLINO SOCIALE ED ECONOMICO sia a causa dell’alto indice di disoccupazione, sia per lo spopolamento delle zone interne col rischio reale di estinzione di molti paesi sia per il basso tasso di natalità e per la ripresa dell’emigrazione soprattutto dei nostri giovani in cerca di lavoro.
5.LA SARDEGNA REGISTRA ANCORA AD OGGI IL 53,6 % DI DISOCCUPAZIONE GIOVANILE (Fonte Eurostat) Solo recentemente all’inizio della campagna elettorale 2018 per il rinnovamento del Parlamento e ad appena un anno prima delle elezioni regionali del 2019 la Giunta ed il Consiglio Regionale hanno recuperato 100 milioni dal vecchio Piano Sulcis e messo in Bilancio ulteriori 27 milioni da destinare a cantieri per il lavoro (LAVORAS)che assorbiranno in gran parte lavoratori in cassa integrazione a scadenza e purtroppo ancora pochi giovani di primo impiego. La Sardegna, inoltre, è ai primi posti negli indici di povertà relativa a cui si aggiunge l’aumento delle persone costrette a rinunciare alle medicine e cure mediche a causa di una folle riforma sanitaria basata esclusivamente sul fattore economico.
6.LA SARDEGNA HA FALLITO COL VECCHIO PIANO DI SVILUPPO E CHIUDE NEGATIVAMENTE LA SUA ESPERIENZA DI GOVERNI AUTONOMISTI, un piano basato su una industrializzazione di base per Poli ,energivora ed impattante sul territorio dove ha provocato gravi e ampi disastri ambientali e sanitari che non compensano i posti di lavoro creati e che oggi con la crisi ed abbandono del tessuto industriale lasciano spazio alla disoccupazione di massa ed alla cassa integrazione di lunga durata trasformata in puro assistenzialismo per chi ha perso il lavoro e purtroppo nella negazione di ogni speranza per chi cerca nuova occupazione.NE’ CI CONVINCONO LE SCELTE POLITICHE DELLA NOSTRA CLASSE DIRIGENTE DEL GOVERNO NAZIONALE E REGIONALE che guarda ancora una volta al passato, investendo ingenti risorse di denaro pubblico su Fabbriche fuori mercato e fortemente impattanti sull’ambiente come l’ALCOA nel Sulcis /Iglesiente e l’EURALLUMINA che si vuol far ripartire collegandola ad una CENTRALE A CARBONE progettata a 400 metri dall’abitato di Portoscuso e con il RADDOPPIO DELLE COLLINE E DEL LAGO DEI FANGHI ROSSI ed infine il grande imbroglio della CHIMICA VERDE nel Nord Sardegna a Portotorres ,un vero e proprio Mega-Inceneritore.
7. LA SARDEGNA HA URGENTE BISOGNO DI UN NUOVO PIANO DI RINASCITA SULLA BASE DELL’ART.13 DEL SUO STATUTO SPECIALE per progettare ed attuare UN NUOVO PIANO DI SVILUPPO che deve essere un piano ecocompatibile e sostenibile, rispettoso del territorio e del paesaggio. Esso deve prevedere UN PIANO GENERALE DI BONIFICHE col vincolo europeo di “chi inquina, paga” con cantieri aperti in tutta l’isola ormai devastata in gran parte dalla vecchia industrializzazione e dalla speculazione. Esso deve attuare grandi investimenti sulla Rete Ferroviaria in gran parte da ridisegnare e rifare per consentire ai sardi di uscire dall’isolamento interno. Un PIANO che punta alla modernizzazione e rilancio del Comparto Agroalimentare e Pastorale con industrie di trasformazione e conservazione dei prodotti. Un PIANO che favorisca l’industria turistica diffusa nel territorio e per tutto l’anno e punti su Industrie ad alta innovazione tecnologica e ricerca con investimenti consistenti nell’industria aerospaziale.
8.LA SARDEGNA NON PUO’ ESSERE LA PIATTAFORMA ENERGETICA NAZIONALE perché come isola non ha bisogno di surplus di energia da fonti fossili che già inquinano ( LA SARAS BASTA E AVANZA ) né ha necessità di reti di Gas/Metano che ci vengono imposte tecnologicamente superate e fortemente inaffidabili né tantomeno ha bisogno di RIGASSIFICATORI incredibilmente progettati nelle vicinanze dei centri abitati, come quello a 300 metri dal Villaggio dei Pescatori e a 500 metri dal centro della città di Cagliari. E’ necessario, invece, investire maggiormente sulle fonti energetiche alternative e pulite quali il sole ed il vento, di cui la Sardegna abbonda in tutto l’anno.
9.IN SARDEGNA A 70 ANNI DALLA SUA APPROVAZIONE (26 FEBBRAIO 1948 ) ABBIAMO BISOGNO DI RISCRIVERE LO STATUTO SPECIALE, adeguandolo alla visione europea ed internazionale e alle nuove esigenze delle società moderne, allargando le sue competenze primarie in primo luogo per quanto riguarda le potestà in materia fiscale ,sui beni archeologici, museali e artistici, sulla scuola e sull’insegnamento come materia curriculare della lingua storia e cultura sarda.
10.LA SARDEGNA HA DIRITTO DI ESSERE COLLEGATA E RAGGIUNGIBILE DALL’EUROPA E DAL TUTTO IL MONDO, RICONOSCIUTA E RISPETTATA COME ISOLA TOTALMENTE IN REGIME DI ZONA FRANCA NEI SUOI PORTI, AEROPORTI E TERRITORI.
LA SALUTIAMO DA SARDI CON IL NOSTRO AUGURIO “SALUDI E TRIGU”, SALUTE E ABBONDANZA DI RACCOLTO OVVERO FELICITA’ E BENESSERE ,“FORZA PARIS”, FORZA INSIEME.
Cagliari, 26/02/2018

GIACOMO MELONI SEGRETARIO NAZ. LE CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA-CSS
MARCO MAMELI PRESIDENTE ASSOTZIUS CONSUMADORIS SARDIGNA ONLUS
ANGELO CREMONE – ENNIO CABIDDU COORDINATORI DI SARDEGNA PULITA
RICCARDO PIRAS SEGRETARIO REGIONALE DI ALTRA AGRICOLTURA
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Giovanni Maria Angioy Memoriale 2«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»

Oggi lunedì 26 febbraio 2018

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70° Statuto sardo: lo celebra chi lo affossa e lo svilisce
26 Febbraio 2018 Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Oggi ricorre il 70° dello Statuto sardo e, come spesso accade nella storia, lo festeggia chi lo voleva affossare e lo svilisce. Proprio così. Mattarella, Pigliaru e Ganau fanno tutti parte di quelle forze che, col sì al referendum del 4 dicembre 2016, volevano comprimere le già ridotte potenzialità della Carta fondamentale dei sardi. […]
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Pericle, discorso agli Ateniesi, 431 a.C. Qui ad Atene noi facciamo così

pericle-schema-riassuntivo_2206045ECCO IL DISCORSO INTEGRALE DI PERICLE AGLI ATENIESI
23/06/2017
di Pino Pignatta

Pubblichiamo integralmente – riprendendolo da Famiglia Cristiana online, autore Pino Pignatta – il celebre discorso di Pericle, politico, oratore e militare ateniese, rivolto ai suoi concittadini sul tema della democrazia. Un discorso tenuto in commemorazione dei caduti del primo anno della guerra del Pelopponeso (431 a.C.), riportato (o ricostruito) da Tucidide.

E’ stato osservato da alcuni studiosi che si tratta, evidentemente, da parte di Pericle, di una idealizzazione estrema del concetto di democrazia, lontana dall’applicazione reale della politica concreta. Tuttavia, l’appello dello scrittore Camilleri agli studenti liceali, di «costruirvi il futuro, di rifare la politica, perché voi siete giovani e potete permettervelo», è splendidamente sottolineato dall’invito di Pericle alla moralizzazione della politica stessa, per cui «un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private».

Di particolare interesse e modernità anche la riflessione finale di Pericle che parlando di Atene, che in quel momento storico esercita un’egemonia incontrastata nel mondo greco e non solo, ricorda «che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero», a differenza invece invece di quanti oggi, tanti, troppi, anche tra i cattolici, auspicano nei confronti delle nuove migrazioni, in aperto contrasto con la lettera del Vangelo.

Pericle, discorso agli Ateniesi, 431 a.C.
Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.
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Razzismo/racismo. Vuelve la peste

Goya il sonno della ragione
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Sami Naïr, docente di Scienze Politiche e Direttore del Centro mediterraneo Andalusí dell’Università di Siviglia, ha tenuto di recente all’Università di Cagliari una “lectio magistralis” sul tema “Le migrazioni guardano al futuro. La teoria del cosviluppo”, organizzata da Sucania – Associazione di Cooperazione Internazionale, in collaborazione con il Centro Studi di Relazioni Industriali dell’Università di Cagliari e con la Fondazione Anna Ruggiu onlus. Nell’ambito del progetto: Verso la parità di genere: donne nella storia, nelle istituzioni, nel diritto e nella società. X Corso di Educazione alla Solidarietà Internazionale “Le migrazioni: Una prospettiva interculturale ed interdisciplinare”.
Di seguito riportiamo una sua riflessione – tratta dal blog elpulsodelmundo.com del quotidiano spagnolo EL PAÍS - sul preoccupante fenomeno del razzismo che ha ripreso virulenza in tutta Europa, riportandoci alle tristi, terribili, tragiche vicende del nazi-fascismo.
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Vuelve la peste
La democracia camina al borde del abismo. El bacilo del racismo amenaza por doquier

di Sami Naïr *
24 FEB 2018

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Bien conoce Europa esta enfermedad que surgió no sólo a finales de la Edad Media como una epidemia que arrasó una parte importante de su población, sino también en pleno corazón del siglo XX, cuando estalló disfrazada de ideología totalitaria y arrojó al caos a los países occidentales.

Son conocidas las características de esta segunda versión: es un movimiento de masas, construido en torno a capas sociales vulneradas por las mutaciones económicas, con pérdida de poder adquisitivo, amenazadas de marginación social y que necesitan de una explicación, aun falsa, para comprender su suerte. Los partidos fascistas difunden entonces el bacilo responsabilizando a un enemigo definido, un adversario exterior o exteriorizado (los judíos, por ejemplo) culpable de robarle a los ciudadanos sus riquezas y sus empleos, y que pudre, al mismo tiempo, la “pureza” de la nación. Este cóctel se administra a la sociedad enferma con una receta simplista y aliviosa: el chivo expiatorio, figura maldita del Otro, único culpable de las desgracias de los tiempos.
Dicho de otro modo, el odio racista deviene un motor banal de la vida política. Ese odio que fue la figura de la peste del siglo pasado y que se consideraba definitivamente vencido después de la Segunda Guerra Mundial… ¡está aquí otra vez!
Hoy vivimos desagregaciones sociales provocadas por una globalización sin reglas, incompetencia e impotencia de las élites políticas, crisis de las referencias morales, angustia ante el futuro. Cuando se declaró el primer caso de envergadura en Francia, con la aparición electoral del Frente Nacional en 1983, pensábamos que era un fenómeno coyuntural y explicábamos que desaparecería vencido por el nuevo relato imperante, “el sueño europeo”.
Treinta y ocho años después, Europa está bloqueada, el sueño sufre profundas dudas y el ejemplo francés se expande por doquier. El chivo expiatorio inmigrante sirve ahora de parangón a todos los movimientos europeos de la misma fracción: últimamente en las elecciones austriacas, holandesas, alemanas o británicas, así como también el odio al inmigrante, preferiblemente musulmán o subsahariano, llena de esperanzas a varios partidos en las próximas elecciones italianas del 4 de marzo.
Otra vez la democracia camina al borde del precipicio. Mientras tanto, silencio de las élites políticas y culturales democráticas. Unos consideran que es un viento maloliente pasajero; otros que sí es peligroso, pero cuesta mucho electoralmente combatirlo. La conclusión es pesimista: la sociedad está irremediablemente afectada.
El gran historiador Zev Sternhell, uno de los mejores conocedores de la historia del fascismo, patriota israelí incuestionable, en una tribuna en Le Monde (19-02-2018) sobre la desastrosa condición de los palestinos en su país, ha tenido la valentía de decir que ésta se parece cada vez más a la de los judíos durante el comienzo del nazismo en Alemania. Son palabras duras, quizás exageradas, pero tienen el mérito de avisarnos de que el bacilo funesto del racismo amenaza por doquier.
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220px-sami_nairSami Naïr
* Sami Naïr (Tlemcen, Argelia, 23 de agosto de 1946) es un politólogo, filósofo, sociólogo y catedrático francés, especialista en movimientos migratorios y creador del concepto de codesarrollo.
Es una de las voces destacadas del progresismo en Europa, asesor del gobierno de Lionel Jospin de 1997 a 1999 y europarlamentario hasta 2004; es Catedrático en Ciencias Políticas y Director del Centro Mediterráneo Andalusí (CMA) de la Universidad Pablo de Olavide de Sevilla
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Blog: elpulsodelmundo.com
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Torna le pestilenza.
La democrazia cammina sull’orlo dell’abisso. Il virus del razzismo si diffonde a macchia d’olio.

Sami Naïr *
24 FEB 2018
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L’Europa è ben consapevole di questo morbo che si è sviluppato non solo alla fine del Medioevo come un’epidemia che ha devastato una parte importante della sua popolazione, ma anche nel cuore del ventesimo secolo, quando esplose travestito da ideologia totalitaria e gettò i paesi occidentali nel caos. Le caratteristiche di questa seconda versione sono ben note: è un movimento di massa, costruito attorno a classi sociali danneggiate dalle mutazioni economiche, con perdita di potere d’acquisto, minacciate dall’emarginazione sociale e che richiedono una spiegazione, anche falsa, per capirne la fortuna.

I partiti fascisti diffondono allora il virus, incolpando un nemico definito, un avversario esterno o esternalizzato (gli ebrei, per esempio) colpevole di derubare i cittadini delle loro ricchezze e dei loro posti di lavoro e che corrompe, nello stesso tempo, la “purezza” della nazione.
Questo cocktail viene somministrato alla società malata con una ricetta semplicistica e rassicurante: il capro espiatorio, la figura maledetta “dell’Altro”, unico colpevole per le disgrazie dei tempi.
In altre parole, l’odio razzista diventa un motore banale della vita politica. Quell’odio che raffigurava la pestilenza del secolo scorso e che fu considerato definitivamente sconfitto dopo la seconda guerra mondiale … è di nuovo qui!

Oggi viviamo disaggregazioni sociali causate da una globalizzazione senza regole, incompetenza e impotenza delle élite politiche, crisi di riferimenti morali, angoscia per il futuro. Quando si affermò il caso più rilevante in Francia, con l’apparizione elettorale del Fronte Nazionale nel 1983, pensavamo fosse un fenomeno congiunturale e spiegammo che sarebbe svanito grazie alla nuova narrazione imperante, quella del “sogno europeo”.

Trentotto anni dopo l’Europa è bloccata, il sogno soffre dubbi profondi e l’esempio francese si diffonde ovunque. Il capro espiatorio immigrato ora serve come modello per tutti i movimenti europei dello stesso orientamento: recentemente nelle elezioni austriache, olandesi, tedesche o inglesi. Così come l’odio nei confronti dell’immigrato, preferibilmente musulmano o subsahariano, riempie di speranze diversi partiti impegnati nelle prossime elezioni italiane del 4 marzo.
Ancora una volta la democrazia cammina sul bordo del precipizio. Nel frattempo, il silenzio delle élite politiche e culturali democratiche. Alcuni ritengono che si tratti di un vento maleodorante passeggero, altri che sia effettivamente pericoloso ma che costi molto combatterlo elettoralmente. La conclusione è pessimista: la società è irrimediabilmente finta.

Lo storico Zev Sternhell, uno dei più grandi esperti della storia del fascismo, un indiscusso patriota israeliano, in un confronto a “Le Monde” (19-02-2018) sulla disastrosa condizione dei palestinesi nel suo paese, ha avuto il coraggio di dire che è sempre più simile a quella degli ebrei all’inizio del nazismo in Germania. Sono parole dure, forse esagerate, ma hanno il merito di avvisarci che il funesto virus del razzismo rappresenta ovunque una minaccia.
[traduzione di Raffaele Deidda]
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lampadadialadmicromicro Altri Editoriali
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Contro il neo-liberismo. L’alternativa c’è eccome!
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Gli esiti fallimentari e antidemocratici dell’avvento dell’ideologia neoliberista

Gianfranco Sabattini*

L’antropologo David Harvey, critico del capitalismo globale, ritiene che il biennio 1978-1980 sia “stato un punto di svolta rivoluzionario nella storia sociale ed economica del mondo”; egli è del parere che le coincidenze non casuali accadute in quel torno di tempo non siano state sufficientemente considerate e analizzate, per gli effetti negativi generate dal loro accadimento, in particolare, sul modo di concepire la società, i soggetti che la costituiscono e le regole democratiche che si sono affermate soprattutto nei Paesi avanzati ad economia di mercato, parallelamente allo sviluppo economico che in essi si è verificato a partire dalla prima Rivoluzione industriale.
Quali sono le coincidenze che, secondo Harvey, hanno caratterizzato il biennio 1978-1980? Nel 1978, Teng Hsiao-ping ha liberalizzato l’economia cinese, sino ad allora governata da rigidi principi centralistici d’ispirazione comunista; nell’arco di due decenni, la Cina, afferma Harvey, da Paese arretrato e chiuso in se stesso si è trasformata in “centro aperto del dinamismo capitalista, caratterizzato da tassi di crescita talmente sostenuti da non avere confronti nella storia”. Negli Stati Uniti d’America, accedeva alla guida della Federal Riserve Bank Paul Volcker che, nel giro di pochi mesi, procedeva ad una modifica radicale delle politica monetaria americana, con effetti che si sono ripercossi a livello globale. Con le sue determinazioni, Volcker diventerà noto nel mondo per aver inaugurato una politica monetaria contrattiva, finalizzata a contrastare l’altissima inflazione, al fine di raggiungere la stabilità dei prezzi e rilanciare la crescita, al prezzo però di elevare il tasso di disoccupazione.
In Europa, nel 1979 Margaret Thatcher veniva eletta primo ministro del Regno Unito; la sua azione è stata diretta immediatamente a contrastare il potere dei sindacati, al fine di superare la stagnazione inflazionistica che da dieci anni affliggeva il Paese. Infine, nel 1980, dall’altra parte della sponda atlantica, negli USA, veniva eletto presidente Ronald Reagan, inaugurando una politica che avrebbe avviato gli USA “verso una rivitalizzazione dell’economia fondata da un lato sul sostegno delle manovre compiute da Volcker alla Fed e dall’altro sulla sua personale miscele di politiche finalizzate a contenere i sindacati, a deregolamentare l’industria, l’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse e a liberare le potenzialità della finanza a livello nazionale e sullo scenario mondiale”.
Da tutte queste vicende – afferma Harvey – “si sono diramati e diffusi gli impulsi rivoluzionari che hanno trasformato l’immagine del mondo intorno a noi”. Secondo l’antropologo, l’insieme delle vicende ricordate, accadute nel breve lasso di tempo 1978-1980, non possono essersi verificate accidentalmente, per cui ora diventa importante capire “grazie a quali strumenti e attraverso quali percorsi la nuova configurazione economica – spesso indicata con il termine generico ‘globalizzazione’ – sia scaturita da quella precedente”. Teng Hsiao-ping, Volcker, Thatcher e Reagan, per affermarsi – afferma Harvey – “hanno tutti adottato argomenti minoritari diffusi da tempo e li hanno resi maggioritari”, facendo usciere “dall’ombra di una relativa oscurità una dottrina nota come ‘neoliberismo’”, trasformandola nel principio guida della teoria e della pratica economica.
Di questa “dottrina” Harvey mette in evidenza le origini, lo sviluppo e le implicazioni, sul piano teorico, antropologico, sociale, istituzionale, politico ed economico. Innanzitutto, dal punto di vista teorico, l’ideologia neoliberista ha comportato il ricupero dell’assunto secondo il quale “il benessere dell’uomo può essere perseguito al meglio liberando le risorse e le capacità imprenditoriali dell’individuo”, all’interno di un quadro istituzionale caratterizzato da estesi e sicuri diritti di proprietà privata, da liberi mercati e dall’eliminazione dei numerosi “lacci e lacciuoli” che gravavano sullo scambio dei beni e dei servizi.
L’assunto non è stato privo di conseguenze, per il ruolo che nel tempo aveva assunto lo Stato nella regolamentazione dell’economia; un ruolo ridotto dal neoliberismo a quello di “creare e preservare una struttura istituzionale” idonea a garantire l’attuazione delle pratiche neoliberali. Al di là di questo ruolo, lo Stato non doveva intervenire; si è trattato del ricupero dell’antica idea dello “Stato minimo” o dello “Stato guardiano notturno”. Ciò perché, secondo l’ideologia neoliberista, lo Stato non poteva “in alcun modo disporre di informazioni sufficienti per interpretare i segnali del mercato (i prezzi)”; ma anche perché, in ogni caso, soprattutto nelle democrazie, potenti gruppi di interesse potevano distorcere e influenzare “in modo indebito e a proprio beneficio” gli interventi pubblici.
Ovunque, a partire dalla fine degli anni Settanta, si è verificata una “svolta impetuosa” nelle pratiche di politica economica, con la conseguenza della rapida diffusione di una deregolamentazione dei mercati, di una altrettanto rapida e larga privatizzazione di risorse e di beni pubblici, nonché di un progressivo ritiro dello Stato da molte aree d’intervento per scopi sociali. Inoltre, sempre a partire dalla fine degli anni Settanta, i sostenitori dell’ideologia neoliberista hanno iniziato ad occupare posti di responsabilità nei mass-media e nelle organizzazione istituzionali, sia a livello dei singoli Paesi, che a livello internazionale; in particolare, nelle istituzioni finanziarie, come i ministeri del Tesoro e le Banche centrali all’interno dei singoli Stati, o il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, a livello internazionale. L’assunto neoliberista è divenuto talmente egemonico, da radicare nell’opinione pubblica l’idea dell’esistenza di un “pensiero unico”, la cui influenza pervasiva è giunta a costituire parte integrante del modo in cui l’umanità ha incominciato ad interpretare, a vivere e a comprendere il mondo.
L’affermazione egemonica dell’ideologia neoliberista, a parere di Harvey, ha comportato così una generale “distruzione creativa” anche da tanti altri punti di vista, oltre che da quello strettante teorico e delle pratiche economiche; il neoliberismo, infatti, ha determinato il cambiamento delle strutture istituzionali preesistenti, tanto da minacciare la continuità delle forme tradizionali della sovranità statale e della democrazia; ma esso ha influito anche sulle prevalenti relazioni sociali, sugli stili di vita e sulle modalità di fruizione del welfare, facendo “dello scambio di mercato un etica a sé” e radicando l’idea che il bene sociale potesse “essere massimizzato intensificando la portata e la frequenza delle transazioni commerciali”, tentando di ricondurre tutte le azioni umane nell’ambito del mercato. Tutto ciò ha richiesto la predisposizione di apparati idonei a raccogliere, stoccare ed elaborare un’enorme massa di informazioni, ai fruitori consentire di orientare le proprie decisioni nel marcato globale; fatto, questo, che è valso a giustificare l’interesse per le tecnologie dell’informazione e a spingere alcuni opinionisti a parlare dell’avvento, con l’ideologia neolibersita, di una nuova “società dell’informazione”.
Sebbene siano state formulate molte critiche sugli effetti negativi seguiti all’affermazione dell’ideologia neoliberista e alla sua pervasività, manca ancora, secondo Harvey, l’elaborazione di una strategia complessiva, idonea a costituire una cornice che funga da contenitore di una possibile azione politica, volta a formulare un’alternativa al neoliberismo; Harvey suggerisce alcune osservazioni utili in tal senso, orientate ad individuare le forze e le idee sociali dalle quali far nascere tale alternativa.
A parere di Harvey, nell’elaborazione di un’alternativa al neoliberismo, innanzitutto si dovrà prevedere di restituire allo Stato la possibilità di “usare i propri poteri e di stanziare le proprie risorse allo scopo di sradicare fame e povertà e garantire condizioni di sussistenza, protezione dai rischi più gravi e dalle vicissitudini della vita”; ma anche nonché al fine di garantire stabilità di funzionamento del sistema economico attraverso politiche finalizzate a contrastare le fasi negative del ciclo economico. In particolare, la lotta alla povertà dovrà essere considerata prioritaria, in considerazione del fatto che la libertà dal bisogno è sempre stata una delle dimensioni portanti dell’organizzazione sociale affermatasi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, sotto la diretta influenza del pensiero keynesiano.
Nella lotta contro la povertà e le disuguaglianze, approfonditesi con l’avvento dell’ideologia, può essere intesa la ragione dell’emergere, nelle moderne società capitalistiche avanzate, delle “diverse culture d’opposizione che, dall’interno come dall’esterno del sistema di mercato, esplicitamente o tacitamente, respingono l’etica di mercato e le pratiche imposte dalla neoliberalizzazione”. Accanto ai movimenti sociali sorti con l’affermarsi di queste diverse culture d’opposizione, sono poi emersi segni di malcontento nati “all’interno dei circoli politici del potere”, che hanno coinvolto alcuni economisti (come, ad esempio, Jeffrey Sachs, Joserph Stglitz, Paul Krugman e altri ancora), i quali in passato avevano condiviso le idee neoliberiste, diventando ora tanto critici “da ipotizzare un ritorno a un keynesismo modificato, ovvero un approccio più ‘istituzionale’ alla soluzione dei problemi globali, dal miglioramento delle strutture che regolamentano la governance globale a una più rigida supervisione delle sconsiderate speculazioni finanziarie”.
Un’azione politica unitaria, alternativa alla “neoliberalizzazione” dell’economia e della società non può essere elaborata ed attuata senza mettere in discussione – afferma Harvey – “le basi fondamentali su cui è stato costruito il neoliberismo [...]. Questo significa non solo rovesciare la politica di sganciamento dello Stato dai provvedimenti sociali, ma anche affrontare gli enormi poteri del capitale finanziario”. A tal fine, a parere di Harvey, non sarà possibile sottrarsi alla considerazione del ruolo che ha avuto la lotta di classe, nel tenere a freno il potere dei gruppi dominanti. Ciò, però, non dovrà significare “nostalgia di qualche perduta età dell’oro in cui si agitavano categorie immaginarie come il ‘proletariato’”; né dovrà implicare l’idea che esista “qualche semplice concezione di classe a cui si può fare ricorso come forza primaria [...] delle trasformazioni storiche”. I movimenti di classe, sia quelli popolari, sia quelli di élite, si formano spontaneamente come risposta ai disagi sociali contingenti.
Nell’elaborare l’azione politica unitaria, alternativa alla neoliberalizzazione dell’economia e della società, sarà, tuttavia, necessario tener conto che i movimenti di protesta presentano attualmente una “biforcazione”: da una parte, vi sono movimenti di destra, nazionalisti e xenofobi, poco sensibili nei confronti del metodo della democrazia; dall’atra parte, esistono i movimenti del tutto alternativi a quelli di destra. Compito teorico delle forze democratiche di sinistra è trovare “il collegamento organico” tra i diversi movimenti, per contrapporre alle “politiche del divide et impera delle élite dominanti” politiche di alleanze fondate sul ricupero dei “poteri di autodeterminazione locali” dei popoli.
Solo in questo modo è possibile, conclude Harvey, denunciare il fallimento del neoliberismo; e più se ne riconoscerà la retorica utopistica, fallita, più sarà possibile dare voce e unità d’azione ai movimenti di protesta che chiedono la realizzazione di politiche distributive eque, sia all’interno dei singoli Paesi, sia a livello dei rapporti tra tutte le comunità coinvolte nel processo di integrazione economica nel mercato globale.
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* Anche su Avanti online.

Oggi domenica 25 febbraio 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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la-locandina-di-il-partigiano-johnny-33597Ciò che dobbiamo al partigiano Johnny
25 Febbraio 2018 su Democraziaoggi.
Assistiamo in questi giorni al manifestarsi di umori e azioni squadriste, ad esaltazioni del triste ventennio e del fascismo. Ci sembra dunque quanto mai necessario ricordare le tragedie provocate dal nazi-fascismo e i sacrifici per abbatterlo ed instaurare la democrazia repubblicana.
”Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo
CIO’ CHE DOBBIAMO AL PARTIGIANO JOHNNY. UNA COMMEMORAZIONE DI BEPPE FENOGLIO.
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sardegna statistiche logo sardInsularità, ecco perché lo stop al referendum può essere salutare: per tutti
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Elezioni

img_4633Dichiarazione di voto di Raniero La Valle per Liberi e Uguali.
lampada aladin micromicro Come è noto stimiamo in misura eccelsa Raniero La Valle, uno dei migliori intellettuali e politici italiani in assoluto, lui orgogliosamente cattolico impegnato. Ci fa piacere dare notizia della sua dichiarazione di voto tratta dalla sua pagina fb. Tutto ciò ovviamente, come dice lui “non vuole essere un’ingerenza nelle scelte di nessuno”.
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img_4848Dichiarazione di voto di Raniero La Valle.

[segue]

Contro il neo-liberismo. L’alternativa c’è eccome!

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Gli esiti fallimentari e antidemocratici dell’avvento dell’ideologia neoliberista

Gianfranco Sabattini*

L’antropologo David Harvey, critico del capitalismo globale, ritiene che il biennio 1978-1980 sia “stato un punto di svolta rivoluzionario nella storia sociale ed economica del mondo”; egli è del parere che le coincidenze non casuali accadute in quel torno di tempo non siano state sufficientemente considerate e analizzate, per gli effetti negativi generate dal loro accadimento, in particolare, sul modo di concepire la società, i soggetti che la costituiscono e le regole democratiche che si sono affermate soprattutto nei Paesi avanzati ad economia di mercato, parallelamente allo sviluppo economico che in essi si è verificato a partire dalla prima Rivoluzione industriale.
Quali sono le coincidenze che, secondo Harvey, hanno caratterizzato il biennio 1978-1980? Nel 1978, Teng Hsiao-ping ha liberalizzato l’economia cinese, sino ad allora governata da rigidi principi centralistici d’ispirazione comunista; nell’arco di due decenni, la Cina, afferma Harvey, da Paese arretrato e chiuso in se stesso si è trasformata in “centro aperto del dinamismo capitalista, caratterizzato da tassi di crescita talmente sostenuti da non avere confronti nella storia”. Negli Stati Uniti d’America, accedeva alla guida della Federal Riserve Bank Paul Volcker che, nel giro di pochi mesi, procedeva ad una modifica radicale delle politica monetaria americana, con effetti che si sono ripercossi a livello globale. Con le sue determinazioni, Volcker diventerà noto nel mondo per aver inaugurato una politica monetaria contrattiva, finalizzata a contrastare l’altissima inflazione, al fine di raggiungere la stabilità dei prezzi e rilanciare la crescita, al prezzo però di elevare il tasso di disoccupazione.
In Europa, nel 1979 Margaret Thatcher veniva eletta primo ministro del Regno Unito; la sua azione è stata diretta immediatamente a contrastare il potere dei sindacati, al fine di superare la stagnazione inflazionistica che da dieci anni affliggeva il Paese. Infine, nel 1980, dall’altra parte della sponda atlantica, negli USA, veniva eletto presidente Ronald Reagan, inaugurando una politica che avrebbe avviato gli USA “verso una rivitalizzazione dell’economia fondata da un lato sul sostegno delle manovre compiute da Volcker alla Fed e dall’altro sulla sua personale miscele di politiche finalizzate a contenere i sindacati, a deregolamentare l’industria, l’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse e a liberare le potenzialità della finanza a livello nazionale e sullo scenario mondiale”.
Da tutte queste vicende – afferma Harvey – “si sono diramati e diffusi gli impulsi rivoluzionari che hanno trasformato l’immagine del mondo intorno a noi”. Secondo l’antropologo, l’insieme delle vicende ricordate, accadute nel breve lasso di tempo 1978-1980, non possono essersi verificate accidentalmente, per cui ora diventa importante capire “grazie a quali strumenti e attraverso quali percorsi la nuova configurazione economica – spesso indicata con il termine generico ‘globalizzazione’ – sia scaturita da quella precedente”. Teng Hsiao-ping, Volcker, Thatcher e Reagan, per affermarsi – afferma Harvey – “hanno tutti adottato argomenti minoritari diffusi da tempo e li hanno resi maggioritari”, facendo usciere “dall’ombra di una relativa oscurità una dottrina nota come ‘neoliberismo’”, trasformandola nel principio guida della teoria e della pratica economica.
Di questa “dottrina” Harvey mette in evidenza le origini, lo sviluppo e le implicazioni, sul piano teorico, antropologico, sociale, istituzionale, politico ed economico. Innanzitutto, dal punto di vista teorico, l’ideologia neoliberista ha comportato il ricupero dell’assunto secondo il quale “il benessere dell’uomo può essere perseguito al meglio liberando le risorse e le capacità imprenditoriali dell’individuo”, all’interno di un quadro istituzionale caratterizzato da estesi e sicuri diritti di proprietà privata, da liberi mercati e dall’eliminazione dei numerosi “lacci e lacciuoli” che gravavano sullo scambio dei beni e dei servizi.
L’assunto non è stato privo di conseguenze, per il ruolo che nel tempo aveva assunto lo Stato nella regolamentazione dell’economia; un ruolo ridotto dal neoliberismo a quello di “creare e preservare una struttura istituzionale” idonea a garantire l’attuazione delle pratiche neoliberali. Al di là di questo ruolo, lo Stato non doveva intervenire; si è trattato del ricupero dell’antica idea dello “Stato minimo” o dello “Stato guardiano notturno”. Ciò perché, secondo l’ideologia neoliberista, lo Stato non poteva “in alcun modo disporre di informazioni sufficienti per interpretare i segnali del mercato (i prezzi)”; ma anche perché, in ogni caso, soprattutto nelle democrazie, potenti gruppi di interesse potevano distorcere e influenzare “in modo indebito e a proprio beneficio” gli interventi pubblici.
Ovunque, a partire dalla fine degli anni Settanta, si è verificata una “svolta impetuosa” nelle pratiche di politica economica, con la conseguenza della rapida diffusione di una deregolamentazione dei mercati, di una altrettanto rapida e larga privatizzazione di risorse e di beni pubblici, nonché di un progressivo ritiro dello Stato da molte aree d’intervento per scopi sociali. Inoltre, sempre a partire dalla fine degli anni Settanta, i sostenitori dell’ideologia neoliberista hanno iniziato ad occupare posti di responsabilità nei mass-media e nelle organizzazione istituzionali, sia a livello dei singoli Paesi, che a livello internazionale; in particolare, nelle istituzioni finanziarie, come i ministeri del Tesoro e le Banche centrali all’interno dei singoli Stati, o il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, a livello internazionale. L’assunto neoliberista è divenuto talmente egemonico, da radicare nell’opinione pubblica l’idea dell’esistenza di un “pensiero unico”, la cui influenza pervasiva è giunta a costituire parte integrante del modo in cui l’umanità ha incominciato ad interpretare, a vivere e a comprendere il mondo.
L’affermazione egemonica dell’ideologia neoliberista, a parere di Harvey, ha comportato così una generale “distruzione creativa” anche da tanti altri punti di vista, oltre che da quello strettante teorico e delle pratiche economiche; il neoliberismo, infatti, ha determinato il cambiamento delle strutture istituzionali preesistenti, tanto da minacciare la continuità delle forme tradizionali della sovranità statale e della democrazia; ma esso ha influito anche sulle prevalenti relazioni sociali, sugli stili di vita e sulle modalità di fruizione del welfare, facendo “dello scambio di mercato un etica a sé” e radicando l’idea che il bene sociale potesse “essere massimizzato intensificando la portata e la frequenza delle transazioni commerciali”, tentando di ricondurre tutte le azioni umane nell’ambito del mercato. Tutto ciò ha richiesto la predisposizione di apparati idonei a raccogliere, stoccare ed elaborare un’enorme massa di informazioni, ai fruitori consentire di orientare le proprie decisioni nel marcato globale; fatto, questo, che è valso a giustificare l’interesse per le tecnologie dell’informazione e a spingere alcuni opinionisti a parlare dell’avvento, con l’ideologia neolibersita, di una nuova “società dell’informazione”.
Sebbene siano state formulate molte critiche sugli effetti negativi seguiti all’affermazione dell’ideologia neoliberista e alla sua pervasività, manca ancora, secondo Harvey, l’elaborazione di una strategia complessiva, idonea a costituire una cornice che funga da contenitore di una possibile azione politica, volta a formulare un’alternativa al neoliberismo; Harvey suggerisce alcune osservazioni utili in tal senso, orientate ad individuare le forze e le idee sociali dalle quali far nascere tale alternativa.
A parere di Harvey, nell’elaborazione di un’alternativa al neoliberismo, innanzitutto si dovrà prevedere di restituire allo Stato la possibilità di “usare i propri poteri e di stanziare le proprie risorse allo scopo di sradicare fame e povertà e garantire condizioni di sussistenza, protezione dai rischi più gravi e dalle vicissitudini della vita”; ma anche nonché al fine di garantire stabilità di funzionamento del sistema economico attraverso politiche finalizzate a contrastare le fasi negative del ciclo economico. In particolare, la lotta alla povertà dovrà essere considerata prioritaria, in considerazione del fatto che la libertà dal bisogno è sempre stata una delle dimensioni portanti dell’organizzazione sociale affermatasi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, sotto la diretta influenza del pensiero keynesiano.
Nella lotta contro la povertà e le disuguaglianze, approfonditesi con l’avvento dell’ideologia, può essere intesa la ragione dell’emergere, nelle moderne società capitalistiche avanzate, delle “diverse culture d’opposizione che, dall’interno come dall’esterno del sistema di mercato, esplicitamente o tacitamente, respingono l’etica di mercato e le pratiche imposte dalla neoliberalizzazione”. Accanto ai movimenti sociali sorti con l’affermarsi di queste diverse culture d’opposizione, sono poi emersi segni di malcontento nati “all’interno dei circoli politici del potere”, che hanno coinvolto alcuni economisti (come, ad esempio, Jeffrey Sachs, Joserph Stglitz, Paul Krugman e altri ancora), i quali in passato avevano condiviso le idee neoliberiste, diventando ora tanto critici “da ipotizzare un ritorno a un keynesismo modificato, ovvero un approccio più ‘istituzionale’ alla soluzione dei problemi globali, dal miglioramento delle strutture che regolamentano la governance globale a una più rigida supervisione delle sconsiderate speculazioni finanziarie”.
Un’azione politica unitaria, alternativa alla “neoliberalizzazione” dell’economia e della società non può essere elaborata ed attuata senza mettere in discussione – afferma Harvey – “le basi fondamentali su cui è stato costruito il neoliberismo [...]. Questo significa non solo rovesciare la politica di sganciamento dello Stato dai provvedimenti sociali, ma anche affrontare gli enormi poteri del capitale finanziario”. A tal fine, a parere di Harvey, non sarà possibile sottrarsi alla considerazione del ruolo che ha avuto la lotta di classe, nel tenere a freno il potere dei gruppi dominanti. Ciò, però, non dovrà significare “nostalgia di qualche perduta età dell’oro in cui si agitavano categorie immaginarie come il ‘proletariato’”; né dovrà implicare l’idea che esista “qualche semplice concezione di classe a cui si può fare ricorso come forza primaria [...] delle trasformazioni storiche”. I movimenti di classe, sia quelli popolari, sia quelli di élite, si formano spontaneamente come risposta ai disagi sociali contingenti.
Nell’elaborare l’azione politica unitaria, alternativa alla neoliberalizzazione dell’economia e della società, sarà, tuttavia, necessario tener conto che i movimenti di protesta presentano attualmente una “biforcazione”: da una parte, vi sono movimenti di destra, nazionalisti e xenofobi, poco sensibili nei confronti del metodo della democrazia; dall’atra parte, esistono i movimenti del tutto alternativi a quelli di destra. Compito teorico delle forze democratiche di sinistra è trovare “il collegamento organico” tra i diversi movimenti, per contrapporre alle “politiche del divide et impera delle élite dominanti” politiche di alleanze fondate sul ricupero dei “poteri di autodeterminazione locali” dei popoli.
Solo in questo modo è possibile, conclude Harvey, denunciare il fallimento del neoliberismo; e più se ne riconoscerà la retorica utopistica, fallita, più sarà possibile dare voce e unità d’azione ai movimenti di protesta che chiedono la realizzazione di politiche distributive eque, sia all’interno dei singoli Paesi, sia a livello dei rapporti tra tutte le comunità coinvolte nel processo di integrazione economica nel mercato globale.
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* Anche su Avanti online.

Caro Presidente

pablo-e-amiche-sardegna-150x150img_4843LETTERA APERTA AL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA
IN VISITA A CAGLIARI PER I 70 ANNI DELLO STATUTO SARDO
26 FEBBRAIO 1948 – 26 FEBBRAIO 2018.

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Oggi sabato 24 febbraio 2018

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Sentite questa, Pigliaru non va alla manifestazione dell’Anpi a Roma e non dà disposizioni all’Ufficio di rappresentanza per far sfilare il gonfalone della Regione sarda
24 Febbraio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Sa Justitzia secondo Paolo e la giustizia della Carta
24 Febbraio 2018
Andrea Pubusa.
Su Democraziaoggi la versione “lunga” dell’intervento sulla giustiza, apparso come editoriale ieri su L’Unione sarda
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