Monthly Archives: agosto 2018

SINISTRA. DIBATTITO nella SINISTRA senza appartenenze

ape-innovativaC’è da essere contenti che finalmente si sia aperto e si stia sviluppando un grande dibattito nella sinistra (e oltre) che s’interroga non solo su se stessa (quali contenuti e quali confini definiscono oggi la sinistra), ma sul “che fare?” rispetto alle varie questioni politiche che agitano e tormentano il nostro tempo. Le dimensioni delle variegate problematiche sono enormi, interessando tutto il mondo, ma ovviamente l’attenzione ricade sulla situazione italiana, particolarmente su quanto fa (o non fa) il governo di centro-destra (molti a sinistra preferiscono definirlo solo di destra, anzi di estrema destra, perlomeno quanto a egemonizzazione della Lega) e su quanto accade in Sardegna, anche (e non solo) in relazione alla scadenza elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale (febbraio/marzo 2019), che, come noto, precede quella del Parlamento Europeo (primavera 2019). Noi, come Aladinews, siamo interessati a questo dibattito – con uno sguardo specifico a quanto accade in Sardegna – e in esso coinvolti e impegnati, partecipando direttamente e in collaborazione con le attività di altre realtà associative, CoStat in primis, innanzitutto mettendo a disposizione i nostri spazi. In tema segnaliamo, tra le tante iniziative, la pagina fb “Discutere a sinistra. A Cagliari”). In questo contesto, ci sembra importante segnalare il dibattito in quella che chiamiamo “Sinistra senza appartenenze” dando conto dei diversi interventi di suoi esponenti. In questa circostanza evidenziamo quelli di due esponenti di rilievo, precisamente di Andrea Pubusa (in prevalenza sul blog Democraziaoggi) e di Tonino Dessì. Proprio quest’ultimo in un intervento odierno sulla sua pagina fb polemizza con garbo, ma con chiarezza e decisione, con le posizioni di Andrea Pubusa. Non riassumiamo nulla di questo contributo, preferendo riportarlo integralmente. Vogliamo sottolineare come il dibattito si presenti duro, ma non lacerante, tale cioè che appare decisamente produttivo per possibili concrete convergenze, che saranno auspicabili solo se lo stesso dibattito continui ad essere chiaro e senza reticenze, rispettoso delle idee in campo, unito dal comune intento di costruire ipotesi e programmi utili in generale e per la nostra terra in particolare. Non partiamo da zero, anzi, ma la strada è lunga. Tuttavia il tempo fugge (nel lungo periodo – diceva l’economista - saremo sicuramente tutti morti) e dobbiamo fare qualcosa che, sebbene proiettata nel tempo, sia concretamente utilmente percorribile nel periodo della nostra esistenza.
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10f6f602-1f3d-4da4-ba7a-8a303afab397tonino-dessiDue articoli di Andrea Pubusa dai quali dissento.
di Tonino Dessì su fb.
È noto quanto condivida con Andrea Pubusa affinità che mi derivano da più di quarant’anni di un comune itinerario politico.
Non abbiamo sempre condiviso l’analisi contingente e qualche volta anche sulle proposte di azione i nostri punti di vista non hanno coinciso.
Abbiamo tuttavia maturato in comune una strutturale impostazione di fondo, idealmente antidogmatica, democraticamente radicale, estremamente sensibile alle ragioni dei movimenti sociali reali nelle loro manifestazioni più avanzate, da quelle scaturite nell’alveo storico del movimento operaio, a quelle dei movimenti giovanili e studenteschi degli anni ‘60 e ‘70, a quelle dei movimenti pacifisti ed ecologisti degli anni ‘80.
Dal Manifesto-PdUP al PCI fino al PDS e ai DS siamo anche stati militanti e dirigenti regionali di partito, lui più impegnato sul versante rappresentativo-istituzionale, io maggiormente assorbito da funzioni politiche e organizzative interne, ancorchè da ultimo mi sia stato concesso dagli eventi di cimentarmi in una più breve, ma intensa esperienza nel Governo della Regione.
Giuristi entrambi (lui però con ruolo di prestigioso docente universitario e di solido avvocato, io, di una generazione più giovane, approdato al mestiere del dirigente presso l’Assemblea legislativa sarda), appartenenti a una scuola fortemente impegnata sul terreno dell’interpretazione coerente della Costituzione repubblicana, antifascista, democratica e autonomista, della sua attuazione più avanzata, della sua intransigente difesa e non meno attivi nella spinta al massimo dispiegamento della specialità e della soggettività autonoma della Sardegna, per quanto mi concerne anche in una prospettiva esplicitamente federalista.
La crisi della sinistra politica italiana e sarda e l’esperienza personale, che ci ha investiti in pieno, della sua lunga agonia, ci ha anche entrambi portati a convincimenti piuttosto radicali sulla sua irreversibilità nella fase storica attuale.
Non sempre, come ho scritto poc’anzi, ci siamo trovati d’accordo sul “che fare”, in passato.
[segue]

Iran e Usa: questione di interessi delle grandi potenze

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Le possibili conseguenze della denuncia unilaterale da parte degli USA dell’accordo sul nucleare iraniano

di Gianfranco Sabattini*

Il presidente statunitense Donald Trump ha di recente denunciato l’accordo sul nucleare iraniano, che il proprio Paese aveva firmato, nel 2015, soprattutto per iniziativa del suo predecessore Barack Obama, assieme ai Paesi del Consiglio di sicurezza dell’ONU, più la Germania. Egli ha anche annunciato che gli USA faranno partire al più presto nuove sanzioni contro l’Iran, al fine di scongiurare che “il regime che sostiene il terrorismo in tutto il Medio Oriente possa arrivare alla bomba nucleare”.
Per giustificare e rafforzare la decisione di rinunciare all’accordo, Trump ha anche sostenuto, riguardo alle intenzioni nucleari dell’Iran, di “avere le prove definitive che quelle di continuo manifestate da Teheran sono bugie”; egli ha fatto riferimento alla denuncia pubblica fatta dal primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, in occasione della quale sono stati mostrati documenti e prove fornite dal Mossad. Ciò ha spinto Trump a concordare sull’esistenza di un programma per il nucleare militare degli iraniani, sebbene nessun osservatore internazionale abbia individuato nei documenti esibiti una qualche violazione di quanto previsto nel Piano d’Azione Congiunto Globale (Joint Comprehensive Plan of Action – JCPOA), concordato a supporto dell’attuazione dell’accordo stipulato.
Durante la presidenza di Barack Obama, l’Iran e gli altri mediatori internazionali avevano raggiunto un accordo sulla risoluzione dell’annoso problema del programma nucleare dell’Iran: con l’accordo e l’adozione del piano congiunto d’azione globale, era stata decisa la rimozione delle sanzioni economiche e finanziarie contro l’Iran, precedentemente decise dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.
Il Piano congiunto prevedeva che il programma nucleare iraniano potesse continuare esclusivamente per scopi pacifici e comportasse un miglioramento nei rapporti internazionali. Questi adempimenti erano stati visti come un pilastro fondamentale del processo di pacificazione internazionale e di stabilità regionale, per via del fatto che l’Iran avrebbe rinunciato a dotarsi di armi nucleari. In ogni caso, l’accordo del 2015 permetteva alla Repubblica Islamica di continuare nella propria attività di ricerca nucleare in ambito scientifico, contestualmente alla cessazione di tutte le sanzioni internazionali a cui era stata sottoposta.
Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo è stato criticato dall’ex presidente Barack Obama, che ha messo in evidenza le possibili conseguenze negative che possono derivare dalla decisione di Trump; ciò in quanto, secondo Obama, la denuncia dell’accordo potrebbe “incoraggiare il regime già pericoloso, minacciare i nostri alleati di devastazione e rappresentare un rischio inaccettabile per la sicurezza dell’America; inoltre – ha aggiunto Obama – potrebbe dare il via ad “una corsa agli armamenti nella regione più pericolosa del mondo” e se le restrizioni sul programma nucleare iraniano dovessero andare perdute, “avvicineremo il giorno in cui ci troveremo davanti ad una scelta: vivere con questa minaccia o lottare per prevenirla”.
L’accordo sul nucleare ha rappresentato il vanto dell’amministrazione degli USA prima di Donald Trump; su di esso, Obama aveva fondato, a livello internazionale, buona parte della sua credibilità, soprattutto perché l’accordo gli aveva consentito di definire le regole della geopolitica della sua amministrazione nei vari scacchieri del mondo nei quali gli USA erano coinvolti. L’opposizione, sia interna che esterna, però, aveva criticato fortemente quest’operazione, definendola un’inaccettabile resa a un nemico dell’America; in particolare, una parte cospicua del Congresso degli Stati Uniti e Israele si erano dichiarati contrari a un alleggerimento delle sanzioni comminate all’Iran dagli Stati Uniti, mentre la comunità internazionale, in larga parte, aveva accolto con favore il “disgelo” nelle relazioni fra i due Stati.
Anche il Presidente iraniano, Hassan Rouhani, dal canto suo, ha condannato la scelta di Trump, affermando che il proprio Paese continuerà a rispettare l’accordo nucleare, anche senza la partecipazione degli Stati Uniti, e che continuerà a conservare le buone relazioni instaurate dopo l’accordo del 2015 con gli altri firmatari. Rouhani ha però aggiunto che Teheran si riserva di decidere, se continuerà ad essere minacciata dai nemici regionali e dagli USA, l’eventuale rilancio del programma per l’energia atomica.
E’ indubbio che la denuncia unilaterale, da parte degli USA, dell’accordo sul nucleare sia destinato ad alterare il precario equilibrio di potenza che era stato possibile raggiungere nel 2015 tra i principali attori regionali (Iran, Israele, Turchia, Arabia Saudita, Emirati ed Egitto); in conseguenza di ciò, sarà inevitabile l’avvio di una spirale che aumenterà il rischio di una guerra regionale, destinata, non solo a conservare la garanzia della stabilità delle rotte commerciali che attraversano il Medio Oriente, ma anche a minare la sicurezza dello Stato ebraico e a rendere altamente probabile il pericolo di una guerra, per via delle numerose “trappole di Tucidide” delle quali è cosparsa ora l’area mediorientale.
Di tutto ciò ne è prova il fatto che, da tempo, Arabia Saudita ed Emirati puntino a rovesciare il regime delle Repubblica Islamica iraniana. La presunta destabilizzazione, da parte dell’Iran, delle relazioni tra i diversi Paesi dell’area e la minaccia alla sicurezza di Israele sono, in realtà, solo il pretesto degli Stati Uniti per continuare a garantirsi la tradizionale posizione dominante all’interno della principale area fornitrice di risorse petrolifere.
Non casualmente viene osservato che, con la sua decisione, Donald Trump abbia voluto riproporre la dottrina dei “pilastri gemelli” di Richard Nixon: Iran e Arabia Saudita. Questi due Paesi, in quanto principali produttori di petrolio, erano stati messi in concorrenza tra loro dall’amministrazione Nixon, creando un contesto loro favorevole e inducendo Riyad a nutrire il sospetto che gli USA volessero mettere l’Arabia Saudita in una posizione di secondo piano; fatto questo che ha spinto Riyad a cercare di consolidare la propria supremazia, creando le premesse della situazione attuale.
Abdolrasool Divsallar, ricercatore presso l’IMESS, l’Institute for Middle East Strategic Studies di Teheran, in “L’odio arabo spinge Teheran sull’orlo della guerra” (Limes, n. 7/2018), afferma che sinora “molto si è detto e scritto sul perché l’Iran sia percepito come una minaccia degli Stati arabi del Golfo”; tuttavia, continua Divsallar, meno si è detto “sul perché l’Iran vede le politiche dei suoi vicini arabi come potenziali minacce”. Comprendere, perciò, come Teheran percepisca le intenzioni degli Stati arabi, specie Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, a parere del ricercatore iraniano, è altrettanto decisivo per capire le circostanze che concorrono a stabilire lo status qui nell’area mediorientale.
In questo quadro, secondo Divsallar, il progressivo squilibrio militare venutosi creare negli ultimi anni costituisce la causa principale dell’instabilità delle relazione tra gli Stati dell’area. Gli Stati arabi del Golfo – afferma il ricercatore – hanno avuto accesso ad armi avanzate statunitensi ed europee, guadagnando “un enorme vantaggio bellico sull’Iran, in termini sia quantitativi sia qualitativi”. Di conseguenza, il crescente squilibrio militare è diventato l’elemento principale delle preoccupazioni iraniane, non tanto per le intenzioni dei sauditi, quanto perché “gli iraniani sanno che il loro apparato bellico [dei sauditi] è tarato sulla minaccia statunitense”.
Proseguendo la sua analisi, Divsallar disvela il reale motivo per cui Trump ha preso la recente decisione di “uscire” dall’accordo sul nucleare iraniano: lo “scontro di visioni tra Paesi arabi e Iran sulla presenza americana nel Golfo non è una novità. L’Iran vede un eventuale ritiro delle forze statunitensi come l’occasione per esercitare ciò che considera una legittima autorità nella regione. Viceversa, gli Stati arabi desiderano che l’America resti per controbilanciare Teheran”. Sebbene la convergenza di interessi tra Arabia Saudita e Stati Uniti non abbia mai sorpreso l’Iran, lo status quo è improvvisamente cambiato: “Riyad ed Emirati, tramite i loro gruppi di pressione a Washington, hanno spinto gli Stati Uniti a uscire dall’accordo sul nucleare e a inasprire l’isolamento internazionale della Repubblica Islamica, al fine di cambiarne il regime”.
Può darsi che i gruppi di pressione dei quali parla Divsallar siamo riusciti realmente ad esercitare una qualche pressione perché l’America uscisse dall’accorso sul nucleare, ma la natura degli interessi in gioco spinge a considerare il fatto che Donald Trump, sorretto dalla volontà nazionalistica di perseguire il solo interesse economico del proprio Paese, abbia valutato necessario rilanciare l’offensiva contro la Repubblica Islamica. A parere di Dario Fabbri, esperto di America e Medio Oriente, in “L’America all’assalto dell’Iran” (Limes, n. 7/2018), Trump ha rilanciato l’offensiva contro la Repubblica Islamica, non perché “durante la campagna elettorale si fosse divertito a definire come il ‘maggior accordo della storia’ quello siglato da Obama. Né per soddisfare la destra evangelica, parte integrante del suo elettorato e prossima a Israele”; piuttosto perché, “giunto alla Casa Bianca in una congiuntura molto diversa da quella attraversata dal suo predecessore, Trump ha saputo incarnare lo Zeitgeist [spirito del tempo]”; ovvero, Trump ha compreso che la Repubblica Islamica era tornata ad occupare nell’area mediorientale una posizione di vantaggio, soprattutto a seguito dell’intervento russo in Siria.
A parere di Fabbri, a determinare la denuncia americana dell’accordo nucleare sarebbe stato l’intervento della Russia in appoggio del presidente siriano al-Asad; tale appoggio, pur avendo contenuto le mire espansive in Siria dello stesso Iran, non avrebbe tuttavia impedito alla repubblica Islamica di “mantenere intatto il proprio spazio di dominio geopolitico (seppure in coabitazione temporanea con la Russia)”. La nuova situazione venutasi a creare con la stabilizzazione di al-Asad in gran parte del territorio siriano, è stata valutata pericolosa dalla superpotenza americana; di qui la necessità per la nuova amministrazione degli USA di “stracciare il trattato atomico”, considerato non più adeguato alla difesa degli interessi dell’America.
Tutto ciò è avvenuto senza che gli alleati europei dell’America fossero informati, perché gli Stati Uniti, di fronte alla percezione dei propri interessi mediorientali esposti al pericolo di una possibile destabilizzazione degli equilibri di potenza, non hanno esitato ad agire unilateralmente, mostrandosi indifferenti alle possibili divergenze che la loro condotta Avrebbe potuto determinare nei rapporti con i loro alleati tradizionali.
Sul piano geopolitico, tuttavia, gli USA hanno mostrato interesse a coinvolgere Ankara e Mosca nella loro azione di contenimento della repubblica Islamica: riguardo alla Turchia, essi, secondo Fabbri, si sarebbero addirittura dichiarati disposti, sia a tollerare le crescente indipendenza del Paese dalla Nato, sia a sacrificare l’intesa con i curdi del Rojava (un movimento curdo-siriano per la realizzazione di forme di democrazia diretta da proporre ai Paesi mediorientali, in alternativa ai regimi dittatoriali ed a quelli teocratici); per il coinvolgimento della Russia, invece, Trump, nel suo recente incontro in Finlandia con Putin, si sarebbe dichiarato disposto a sospendere, sia pure parzialmente, le sanzioni anti-russe e a “congelare” la questione ucraina, a patto che “Mosca si impegni a contrastare la presenza persiana in Siria e ad adoperarsi per creare una zona cuscinetto nei pressi delle alture del Golan, così da rafforzare la sicurezza di Israele”.
Nella prospettiva di poter “ammansire” le mire politiche di Ankara e di Mosca, ma soprattutto facendo affidamento sull’interesse della Russia, sia per l’affievolimento delle sanzioni economiche che stanno pesando negativamente sulla sua economia, sia per una legittimazione sul piano internazionale dell’occupazione della Crimea, Trump spera che in questo modo la Repubblica Islamica, all’interno del Medio Oriente, possa essere “abbandonata al suo destino”; ovvero, che contro di essa possano essere create le condizioni per provocare un cambio del regime degli Ayatollah.
Nei prossimi mesi sarà possibile verificare se gli Usa potranno avere successo nella loro politica nazionalistica; al riguardo – osserva Fabbri – il punto cruciale consisterà nel conservare, a un basso livello d’intenti, i rapporti ostili da sempre esistenti tra i Paesi dell’area, impedendo così che la situazione, per iniziativa unilaterale dell’America, degeneri in una guerra aperta; se ciò accadesse, gli esiti di un “conflitto caldo” non mancherebbero di espandersi rapidamente a livello globale, con ripercussioni destinate a destabilizzare lo status quo attuale, già di per sé precario, a causa della “guerra doganale” in atto.
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*Anche su L’Avanti! online
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- L’immagine in testa è tratta da Avvenire.

Cultura e pecora in capotto

BUFERA SUL CONSIGLIERE POETA
di Gianni Pisanu
coroSu L’Unione Sarda di giovedì 30 agosto pag. 33, da Nuoro un bell’articolo di Gianfranco Locci sulla polemica a seguito della diffusione da parte di Peppe Montesu di sue riflessioni in merito alla validità, sotto il profilo culturale, di un certo tipo di manifestazioni che proliferano in tutta l’isola.
L’articolo riporta testualmente le quartine di Peppe Montesu, pietra dello scandalo, che ho letto con godimento e condivisione.

Finarmente Nugoro ses bennìda,
su chi as in coro a lu festare,
sa patata in capotto e su buffare,
de cultura in su palcu l’as bestìda.

Chin corazu as fattu s’attrivìda,
in sa diretta de ne faeddare,
sos eroes chi tue ses festende,
coladu s’an sa vida imbreachenne.

Su sollazzu as confusu chin su cantu,
pro cultura l’as tue presentadu,
nemo in palcu si est segheradu,
e a su nudda tue as dadu vantu.

Bustianu e Deledda sunu a prantu
A ti vier de goi in cust’istadu,
faghenne mastros chi mastros non sunu
daenne chentu a chie valet unu.

pecora-in-capottoUna piccola riflessione sulla polemica a seguito delle quartine di Peppe Montesu intorno al proliferare di pseudo manifestazioni culturali a base di carne di pecora lessata. L’autore delle quartine servendosi di Facebook altro non ha fatto che sbadigliare in pubblico sopraffatto dalla noia che provoca la ripetitività di manifestazioni incentrate su pecora in capotto e nopotoreposare eseguite fino allo sfinimento ambedue da cuochi improvvisati e spacciate per elemento essenziale della CULTURA sarda. [segue]

Oggi venerdì 31 agosto 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
———-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti————————————-
Piero Gobetti: un rivoluzionario liberale
31 Agosto 2018
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5 Giugno 2008
Francesco Cocco su Democraziaoggi.
Con un approccio saggistico e nel contempo ricco di sprazzi narrativi, Carlo Dore (in un libro Ed. ANPPIA – Cagliari) ci restituisce, nella pienezza di un pensiero maturo e di un impareggiabile esempio di coerenza umana, la fulgida la figura di Piero Gobetti, morto a Parigi nel 1926 a […]
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Facce da cellofanare per l’arredo urbano
31 Agosto 2018
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3 Marzo 2009
Francesco Cocco su Democraziaoggi.
Sono passate ormai due settimane dalla consultazione elettorale per il rinnovo del consiglio regionale e gli spazi predisposti dall’ amministrazione comunale di Cagliari per la propaganda elettorale sono ancora lì, con il loro carico di manifesti che hanno resistito al vento ed alla pioggia battente.
Non c’è alcuna urgenza […]

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Scendiamo in piazza contro il razzismo, ma senza fare di tutta l’erba un fascio. La questione M5S
31 Agosto 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
L’altro giorno Il Manifesto ha lanciato un’appello per una grande manifestazione unitaria nazionale a Roma contro Salvini, il razzismo e gli umori antidemocratici che la Lega alimenta, senza ricevere un serio contrasto del M5S. Luciana Castellina, con la sua autorevolezza, ha fatto proprio l’appello, ponendo al centro l’idea di rendere visibile quell’area democratica diffusa […]

La Cina è viCina

drago-cinaLa Cina si sta comprando l’Italia (e noi glielo lasciamo fare, perché siamo nei guai)
Qualche settimana fa, il vertice Conte-Trump, ora quello tra Tria e Xi Jinping. Con l’obiettivo di cercare sponde potenti, in vista di una possibile tempesta finanziaria. In cambio di qualunque cosa
di Alberto Negri su LINKIESTA.
ape-innovativaUn commentino. La Cina è viCina! Speriamo che nel nostro tempo non si possa applicare il noto dileggio ai “comunisti cinesi italiani” In vigore nel ‘68, ai tempi di Mao, secondo cui il gatto più grande del mondo era cinese, avendo la testa in Cina

ALTA TECNOLOGIA. La vera sfida tra Usa e Cina

drago-cinala vera sfida tra Usa e Cina
di Pietro Greco, su Rocca.

Non c’è solo la protezione delle industrie e dei posti di lavoro dietro la guerra dei dazi che Donald Trump sta scatenando contro la Cina. C’è molto di più. C’è la leadership americana nei settori strategici dell’alta tecnologia e (quindi) della scienza.

NewsLetter

logo76Newsletter n. 108 del 30 agosto 2018

Che tempi!

Care amiche ed amici,

Oggi giovedì 30 agosto 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
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Antonio Pigliaru: una lettura per capire il presente
30 Agosto 2018
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2 Luglio 2008
Francesco Cocco su Democraziaoggi.
Le vicende politiche nazionali e quelle regionali legate ai problemi di riforma delle istituzioni e di salvaguardia della democrazia autonomistica, danno nuova attualità al pensiero di Antonio Pigliaru sui temi dello Stato e della democrazia. Ecco perché, pur se a due anni dalla pubblicazione, proponiamo la lettura di […]
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Disperazione (Uras, Maninchedda) e supponenza (Puddu) in vista delle regionali
30 Agosto 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Uras è iperattivo sul fronte “elezioni regionali”. Perso il seggio al senato è l’ultima carta che gli rimane prima della definitiva scomparsa. Propone una coalizione larga, larghissima, ma in realtà raschia la pentola dopo aver concorso a buttare alle ortiche un patrimonio e un radicamento enormi della sinistra sarda. Uras, più che dalla ragione, […]
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » 2015-ESODOXXI
2e-1Conversione ecologica o barbarie
di GUIDO VIALE
il manifesto, 28 agosto 2018, ripreso da eddyburg e da aladinews. Il respingimento dei migranti e l’austerity impostaci in questo decennio impedisce a questo paese e all’Europa di delineare un nuovo futuro, che non può essere che ecologista, capace di affrontare i problemi ambientali e sociali di questo secolo. (i.b.).
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Con l’Ungheria di Orban: l’Europa dei peggiori!

eu-hungary Prima gli ungheresi?
di Tonino Dessì, su fb.
L’Ungheria contribuisce annualmente al bilancio UE con 900 milioni di euro.
Ne riceve in fondi strutturali europei 4 miliardi e mezzo all’anno, esattamente cinque volte tanto.
Questo chiarisce dove va il surplus tra il versato e il ricevuto degli Stati che principalmente contribuiscono al bilancio comunitario, fra i quali l’Italia.
È il conto finanziario della solidarietà che è stata a suo tempo garantita per portare al livello degli standard medi dei Paesi europei più avanzati i Paesi entrati nell’Unione allargata con gravi ritardi nello sviluppo.
In cambio ci siamo ritrovati Orban, che di solidarietà con noi non vuol sentir parlare nemmeno nella gestione dei flussi migratori.
Non c’è dubbio che Salvini per l’Ungheria di Orban sia un investimento redditizio, per di più gratuito e integralmente a carico del contribuente italiano.
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- Approfondimenti.
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Per connessione
Quanto versa e riceve l’Italia nel bilancio europeo [di Lettera 43]
Su SardegnaSoprattutto.

Oggi mercoledì 29 agosto 2018

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Fedeltà allo schieramento o ai principi?
29 Agosto 2018
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11 Marzo 2009
Francesco Cocco su Democraziaoggi.
Credo che la recente vicenda per il rinnovo del consiglio regionale abbia posto non piccola parte dell’elettorato legato alla sinistra di fronte ad un interrogativo molto sofferto. Anche se in dimensioni ridotte, era lo stesso interrogativo che hanno dovuto affrontare, durante il Novecento, molti militanti del movimento […]
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D’accordo la lotta a Salvini, ma Conte e Di Maio sono la stessa cosa?
28 Agosto 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Presto nelle nostre mani

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NewsLetter

logo76Newsletter n. 107 del 28 agosto 2018

CHIESA E MAFIA
Care amiche ed amici,

Progetto ASSOMIGRANTI

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logounioneeuropearegione_sardegna_stemma_2012-1342443986logo-ats-sardegnalogo_ministero_internofami-fondo-2014-2020
http://www.unicaradio.it/wp/2018/01/assomigranti-sardegna-formazione/

Rispetto e Giustizia sociale

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Il concetto di rispetto nelle moderne teorie della giustizia sociale

Gianfranco Sabattini*

Riflettere sulla giustizia sociale, secondo Benedetta Giovanola, docente di Etica ed economia, “significa chiedersi quale eguaglianza sia necessario promuovere in società che vogliano dirsi giuste e quali diseguaglianze siano ammesse in tali società”. In altri termini, secondo l’autrice, occorre chiedersi cosa sia la giustizia sociale, quali le sue componenti costitutive, in cosa consista le promozione dell’uguaglianza e se, per perseguirla, occorra ammettere qualche disuguaglianza.
La necessità di dare risposte a questi interrogativi, a parere di Giovanola, “sono oggi al centro della riflessione filosofica sulla giustizia sociale, che si colloca per lo più all’interno della cornice teorica dell’egualitarismo”, il cui rinnovato interesse è riconducibile alla teoria delle giustizia sociale formulata nel 1971 da John Rawls; testo destinato a diventare punto di riferimento ineludibile del dibattito sulle teorie contemporanee della giustizia. Queste ultime, secondo l’autrice, si collocherebbero, sia pure in gran parte, “nel solco della tradizione inaugurata da Rawls”, in considerazione del fatto che il testo del filosofo americano è divenuto “il principale punto di riferimento” del dibattito contemporaneo.
Giovanola ritiene che le concezioni espresse successivamente alla pubblicazione di “Una teoria della giustizia” di Rawls siano accomunate dal fatto che il loro obiettivo consista nel formulare un discorso sulla giustizia sociale teso a promuovere l’eguaglianza, senza trascurare però possibili differenze individuali; quindi, evitando che la giustizia si traduca “in un livellamento verso il basso”, ma con la “garanzia di alcune libertà fondamentali e di eque opportunità di accesso ai vantaggi della cooperazione sociale”; con la garanzia, cioè, di realizzare un’uguaglianza sociale che “annulli ogni forma di esclusione o discriminazione sulla base della razza, del genere, della religione [...], ma anche della classe economica e sociale alla quale si appartiene”.
Tuttavia, a parere di Giovanola, le teorie della giustizia contemporanee si soffermerebbero “prevalentemente, se non esclusivamente, sul ruolo delle istituzioni nella promozione della giustizia sociale”, intesa quest’ultima per lo più come giustizia distributiva; mentre, a parere dell’autrice, “scarsa attenzione”, a differenza della corrente di pensiero che privilegia la riflessione sull’egualitarismo sociale e relazionale, verrebbe riservata alla dimensione “propriamente sociale” della giustizia.
Per Giovanola. l’egualitarismo socio-relazionale, secondo Giovanola, si discosterebbe dalle altre teorie della giustizia intesa come giustizia distributiva, perché assegnerebbe centralità al concetto di uguaglianza delle persone nelle loro reciproche relazioni. L’egualitarismo socio-relazionale, però, sempre secondo Giovanola, non sarebbe, a sua volta, privo di limiti; ciò in quanto esso porrebbe in secondo piano, o addirittura escluderebbe, gli aspetti distributivi, ovvero li interpreterebbe “esclusivamente” alla luce delle ricadute a livello di uguaglianza socio-relazionale.
Per la studiosa di etica ed economia, perciò, mancherebbe a tutt’oggi “una riflessione sulla giustizia sociale capace di tenere insieme, in modo equilibrato, aspetti distributivi e aspetti socio-relazionali, evitando riduzionismi e subordinazioni, da un lato, ma anche semplici giustapposizioni dall’altro”. L’intento è quindi quello di contribuire a “colmare la lacuna”, indagando sulla possibilità di formulare una teoria della giustizia sociale più ampia ed articolata, che “non si esaurisca nella sua dimensione distributiva”, ma ne includa anche “gli aspetti più specificamente sociali e relazionali”.
A tal fine, l’autrice espone criticamente le prospettive metodologiche alle quali sono riconducibili le principali teorie contemporanee che si contendono la scena riguardo all’egualitarismo, ovvero la teoria dell’”egualitarismo della sorte” e quella dell’”egualitarismo socio-relazionale”, che si differenziano per il modo d’intendere il concetto di giustizia sociale: in termini di giustizia distributiva la prima; come uguaglianza socio-relazionale la seconda. La critica di entrambe le teorie, consente di mettere in luce il riduzionismo che le caratterizzerebbe, motivando l’autrice a cercare di formulare un concetto più articolato di giustizia sociale, “capace di dar conto sia degli aspetti distributivi, sia di quelli socio-relazionali”.
A tal fine, Giovanola assume che, se la giustizia sociale è intesa, oltre che in senso distributivo, anche come “uguale valore morale” da riconoscersi a tutti i componenti il sistema sociale, occorre qualificare la giustizia sociale con il predicato del rispetto, dovuto a tutti i soggetti coinvolti nelle procedure distributive. In tal modo, la giustizia sociale, fondata anche sul “rispetto”, consentirebbe “di superare i limiti e il riduzionismo dell’egualitarismo della sorte e dell’egualitarismo socio-realazionale” e, nello stesso tempo, di recepirne le loro istanze valoriali principali, restando però “sempre nell’orizzonte teorico dell’egualitarismo”.
Secondo Giovanola, sulla base del concetto di giustizia sociale qualificata dal predicato del rispetto, diverrebbe possibile caratterizzare in termini più puntuali le diverse “dimensioni costitutive delle giustizia sociale”; ma consentirebbe anche “di articolare il rapporto che intercorre tra di loro”; cioè, sviluppando il discorso sul più comprensivo ”egualitarismo del rispetto”, diverrebbe possibile formulare meglio il concetto di giustizia sociale, senza abbandonare la prospettiva di analisi rawlsiana, ma andando oltre quanto esplicitamente affermato da Rawls riguardo al concetto di giustizia sociale, senza tuttavia tradirne lo spirito.
A parere di Giovanola, con la formulazione dell’egualitarismo del rispetto diverrebbe inoltre possibile acquisire un’adeguata “cornice teorica” per la formulazione di una concezione “non riduzionistica” del concetto di giustizia sociale, che ingloberebbe anche le istanze dell’egualitarismo socio-relazionale; ciò perché quest’ultimo, nascendo dall’intento di “recuperare gli scopi distintivi dell’egualitarismo”, consentirebbe non già di eliminare l’impatto “della sorte bruta nelle questioni umane”, ma di creare “una società di eguali”, promuovendo una reale “uguaglianza sociale”, piuttosto che formulare “criteri che presiedono [solo] a una giusta distribuzione” del prodotto sociale. In questo modo, secondo Giovanola, la critica dell’egualitarismo socio-relazionale, “pur se diretta principalmente all’egualitarismo della sorte, può essere estesa alla maggior parte delle teorie della giustizia contemporanee e alla loro enfasi sugli aspetti distributivi”. Ma qual è il “bene” di natura relazionale che l’egualitarismo della sorte finirebbe di trascurare?
Si tratta di un bene “sui generis” che nasce dalla comune condivisione delle motivazioni sottostanti la relazione che intercorre tra i fruitori di un altro bene particolare, quale può essere, ad esempio, un “bene comune” (un bene cioè condiviso da tutti membri di una comunità); il bene relazionale è individuabile, non nel bene comune in sé e per sé considerato, ma nella relazione che si instaura tra i diversi componenti la comunità. Un parco o il verde pubblico di un condominio, ad esempio, sono forme diverse di bene comune, implicanti un particolare rapporto tra la comunità e i beni comuni, ma anche un altrettanto particolare rapporto tra tutti i componenti la comunità stessa. Il bene relazionale è, quindi, la relazione che si instaura tra i componenti una comunità che hanno interesse a condividere la fruizione del bene comune e non il rapporto tra ogni singolo componente la comunità e il bene stesso. Se il rapporto tra i membri della comunità evocasse solo interessi individuali sul bene comune e non anche la relazione tra le persone cointeressate alla sua fruizione condivisa, il bene comune mancherebbe d’essere il supporto materiale del bene relazionale, scadendo a bene privato (o pubblico) cui non corrisponderebbe alcun bene relazionale.
Dal significato del concetto più comprensivo di giustizia sociale che può aversi adottando la prospettiva dell’egualitarismo socio-relazionale, le questioni distributive – afferma Giovanola – non sarebbero “escluse dall’agenda egualitaria”, ma verrebbero “subordinate a una concezione più ampia di eguaglianza, da declinare sul piano morale, sociale e politico”: sul piano morale, l’eguaglianza indicherebbe che tutte le persone hanno uguale valore; su quello sociale, essa implicherebbe che la società sia concepita come un’impresa cooperativa tra eguali, dove a ciascuno possa essere attribuito lo stesso status sociale; sul piano politico, infine, la concezione più ampia di eguaglianza comporterebbe che i cittadini possano avanzare delle pretese, gli uni rispetto agli altri, proprio in virtù del loro status di cittadini uguali.
Giovanola ritiene tuttavia che, se l’egualitarismo socio-realazionale ha il “merito di aver aperto la riflessione sulla giustizia sociale alle questioni non distributive, rivendicando l’importanza delle relazioni interpersonali e sociali come costitutive del discorso sulla giustizia”, cionondimeno esso (l’egualitarismo socio-relazionale) presenta “alcune criticità: in primo luogo, perché subordina le questioni distributive a quelle relazionali e alla promozione di una società di eguali; in secondo luogo, perché il perseguire la realizzazione di una società di eguali comporta l’obiezione che si realizzi un livellamento del valore delle persone “verso il basso”; infine, perché l’egualitarismo socio-relazionale tralascia la considerazione delle responsabilità e dell’autonomia dell’individuo che, invece, sempre a parere di Giovanola, sono di “fondamentale importanza per il discorso sulla giustizia sociale”.
L’autrice sostiene che tali criticità possono essere rimosse, se il predicato del rispetto viene inteso nel senso che la sua qualità venga riconosciuta alle persone in “modo diseguale”, per cui essa (la qualità o dimensione del rispetto) possa essere “sia di eguaglianza sia di disuguaglianza”. Ciò, secondo Giovanola, comporterebbe il superamento dell’”enfasi esclusiva sul rispetto uguale“, ma anche la considerazione della “rilevanza del rispetto diseguale, mostrando come esso sia intrinseco alla giustizia sociale”. Rivendicare l’importanza del rispetto diseguale consentirebbe, secondo Giovanola, di valorizzare l’”eccellenza delle persone, il loro merito e le loro capacità”, anche nell’interesse dei più svantaggiati; fatto, quest’ultimo del tutto coerente, come Giovanola riconosce, con il “principio di differenza” introdotto da Rawls, proprio al fine di rimuovere le differenze di status individuale dovute alla sorte ed evitare che tali differenze, anziché avvantaggiare ulteriormente coloro che sono gia avvantaggiati, possano essere utilizzate all’interno di un’organizzazione sociale con cui le differenze della sorte (in termini materiali e di dotazioni personali) possano andare vantaggio dei più svantaggiati.
In conclusione, il discorso di Giovanola risulta tendenzialmente ridondante rispetto alla teoria della giustizia di Rawls. Se quest’ultima è inquadrata all’interno della prospettiva statuale del neocontrattualismo repubblicano, non può sfuggire il fatto che il filosofo americano ha elaborato la sua teoria della giustizia come equità, formulando i principi ai quali i membri della società (o cittadini dello Stato) devono raccordarsi, per regolare la “struttura di base” della società stessa, cioè le sue istituzioni politiche, economiche e sociali. La teoria rawlsiana della giustizia sociale è strettamente connessa all’organizzazione dello Stato e trae la sua giustificazione dal “consenso per intersezione” fra diverse istanze valoriali, che hanno in comune un’idea di giustizia comprendente tolleranza, pluralismo e uguale rispetto. Quest’ultimo, in virtù del principio di differenza, posto alla base della teoria formulata da Rawls, deve intendersi non come “rispetto uguale”, ma come rispetto che può essere “diseguale o gerarchico” (inteso nel senso che gli attribuisce Giovanola), solo se la disuguaglianza va a vantaggio dei meno favoriti dalla sorte.
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Nella foto statua della Giurisprudenza (particolare), autore Bino Bini, atrio Rettorato Università di Cagliari.

Oggi martedì 28 agosto 2018

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Il pensiero gramsciano per uscire dalla dimensione alienante della vita politica
28 Agosto 2018
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Francesco Cocco su Democraziaoggi.

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